- White liquor for the toasting
-
Haymitch
- «Comunque questa cosa ha un sapore
disgustoso,
Haymitch» biascicò il ragazzo biondo aggiustandosi
la protesi della gamba
sinistra per stendersi sul divano mezzo sfasciato del suo mentore.
- L’uomo accasciato sulla sua fidata
poltrona lo
fissò divertito.
- Era da circa un’oretta che Peeta stava
vaneggiando dopo aver bevuto quasi un’intera bottiglia della
sua preziosa
scorta di liquore bianco, eppure non era ancora riuscito a capire il
perché
quel pomeriggio si era presentato senza alcun preavviso a casa sua. Non
che a
Haymitch dispiacesse visto il cesto colmo di muffin ancora fumanti e
focaccine
di ogni tipo poggiato sul tavolo della cucina che faceva compagnia alla
montagna di posate e piatti sporchi, ma era curioso.
- «Guarda che l’alcool si
offende, ha un cuore,
sai?» gli rispose dopo aver preso un sorso dalla fiaschetta. «Allora me lo dici o no?»
domandò per l’ennesima volta.
- «E poi puzza» Peeta
studiò con attenzione il bicchiere che aveva tra le mani.
«E brucia un casino.
Ma come fai a…» si
fermò per trovare il
termine adatto da utilizzare «a sopportarlo nello
stomaco?» sbuffò infine.
- Haymitch si spostò
una ciocca di capelli dagli occhi e cercò di non ridergli in
faccia.
- «Sei consapevole
del fatto che oltre a lamentarti di quanto faccia schifo il mio liquore
te lo
stai contemporaneamente scolando tutto, sì?» lo
rimbeccò ghignando. «E poi non
eri quello che rifiutava ogni mia gentilissima proposta con
“No, Haymitch, non mi
posso permettere di essere pazzo e ubriaco”?»
continuò a stuzzicarlo, tentando
senza successo di imitare la sua voce dandole un tono tormentato e patetico.
- A volte il ragazzo gli
dava l’impressione di aver ripreso lo stesso atteggiamento
che aveva assunto
nel periodo successivo all’annuncio della terza Edizione
della Memoria. C’era
una piccola variante però: faceva da allenatore spietato ed
esigente solo ed
esclusivamente a se stesso. Chissà se si godeva davvero a
pieno la sua
giovinezza concedendosi il lusso di non stare a preoccuparsi
costantemente di
quello che la parte corrotta della sua mente gli faceva
vedere…
- Con l’arrivo di
Peeta al Distretto 12, si era ripromesso e gli aveva promesso di essere
presente nella sua vita e in quella di Katniss ma solo in quel momento
si domandò
se avesse fallito o meno.
- Avevano quasi
ventisei anni ciascuno, era passato parecchio tempo eppure, vedendo
Peeta in
quello stato, si chiese se li avesse tenuti d’occhio sul
serio o se quei due
fossero cresciuti solo anagraficamente, senza dare alcuna svolta
decisiva alle
loro vite.
- Stavano insieme
almeno, quello lo aveva capito da un bel po’ ormai.
- Dolcezza poteva
fare la finta tonta quanto voleva ma era una bugiarda terribile
– ancora non
riusciva a comprendere come avessero fatto i capitolini a crederle
guardandola
nei suoi primi Hunger Games benché, doveva
ammetterlo, in alcuni punti lo aveva stupito
– e Haymitch in qualche modo
era sempre riuscito a decifrare i suoi pensieri. Il ragazzo invece si
era
rivelato parecchio enigmatico: era come suo solito gentile e buono,
sarcastico
e spiritoso, cucinava, dipingeva, stringeva o graffiava la sedia se un
flashback
lo colpiva, ma mai una volta si era tradito dicendo qualche parola di
troppo o sembrando
eccessivamente felice.
- In effetti, sì, era
stata Katniss a svelargli di loro due. Inconsciamente. Che
principiante.
- Una mattina, mentre
facevano colazione tutti e tre e mentre Sae girava attorno ai fornelli
come una
matta e di tanto in tanto urlava minacce a quell’orribile
bestia chiamata
Ranuncolo, proprio Katniss, le cui caratteristiche principali erano
essere
acida e fredda, intrecciò senza la minima esitazione le
proprie dita con quelle
di Peeta iniziando a carezzargli lentamente la cicatrice che aveva sul
dorso
della mano e si avvicinò di qualche centimetro, sfiorandogli
il braccio con la
spalla.
- Era ben consapevole
del fatto che fossero strani nel loro modo di approcciarsi
l’uno all’altra ma
quel gesto lo meravigliò lo stesso, gli sembrò
troppo intimo, pure per due che,
da quando avevano diciassette anni, dormivano nello stesso letto appena
ne avevano
l’opportunità.
- Quel giorno decise
stranamente di non punzecchiarli e cercò in ogni maniera di
trattenere i sorrisetti
che la visione di entrambi, così tanto presi da se stessi da
essere addirittura
incuranti del loro mentore che li osservava, gli procurava. Era
contento per i
suoi ragazzi. Finalmente avevano accettato i propri sentimenti,
specialmente
Katniss, ed erano liberi da qualsiasi imposizione che li voleva insieme
ma nel
modo sbagliato.
- Eppure… Stanno
vivendo a pieno?, pensò posando
lo sguardo sul figlio del fornaio che in quel preciso istante
parlò facendolo
quasi sussultare.
- «E fa così tanto
caldo» mugugnò, il viso immerso nel cuscino.
- Haymitch rise
sferzante nonostante cominciasse a preoccuparsi, «si
può sapere allora perché
sei venuto a bere?» continuò a ridere
più forte non appena vide spuntare da
sopra il cuscino il cipiglio contrariato del biondo. Anche i suoi
capelli erano
un totale disastro, aveva perso il conto di quante volte ci aveva
passato
nervosamente le mani da quando aveva varcato la soglia della sua
abitazione.
Più di una volta aveva avuto l’impressione che
volesse strapparseli.
- «Thom mi ha detto
che l’alcool stordisce e allora ho deciso di provare. Ma non
mi piace la
sensazione e non è vero che non mi fa pensare. Mi ha
mentito» disse
frettolosamente nascondendo di nuovo la faccia nel guanciale.
- «Lo reggi meglio
del previsto – in effetti sei solo logorroico, ma
reattivo» ghignò l’uomo facendogli
l’occhiolino mezzo orgoglioso, dopodiché restarono
senza spiccicare parola per
un tempo che a Haymitch parve abbastanza lungo.
- Per un momento
aveva creduto che il ragazzo del pane, spaventosamente immobile e
disteso sul
divano come un morto in una bara, si fosse addormentato. Aveva pensato
di
imitarlo e schiacciare un pisolino, ma dopo circa dieci minuti
– non ne era
sicuro, anche se gli erano davvero sembrati dieci minuti –,
le oche che allevava
e teneva sul retro della casa avevano iniziato a schiamazzare
selvaggiamente
facendolo sobbalzare. Dovevano aver visto qualche animale aggirarsi da
quelle
parti oppure quel felino maligno, abominio della natura e fracassatore
di
intere bottiglie di liquore che Katniss continuava cocciutamente a
nutrire nonostante
lo detestassero tutti eccetto Peeta.
