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Autore: crazy lion    22/12/2020    3 recensioni
L'inverno è sinonimo di neve, freddo e festa, ma purtroppo non per tutti. Quell'anno, alla fine dell'estate, un'ingiusta tragedia ha colpito la famiglia di Eleonora e lei, a differenza degli altri, fa più fatica a riprendersi. Ormai è quasi Natale, dovrebbe essere felice, aspettare quel fatidico giorno e correre a scartare i regali come faceva da bambina, ma non ci riesce. Il dolore per quella perdita non accenna a diminuire e di notte, quando dovrebbe dormire, non fa che rigirarsi nel letto, con i ricordi che continuano a tormentarla. Per fortuna, però, non è sola. Ha la famiglia, gli amici e due, anzi, tre amici a quattro zampe.
Red e Furia sono i miei gatti e la scomparsa di Stella purtroppo è vera. Ha sconvolto loro due, ma anche me e tutta la mia famiglia.
I nomi degli umani sono inventati. Ho umanizzato un po' i gatti, facendoli parlare e dando loro emozioni anche forti, ma senza snaturarli.
Storia stilata con Emmastory.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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NOTA INIZIALE:
questa storia è un po' più forte delle precedenti. L’inizio è abbastanza tranquillo, ma è una cosa voluta per descrivere lo stato d’animo depresso della protagonista. L'avvenimento che scatena tutto, nella serata e nella notte che Eleonora vivrà dopo la conversazione con il padre, è reale ed è accaduto qualche giorno fa a casa mia. Per quanto riguarda, invece, ciò che succederà alla ragazza e quello che proverà, non dirò se è la verità o meno, o se lo è solo in parte. Soffro di ansia e depressione, ma per ciò che concerne il resto posso solo affermare che le tematiche trattate mi stanno a cuore e che ne ho parlato con tutto il tatto e la sensibilità di cui sono capace.
Anche qui, come nelle due precedenti di questa serie, la presenza di Eleonora è molto importante. I gatti ci sono, anche se la storia è più concentrata su di lei. Furia e Red, in ogni caso, le staranno vicini e avranno un loro ruolo.
 
 
 
Tonight the monsters in my head
Are screaming so damn loud
But I built walls so high
So they never even make a sound
It's a mask it's a lie
It's the only home I've ever known
'Cause being who I really am
Has only left me more alone
 
I am not okay
And I need you to see it
I have so much to say
And no one to hear it
The reason I keep quiet
With so much at stake
I always feel like a burden
Let it silence me
You'll never understand
Why it's so hard to say
I'm not okay
 
I wish I had a scar
Had a bruise on the surface any kind of proof
That everything I feel is more than just some sad excuse
(Citizen Soldier, I'm Not Okay)
 
 
 
An ache so deep
That I can hardly breathe
This pain can't be imagined
Will it ever heal?
[…]
Is anyone there?
 
I wanna scream
Is this a dream?
How could this happen, happen to me?
This isn't fair, this nightmare
This kind of torture I just can't bear
I want you here
I want you here
 
I waited so long for you to come
Then you were here, and now you're gone
I was not prepared for you to leave me
Oh, this is misery
Are you still there?
(Plumb, I Want You Here)
 
 
 

