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Autore: bimbarossa    20/12/2020    1 recensioni
Se si potesse tornare indietro, vivere di nuovo per rimediare agli sbagli e ai giuramenti infranti, chi non accetterebbe?
Eppure fare la cosa giusta ha quasi sempre un prezzo, perché nel cambiare la storia si possono perdere tante cose.
Oppure trovarne altre che non ci saremmo mai aspettati.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jaime Lannister, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: in questa storia il pairing principale è formato da Jamie e Sansa, se a qualcuno non piace, potete scegliere altro

 

 

 

 

 

 

 

Si svegliò con la gola che gli faceva male per l'urlo intrappolato in essa, e la prima cosa che vide fu la luce.

La luce di un'alba bianchissima, che inondava Approdo del Re come se fossero tutti inzuppati in una coppa di latte. Un'alba dolce e densa, che faceva quasi male.

Soprattutto se credevi di essere appena morto.

 

Ser Jaime stava vomitando l'anima da ben due giorni. La servetta che stava rimediando a quello scempio, che nutriva una sacra paura dei cervi ma dei leoni ancora di più, non era riuscita a tacere comunque quel fatto curioso, di un uomo che era stato in salute fino al giorno prima e che adesso non si reggeva in piedi nemmeno per proteggere il Re.

“Secondo te ce la farà a partecipare al torneo per il compleanno del principino Joffrey?”

La sua compagna, al servizio della regina Cersei, fece una faccia strana, mentre continuava a pulire una montagna di padelle con frenesia nervosa.

“Dovrà farlo. Ho sentito che l'intera corte ha scommesso in suo favore. I Tyrell anche se ci danno da mangiare, nessuno li sopporta.”

Non ebbero tempo di proseguire oltre. Il re quel giorno era di ottimo umore, chiuso nelle sue stanze con un'intera compagnia di sgualdrine, e ogni volta servivano due o tre persone per portare tutto il vino necessario. Il giovane Lancel smaniava già sulla porta in attesa.

“Sto aspettando. E se aspetto io vuol dire che aspetta anche il re.”

Un leone senza criniera questo Lannister, che ruggiva borioso solo con le sguattere, i servi e i nani, lo sapevano tutti nella Fortezza Rossa.

E il Re non fu di ottimo umore solo quel giorno, anche se stavolta il vino c'entrava poco.

Al torneo per il compleanno del suo primogenito, un pugnale di acciaio di Valyria appartenuto niente di meno che al Maestro del Conio aveva trovato posto nell'armeria reale.

 

“Non te la prendere per quello stupido torneo. Rimani comunque il miglior spadaccino di Westeros.”

Tyrion stava giocando con la coppa piena di vino nel modo che usava quando doveva addolcire scomode verità con soavi bugie, facendola roteare in gesti lenti, ipnotici, felini.

Tuttavia se sperava di tirare su il morale del fratello maggiore con i suoi trucchi dialettici si sbagliava. Jaime era pallido, smunto, con gli occhi lucidi di chi non sia molto presente a sé stesso. Non lo aveva mai visto così abbattuto, e in quel momento si rese conto che c'era dell'altro.

Jaime era come se avesse subito un cambiamento, un cambiamento repentino come una frana interiore, uno smottamento dell'intera sua personalità.

“La regina e i suoi figli seguiranno nostro padre a Castel Granito, magari un po' di sana solitudine potrebbe giovarti.”

“Potrebbe, si.”

Quasi il Folletto si strozzò con la bevanda dorata di Arbor che stava trangugiando.

Quella frase e il riferimento a Cersei avrebbero dovuto svegliarlo, scatenare la sua frustrazione per il fatto di dover stare lontano dalla loro dolce sorella per qualche mese, invece...invece Jamie lo pensava davvero.

Pareva quasi furiosamente indifferente.

“Ah, sei qui fratello. E c'è anche lui.”

Tyrion si meravigliò, piuttosto che sentirsi ferito, di come la voce di Cersei potesse passare così repentinamente da un tono dolce e sensuale ad uno pieno di veleno non appena si accorse della sua presenza.

“Sono dove sono sempre stato, dolce sorella.”

Mai e poi mai Jamie si era rivolto con tale gelo verso la sua gemella, e la cosa dovette sorprenderla perché si fermò di botto senza altre ingiurie o cattiverie verso quello che considerava la nemesi della sua vita.