- Scosse la testa
come a scacciare la sonnolenza e diede una rapida occhiata alla
finestra alle
sue spalle rendendosi così conto che era passato
effettivamente parecchio da
quando lui e il ragazzo avevano parlato.
- Quanto aveva
dormito?
- «Sta già per calare
il sole?» sussurrò mezzo intontito.
- Sentì un piccolo
fruscio provenire dal divano e, percependo uno sguardo insistente su di
sé, girò
il capo trovando gli occhi azzurri del giovane fissarlo seriamente.
- C’era un che di
tormentato nella sua espressione, ma non allo stesso modo di quando non
riusciva a ricordare qualche particolare a causa del depistaggio.
- «Vuole tostare il
pane con me, Haymitch» proferì in un soffio Peeta,
i riccioli dorati che gli
cadevano sulla fronte, illuminati dalla fioca luce dei primi raggi del
tramonto, sembravano stessero prendendo fuoco.
- Il mentore ripose
lentamente la sua fiaschetta sul tavolino cercando di assimilare meglio
la
frase che aveva sentito. Poteva giurare di aver visto per un attimo il
labbro
inferiore di Peeta fremere seppur impercettibilmente; era come se fosse
sul
punto di scoppiare a piangere.
- Haymitch si schiarì
la gola e si sporse verso di lui, «e allora sei venuto a
ubriacarti» disse
cauto osservandolo attentamente.
- «Sono solo brillo»
borbottò il biondo incrociando le braccia al petto per
niente intenzionato ad
aggiungere altro.
- L’uomo poggiò tutto il peso
delle spalle allo
schienale della poltrona e fece un lungo sospiro. Le cose erano
più complicate
di come aveva previsto.
- Gli propose di giocare a scacchi tanto per
allentare la tensione venutasi a creare e provò a tenere a
freno la lingua; non
voleva di certo litigare con lui, non quando presumeva la sua
situazione
mentale non fosse delle più stabili.
- Eppure chissà perché quel
pomeriggio Peeta gli
stava mangiando quasi tutti i pezzi dalla scacchiera, nemmeno stesse
affrontando un novellino. Che l’alcool avesse un effetto
rigenerante su di lui?
- Piccolo
bastardo,
alzò gli occhi quando il ragazzo gli fece scacco matto per
la
prima volta dopo mesi. Gli
bastò quella
veloce occhiata per capire che Peeta stava per parlare e gli
bastò un attimo per
capire dove sarebbe andato a parare di lì a poco.
- «Io non voglio che
si leghi per la vita a un pazzo» sussurrò a denti
stretti. Ecco, appunto.
- Haymitch si bloccò
di colpo, strinse il cavallo bianco tra le dita. «Quindi non
vuoi sposarla»
constatò atono posizionando poi una pedina sul proprio
quadrato.
- «No» chiosò tenendo
il capo basso e passando lentamente il pollice sulla cicatrice del
dorso della
mano. «Sì che voglio invece!»
sbottò dopo qualche secondo calciando un piede
del tavolino facendo traballare la fiaschetta del mentore.
«Ma no» sbuffò
sonoramente raccogliendo il re e un pedone da terra.
- «Non usare di nuovo
la scusa del depistaggio» lo ammonì duramente
ricevendo come risposta una
specie di gemito strozzato da parte del giovane.
- «Non capisco
perché… lei… con
me…» lo sentì
mormorare in modo sconnesso.
- «Sì, si starà
certamente accontentando» disse
ironico.
- Se minuti prima si era trattenuto dal fare
commenti irrisori proprio per non scatenare alcun diverbio, in quel
momento sperava
con tutto se stesso che Peeta reagisse mandandolo a quel paese, che si
arrabbiasse furiosamente. Ma invece stette zitto, intento a
controllarsi prima
la scarpa, poi l’intera gamba sinistra.
- «Potrebbe avere davvero
di meglio» asserì con una calma disarmante.
«Potrebbe stare con qualcuno che
non è la copia fasulla di se stesso, qualcuno che non sia
una nullità. Io non
avrei problemi a farmi da parte» concluse passando lentamente
un dito su una
venatura del legno.
- Haymitch si sentì
stupido, quasi preso in giro. Possibile che stesse per affrontare quel
discorso
proprio con lui? Non avrebbe mai immaginato che dalla bocca di quel
ragazzo
uscissero parole tanto dure sul suo stesso conto.
- Continuava a
credere ostinatamente di non meritare niente. Come Katniss del resto.
Ma se
Haymitch riusciva a giustificare e a comprendere almeno in parte il
perché la
ragazza provasse determinati sentimenti, perché accusasse se
stessa di essere
la causa di ogni minima cosa, con Peeta proprio non ci riusciva. Era il
migliore tra loro tre, tra tutti i settantacinque vincitori degli
Hunger Games
in effetti. Anzi, era sicuro Peeta Mellark fosse una delle poche
persone
migliori rimaste in tutta Panem.
- Quelle cose che
aveva detto su di sé non aveva di certo cominciato a
pensarle dal depistaggio,
né dai suoi primi giochi, avevano radici ben più
profonde. Era cresciuto con la
convinzione di essere un incapace.
- «Ma si può sapere che razza di
famiglia hai
avuto tu?» disse esasperato, rendendosi conto solo dopo di
aver toccato un
tasto dolente. Di tutte le domande che avrebbe potuto fare, gli
uscì la più
scomoda, quella di cui conosceva
già la risposta tra
l’altro.
- Il ragazzo lo guardò per un lungo minuto
prima
di parlare.
- Haymitch non poté far a meno di notare
quanto
i suoi occhi si stessero facendo vacui, la mente sicuramente occupata
da
momenti poco piacevoli, e si sentì a disagio.
- «Una di quella che preferisce lasciar
vivere
da solo un figlio in una casa vuota ed enorme anziché
rischiare di far fallire
la propria attività o perdere la propria
clientela» disse sarcasticamente il
biondo spostandosi dallo sgabello su cui si era seduto per giocare a
scacchi e riprendendo
calmo il suo posto sul divano.
- Improvvisamente Haymitch si ritrovò
catapultato nel passato, a quando al dodicesimo piano con attico del
centro di
addestramento, a tavola con lui, Peeta e Katniss litigavano innalzando
spropositatamente le qualità dell’altro
anziché le proprie.
- Era una delle situazioni più ridicole
che
aveva mai dovuto affrontare. Lo stavano esasperando con tutti quei
complimenti
a mo’ di frecciatine che si lanciavano contro arrabbiati.