ELEONORA, I SUOI GATTI E UNA NOTTE SENZA FINE

 
Eleonora si trovava distesa a letto da ore. Quel pomeriggio era andata a dormire dopo pranzo, alzandosi solo per prendere il dosaggio di Carbolithium, lo stabilizzatore dell'umore e di neurolettico, il Trilafon – due farmaci che la aiutavano a curare la depressione e l'ansia – che doveva assumere a quell'ora. Fino a sera sarebbe stata a posto. Parlò al cellulare con la sua psicologa.
"Non riesco a lasciarla andare" confessò a un certo punto.
Si riferiva alla sua gattina, Stella, morta il 16 settembre a seguito di un investimento e dell'eutanasia.
"Ma ti sembra sbagliato? Perché ho sempre l'impressione che tu lo creda. Ti pare di tradirla, andando avanti?"
Quelle parole la colpirono come un calcio allo stomaco. Le si riempirono gli occhi di lacrime e restò ferma, al centro della stanza, per eterni istanti. La testa le vorticò e si sedette sul pavimento in legno per non rischiare di svenire.
"Razionalmente so che è giusto reagire, lo dicono tutti" iniziò. "Ma inconsciamente credo di sì, mi sembra di tradirla. Non la dimenticherò, andando avanti, ma mi sento come se, facendolo e non soffrendo più, perdessi comunque qualcosa di lei. Lo so, è assurdo, Stella non vorrebbe questo.”
“Che intendi con qualcosa?”
“Forse, senza dolore, anche i ricordi belli che ho di lei inizieranno a sbiadire, mentre ora, quando li ricordo piangendo, mi appaiono nitidi.”
“Su questo ci sarà da lavorare” affermò la donna.
“E il pensiero che forse non riuscirò a lasciarla andare mi spaventa, posso ammetterlo?” chiese con un filo di voce.
“Certo, qui puoi dire tutto quello che vuoi.”
Il tono dolce della psicologa la rilassò appena.
“Eleonora, sei riuscita a superare la morte di Bizet, l’altro tuo gatto. Non so quando, ma lascerai andare anche Stella, ne sono sicura.”
“Io no.” Quelle parole risuonarono nella stanza, seguite da un pesante silenzio da parte di entrambe. “Con Bizet è stato tutto diverso. L’abbiamo trovato morto vicino a un cantiere, sicuramente investito. Certo, non mi sentivo bene, poco dopo la sua morte ho scoperto di soffrire di depressione… Ma ho preso Furia e Stella poco dopo e questo mi ha aiutata. Inoltre, una mia amica dell’università mi è stata molto vicina, anche fisicamente, in quel periodo, mentre ora con questo virus non posso nemmeno vedere le poche amicizie che ho qui.”
Certo, rifletté la donna, anche questo non rendeva la situazione più facile.
“Con Stella abbiamo vissuto un calvario. L’amore per i miei gatti è il medesimo, ma è stata… più dura” concluse con voce strozzata.
“E come mai credi di non poterla lasciar andare?”
Eleonora trasse un lunghissimo respiro.
“Perché, se penso a tutto quello che è successo, mi dico che non doveva andare così, che avrei potuto passare ancora più tempo con lei, rimanerle di più accanto quando la accarezzavo e dopo un po' me ne andavo per lasciarla tranquilla... So che sembrano sciocchezze, ma per me non lo sono. E quindi, se rifletto su tutto questo, mi rendo conto che lasciarla andare sarà molto difficile, forse impossibile e che ci vorrà moltissimo tempo, anche per com'è avvenuta la morte, per tutta la situazione precedente e le emozioni che mi ha fatto provare."
La psicologa le assicurò che nulla di ciò che diceva era stupido. Ne parlarono a lungo e, quando la ragazza chiuse la telefonata, sentì che le ultime energie che aveva in corpo la stavano abbandonando. Quelle sedute erano sempre intense, cariche di emozioni e le parevano durare un’eternità, da quando Stella non c'era più. Le faceva volentieri, ma non erano facili. Le sarebbe mancato parlare con lei, ma era il 21 dicembre, il Natale si avvicinava e si sarebbero risentite solo dopo l’Epifania.
Potrei scrivere pensò. O leggere.
Ma sprofondò di nuovo nel materasso, senza voglia né forza di fare alcunché e rimanendo immobile a pancia in su. Affondò il viso nel cuscino e lo inzuppò di lacrime. Aveva detto cose importanti, mettendosi a nudo e scoprendo di provare sentimenti ai quali, prima, non aveva mai pensato.
Mi sembra di tradirla, mi sembra di tradirla non faceva che pensare.
Con Bizet non aveva provato tutto ciò, mentre ora quella consapevolezza era una lama affilata che le trapassava il cranio e il cuore da parte a parte, lasciandoli irrimediabilmente rotti e devastati. In più le era venuto un gran mal di testa, tanto che quando la sua amica Emma la chiamò non ebbe la forza di rispondere. Nel momento in cui il telefono squillò di nuovo, imprecò.
“Chi cazzo è?”
Sperò che dalla sua voce non trapelasse alcuna nota di fastidio.
"Medici Sovizzo" continuava a dirle la sintesi vocale.
Dato che era non vedente, le serviva a utulizzare al meglio lo schermo touch del telefonino.
Si era rivolta al la sua dottoressa di base per problemi d'insonnia e, dopo aer preso un ansiolitico forte, lo Xanax, per alcuni giorni, era tornata alla terapia di prima, ma aveva chiesto che lo stabilizzatore venisse aumentato un po'.
La donna le disse che il farmaco non andava aumentato, per ora, ma le aggiunse il Daparox, un antidepressivo.
“L'hai usato anni fa, ma magari con le altre terapie ora potrebbe aiutarti di più."
La ragazza ci pensò per un momento. In effetti, quel farmaco l'aveva aiutata per parecchio tempo, due anni, fino a quando la depressione era peggiorata ancora di più.
"Va bene."
"Perfetto. Ti ho già fatto la ricetta. La settimana prossima mi chiami per farmi sapere come stai e vediamo cosa fare."
Eleonora non era sicura che il dosaggio minimo di venti milligrammi le avrebbe dato una mano, ma era fiduciosa, forse con gli altri farmaci avrebbe fatto di più.
Salutò e ringraziò la dottoressa e ritornò a letto. Rimase lì fino alle sette di sera, un po' appisolandosi, ma per la maggior parte restando vigile, assieme ai gatti Furia e Red che si erano alzati poco prima. Lo fece anche lei, a fatica e con un sospiro. Ancora una volta aveva sbagliato, ma non poteva farci molto. In quel periodo un forte senso di fragilità, sia fisica che soprattutto mentale, la pervadeva e, come le aveva detto tempo prima la sua psichiatra:
"Se stai tanto tempo a letto è perché la depressione annienta la volontà, ma l'importante è che tu riesca sempre a rialzarti."
Ecco, non era convinta che ne sarebbe stata in grado, almeno non per un bel pezzo.
Si passò le mani fra i capelli, castani e spettinati, per cercare di dar loro una parvenza di ordine. Per fortuna erano ancora belli, li aveva lavati qualche giorno prima. In quel periodo, da quando Stella era morta, non si prendeva più nemmeno tanta cura del suo aspetto e, per quanto si vergognasse ad ammetterlo, a volte era mamma Isabella che le faceva notare che aveva bisogno di farsi una doccia. Quando il medico di base e la psichiatra le avevano detto che la sua ansia e la depressione erano peggiorate, lei non era rimasta sorpresa. Per quanto riguardava la prima, anche se era persistente cercava di controllarla utilizzando, oltre ai farmaci, i fiori di bach.
Prese in mano il cellulare, per distrarsi da quei pensieri, e scrisse a Emma chiedendole cos'avrebbe voluto dirle durante la telefonata.
Niente, chiacchierare e fangirlare su Evermore le rispose la ragazza.
Eleonora sorrise.
La sua amica adorava l'ultimo album di Taylor Swift e anche lei, benché non avesse ancora ascoltato tutte le tracce, doveva ammettere che era davvero ben fatto. Solo che Taylor aveva tre gatti e, anche se a un occhio esterno poteva sembrare strano, dalla morte della sua micia lei faticava ad ascoltarla perché ogni volta pensava che lei, invece, di mici ora ne aveva solo due e le veniva da piangere.
"Eleonora?"
Il padre l'aveva appena chiamata.
"Arrivo" rispose, con poco entusiasmo.
Aveva lo stomaco chiuso ed era già ora di cena.
Mangiò la frittata e i piselli con poca voglia. Red venne a mendicare e la ragazza gli diede mezza scatoletta di carne apposta per lui.
“Furia dorme ancora?” gli chiese, ricevendo un miagolio in risposta. “Lo prendo come un sì.”
Si diresse in salotto con i genitori. Suo fratello Giovanni sparì quasi subito, scendendo nello studio dove il padre lavorava e lui giocava al computer, mentre loro tre si sedettero lei sulla poltrona e gli altri due ognuno su un divano. Isabella si sdraiò ed Eleonora appoggiò la testa alla coperta di pile sullo schienale. Era sempre stata la preferita di Stella. Si era addormentata lì innumerevoli volte.
Se penso che ora potrebbe essere qui, dietro la mia testa! Mi appoggiavo sempre al suo corpo per sentirla più vicina.
Lì, invece, adesso c'era solo il vuoto. Un vuoto che, per i primi due mesi, le aveva fatto salire la nausea e contorcere lo stomaco, ma che adesso che ne erano passati tre, era diventato leggermente più sopportabile.
I genitori guardavano Affari a quattro ruote, ma lei prestava poca attenzione al programma, i motori non le erano mai interessati. Dalla cucina arrivò Red, il gattino rosso che avevano trovato nel loro giardino a luglio e adottato , che saltò sulla poltrona, proprio dietro di lei. La ragazza fu pervasa dal sollievo, almeno adesso lì c'era qualcuno. Il micetto iniziò a fare la pasta.
"Essere stato abbandonato deve averlo segnato tanto" commentò Carlo. "O, almeno, penso sia successo questo, non conoscendo la sua storia."
"Sì, credo anch'io" disse Eleonora.
Il gattino cercava sempre coccole e attenzioni da quando, dopo alcune settimane di terrore nei confronti degli umani, si era pian piano affezionato a loro e lo faceva in modo particolare con lei, rimanendole spesso attaccato, seguendola, chiedendo di frequente di essere preso in braccio. Una volta la ragazza aveva letto la testimonianza di una coppia che aveva adottato un bambino dalla Colombia. C'era scritto che, per i primi giorni, il piccolo di sei anni aveva voluto dormire con i genitori adottivi tenendo le mani sui loro volti, come se avesse avuto il terrore che potessero scappare via o sparire da un momento all'altro. Era un po' quello che, forse, accadeva a Red. Chissà se aveva paura di essere abbandonato di nuovo!
Non lo faremo mai, te lo prometto.
"Ieri mattina ho trovato tre audio con il miagolio di Stella, sai papà?"
La voce le si spezzò mentre pronunciava il nome della gattina e, al solo ricordo di quei pianti che le avevano fatto sia bene che male, la ragazza strinse gli occhi fino a sentire dolore e le si formò un cerchio alla testa.
"Ah, bene!" esclamò l'uomo.
"Già. Ascoltarli è stato difficile."