Tyrion li osservò, come sempre affascinato da quanto si somigliassero, con la luce del tramonto che rendeva quasi di un giallo impossibile i loro capelli, e donando ai suoi invece una sfumatura quasi spettrale, bianchissima. Da piccolo ricordava che faticava a riconoscerli, soprattutto quando Jamie non si tagliava i capelli per lungo tempo. Le cose erano cambiate quando il loro padre si era accorto che giocavano scherzi ai giardinieri e septon scambiando le loro identità fino a spaventarli. Da allora Jamie era diventato l'erede di Castel Granito e Cersei aveva cominciato ad indossare gonne scarlatte imparando a fare la civetta per il suo futuro marito.

“Sparisci, voglio parlare da sola con Jamie.”

Ci mise un po' a capire che stava parlando con lui, si sentiva immerso in una strana sensazione simile alla melassa.

“Dovresti essere più gentile con nostro fratello.”

Di nuovo quell'emozione che gli impastava la lingua. Jamie che prendeva le sue difese. Jamie che sceglieva lui e non Cersei. Qualcosa di impossibile stava accadendo davanti ai suoi occhi.

“Non importa,” tossicchiò.

Doveva uscire di lì e scolarsi un'intera caraffa di vino. C'erano molte cose da festeggiare.

 

Varys spostò il piccolo coperchio in pelle per scoprire lo spioncino.

Un fascio di luce simile ad una lama lo colpì sul volto prima di riuscire a focalizzare lo sguardo sulle due persone all'interno della stanza.

“Che cosa ti è preso prima? Non dirmi che quel...quel mostriciattolo è riuscito a metterti contro di me.”

“Non chiamarlo così. È nostro fratello che ti piaccia o meno, e in mia presenza d'ora in poi voglio che ti rivolga a Tyrion come si conviene. Spero di essermi spiegato.”

Varys strinse ancora di più la cintura di seta dell'abito sfarzoso in cui era avvolto.

Per un attimo il silenzio fu quasi una creatura viva tra i due gemelli Lannister, tanto che Varys si accorse di star quasi trattenendo il fiato in attesa -di cosa?- poi la regina bionda di Robert scrollò le spalle riempiendosi una coppa di vino rosso.

“Non voglio parlare di quel mostr...di nostro fratello, sarebbe uno spreco di tempo.” Si avvicinò languida al gemello, e anche se il Maestro dei Sussurri era abituato ad altro di ben più grave di un semplice incontro sessuale tra consanguinei, il rapporto tra quei due leoni gli metteva sempre un brivido di disagio nella schiena, come se invece che un incesto stesse assistendo ad un rituale cannibale. “E di tempo non ne avremo molto per mesi dopo che sarò partita per Castel Granito. Quindi che ne dici se ti facessi dimenticare quello stupido torneo come solo io posso fare?”

Anche da dietro un muro Varys si rese conto dell'esatto momento in cui quell'approccio venne spietatamente demolito dall'uomo, che si allontanò come se avesse accanto una manticora o un essere simile, piuttosto che la Luce dell'Ovest.

“Non credo sia opportuno. Sai cosa succederà se ci scoprono? Hai idea delle conseguenze terribili di quello che stiamo facendo?”

“Fino a poco tempo fa non avevi di questi scrupoli. Avresti mosso guerra al mondo intero pur di stare con me.” Varys sospirò di piacere nel sentire quel tono di smarrimento.

A lui la Luce dell'Ovest non era mai piaciuta. I suoi sguardi ed interessi avevano sempre puntato ad est.

Jamie cominciò a spogliarsi lentamente, ma ben lontano, notò il capo delle spie del regno, dalle grinfie della sorella.

“Tu mi stai nascondendo qualcosa, lo sento.”

“Non capisco a cosa ti riferisci, dolce sorella.”

L'attenzione di Varys si ridestò, mentre quel compiacimento inopportuno veniva accantonato per metterlo da parte ed usarlo nei momenti di sconforto che infestavano ogni essere umano prima o poi nella vita, persino un uomo come lui.

“Non dirmi che hai paura di Robert?”

“Robert, dici? Oh no, tuo marito fa paura a pochi, tipi come Lancel intendo. Sono gli altri che temo, e dovresti temerli anche tu.”

“I leoni non temono nessuno.”