Avrebbe tanto voluto
zittirli prima urlando loro: “Sì, ho capito che
pensate che l’altro sia
migliore, adesso piantatela!”, ma oltre a irritarlo, lo
divertivano e si
stavano rivelando per quello che erano realmente. Poi, per la prima
volta,
sentì nella voce di Peeta rabbia, tristezza e rassegnazione
tutte insieme. Con
l’intento di convincere Katniss di essere l’unica
tra i due ad avere buone
probabilità di vittoria, confessò come sua madre
gli aveva detto addio. Che stronza infame.
Che quella donna non
fosse propriamente simpatica o gentile già quando erano
entrambi giovani lo
sapeva, ma non avrebbe mai pensato fosse diventata effettivamente
arcigna come una
strega. Quell’appellativo che si era conquistata negli anni
le calzava a
pennello.
- Era affezionato a Peeta anche se non era bravo
con le dimostrazioni, forse si era permesso di volergli davvero bene
solo dopo
che era riuscito a tirarlo fuori dalla prima arena insieme a Katniss.
- Ricordava perfettamente come ogni mattino dopo
quegli Hunger Games, quelli che Capitol City avevano definito il suo
più grande
successo dopo la propria vittoria, il ragazzo si presentava a casa sua
con una
pagnotta di pane caldo sottobraccio e un muffin al whisky
minuziosamente
incartato: col passo pesante e zoppicante, raggiungeva il tavolo da
pranzo e
riponeva lì tutto con cura, a volte rimaneva a chiacchierare
per qualche oretta,
altre cenava con lui. Era una compagnia piacevole perché era
socievole e
ironico, mai impiccione. E sapeva stare al suo posto.
- Inizialmente non si capacitava del
perché il
figlio del fornaio si ostinasse ad andare lì a portargli
tutto quel ben di Dio,
men che meno perché si intrattenesse con lui, un ubriacone
burbero che aveva addirittura
scelto l’altro tributo, però poi comprese. Pur
essendo amichevole e gentile con
tutti, pur essendo attorniato da un sacco di coetanei, Peeta era
comunque solo.
In più era stato lasciato allo sbando da una famiglia che
non si curava
minimamente di lui. Le uniche persone che potevano capirlo erano la
ragazza che
lui era testardamente intenzionato a ignorare e il suo mentore
nonché nuovo
vicino.
- In quel periodo durato circa sei mesi poteva
affermare fossero diventati quasi amici.
- Era stata la sua cattura e il suo successivo
salvataggio però a cambiare il loro rapporto. Il non essere
riuscito a
recuperare anche lui dall’arena-orologio aveva fatto sentire
Haymitch estremamente
in colpa – non poteva nemmeno ubriacarsi per scacciare quel
malessere –,
vederlo depistato invece lo scosse nel profondo. Si trovava di fronte
un adolescente
malconcio e denutrito, ormai orfano e senza fratelli, completamente
fuori di
testa. Dopo essere venuto a conoscenza del fatto che Katniss si
chiudeva negli
armadietti del Tredici per estraniarsi da tutto e tutti, quello era
stato il
colpo di grazia decisivo.
- L’aver assistito alla furia di Peeta che
si
avventava su Katniss per toglierle la vita, gli fece rendere conto di
non
essere migliore di quei due presidenti che si facevano la guerra per
prevalere
sull’altro. Dopotutto aveva usato i suoi vincitori per uno
scopo più grande, per
la Rivoluzione. Se Peeta era stato torturato, se non si fidava
più di nessuno,
se non ricordava più di essere innamorato della ragazza che
a poco a poco lo
aveva ricambiato e che, dopo essere stata strangolata, non era in grado
di
stare nella stessa stanza con lui senza provare dolore e rabbia, era
esclusivamente
colpa sua.
- Andava a far visita a Peeta tutti i giorni e se
possibile gli parlava nonostante il giovane non lo volesse
né vedere né
ascoltare, si sforzava di non irritarsi quando gli si rivolgeva
unicamente per
sputare cattiverie, si preoccupava delle sue condizioni fisiche e
psicologiche
e allo stesso tempo cercava di scoprire che cosa frullasse nella testa
di Katniss
che era addirittura più imprevedibile del ragazzo.
- Fu da quel momento che cominciò a
provare per
Peeta lo stesso amore che forse avrebbe provato per un figlio, se solo
ne
avesse mai voluto uno.
- «Smettila, lo sai bene che Katniss non
starebbe con nessun altro a parte te» lo
rimproverò. «Non ti lascerò mai
più
sprecare una mia bottiglia di liquore bianco se non quando
sarò sicuro che
sarai nelle condizioni per godertela, ti avviso» lo
ammonì seriamente seppur dalla
sua voce trasparisse una nota ironica.
- «Te lo puoi tenere»
bofonchiò allontanando il
bicchiere dopo averlo comunque vuotato del suo contenuto.
- «Sì, sì, come
no» sogghignò.
- Avevano passato i successivi dieci minuti in
silenzio, a scrutarsi a vicenda, a ignorarsi, a giocherellare
distrattamente
con alcuni pezzi di arredamento che li circondavano, finché
Peeta non decise
che la stanza si era fatta troppo fredda e che bisognava riscaldarla.
- Haymitch lo osservò destreggiarsi con i
fiammiferi
e dei ciocchi di ogni dimensione. Con pochi movimenti apparentemente
semplici
aveva alimentato le fiamme in un modo che a lui non era mai riuscito.
- Non
c’è
che dire, è proprio il figlio di un fornaio, si ritrovò a pensare vedendo il
fuoco bruciare i pezzi di legno nel camino.
- «Quindi? Come la mettiamo?» gli
chiese non
appena il biondo si sedette.
- «Come la mettiamo cosa?»
domandò stranito
alzando un sopracciglio.
- «Non fare il finto tonto con me, non
attacca»
lo avvertì senza troppi giri di parole.
- Il giovane pareva di nuovo voler cadere in uno
stato di mutismo, ma Haymitch era più che intenzionato a non
permetterglielo.
- «Voglio la verità. So
benissimo che c’è
dell’altro» si passò la fiaschetta da
una mano all’altra. «Che cos’è
che ti
tormenta?».
- Peeta stava per controbattere ma dalla sua
bocca uscì solo una specie di rantolo, deglutì
rumorosamente e stette zitto per
dei lunghi secondi prima di decidersi a parlare.
- «Quello che mi preoccupa è che
me lo abbia
chiesto anche se non lo vuole veramente» disse piano col capo
chino. «E se
ascoltando Delly si fosse convinta di sposarmi pur non
desiderandolo?» adesso
stava guardando Haymitch quasi implorandolo con i suoi due grandi occhi
azzurri
spaventati.
- Il mentore però sapeva perfettamente che
quella del ragazzo era solo paranoia causata dai suoi complessi
d’inferiorità,
perché negli anni era arrivato alla conclusione di avere
un’unica certezza
nella vita che, strano ma vero, non c’entrava nulla con
l’alcool: Katniss
Everdeen non avrebbe mai fatto una cosa se contro la sua
volontà.