Si era lasciata andare. Non parlava molto dei suoi sentimenti riguardo la scomparsa della gattina, più che altro perché i genitori ormai si erano rassegnati. L'avevano amata moltissimo e avrebbero continuato a farlo per sempre, ma ormai avevano accettato la sua scomparsa, così come Giovanni. Lei, invece, si era sempre sentita dieci passi indietro rispetto a loro, se non di più.
"Eh, va be', ormai devi mettertela via. Purtroppo è andata così."
E dopo aver detto quella frase con tranquillità, Carlo si ridusse al silenzio. Isabella non fiatò, mentre la ragazza provò la sensazione che qualcuno le avesse sventrato la gola per infilarci dentro un macigno e ricucirla, perché ogni volta che deglutiva questa le faceva male.
"Scusatemi" mormorò, e si alzò.
"Dove vai?"
"A letto, papà" rispose forzando un sorriso.
Dopo aver preso le ultime pastiglie della giornata, si ritirò in camera propria. Rimase per un po’ seduta davanti al PC ad ascoltare qualche video su YouTube e, una volta a letto, non fu in grado di prendere sonno. Sentì i genitori e il fratello andare a dormire e aspettò per diverso tempo, infine si alzò.
La psichiatra le aveva spiegato che, anche se non si tagliava o non si procurava bruciature, i graffi e i morsi erano comunque da considerarsi una forma, per quanto più leggera, di autolesionismo, nel suo caso ancora di più dato che non faceva mai uscire sangue e che i segni rimanevano al massimo per un'ora. Tendeva a farli sempre di sera, in modo che durante il giorno nessuno notasse niente, soprattutto d'estate quando portava le maniche corte. Ora la situazione era molto più tranquilla, controllava quegli episodi grazie ai farmaci, ma quando aveva iniziato, nel 2017, per i primi mesi si era graffiata anche quattro o cinque volte al giorno. Era diventata una droga, una dipendenza, un inferno dal quale stava cercando di uscire. Aveva cominciato dopo aver scoperto i problemi di salute della mamma.
"È positivo che tu voglia lottare per sconfiggere questa difficoltà e che non la consideri una parte di te" le aveva detto la psichiatra una volta, e lei si era sentita bene al pensiero che fosse proprio così.
Sperando che i gatti non la seguissero, scese in taverna. Il fratello era chiuso in mansarda come ogni notte, non gli piaceva tenerla aperta e i genitori russavano, quindi camminò tranquilla. Per fortuna la porta che dava accesso alla lavanderia, a uno dei bagni e allo studio del padre era aperta, non chiusa a chiave come accadeva di
sera, quando Giovanni la serrava prima di andare a dormire. Doveva essersene dimenticato. La ragazza entrò, si avvicinò alla stampante e ne estrasse un foglio bianco. Lo appallottolò, lo gettò a terra dopo averlo stretto il più forte possibile e iniziò a pestarlo con veemenza, cercando di incanalare in quel gesto tutte le emozioni negative che provava, inclusa la rabbia che le montava dentro come un mare in tempesta ogni volta che rifletteva sulla signora che aveva investito Stella, che si era fermata, ma che comunque aveva fatto ciò che aveva fatto, cambiando loro la vita per sempre.
Quanto la odio!
Strinse i pugni, immaginando di urlarle in faccia trovandosela davanti. Ma a cosa sarebbe servito?
A niente, anche se ogni tanto non riusciva a non pensarci. Stava provando a non comportarsi così, non voleva
che l’odio e il rancore la avvelenassero, non si era mai ritenuta quel tipo di persona.
"Non ce la posso fare" mormorò.
Non aveva idea di cos'avesse voluto intendere con esattezza con quelle parole. I capelli, lunghi fin sotto le scapole, le si appiccicarono al viso a causa delle lacrime che lo bagnavano. Era stata così immersa nella propria sofferenza, che non aveva nemmeno fatto caso a quel pianto.
Un rimore la distrasse, ma si rese subito conto che era solo un computer acceso lì vicino.
"Perdonami, Stella" disse, con la voce spezzata dalle lacrime. "Perdonami per le volte in cui ti ho sgridata e per quella in cui ho pensato che, siccome soffiavi a Red, se ci fossero stati solo lui e Furia le cose sarebbero risultate più facili per quel gattino. Non intendevo dire che avresti dovuto andartene, che non ti volevo, non desideravo questo!” La voce le uscì pregna di disperazione. “È stato solo un pensiero volatile, nel quale non credevo assolutamente."
Il vento, che ululava forte, creava un’atmosfera sinistra battendo contro le imposte chiuse, che si muovevano appena.
È perfetto per come mi sento.
L’ululato dell’aria era un lamento, come quello di una persona che urla, nella notte, straziata dal dolore.
Da quando Stella non c'era più, la cosa orribile sulla quale aveva riflettuto in quei tre secondi, o forse anche meno, non lasciava Eleonora in pace, continuando a torturarla.
"Io ti amo, ti ho sempre amata e continuerò a farlo per tutta la vita e oltre, e se a volte ti ho sgridata o non sono stata molto gentile, ti chiedo scusa dal profondo del cuore. Ero stressata quando ti ho parlato in quel modo, per questo mi sono uscite delle parole assurde, ma spero che tu possa sentirmi e sapere che avervi tutti e tre è stata una delle cose più belle della mia vita, e che se potessi riportarti indietro lo farei, perché vivere senza di te è un inferno e non meritavi di morire. Non dovevi, non è giusto. Avevi soltanto cinque anni!"
Crollò in ginocchio e, a mani giunte, recitò una preghiera affinché Stella, in Paradiso, avesse trovato la felicità e fosse in pace. Alla fine era riuscita a dirle ciò che si teneva dentro da mesi. Si tirò su con calma, raccolse il foglio da terra e lo infilò nella tasca della maglia. Aveva sperato che appallottolarlo e pestarlo, una tecnica che le aveva insegnato la psicologa per evitare di farsi del male, avrebbe funzionato com'era già accaduto in passato, ma non aveva ottenuto risultati. Ricordò che la donna le aveva anche suggerito di strappare quel foglio in pezzi, ma la ragazza non ne aveva voglia.
"Graffiati, sai che vuoi farlo. È l'unico modo che hai per sentirti meglio, ne sei consapevole anche tu. Avanti!"
Ed ecco che quella voce interna si faceva risentire, dopo un mese dall’ultima volta. Era dolce e la tentava con quel tono mellifluo. Se fosse stata più forte, la ragazza avrebbe lottato ancora contro quel bisogno imperante. Si sarebbe seduta al PC a continuare uno dei suoi racconti, o a iniziare una fanfiction su Demi Lovato – la sua cantante preferita – che aveva in testa da un po', o anche solo ad ascoltare musica con le cuffie. Ma era troppo confusa e provata anche solo per tentare. Fu per questo che, contro ogni sua aspettativa, dato che accadeva di rado, si arrese alle parole di quella voce. Graffiò la pelle con le unghie degli indici, ma erano molto corte – le teneva così perché, altrimenti, non sarebbe riuscita a leggere il braille, la scrittura dei non vedenti – e non fecero quasi nulla.
“Vaffanculo!”
Allora avvicinò la bocca al braccio e vi piantò gli incisivi, poco sopra il polso. Si formò subito un piccolo segno orizzontale, per fortuna superficiale. A quello ne seguirono altri sei sia su un braccio che sull'altro, fatti ogni volta con maggior forza. Nessuno di essi era profondo e non c'era nemmeno una goccia di sangue, anche quella volta. Eleonora faceva sempre molta attenzione a questo. Il dolore era arrivato già dopo il primo morso. La pelle aveva preso a bruciare, tirare e formicolare, tanto che alla fine la ragazza ebbe la forte tentazione di grattarsi a causa del prurito che quei morsi le provocavano.
Così mi farà ancora più male.
E, con il dolore, arrivò il sollievo. Stava meglio, adesso. La testa era talmente leggera e vuota che le pareva fluttuasse nell'aria, svuotata di ogni pensiero. Anche il dolore, la rabbia, la tristezza e la sensazione di pesantezza al petto e di stanchezza erano sparite. Respirava con calma e più in profondità. Era come uscire all’aria aperta dopo essere stati per molto tempo in una stanza chiusa e soffocante. Da quanto non respirava a pieni polmoni senza sentirsi opprimere da quell'immaginario macigno? Almeno da un mese. Nemmeno l'autolesionismo era la soluzione ai suoi problemi, ma non era riuscita a fare altro.
"Avrei dovuto essere più forte, come sempre" si disse.
Graffiarsi era un modo di punirsi, di dirsi che con Stella a volte aveva sbagliato anche nelle piccole cose, che magari quella volta non avrebbe dovuto sgridarla. E sì, potevano sembrare sciocchezze, ma alla sua mente confusa in quel momento non apparivano affatto tali. Secondo alcuni tendeva, a volte, a ingigantire i problemi, ma se per lei quelle erano difficoltà, nessuno poteva permettersi di giudicare e di dirle cosa provare o quello che, invece, non avrebbe dovuto sentire. Nessuno. E graffiarsi era anche una maniera di percepire meno il dolore psicologico, per quella perdita come per la morte di Valentina e, in certi casi, del suo gatto Bizet, quando ancora ci pensava. Il dolore fisico non le piaceva, la spaventava quando ci ragionava a mente fredda, ma in quei momenti era quasi piacevole, perché la distraeva dal tormento che le scavava dentro, consumandola piano, giorno dopo giorno.
Non riesco a reagire, in questo periodo pensò. La depressione mi sta mangiando viva. Ma voglio lottare, per la mia famiglia e i miei gatti.
E per lei? Se lo domandava spesso. Avrebbe dovuto mettersi all’inizio della lista, eppure in quei mesi non ci riusciva.
“Che schifo” disse toccando i graffi. “Ci sei ricaduta un’altra volta e hai fatto la solita cazzata. Bella merda!"
Quello era solo un anestetico, una sorta di sedativo che durava poco, perché adesso il dolore era tornato assieme a tutto il resto, ancora più violento di prima. Le mancò il fiato e una metaforica lama le si piantò al centro del petto. Eleonora si morse il labbro per non urlare, il dolore era
insopportabile. Era stata debole, aveva sbagliato ad arrendersi tanto facilmente, a non provare
nemmeno a combattere. Se solo fosse riuscita a ragionare con più lucidità… Ma ormai era andata
così.
Le parve di sentire un “Miao” fin troppo conosciuto. A volte Stella l’aveva seguita, in passato,
quando era scesa a chiamare il fratello per il pranzo. Ma nel momento in cui si abbassò, capì che la
sua testa l'aveva ingannata, e non era nemmeno la prima volta. Lì non c'era nessuno, solo il vuoto. Tuttavia, sorrise. Nel profondo del cuore sapeva che Stella aveva sentito il suo discorso e, forse, si era rivelata in un’altra forma, per dirle:
“Non hai fatto niente di male e non sono arrabbiata. Ti voglio bene!” Sospirò e ritornò in camera, buttò il foglio nel cestino con tanta violenza che Furia si mosse e alzarono il capo, ma poi tornò a dormire. Dov’era Red? Forse di sotto, a riposare sul divano. La ragazza rimase immobile, persa nei ricordi dei momenti felici passati con Stella che, al momento, aumentavano il suo dolore.
 