Varys quasi sentì sulla pelle del naso lo strano sospiro di Ser Jamie da quanto era vicino adesso allo spioncino nascosto, tanto che si sforzò quasi di non indietreggiare.

“Dolce sorella, credimi, ci sono parecchie persone che dovresti temere, e più vicino di quanto tu possa pensare. Persone per cui noi, i Lannister di Castel Granito, siamo solo pedine. E poi,” l'uomo sparì dalla vista ridotta di Varys che riusciva solo a sentirne il timbro piatto, sinistro, “là fuori esistono creature, oh Cersei, creature che sono capaci di liberarti gli intestini soltanto udendole avvicinarsi da lontano, nel freddo.”

“Ma cosa stai dicendo, Jamie? Forse dovrei chiamare quell'idiota di Pycelle e farti dare qualcosa. Stai delirando.”

Un caldo refolo estivo sferzò delicatamente le gonne dell'abito del Maestro delle Spie, paradossalmente mettendogli i brividi.

Quando il volto di Jamie Lannister ricomparve nel suo campo visivo, l'acuta sensazione di allarme che provava da qualche giorno si intensificò.

Si stavano preparando guai, proprio ora che il ragazzo al di là del Mare Stretto era quasi pronto a prendere il posto che lui, Varys, con l'aiuto di Illyrio ed altri, gli avevano coltivato per anni.

E dire che aveva sempre pensato che Ser Jamie fosse quello più innocuo del branco, uno stupido che ragionava poco, il cui unico talento era usare la spada come un dio certo, ma incapace di giocare al gioco dei giochi dove la spada era più un mezzo che un fine.

Adesso, guardandolo bene in faccia, forse per un gioco di luci ed ombre e chissà cos'altro, pareva il custode di tutti i segreti del mondo, la chiave di una conoscenza senza prezzo, e di conseguenza il rivale più temibile con cui avesse mai avuto a che fare.

Coprì lo spioncino con cura, accertandosi che non ci fosse nessuno in giro, specialmente un certo Maestro del Conio.

Sapeva benissimo che anche Ditocorto stava imbastendo i suoi piani per puntare al trono, piani che coinvolgevano la sua pericolosa relazione con Lysa Arryn, ma non si rendeva nemmeno conto, Baelish, che ragionare con il cazzo portava sempre, sempre ad una disfatta.

Fortunatamente per lui, questo tipo di pericolo non lo aveva mai corso.

 

Come ogni notte ormai da tempo faceva lo stesso sogno.

Cullato dal rollio della nave che li stava riportando a casa da Dorne, abbracciava Myrcella come il padre che non era mai potuto essere per lei quando, abbassando gli occhi, si rendeva conto che la ragazza dal vaporoso abito rosa non era più lei.

Il biondo dei suoi capelli, il famoso biondo Lannister che si pensava Lann l'Astuto avesse rubato addirittura al sole stesso, brillava di una sfumatura ramata.

Poi due occhi verde-azzurri come il mare del Tramonto lo fissavano dolci.

“Padre, che avete?” gli chiedeva gentile quella Myrcella che non era Myrcella.

Avrebbe voluto parlare, chiederle chi fosse, ma lei sorrideva e basta, con un sorriso strano, serio eppure tenue, freddo eppure liquido, un sorriso mai appartenuto ad un Lannister.

Infine, come sempre, la voce nella sua testa, quella che lo aveva riportato indietro dai Sette Inferi il giorno della distruzione di Approdo del Re per mano di Daenerys Targaryen, cominciava a cantilenare avvertimenti, minacce, consigli.

Così doveva andare, e così andrà. Sei qui per riscrivere la storia.

 

Si svegliò come al solito sudato, spaventato, in preda al terrore meraviglioso di avere ancora la mano destra attaccata al polso.

A volte si chiedeva quale fosse la realtà, quella vera che stava vivendo o quella in cui aveva combattuto i non-morti, visto la capitale distrutta ed incontrato Brienne.

Brienne.

Chissà dov'era, forse a Tarh, o a Capo Tempesta a sognare Renly.

Si passò una mano tra i capelli, di nuovo lunghi e biondissimi e senza nemmeno un filo grigio, per poi trasalire al suono delle campane del Tempio di Baelor.

Ricordava quella giornata, con quello stesso insolito caldo appiccicoso e un cielo di una sfumatura azzurrissima, inquietante.

Il giorno in cui tutto era cambiato.

Jon Arryn era appena morto.

 

  
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