- Avrebbe potuto tranquillamente mettere
entrambe le mani sul fuoco, non si sarebbe bruciato. Quella cacciatrice
scorbutica
voleva davvero sposare Peeta Mellark.
- «Oh, credimi. Lo desidera
eccome» ghignò Haymitch.
«Lungi da me permettermi di dire che conosco dolcezza meglio
di te ma… la conosco
meglio di te» schioccò la lingua.
- Peeta lo guardò male per un attimo.
- «Però–»
proferì solo prima di essere
interrotto dall’uomo che gli imprecò contro ormai
spazientito.
- Haymitch si alzò di scatto dalla sua
poltrona
provocandosi un lieve capogiro e andò dritto dritto verso il
giovane. Ne aveva
abbastanza.
- «Lei non ha mai voluto sposarsi o avere
una
famiglia» asserì comunque Peeta sostenendo lo
sguardo duro del suo mentore
rimanendo sul divano.
- «Non mi dirai che le hai risposto di no,
vero?»
lo minacciò puntandogli il dito della mano che ancora teneva
stretta la
fiaschetta piena di liquore.
- «Cosa?» chiese allibito.
«NO!» e a quel punto si
alzò anche lui. «Non mi ha dato neanche il tempo
di recepire il messaggio che è
scappata via di casa!» gesticolò nervosamente
mentre parlava.
- Haymitch osservò il ragazzo prima di
accasciarsi sfinito sul divano stringendo l’indice e il
pollice sulla parte
superiore del naso come per voler scacciare un forte mal di testa.
- Voleva bene a quei due ma, specialmente da
quando avevano capito che nascondere la loro relazione era
controproducente, lo
sfiancavano. Però erano talmente divertenti…
- Stranamente si rilassò.
- «Addirittura chiederti di
sposarti…» disse dopo
qualche secondo trattenendo uno sbuffo più simile a una
risata. «Devi
essere davvero bravo a letto
allora per aver fatto fare un passo del genere a quella
bisbetica» incontrò gli
occhi di Peeta che di tutta risposta diventò paonazzo nel
momento esatto in cui
sentì quelle parole – le pupille contratte,
piccole come spilli, il viso e le
orecchie porpora in netto contrasto con i suoi capelli biondi e il
maglioncino
grigio che indossava, la bocca semiaperta… Più lo
osservava, più non poteva fare
a meno di ridere sguaiatamente.
- Era difficile mettere in imbarazzo Peeta,
forse quella era la prima volta che lo vedeva reagire in un modo tanto
buffo.
Per la prima volta il ragazzo non aveva il controllo delle sue emozioni
sul suo
corpo – depistaggio escluso.
- «Non mi dire che sei a disagio»
lo punzecchiò
facendogli un sorrisetto sghembo.
- «Smettila, Haymitch! Questi di certo non
sono affari
tuoi» gli urlò non riuscendo a guardarlo in faccia.
- «E che avrò detto
mai?» continuò con
nonchalance poggiando la schiena al divano e intrecciando le dita
dietro la
testa.
- «Non parlo di queste cose con i miei
amici,
figuriamoci con te» arretrò di alcuni passi fino
ad arrivare alla poltrona
completamente sfondata e rovinata che Haymitch non avrebbe mai buttato.
- L’uomo scosse il capo ghignando pronto a
intervenire ma Peeta aggiunse con tono ormai meno concitato e
più serio: «Non
che l’argomento sesso o nudità mi imbarazzi, ma
non sono proprio il tipo che
dice in giro fatti così intimi. E poi non si tratta solo di
me, c’entra anche
Katniss. Non parlerei mai di cosa faccio o non faccio con la mia
ragazza».
- Ogni santa volta che lo ascoltava, Haymitch si
stupiva di scoprire quanto veramente fosse un tipo a posto. Qualsiasi
suocero
avrebbe desiderato un genero come lui. Ma
che razza di persone erano i Mellark? E come fa lui a essere cresciuto
così?
Nessun genitore avrebbe dovuto denigrare un figlio simile.
- Oddio, ma
ha detto ‘la mia ragazza’! Non lo aveva mai sentito dire apertamente che
fossero una coppia.
- «Specialmente non parlerei di questo
genere di
cose con mio padre. Sarebbe decisamente troppo. Sai
com’è…» concluse Peeta
massaggiandosi
il ginocchio della gamba sinistra che sicuramente aveva iniziato a
dargli
fastidio.
- Oh.
- Fu strano per il mentore apprendere
l’effettivo significato di quelle ultime parole. Davvero il
biondo gli aveva
detto per la prima volta, anche se implicitamente, che lo considerava
un padre?
- Era una bella sensazione, doveva ammetterlo.
- «Lascia stare, ho capito» gli
sorrise
prendendo un sorso di liquore. «E comunque, ti stavo
prendendo in giro.
Figurati se mi interessa sapere di come vi rotolate l’uno
sull’altra. Ai miei
incubi si aggiungerebbero anche le immagini di voi due e non
è per niente
allettante come cosa» prese un altro sorso dalla sua
fiaschetta e, quando la
agitò trovandola vuota, la poggiò sul tavolino.
- Peeta gli lanciò un’ultima
occhiata tra il
glaciale e l’inquieto.
- «Scusa se ho cominciato a stordirti con
questi
discorsi. Sarà perché sono ancora un
po’ brillo» abbassò le palpebre per
allontanare
la frustrazione che sentiva crescere.
- «Non avrei mai detto che saresti stato un
brillo malinconico. Sembri più il tipo che ride senza un
apparente motivo
quando beve» constatò incrociando le gambe.
«Allora, com’è andata
realmente?»
domandò attirando l’attenzione del giovane e
fissandolo.
- «Come ti ho raccontato»
sospirò esasperato,
sprofondando sempre di più nella poltrona.
- «Non mi hai raccontato un bel
niente» chiosò
Haymitch tenendo ancora insistentemente lo sguardo sul ragazzo.
- Peeta sbuffò quasi tentando di mantenere
a
freno il nervosismo, chiudendosi nelle spalle.
- «Ha finito di fare colazione prima del
solito
e si è giustificata dicendomi che doveva procurarsi un bel
po’ di selvaggina
perché il tempo non sarà dei migliori nei
prossimi giorni. Era vicina
all’attaccapanni e si stava allacciando gli stivali mentre io
la guardavo da
seduto mangiando un biscotto» il mentore notò come
il labbro inferiore del giovane
aveva iniziato a tremare. «Dopo essersi sistemata il
berretto, ha alzato gli
occhi posandoli su di me per un tempo che mi è sembrato
interminabile e ho sentito
il bisogno di trattenere il respiro, non so perché. Poi le
ho sorriso ed è
stato in quel momento che mi ha detto: “mi piacerebbe tostare
il pane con te,
Peeta”» il biondo tirò un lunghissimo
sospiro stringendo i pugni e concentrò il
suo sguardo su un punto imprecisato sotto il tavolino.