 
 
Intanto, di sotto, Furia aveva raggiunto suo fratello.
"Dov'eri?" gli chiese il gattino rosso.
L'altro sbadigliò.
"A dormire."
"Ma l'hai fatto tutto il pomeriggio!"
"Beh? Anche tu, se non mi sbaglio, e poi è autunno, per noi gatti è normale riposare di più.”
“In realtà, oggi inizia l’inverno” precisò l’altro.
“Oh, che palle! Dai, voglio mangiare."
Furia si augurò che il fratellino non lo seguisse, dato che spesso quando lo faceva era solo per tendergli un agguato. Prima di combattere o giocare, voleva svegliarsi per bene ed essere a pancia piena, altrimenti non riusciva a ragionare.
"Voi maschi siete così: se non vi prendete il vostro tempo non riuscite a connettere, una volta svegli. Noi femmine, invece, lo facciamo più in velocità" aveva detto una volta Stella, scherzando e riferendosi al fatto che, quella mattina, Furia non si voleva svegliare.
Il gatto grigio sorrise al ricordo, ma si trattò di un sorriso amaro, pieno di tristezza. Sarebbe mai riuscito a rammentare gli anni vissuti con la sorella sentendosi felice? Non ne aveva idea, ma ci sperava. Stella non avrebbe di certo voluto essere pianta per sempre, ma era più facile a dirsi che a farsi.
"Allora? Ci muoviamo?"
Furia sbuffò, mangiò, bevve e tornò in salotto.
"Eccomi, perché tanta fretta?"
"Voglio giocare! Possiamo? Possiamo?"
Questo è peggio dei bambini pensò Furia, ma sorrise.
Adorava l'allegria di Red, lo aiutava a stare meglio.
"Va bene."
"Evvai!" Il gattino gli saltò addosso da dietro, mordendogli la coda.
Furia si liberò con uno strattone, si girò e reagì dandogli una zampata su un fianco. Red cadde a terra, ma si rialzò subito. I due presero a rincorrersi, saltarono sulla poltrona, sui divani, si nascosero dietro le tende delle finestre e si tesero agguati a non finire finché, senza fiato né forze, tornarono sul tappeto e si distesero a riposare.
Furia ridacchiò ricordandosi che Giovanni diceva spesso che i gatti, in generale, non facevano altro che mangiare, farsi coccolare e riposare e che la loro vita era perfetta. Ma anche loro avevano le proprie difficoltà e soffrivano, anche se in modo diverso dagli umani, il gatto l'aveva capito sperimentandolo sulla propria pelle. E, comunque, una volta fuori casa vivevano le loro avventure, inseguendo e catturando qualche preda o incontrando altri mici. Giovanni aveva una visione troppo semplicistica della loro vita.
 
 
 
"Furia?"
Red avrebbe voluto miagolare più forte, ma era talmente immerso nei propri pensieri che gli era uscito un pianto flebile.
L'altro alzò la testa e lo guardò per qualche secondo.
"Posso farti una domanda?"
"Certo!"
"Eleonora non ti sembra abbastanza strana, oggi? Voglio dire, lo so che non sta bene, sia perché ha quei problemi che la rendono triste e la fanno agitare, sia per Stella, però, ecco, oggi l'ho vista più giù del solito. È rimasta a letto tantissimo. Secondo te dobbiamo preoccuparci?"
Il micio più grande sospirò.
"Non lo so. In effetti avevo notato anch'io questa cosa, ma non ti ho detto niente per non farti agitare. Dovremmo starle ancora più vicini, così magari le sue condizioni miglioreranno."
"Secondo te supererà tutte queste cose? Guarirà?"
"Dalla depressione e dall'ansia? Non lo so, ci combatte da ancora prima di conoscere me e Stella. Forse fra qualche anno, ma dipende da come andrà la sua vita e dal modo in cui lei reagirà ai momenti difficili. Per quanto riguarda il lutto di Stella… a dire la verità, non so se lo supererò nemmeno io, quindi non riesco a dirti cosa accadrà a lei. Ma col tempo il dolore diminuirà, o almeno voglio sperarlo. Lei ci crede. Hai sentito cos'ha detto quando ha ascoltato gli audio con il pianto di Stella ed è stata male, no? Mi ha consolato asserendo che andrà tutto bene e che ne usciremo. E se ci crede lei, perché non dovrei farlo io?"
Red sorrise.
"Sei molto saggio, Furia."
"No, non lo sono. È solo che, essendo più grande, ho più esperienza di te, ma anche tu diventerai un gatto che farà ragionamenti del genere, anzi, sarai migliore di me."
L'altro si illuminò.
"Lo pensi davvero?" chiese, alzando il tono ed ergendosi su due zampe.
"Sì, te lo assicuro!"
"Ti ringrazio. Andiamo da Eleonora?"
I due non parlarono più e Red seguì Furia su per le scale. Cercava di imitarlo nelle movenze. Suo fratello maggiore camminava con grazia ed eleganza, a volte a scatti, altre più piano, non come lui che avrebbe sempre voluto correre. Doveva imparare a non agitarsi così tanto, si disse, e a non seguire Furia dappertutto per giocare.
"Lascialo vivere!" lo implorava spesso Carlo.
"Furia è un santo, vista tutta la pazienza che ha con te" asseriva Isabella.
Ma che poteva farci? Era ancora un po' un cucciolo e voleva divertirsi, tutto qui.
Fu il gattino ad arrivare per primo alla porta della camera di Eleonora, che come al solito spalancò per poi gettarsi sul letto, dove la ragazza era sdraiata sotto le coperte. Le si vedeva solo la testa.
"Ciao, piccolino" mormorò, mentre il micetto le saliva sul petto e dava inizio a una sinfonia di fusa.
La ragazza lo accarezzò, ma poco dopo lo lasciò tranquillo a godersi assieme a lei quel momento.
Furia si sdraiò vicino al fianco della padrona, dopo aver ricevuto anche lui la sua razione di coccole.
"Grazie per essere qui" mormorò la ragazza.
Red rimase in quella posizione fino a quando Eleonora chiuse gli occhi e si addormentò.
"Ha fatto più presto del solito, stasera" mormorò a Furia.
L'altro annuì e aggiunse:
"Per fortuna! Ma è comunque notte fonda."
Di solito, per la ragazza, la notte era il momento più difficile della giornata e, per mesi, ci aveva messo ore ad addormentarsi, riuscendo a riposare solo due o tre per notte. Adesso, grazie al cielo, il sonno era più regolare, ma lei non riusciva a riposare per più di cinque ore o cinque e mezza e di certo non si sentiva bene, ne erano consapevoli anche i gatti.
Red scosse la testa.
Non pensarci adesso. Dormi con lei e Furia e basta.
Si mise fra i piedi della padrona, che aveva lasciato le gambe un po' aperte apposta per farlo stare comodo e sia lui che il fratello presero sonno in poco tempo, sapendo di essere al sicuro, al caldo, in un letto comodo e, soprattutto, assieme alla loro mamma adottiva che, come diceva spesso, li amava più della sua stessa vita.
 