- L’uomo sul divano rimase a bocca aperta,
quasi
shockato – per un istante aveva creduto di essersi trovato
anche lui ad
assistere a quella scena.
- «È scappata
chiudendosi velocemente la porta alle spalle senza darmi il tempo di
rispondere
e lasciandomi da solo come un coglione, col biscotto a
mezz’aria che poi ho
fatto cadere nella tazza del tè che ancora non avevo bevuto
perché era
bollente. Mi sono ustionato la mano, ho sporcato dappertutto e
Ranuncolo ha
cominciato a dare i numeri correndo di qua e di là non
appena mi sono alzato di
scatto dal dolore. Un disastro» riprese fiato quasi non
avesse più aria nei
polmoni scompigliandosi i capelli.
- Peeta alzò il capo dopo qualche secondo
e fu
allora che Haymitch vide come i suoi occhi azzurri si facevano sempre
più
lucidi, le mani si muovevano frenetiche su e giù strofinando
il tessuto dei
pantaloni e come si mordeva il labbro inferiore. Sembrava stesse per
scoppiare
in lacrime.
- «E io adesso non so che fare, Haymitch.
Certo
che voglio tostare il pane con Katniss!» gracchiò,
la voce rotta dal pianto. «Credo
sia stata la prima cosa che ho desiderato fare con lei da quando
l’ho vista per
la prima volta in assoluto. Ma poi penso che forse cerca solo di
accontentarmi,
che forse ha sentito dire da Delly che io sono sempre stato propenso a
sposarmi
e che quindi ha deciso tutto istintivamente, convincendo testardamente
se
stessa a fare questo passo solo per non privarmi di qualcosa che alla
fine ho
sempre voluto. Be’, io non voglio se lei non vuole»
ora tirava su col naso
tentando in ogni modo possibile di respirare regolarmente e di
trattenere i
singhiozzi. «E se poi quando torna dai boschi dovesse
rimangiarsi tutto?».
- I suoi due vincitori erano proprio intricati
come un labirinto. Lo erano stati già prima che
partecipassero alla
settantaquattresima edizione degli Hunger Games ma, dopo due arene, lo
stress
post-traumatico e gli incubi, un’instabilità
mentale, un depistaggio e la
guerra, lo erano diventati ancora di più. Quando erano
insieme poi, il loro
essere incasinati si rifletteva anche sull’altro, a volte
positivamente e altre
negativamente, ed era allora che diventavano qualcosa di inconcepibile.
Era
difficile descrivere nello specifico Katniss o Peeta e ancora
più complesso era
parlare del loro rapporto.
- Forse era anche per quello che gli piacevano.
- Inizialmente Haymitch non si spiegò
perché
Katniss fosse fuggita subito dopo aver detto una cosa tanto importante
a Peeta
ma poi capì, come se avesse avuto un lampo di genio, e fu
certo di essere nel
giusto. Dopotutto la conosceva meglio delle sue tasche.
- Forse non aveva intenzione di dirglielo
così
dal nulla. Aver dato voce ai suoi pensieri l’aveva
imbarazzata e fatta piombare
nel panico totale – ah, che testa
matta,
Haymitch avrebbe pagato oro per vedere la sua faccia –,
dopodiché si era di
sicuro resa conto del tipo di situazione in cui si era ficcata e, da
brava
diplomatica qual era, era arrivata alla conclusione che
l’unico modo per
affrontarla era non affrontarla affatto. E se l’era data a
gambe. Forse stava
ancora aspettando di escogitare un piano migliore.
- Oddio, che
incapace,
pensò Haymitch ghignando tra sé e sé.
Non si era nemmeno
preoccupata del caos in cui sarebbe sprofondato Peeta. Oh,
che idiota che è se ha pensato che il suo ragazzo sarebbe
rimasto
impassibile di fronte a una dichiarazione del genere.
- «È
indubbiamente una cretina» affermò di punto in
bianco e alzandosi in piedi per
sgranchirsi le ossa. Si avvicinò al giovane che lo guardava
smarrito e gli
assestò una bella pacca sulla spalla. «Vediamo un
po’ che ha preparato di buono
oggi il mio panettiere di fiducia dopo essere stato lasciato a
scervellarsi da
solo dalla sua futura mogliettina», quasi gli si
gelò il sangue nelle vene al pronunciare
quell’ultima parola. «Mogliettina» la
ripeté lentamente come se l’avesse voluta
assaporare e digrignò i denti. Troppo
strano.
- «Tu sfotti ma sai che, se dovessimo mai
sposarci,
Katniss vorrà che sia tu ad accompagnarci al Palazzo di
Giustizia, vero,
papino?» si alzò anche Peeta restituendo al
mentore la stessa pacca sulla
spalla che aveva ricevuto. «E anche io»
precisò.
- «Cosa?» Haymitch si
voltò di scatto, l’espressione
mezza esterrefatta sul volto, per poi incontrare gli occhi cristallini
del
ragazzo del pane ancora leggermente rossi.
«PAPINO?!» urlò allibito rigirandosi
velocemente e raggiungendo il tavolo della cucina intenzionato a
mangiare un
muffin.
- Sentì Peeta che lo stava seguendo ridere
di
gusto per la prima volta dopo parecchio tempo e sorrise soddisfatto
prima di
addentare il dolcetto al caffè e rhum ancora caldo. Le sue
papille gustative
cantarono.
- Altro che
bravo a letto, questa se lo vuole sposare perché cucina da
Dio.
- «Quindi è questo che hai fatto
tutta la
giornata? Ti sei tenuto occupato così?» gli
domandò masticando rumorosamente e
indicando il cesto tra varie pile di stoviglie sporche.
- «In parte» mormorò
Peeta mentre cercava di
ordinare tutto il soqquadro che c’era in cucina.
«Cavolo, Haymitch» sibilò,
«cosa
sarebbe questa roba?» sbottò schifato quando vide
una specie di poltiglia dall’aspetto
e dall’odore nauseabondo in un piatto.
- Il mentore allungò il collo incuriosito
per
guardare che sconvolgeva tanto il giovane e fece un suono che parve una
specie di
esclamazione mista a un mugugno – quei muffin erano una delle
cose più
deliziose che avesse mai provato, li avrebbe terminati in pochissimi
minuti se fossero
stati ancora sotto il suo naso, non riusciva a non rimpinzarsi lo
stomaco con
un altro appena finiva il precedente.
- «Credo sia tacchino o quaglia –
non ricordo
bene che stessi mangiando quel giorno – mentre non so
assolutamente cosa sia
quella salsina lì vicino» disse senza scomporsi
minimamente ma anzi, addentando
ancora più voracemente quello che ormai era il terzo
dolcetto.
- Peeta gli rivolse un’occhiata severa e
non
riuscì a nascondere l’espressione disgustata che
stava assumendo il suo viso
man mano che studiava sempre più attentamente cosa
c’era non solo sulla tavola
ma tutt’intorno.