 
Eleonora e Isabella stavano facendo qualche lavoro in casa. La donna era intenta a rifare il letto di camera propria e aveva appena finito di pulire il bagno che si trovava nella stanza sua e del marito. Eleonora, invece, aveva appena portato alcuni vestiti nel cesto dei panni sporchi.
"Posso fare altro, mamma?" le chiese.
"No, tesoro, ti ringrazio."
"Dove sono Furia e Red?"
"Qui che mi seguono, come sempre. Non sia mai che non sappiano cosa faccio in casa" ridacchiò.
Eleonora si unì alla sua risata.
"E Stella è fuori?"
"Sì."
In quel momento un grido si levò all'esterno della casa.
"Oh Dio! Oh Dio!"
Era disperato e, sulle prime, le due non capirono da dove provenisse, né di chi potesse essere. Eleonora fece anche fatica a comprendere se si trattava di un uomo o di una donna. Sembrava una lei, ma non ne era sicura. Isabella si affacciò al terrazzo del bagno della figlia e un suo vicino, dall'altra casa accanto alla loro, le chiese cosa stava succedendo.
"Non lo so" rispose.
Scese con Eleonora al piano di sotto, sostenendo che forse qualcuno si era sentito male.
Le due uscirono, Isabella aprì il cancello e si diresse verso le grida. Eleonora non sentì ciò che una vicina disse a sua madre, ma quando udì:
"Hanno investito Stella? Oh Dio!" scattò in avanti.
"Cosa?" gridò, con gli occhi già pieni di lacrime.
"Vado a vedere cos'è successo, tu resta qui" le ordinò la madre, con una frase che non ammetteva obiezioni.
"Ma mamma…" provò la ragazza.
"Per favore, Eleonora, resta qui! Entra in casa" la pregò la donna e lei non se la sentì di ribattere ancora.
Era più importante che Stella si salvasse, anche se lei avrebbe voluto correre per starle accanto. Il suo cuore, in quel momento, non era in salotto a tremare, piangere e aspettare, ma con la propria gatta, che immaginava piena di sangue e distesa sul duro asfalto.
 
 
Eleonora si svegliò di soprassalto, balzò fuori dalle coperte, rifece in fretta il letto e si aggrappò alla testiera per non cadere a terra a causa della vertigine che l'aveva colta. Per caso, mentre sognava, nella realtà aveva smesso di respirare? Perché ora ansimava e il suo corpo implorava ossigeno. Grosse lacrime, tanto calde che ebbe l'impressione che queste le bruciassero le guance, iniziarono a correrle lungo il viso. Faceva quel dannato incubo da mesi, ormai. O a volte sognava solo le grida della signora, o altre i momenti prima dell'eutanasia. Non avrebbe voluto farla, ma la sua gattina era in coma, aveva crisi epilettiche e danni neurologici permanenti, non si muoveva più, perciò non c'era stata altra soluzione. Però era fiera di lei, perché per qualche giorno aveva lottato.
"Tu hai provato a vivere" mormorò fra i singhiozzi, con la voce spezzata dal pianto. "Io, da quando sei morta, non so più come si fa."
In quel periodo sentiva meno le sue amiche. La maggior parte erano ragazze che aveva conosciuto, negli anni, nel sito di scrittura amatoriale che utilizzava per pubblicare le sue storie, ma adesso aveva anche un gruppo WhatsApp in cui aveva riunito le amicizie più importanti e sentiva quelle ragazze anche al telefono. Tuttavia, da dopo la morte di Stella si era fatta sempre meno presente, sia nel gruppo, che per chiamata, che in chat privata con loro. Quando parlava con le ragazze, non aveva nulla di felice da raccontare.
E, anche se non l'avrebbero mai fatto e se la distruggeva pensare questo, la assalì – come sempre quando non si sentiva bene – il terrore che prima o poi si sarebbero stancate di lei e l'avrebbero abbandonata.
"Ma perché dici così? Lo sai che non è vero" le disse una voce interna, quella buona.
Sì, perché ne aveva anche una cattiva, quella dei graffi, come se la sua coscienza e il proprio cuore fossero stati divisi in due, ma per il momento non voleva pensare a essa e sperava che non l'avrebbe udita mai più.
"No, hai ragione invece."
Eccola. Non aveva quasi nemmeno fatto in tempo a pensarci, che era arrivata, graffiante, con quella schiettezza che la lasciava sempre senza fiato. Ora che ci rifletteva con più lucidità, si immaginava quella voce come una donna con i capelli nerissimi, spettinati e annodati e due occhi da pazza che la fissavano con uno sguardo pieno d'odio, odio che Eleonora avrebbe dovuto rivolgere, secondo la voce, solo verso se stessa.
“Ma che dici?” sussurrò.
Parlare, in quelle occasioni, rendeva tutto più reale.
"A volte ti senti un peso per le amiche, con tutti i tuoi problemi e il tuo dolore, vero?"
Forse alcuni avrebbero potuto dire che era impazzita se avesse parlato loro di quelle voci, che altro non erano che i propri pensieri, ma che lei si immaginava dicesse qualcun altro. La sua psicologa, però, non lo faceva. Anzi, stavano lavorando proprio su quelle voci, da settimane, per capire da dove avevano origine, cosa dicevano, come parlavano e provavano a dare loro un profilo, un volto, un'età, tutto quello che a Eleonora veniva in mente.
"S-sì, ma loro non me lo fanno mai pesare" disse con un filo di voce.
"Perché fai loro pena."
Eleonora non credette a una parola, era sicura che non fosse quello il motivo. Le sue amiche le volevano bene e lei a loro e non sarebbe stata quella strana donna a cambiare le cose.
"Anche se non mi credi, sai benissimo come stai, no? E sai anche come devi comportarti in questi casi. Tu non vuoi sentire dolore, non vuoi, sei stanca, non ce la fai più."
Stavolta aveva ragione. Dio, se ce l'aveva! Eleonora era priva di qualsiasi forza, schiacciata dal peso della depressione, dell'ansia, della tristezza e della sofferenza, distrutta a causa del senso di mancanza, più straziante di quanto si sarebbe mai immaginata, di Stella. La confortava il pensiero che ora la gattina fosse stata sicuramente con Valentina, la sua migliore amica che si era tolta la vita il secondo anno di università, un lutto che aveva scatenato la depressione e che lei, nonostante i farmaci, gli anni di terapia e il lavoro su se stessa, non aveva mai superato. Il ricordo dell'amica che per lei era stata una sorella, dei suoi capelli che profumavano di fresco, delle mani lisce, il pensiero che la sua voce, calma come le onde del mare, l'aveva accarezzata per mesi, fu un ulteriore pugno allo stomaco. La voce di Valentina si era persa nelle pieghe del tempo, quella che ora ricordava non era, forse, proprio la sua, e ogni volta che ci rifletteva ciò la faceva impazzire. Per fortuna, almeno per quanto riguardava Stella, aveva un ricordo, tre audio da poter sentire ogni volta che l'avesse desiderato, ma l'immagine del corpo e del pelo della gattina avrebbe iniziato pian piano a sbiadire, a trasformarsi.
"Non si può controllare tutto" le aveva detto una volta la psicologa, "o ricordarsi di ogni cosa."
Era vero, ma si trattava di questioni importanti , dettagli che lei non avrebbe mai voluto dimenticare.
E c'era un'altra cosa che la sua terapista le aveva detto, qualche giorno prima.
"Sembra che ogni perdita che hai vissuto sia andata a sommarsi alle altre, soprattutto di quelle persone e animali che non sei riuscita a lasciar andare."
Il solo pensiero la fece tremare tanto che si ritrovò seduta a terra, con le braccia strette al petto come se avesse avuto freddo e il fiato corto. Che senso aveva vivere in quel modo, piena di dolore, di insicurezze, rialzarsi nelle giornate buone e ricadere giù poco dopo, sempre più in fondo in quel baratro nero? Che senso aveva lottare, se tanto poi non riusciva mai a vincere e sforzarsi se ogni fatica risultava vana? Perché tentare di superare la morte di Stella, dato che dopo tre mesi non aveva fatto molti progressi? Inoltre, le parole del padre le erano servite per capire ancora di più quanto lui avesse accettato la cosa e stesse cercando di superarla. Senza volerlo, e di sicuro per spronarla, l'uomo aveva sminuito il dolore della figlia con quelle frasi e lei adesso si sentiva ancora più sbagliata, come se non avesse avuto il diritto di provare ciò che sentiva dentro. Non sarebbe stato meglio porre fine a tutto? Non era la prima volta che aveva pensieri del genere, anzi, l'avevano accompagnata per anni, ma non aveva mai fatto nulla. Da tempo quelle ideazioni suicide non le tornavano alla mente e si ripromise di parlarne con la psicologa durante il colloquio successivo. Voleva solo stare in pace, in un luogo dove non sentire più dolore. Pensò di imbottirsi di farmaci, o tagliarsi le vene, o buttarsi dal terrazzo del suo bagno. E non lo diceva per scherzare o per attirare l'attenzione, non era quel tipo di persona. La sofferenza estrema che la dilaniava ormai da anni, e che non aveva fatto altro che aumentare a dismisura, l'aveva portata a quelle considerazioni. Suicidarsi non è così facile, ma in quel turbinio di pensieri instabili la ragazza si disse che, se avesse fatto le cose per bene, tutto sarebbe potuto anche durare poco tempo.
Solo che non poteva, e forse nemmeno lo voleva. Aveva la sua famiglia e soprattutto i gatti. I genitori la amavano più di qualsiasi altra cosa al mondo, Giovanni le voleva bene, Furia e Red la adoravano e le amiche le erano affezionate. Tutti avrebbero sofferto immensamente se lei non ci fosse stata più. E, anche se una parte di sé avrebbe soltanto voluto spegnere ogni cosa, un'altra le ripeteva che il suicidio sembrava la soluzione, ma non lo era. Voleva vivere, allora? No, o almeno non così, perché in quel momento si stava limitando a sopravvivere. E non sapeva se sperare in qualcosa di meglio, ma si voleva ancora un po' di bene e l'affetto che provava per gli altri era forte. Tutto questo la fermò dal compiere quel gesto.
Prendersi cura dei gatti era uno dei pochi scopi della sua vita, una delle due o tre cose che la facevano sentire utile e, almeno in parte, ancora viva. Perché, con Stella e Valentina, una parte di lei era morta. Eppure, quei pensieri continuavano a ronzarle in testa, benché fossero stati molto meno forti di altre volte, nelle quali erano anche durati di più. E il silenzio in cui la casa era immersa, non più interrotto dai graffi di Stella sul mobile accanto alle scale e sulle porte delle camere, le faceva accelerare il battito cardiaco, tanto che aveva l'impressione che il cuore le sarebbe esploso.
"Non voglio avere un attacco di panico, non voglio. Non un altro" mormorò.
Quello avuto giorni prima dopo l’ascolto degli audio l'aveva sfiancata, non ne avrebbe retto un secondo a un paio di giorni di distanza.
 
 
 