- «E, di grazia, quando sarebbe stata
l’ultima
volta che hai dato una pulita a questo posto?» chiese
accennando all’intera
stanza con un movimento secco del capo.
- Haymitch lo scrutò bene notando come il
biondo
incrociava le braccia al petto e poggiava lentamente la schiena a una
credenza,
attendendo.
- Oh, no.
Pure la ramanzina no. Non me la merito.
- Alzò gli occhi al cielo e
sbuffò sonoramente,
«se non mi sbaglio tre giorni fa o forse quattro»,
si portò una mano al fianco
in un gesto di pura sfida.
- «Come sei riuscito in soli quattro giorni
a
rendere questa cucina uno schifo totale?!» lo
guardò sbigottito. «Vedi qua
quanto lerciume» indicò il lavabo stracolmo di
vari contenitori, stoviglie unte
e pezzi di cibo che stavano andando a male.
- L’uomo di tutta risposta
scrollò le spalle e
afferrò una focaccina al formaggio. Okay che con gli anni e
dopo numerose
strigliate da parte di Peeta e di Katniss aveva iniziato a tenere se
stesso e casa
sua in uno stato più decoroso, ma che c’era di male
nel lasciarsi un po’ andare
ogni tanto? Nonostante tutto, sapeva bene che dare voce ai suoi
pensieri significava
dare inizio a una discussione infinita con il giovane. Decise di
giocarsi la carta
del menefreghista – era consapevole non fosse la migliore
strategia da attuare
in quel caso, ma era sempre meglio che rispondere in qualsiasi altro
modo.
- Peeta si passò una mano tra i capelli e
sospirò, «ascolta, che ne dici se adesso io e te
diamo una sistemata a questo
disastro?» propose sconsolato.
- Stava per raggiungere la penisola della cucina
sulla quale c’erano delle pentole e alcune bottiglie vuote
quando si sentì
suonare il campanello.
- Haymitch alzò un sopracciglio stranito e
si
voltò verso l’ampio corridoio che portava
all’entrata. Nessuno bussava per
farsi aprire e ancora meno gente usava il campanello.
- Diede un’occhiata veloce al ragazzo che
lo
seguì rimanendo dietro di lui di pochissimi passi.
- Quando aprì la porta principale, oltre a
percepire il freddo quasi gelido che lo investiva da capo a piedi,
sentì Peeta
trattenere il respiro per un secondo.
- «Buon pomeriggio, signor
Abernathy» trillò la
giovane bionda che si ritrovò di fronte. «Anzi no,
buonasera» si corresse sorridendo
raggiante.
- Erano quasi tre anni che la maggiore dei
Cartwright era ritornata al Distretto 12, eppure non c’era
giorno in cui non
era tremendamente vivace. Che aveva da essere sempre così
briosa? Haymitch si
era chiesto più volte se per caso assumesse delle sostanze
stupefacenti per
mantenere sempre, perennemente quell’aria così
incredibilmente allegra ma poi
si era arreso nel constatare che quella era la sua vera natura.
- Delly Cartwright era pimpante al limite della
sopportazione. Lei sì che era la persona più
stramba che avesse mai incontrato.
- «Mi scusi se la disturbo ma
cercav– oh!
ECCOTI!» balzò improvvisamente in avanti
in direzione di Peeta che si era avvicinato di più alla
soglia della porta.
- Haymitch si rese conto dell’espressione
indecifrabile sul volto del ragazzo che aveva spostato lentamente lo
sguardo
dall’amica a Katniss irrigidendosi di colpo per poi ritornare
immediatamente su
Delly.
- Il mentore allora decise di concentrare tutta
la sua attenzione sulla mora che se ne stava cautamente a debita
distanza, col
capo basso e le mani nelle tasche della giacca da caccia logora.
Continuava a
calciare un pezzo di ghiaccio e neve come se fosse la cosa
più interessante mai
esistita sulla faccia della Terra.
- La osservò insistentemente. Voleva
entrare
nella sua testa per poter capire e leggere la sua mente. Peccato non
esistesse
la telepatia, avrebbe tanto voluto comunicare con lei senza il bisogno
di fare
una cosa tanto seccante come dare aria alla bocca. Che
cavolo combini?, pensò fissandola intensamente, si può sapere perché incasini
sempre tutto?
- Trasalì sorpreso quando gli occhi della
ragazza incontrarono i suoi. Gli sembrò quasi di
specchiarsi: grigio nel
grigio, collisione tra due tempeste di diversa intensità.
- Inarcò le sopracciglia come a chiederle
perché
si trovasse sull’uscio di casa sua e notò come il
viso di Katniss stesse
iniziando ad assumere un cipiglio interrogativo.
- Oh, pensi
che io non sappia niente di tutta questa storia, dolcezza? E magari
pure che
non sappia perché te la sei svignata in men che non si dica?
- «Credo sia ora che vi parliate»
sentenziò Delly
indicando entrambi i ragazzi che in quel momento facevano di tutto per
ignorarsi. «Senza interruzioni» terminò
mettendo le mani sui fianchi.
- «Io sto con la biondina»
rispose subito
Haymitch facendo largo per far passare le due giovani e
fulminò con lo sguardo
Peeta che aveva tutta l’intenzione di iniziare a protestare.
E, qualcuno ce ne scampi!, lui era
più che
in grado di portare avanti un discorso del genere.
- Finalmente c’era una persona che
ragionava in
quel distretto. La ragazza Cartwright poteva sembrare pure una
petulante
biondina perennemente gioiosa ma era autoritaria abbastanza da
costringere quei
testoni dei suoi vincitori a chiarire una volta per tutte. Dopotutto
era stata
fondamentale per Peeta nel Distretto 13; se non fosse stato per lei, il
depistaggio
sarebbe stato più complicato da affrontare.
- Guardava in lontananza Peeta e Katniss che
parlavano tra di loro e sorrideva soddisfatta ogni volta che sembravano
essere
d’accordo su ciò che dicevano.
- Non avrebbe mai immaginato fosse talmente
discreta. Credeva piuttosto che si sarebbe intromessa senza dare ai due
la
possibilità di ragionare con calma, ma invece se ne stava
composta e silenziosa
ad ascoltare solo di tanto in tanto.
- Haymitch le propose una tazza di tè che
lei si
offrì ben volentieri di preparare. Quando misero piede in
cucina, si scusò
leggermente imbarazzato per il disordine e maledisse tra sé
e sé Peeta e il
karma. Si appuntò di dare una sistemata il prima possibile.
- Sedette paziente quando lei cominciò ad
armeggiare ai fornelli e, osservandola aprire alcuni stipiti,
iniziò a pensare
e a scoprirsi sempre più sorpreso del fatto che il Distretto
12 si stesse
popolando di giovani sempre meno arrabbiati o scostanti come lo erano
stati
quelli della sua generazione. Katniss e Peeta non erano i soli a
desiderare
pace e tranquillità, non erano gli unici a voler crescere al
meglio nonostante
tutto. Anche la biondina era intenzionata a rimboccarsi le maniche.