"Furia? Furia! Ehi, svegliati."
Il gatto più grande si stiracchiò, aprì gli occhi e si alzò in piedi. Red era accanto a lui e guardava Eleonora con gli occhi spalancati.
"Che c'è?"
"L-lei sta male. Non so che cos'ha, se è solo triste per Stella o per altro, ma sta male!" urlò, battendo una zampa sul materasso.
Furia iniziò a muovere ritmicamente la coda. Eleonora era girata di spalle, teneva le mani strette in due pugni, le braccia lungo i fianchi e piangeva. I due gatti scesero dal letto dopo essersi scambiati uno sguardo d'intesa. Speravano che la ragazza si sarebbe mossa sentendoli balzare dal materasso, ma così non fu. Doveva stare proprio male, se si comportava in quel modo. Allarmati, e con il fiato corto per l'ansia, i due gatti le andarono vicino e le sfiorarono le gambe con le code.
"Ele, siamo qui. Che succede?" le chiese Furia, strusciando il muso contro la sua caviglia.
"Non stai bene?" le domandò Red. "Forse quello che le ha detto Carlo ieri sera l'ha fatta sentire male."
Spiegò al fratello di che si trattava.
"Oh, cazzo" mormorò Furia. "Ci sarà stata malissimo."
I due gatti continuarono a strusciarsi e a miagolare. Volevano che si muovesse, che reagisse in qualche modo, che desse loro un segnale in maniera che capissero che era ancora lì, con loro, e non persa del tutto nel passato, nel dolore e nei ricordi. Iniziarono a tirarle i pantaloni, a leccarle la parte di polpaccio che le calze non coprivano, e fu solo quando percepì quel contatto caldo sulla pelle che Eleonora fu percorsa da un tremito. Le girò la testa e si sentì catapultare di nuovo nel presente. Si abbassò e accarezzò Furia e Red su testa e schiena, facendo loro i grattini dietro le orecchie.
"Ah, che bello!" esclamarono i due, godendosi la sensazione rilassante dovuta a quel contatto e alzando la testa per leccarle le mani.
Eleonora sorrise e rise.
Lo fece per davvero, senza sforzarsi o fingere, e lo capirono anche i gatti. Quando si comportava così, i suoi sorrisi erano più grandi e luminosi e la risata argentina e liberatoria, non trattenuta come altre volte, nelle quali pareva aver quasi paura di ridere e di risultare sguaiata.
I mici si sdraiarono a terra e la convinsero a giocare con loro. La ragazza muoveva le mani, mentre i due cercavano di prenderla con la bocca e gli artigli.
"Sono più veloce io!" esclamava Furia.
"No, io."
"Ah sì? E perché? Sentiamo."
"Semplice, perché sono più piccolo."
Furia scoppiò a ridere e lasciò che fosse lui il più svelto dei due, in modo da farlo vincere. Era bello giocare tutti insieme, pensarono i tre. I gatti si divertivano, facevano movimento ed Eleonora si distraeva, focalizzava la sua attenzione su altro, avvertiva la testa più leggera, con meno pensieri oscuri e inoltre era con gli animali ai quali voleva più bene al mondo e che considerava quasi dei figli. Aveva perso Stella, anni prima Bizet, erano dolori grandissimi e nessuno avrebbe mai più potuto riportare indietro quelle creature, ma era fortunata ad avere ancora Furia e Red accanto.
La ragazza si sedette sul letto e Red le saltò in braccio, si accomodò sulle sue cosce e prese a leccarle il viso. Quand'era fra le sue braccia si sentiva protetto, come se si fosse trovato fra le zampe della mamma gatta che l'aveva messo al mondo. La vita era stata dura con lui, ma alla fine aveva incontrato una famiglia che lo amava tantissimo e che non gli avrebbe mai fatto mancare niente. Perciò, se Eleonora stava male, l'unica cosa che lui poteva fare era rimanerle accanto dandole sempre più affetto, e infatti le sue fusa aumentavano secondo dopo secondo, tanto che Eleonora disse che il soprannome che suo padre gli aveva dato, ovvero Segheria, calzava a pennello.
Furia saltò dietro di loro e, più discreto, si avvicinò a Eleonora facendo fusa molto più delicate di quelle di Red e strofinando il muso contro il fianco della ragazza. Era stata lei a fargli capire, quando era ancora un cucciolo, che non doveva avere così tanta paura degli umani e che si sarebbe potuto fidare. E lui l'aveva fatto, soprattutto con Eleonora. Non le sarebbe mai stata abbastanza grata per questo e rimanerle vicino, nei giorni belli come in quelli orribili, gli veniva naturale, perché anche lei si comportava così con lui. Aveva compreso la sofferenza che lo distruggeva da quando Stella non c'era più, imparando a coglierne i segnali e i due si facevano forza a vicenda.
"Resteremo sempre insieme, vero, Eleonora?" le chiesero i gatti all'unisono.
Lei trasse un profondo respiro.
Non stava bene, ma meglio e, anche se quella si era rivelata una notte senza fine, grazie al cielo i gatti le avevano dato una mano a salvarsi, a uscire per un po' da quel baratro. Se non ci fossero stati loro, non aveva idea di come ne sarebbe venuta fuori.
"Grazie, piccoli miei, non so nemmeno come ringraziarvi per quello che avete fatto per me stanotte!" esclamò baciandoli.
I due la guardarono senza capire.
"Non so quando starò meglio, ma capisco che voi soffriate quanto o forse più di me." Si riferiva anche a Red perché, benché lo dimostrasse molto meno, sentiva anche lui la mancanza di Stella. "Non so quando ne usciremo, ma finché saremo insieme andrà tutto bene."
E ci credeva. Ci credeva davvero, Furia e Red gliel'avevano dimostrato proprio quella sera, insistendo per darle una mano a riprendersi. Non l'avevano lasciata sola e lei non se ne sarebbe andata. Mai.
Si infilarono tutti a letto e, cullati e coccolati gli uni dalla presenza degli altri, si addormentarono in breve tempo. I demoni di Eleonora avevano smesso di tormentarla e la ragazza riuscì a riposare qualche ora in pace, non pensando nemmeno per un secondo alle difficoltà che avrebbe incontrato in seguito nel suo cammino.
 
Ma purtroppo non fu così, o almeno non per tutta la notte. Persa in un misto di pensieri e sogni, si agitò nel sonno. Si girò e rigirò, lamentandosi nel mentre senza volere. Sforzandosi di respirare nel modo corretto, riaprì gli occhi. Era madida di sudore. Si drizzò a sedere, portandosi una mano al cuore. Solo allora si rese conto con che velocità stesse battendo. Le mancava l’aria, aveva la sensazione di soffocare e che la sua vita sarebbe finita lì. Se solo ne avesse avuto la forza, avrebbe aperto la finestra per respirare meglio, ma il corpo non rispondeva ai comandi del cervello. Richiudendo gli occhi spalancati per il timore, così da concentrarsi al meglio, inspirò ed espirò.
Così, fa’ piano, Ele, piano si ripeté nella mente.
Anche solo inalare aria le costava uno sforzo immane, ma non si arrese e continuò a quel modo fino a sentirsi meglio. Per fortuna l’attacco era durato solo un paio di minuti, molto meno del solito, ma le era sembrato non finire mai. Era sempre difficile riposare dopo una qualunque crisi di panico, ma nonostante tutto, lei ci provò. La mente si rifiutava, ma in quel momento il corpo aveva bisogno di calma e riposo. Respirò più profondamente e, alla fine, rieccole. Una dopo l'altra, sistole e diastole, sistole e diastole, veloci ma regolari.
 
“Grazie al cielo, sto meglio. C'è aria, respiro” sussurrò, per non farsi sentire dai due gatti addormentati.
Uno stratagemmainutile, poiché dovettero comunque sentirla, o almeno lo fece il più grande, poiché, muovendo un orecchio e svegliandosi, Furia le si avvicinò piano, mescolando uno sbadiglio a un miagolio che la fece ridere.
 
"Furietto, che stai facendo? È tardi, torna a dormire!" gli disse, sforzandosi di non gridare vista l'ora tarda, e facendosi nel mentre male alla gola.
Non era abituata a parlare con tanta enfasi nel mezzo della notte, e del tutto impreparata, si ritrovò a tossire un paio di volte, un nuovo dolore proprio al centro del petto. Furia drizzò le orecchie muovendole come piccoli radar, e in un attimo fu con lei. Veloce, certo, ma anche incredibilmente pesante, si piazzò sul suo petto. Voleva solo aiutarla. In molti non avrebbero capito, alzando gli occhi al cielo e giudicando in silenzio lui e la padrona. Cos'era Furia, in fin dei conti? Un gatto. Per alcuni una semplice palla di pelo menefreghista e priva di sentimenti, ma per altri un amico.
Eleonora si fermò a pensare. Chissà se tutte le persone abituate a giudicare avevano mai provato a lasciare che un micio si addormentasse loro in braccio. No, non lo credeva possibile, altrimenti non avrebbero dato certi giudizi. Eppure era così bello tenerne uno sulle gambe, sentirlo arrampicarsi e fare le fusa sul petto proprio come stava accadendo a lei, per poi prendere sonno e quasi spingere chi lo stringeva a fare la stessa cosa. Le fusa cullavano i padroni dei gatti con quel placido suono a bassa frequenza, finché poco prima di chiudere gli occhi, questi non pensavano ad altro che al loro fragile amico felino. Non tutti avevano quella fortuna, e la parte migliore di averne uno in casa non era vederlo, ma sentirne la quieta presenza, il miagolio dalle mille diverse sfumature, la sua inappropriata irruenza, e in alcuni casi, perfino la zampa sul proprio braccio mentre si fa qualcos’altro, sia questo scrivere, leggere, occuparsi delle faccende domestiche o rilassarsi sul divano. In molti erano pronti a scommettere che gli animali non avessero un’anima, ma solo perché, non avendone mai avuto uno, non ne avevano mai vissuto l’esperienza.
Ma lei? Lei invece era fortunata, molto fortunata. Non ne aveva soltanto uno, bensì due, uno più dolce e sensibile dell'altro.
nuovamente sdraiata a letto, Eleonora riuscì a rilassarsi e dormire, tranquilla e pronta a tornare ai suoi sogni, soppiantati con valore dagli incubi delle scorse settimane. Vicino a lei, Furia si scostò per trovare una posizione più comoda, non spostando mai la zampa dalla sua mano. Poteva sembrare strano, sciocco, forse addirittura folle, ma fra i tanti stratagemmi messi in atto dalla ragazza prima di dormire e con l'intento di riuscirci, quello era uno dei pochi che funzionava. Pensare a come fosse successo la prima volta la faceva ridere. Uno dei tanti messaggi dell'amica Emma indirizzato proprio al gatto Furia, o meglio, a una sua versione letteraria, se così poteva essere chiamata, in cui gli chiedeva di vegliare su di lei e allontanare gli incubi. A quanto sembrava, quella sorta di profezia si era rivelata, e a riprova di ciò, i tre riposarono serenamente per il resto della notte.
Ore dopo, un pallido sole aveva già salutato la campagna veneta. Riaperti gli occhi, Eleonora si stiracchiò pigramente, proprio come i suoi amati gatti. Più piccolo e ingenuo, Red quasi cadde dal letto, ma aggrappandosi al piumone con le unghie, ritrovò subito l'equilibrio. Il piccoletto non si era accorto di essersi addormentato con il corpo appena fuori dal letto e, sbilanciandosi, era quasi caduto.
 