Stava
tentando di riaprire l’attività dei genitori,
così come quel Thom che, grazie
all’aiuto di sempre più gente, aveva cominciato a
ricostruire il distretto e
aveva persino proposto a Peeta un progetto per una nuova panetteria.
Non era
lui poi quello che si doveva sposare proprio con la figlia dei
Cartwright?
- Anche loro due erano una coppia bizzarra: lui
calmo e silenzioso, lei festosa e cinguettante.
- Accennò a una specie di sorriso quando
realizzò. Da qualche annetto c’erano sempre
più unioni tra le poche persone del
Giacimento con le ancora più poche persone della zona
mercantile. Quando era
più giovane, matrimoni del genere erano più unici
che rari.
- «Che dice, signor Abernathy, andiamo a
portarlo
anche a Katniss e Peeta?» lo chiamò Delly
svegliandolo da quel flusso di
coscienza.
- Annuì solamente, alzandosi dalla sedia e
prendendole
il vassoio dalle mani che sembrava abbastanza pesante.
- «Ehm» si schiarì la
voce mentre camminava
piano per il corridoio per non far traballare le porcellane.
«Grazie per essere
loro amica» disse lanciandole uno sguardo con la coda
dell’occhio.
- «Oh, non ce n’è
bis–» fece per iniziare lei.
- «No, parlo sul serio. Anche
per… sai, la tua
collaborazione al Tredici. Per Peeta e quindi anche per
Katniss» la interruppe,
stranamente intenzionato a esprimere la sua gratitudine.
«Davvero pochi lo avrebbero
fatto – è stato difficile addirittura per Katniss
all’inizio» concluse.
- Quando arrivarono in salone alzò
istintivamente
gli angoli della bocca. Che l’avanzare degli anni lo stesse
facendo diventare
un vecchio sensibile?
- Si stavano baciando.
- Non era affatto un bacio passionale, gli diede
più l’impressione che fosse uno di quelli che
servono a suggellare qualcosa, a
promettere, un bacio sentito. Guardò come le mani di Katniss
erano posate sulle
guance di Peeta e come le braccia di lui erano strette attorno alla
vita di lei
sorprendendosi. Non li aveva mai visti baciarsi prima, non senza
telecamere –
erano sempre così misurati nelle loro dimostrazioni
d’affetto, specialmente
quando c’era altra gente. Eppure era comunque così
chiaro quello che c’era tra
loro.
- «Sono belli, vero?»
sussurrò Delly che si
trovava accanto a lui, leggermente alzata in punta di piedi.
- Haymitch allora rise e si avvicinò al
tavolino
vicino al divano, facendo così sobbalzare i suoi vincitori
che si allontanarono
l’uno dall’altra rossi in volto.
- «Oh, suvvia! Avete fatto di peggio in
diretta
nazionale» poggiò attentamente il vassoio.
«Dico bene, biondina?» si voltò
facendo l’occhiolino a Delly che non riuscì a
trattenere una lieve risata.
- «Da’ qua, Haymitch!»
scattò Katniss
strappandogli la teiera dalla mani e rivolgendogli la miglior
occhiataccia che gli
avesse mai fatto.
- «Bene, dolcezza, vedo con piacere che ti
è
ritornata la voce. Com’è andata la
giornata?» le sorrise accattivante
beccandosi un calcio ben assestato un po’ più su
della caviglia. «Carina come
al solito» si trascinò sulla poltrona
sprofondandoci dentro.
- Fu allora che Peeta iniziò a ridere
quasi
rischiando di farsi andare di traverso il tè. Sembrava
finalmente aver ripreso
la sua solita luce ed era sereno come non lo vedeva da anni.
- «Tu, fattelo dire, oggi hai sfiorato
picchi di
lunaticità incredibili» si rivolse al ragazzo
guardandolo stranito e
sorseggiando rumorosamente dalla sua tazza. «Biondina, non
restare lì impalata.
Serviti e accomodati» indicò a Delly
l’altra poltrona presente nella stanza.
- Lei rizzò la schiena lanciando
un’occhiata a
Peeta, come per chiedergli l’ennesimo permesso, che le
accennò di sedersi
sorridendole e porgendole il tè.
- «Grazie, fratellino» gli
mormorò all’orecchio
carezzandogli premurosamente una spalla.
- «Grazie a te»
sussurrò lui passando due
zollette di zucchero a lei e quattro a Katniss che soffiava sulla
bevanda cercando
di farla raffreddare.
- Il mentore osservò silenziosamente la
scena
provando una certa tranquillità che poche volte gli era
successo di sentire.
Per un attimo dimenticò di aver partecipato agli Hunger
Games, dimenticò
addirittura che quei ragazzi non facevano effettivamente parte della
sua vera
famiglia, quella che parecchi anni prima era stata sterminata per
punirlo.
- «E allora?» domandò
poi curioso di saperne di
più. Vide Katniss trasalire non appena pronunciò
quella frase, stringersi nella
giacca da caccia e giocherellare con l’estremità
della sua treccia sfatta.
- Peeta lo guardò interrogativo ma sempre
con lo
stesso sorrisetto che non aveva abbandonato le sue labbra da quando
Haymitch e
Delly avevano raggiunto il salone.
- Eccolo lì,
talmente contento che anche un cieco si accorgerebbe che la loro
discussione è
andata più che bene,
pensò irridente ma più felice di quanto si
aspettasse. Se non temesse una gomitata
nelle costole da quell’acidona, andrebbe in questo stesso
momento a urlarlo
all’intero distretto.
- Ricambiò il sorriso fregandosene di
apparire
come un sentimentalone mezzo rimbambito e posò il suo
sguardo su Katniss,
aspettando fosse lei a rispondere.
- «Dolcezza?» la
chiamò prima di prendere un
altro sorso di tè. Scrutando la sua figura minuta, ebbe quasi
l’impressione di
riuscire ad ascoltare le maledizioni che lei gli stava lanciando e
ghignò nella
sua direzione. Katniss gli rivolse un’occhiata implorante:
“Non me lo far dire, per favore”,
gli
stava sicuramente chiedendo silenziosamente.
- «Come se non fosse già
abbastanza ovvio» alzò
allora le spalle con finta aria noncurante posando la tazza vuota sul
tavolino.
- «Cosa è ovvio?»
domandò Peeta in maniera del
tutto candida, facendo quasi strozzare la ragazza accanto a lui che
finì solo per
tossicchiare, colta in fallo. Nonostante fosse estremamente sveglio,
Peeta
sembrava non aver afferrato assolutamente nulla della loro
conversazione visiva
di poco prima. Forse era troppo impegnato a esibire quel sorriso da
completo ebete
con la testa tra le nuvole.
- «Sì, cosa?» si
sporse Delly incuriosita. «Se
mi è permesso sapere, naturalmente» contenne il
suo entusiasmo iniziale
raddrizzandosi composta sulla poltrona.
- Haymitch osservò per
l’ennesima volta la mora
sogghignando e facendole l’occhiolino compiaciuto.
- «‘Cosa’,
dite?» cominciò misterioso
incrociando le gambe. «Be’,
ecc–» venne interrotto subito bruscamente.
- «Che io voglio sposare Peeta!»
urlò Katniss
con tutto il fiato che aveva in corpo completamente bordeaux in viso.
- L’uomo si passò una mano tra i
capelli
divertito da tutta quella situazione e dalla foga che la giovane aveva
avuto e
iniziò a ridere sguaiatamente. Più guardava le
facce sbigottite e sconvolte di
quei giovani che non si aspettavano di certo tutto quello che era
successo in
così pochi secondi, più si scopriva incapace di
trattenere addirittura le
lacrime.
- «Non posso credere che lo hai detto
davvero ad
alta voce» pronunciò appena riprese a respirare
regolarmente sfottendola.
- «È tutta colpa tua»
sibilò a denti stretti
Katniss coprendosi la faccia con le mani, imbarazzata più
che mai.
- Delly le rivolse uno sguardo comprensivo che
però
non riusciva a celare minimamente la contentezza che provava mentre
Peeta
circondò con un braccio la schiena di Katniss –
che nascose il volto nel suo
maglione – e poggiò il mento sopra la sua testa
carezzandole una spalla.
- «Non sei tu quella che deve imbarazzarsi
qui»
le mormorò dolcemente consolandola. «Piuttosto
sono io quello che oggi ha dato
di matto dopo essersi scolato mezza bottiglia di liquore di
Haymitch» ridacchiò
stringendola di più. «Oppure Haymitch stesso che
non ha avuto nemmeno un po’ di
buonsenso o decenza di non portare Delly in quello schifo di cucina,
non
trovi?» le chiese guardando però con un sorrisetto
sghembo il mentore che
sussultò di colpo e voltò immediatamente il capo
sentendosi in soggezione.
- Katniss alzò gli occhi grigi incontrando
quelli azzurri di Peeta e rise lievemente rincuorata dalle sue parole.
- «Per la
cronaca» sbottò Haymitch ancora
nervoso, «ti sei bevuto più della metà
della bottiglia del mio preziosissimo
alcool» borbottò giocherellando con una ciocca dei
suoi capelli scuri per
scacciare il disagio in cui l’aveva fatto piombare il giovane.
Haruma's back in town pt. 2
- Rieccomi di
nuovo, questa volta con una one-shot
decisamente troppo lungache appartiene alla raccolta di storie Tra pezzetti di pane galleggianti che ho scritto anni fa (e che sicuramente avrà bisogno di una bella revisione) – mi piace l’idea che ci sia una specie di filo conduttore che collega una fanfiction a un’altra. - Sono sincera,
avevo intenzione di scrivere tutt’altro ma il
risultato non mi dispiace affatto, lo ammetto.
- Inizio col spiegare perché la prima parola dopo il titolo è proprio ‘Haymitch’.
- Nonostante
questa storia sia
in terza persona, i
pensieri in corsivo,
l’introspezione e la narrazione appartengono a lui.
- Non era di certo
quello il mio intento ma poi, durante la scrittura, mi
sono detta “perché non farla in Haymitch
POV?”. Però più andavo avanti,
più mi rendevo
conto che mi sarebbe piaciuto tantissimo raccontare anche di Katniss e
Peeta. Ho
tuttora voglia di scrivere anche i loro due punti di vista
–
finché non concluderò anche quelli, questa
rimarrà un’unica one-shot.
- Comuuunque, in
poche parole quel ‘Haymitch’ sta a contrassegnare
il suo
POV – i prossimi capitoli (perché li
scriverò, dovessero passare anche cento
anni) saranno contrassegnati da ‘Peeta’ e
‘Katniss’.
- Sono una
breakballs incredibilmente prolissa e quindi mi sembra doveroso
raccontare il perché ho deciso di scrivere ciò
che avete letto.
- Dunque, volevo a
tutti i costi che Peeta andasse a bere da Haymitch (quando
il mentore dice: ‘[…] non eri quello
che rifiutava ogni mia gentilissima proposta con “No,
Haymitch, non mi posso permettere di essere pazzo e
ubriaco”?’, mi ispiro alla
mia raccolta che alla fine dà voce al mio headcanon – credo
che Peeta sia
proprio il tipo che potrebbe avere paura di eventuali complicazioni alla sua situazione mentale a causa
dell’alcool)
però ci ho messo un po’ a decidere
perché avesse preso
una decisione del
genere di punto in bianco.
- Non so perché ma ho
sempre pensato a Katniss che chiede a Peeta di sposarlo, mai il contrario. Il Peeta Mellark di Suzanne Collins è quel
meraviglioso personaggio
che non sta mai col fiato sul collo di Katniss, che rinuncerebbe a fare
determinate
cose per lei. Perché quindi non scrivere di un Peeta che
– anche spaventato da
quello che è diventato a causa del depistaggio –
non chiederebbe mai a lei di sposarlo
solo per non metterla in difficoltà e perché
è convinto fermamente che lei non
voglia?
- L’idea, poi, che sia Katniss a fare una proposta del genere mi
piace
tantissimo. Non volevo renderla una femminist icon e badass che ha lei
le
redini in mano, affatto. Semplicemente credo che il solo fatto che sia lei a
fare un passo
del genere sia più d’impatto –
d’altronde è Katniss quella che è
sempre stata
restia a sposarsi e ad avere una famiglia a causa degli Hunger Games.
(Mi sa
che mi soffermerò di più su questo punto quando
scriverò il suo punto di vista).
- Il rapporto tra
Haymitch e Peeta. BE’... penso di essere stata abbastanza
chiara nella one-shot (in più non vorrei dilungarmi oltre
perché altrimenti
farei meglio a pubblicare un testo critico su THG).
- Dico solo che per me Haymitch Abernathy è uno dei migliori personaggi di THG,
terzo solo a Peeta (che è il primo in assoluto –
e non solo di The Hunger Games) e
Katniss (che è la seconda), e potrei iniziare una crociata
contro chiunque parli
male di lui.
- ADORO
letteralmente il rapporto che ha con i suoi due vincitori e infatti
cerco sempre di approfondirlo nelle mie ff.
- Altra cosa.
- Nel mio
headcanon Delly torna al Dodici insieme a fratello minore qualche anno dopo l'arrivo dei primi abitanti e dopo un
po’ si
innamora di Thom (ho in mente di scrivere altre storie e magari di
trattare
anche loro due perché sì, ormai sono ferma nella
mia decisione :D).
- Bene, mi sa
che è meglio se me ne torno da dove sono venuta e la chiudo
qui.
- Grazie a
chiunque abbia letto, recensito, messo tra i preferiti, seguiti e
ricordati
questa one-shot.
- Spero stiate
tutti bene,
- un
forte
abbraccio (almeno quelli virtuali si possono dare) ♥