"Red, ti farai male! Il letto è una zona finita" gli disse subito Eleonora, ridacchiando mentre si affrettava per aiutarlo. Tastando la coperta, lo sentì avvicinarsi e gli sfiorò la collottola. "Ecco, vieni qui, cucciolo."
Il gattino miagolò e, sbadigliando, prese a grattarsi un orecchio.
 
"Che fate, non venite?"
Dai, Furia, ho fame! Ci sono i croccantini!" miagolò, sperando di convincere il fratello a seguirlo.
 
"Vengo dopo, Red, che scatole" si lamentò l'altro, completamente spompato. Il micetto non ne aveva idea, ma lui era rimasto in piedi a difendere il sonno di Eleonora, e ormai senza energie, riusciva a malapena a muoversi.
 
"Va bene, allora. Di più per me!"
Divertita da quello strano battibeccare, che in realtà non capiva ma che aveva immaginato, Eleonora rise, e infilate le ciabatte, si diresse in cucina.
L'odore del caffè appena fatto, che lei beveva solo se decaffeinato, e il fragrante odore di una scatola di brioche appena aperta, le accarezzarono le narici fin dal salotto. Probabilmente un'idea di Giovanni, troppo pigro anche solo per scaldarsi del latte.
 
"Ehi, ne vuoi una?" le chiese, sorridendole.
 
Certo! Posso davvero? pensò Red, miagolando ancora.
 
"Non parlava con te, sai, micetto?" gli fece notare Carlo, seduto ad ascoltare le notizie del mattino.
 
"Oh, peccato" si disse, dispiaciuto.
Non mancando di notarlo, Eleonora attese per qualche istante, e abbassando lo sguardo, gli regalò qualche carezza.
 
"Tranquillo, Red, avrai una bella ciotola piena, okay?" lo rassicurò, accompagnando quelle parole con un sorriso.
Fidandosi, il gattino parve annuire, e abituato a quella routine mattutina, andò a sedersi proprio davanti alla ciotola sua e di Furia.
"Allora? Qualcuno mi serve? Io qui ho fame!" sembrò chiedere, rompendo il silenzio con l'ennesimo, lungo miagolio.
Tutt'altro che sorpresa, Isabella sospirò, e afferrato il sacco dei croccantini, ne versò fin quasi a riempirla.
Per ringraziarla, il micetto si strusciò dolcemente contro le gambe della donna, dando nel mentre il via a una vera e propria sinfonia di fusa.
 
"Visto? Ora sì che è contento!" commentò Carlo, rivolgendosi a moglie e figlia.
Raggiunto il tavolo, Eleonora si sedette. Toccò con mano la scatola di merendine appena aperta, e frugandovi dentro, ne estrasse una. La plastica colorata emise il suo caratteristico fruscio sotto le sue dita, e proprio allora, qualcuno fu lì per aiutarla. In pochi morsi, seguiti da qualche sorso di succo, poté dirsi sazia. Lei non credeva nelle favole, ma nonostante la notte fosse stata uno schifo, quella giornata era iniziata benissimo, e forse era il suo giorno fortunato, o come qualcuno più in alto di lei avrebbe presto trovato il modo di dirle, un miracolo. Forse esagerava, ma da mesi non si sentiva così rilassata, ed era bellissimo.
Non durerà molto, ma me lo godrò.
Poco dopo, però, a quel quadretto familiare si aggiunse un altro membro.
"Furia!" miagolò Red, correndogli incontro. "Sei sveglio."
"Sì, cosetto, rallenta, o ti farai di nuovo male."
Lo lasciò fare e gli leccò il muso. Notandoli per prima, Isabella sorrise, e di nuovo in piedi, Eleonora puntò verso il salotto.
Sicuro di riconoscere quel passo fra mille, il gatto grigio le si avvicinò, e strusciandosi contro le sue gambe, miagolò per attirare l’attenzione della ragazza.
"Buongiorno. È bello vederti felice" disse, con un miagolio così lieve da risultare appena udibile.
"Ma ciao Fufetto! Ciao!" lo salutò lei, abbassandosi per accarezzarlo e immergendo piano le dita nel pelo grigio e semilungo.
Sì, sì, ciao, sai già che ti voglio bene, e mi piacciono le coccole, ma devi vedere una cosa pensò, un altro debole miagolio rivolto sempre a lei, nonostante forse, presa da quel momento di dolcezza, non avrebbe capito.
Testardo, Furia continuò a miagolare.
"Ti conviene vedere cosa vuole, sai?" Commentò Isabella, ridacchiando.
"Già, o non smetterà più" scherzò invece Carlo, sinceramente divertito.
"Papà!" quasi urlò lei in risposta, per poi scoppiare a ridere.
Contagiati dalla sua ilarità, marito e moglie finirono per imitarla, e incuriositi, la seguirono. Confuso da tanto movimento, Red non si fece attendere, e fatti pochi passi, si ritrovò con gli altri vicino alla porticina basculante. I due atti uscirono e gli umani li guardarono correre fra l’erba, ormai candida e ghiacciata.
"E questa che cos’è, Furia? Scende dal cielo, sembra divertente!" azzardò Red, incuriosito come il cucciolo che ancora era.
"Si chiama neve, cosetto. È fredda, fa’ attenzione, ma hai ragione, è bellissima" gli spiegò il fratello, camminando e godendosi quella gelida ma fantastica sensazione.
"Che stanno facendo?" non poté evitare di chiedere Eleonora, rimasta in casa e confusa nel sentirli miagolare tanto, come se parlassero l'uno con l'altro.
"Giocano insieme, e in più nevica. Non è stupendo?" le rispose il padre, che proprio come lei, seduto in poltrona anziché sul divano, si godeva quello spettacolo. “Cioè, è bellissimo adesso, ma fra un po’ devo correre a lavorare e lo sarà di meno.”
Già, stupendo! pensò la ragazza. Ti ringrazio, Stella. Ti voglio bene, e so che mi sarai sempre vicina.
Come il precedente, un altro pensiero, dedicato stavolta alla sua amata gatta scomparsa troppo presto, che avrebbe ricordato in eterno, ringraziandola ogni volta che riusciva, di sicuro aiutando i fratelli dal cielo, a farle vedere la luce nell'oscurità e nelle avversità di una notte senza fine.
 
 
 
NOTE:
1. le cose che ho detto alla psicologa sono reali.
2. È vero, il medico mi ha aggiunto il Daparox proprio ieri. Spero funzioni. Ho volutamente nominato tutti i farmaci, per essere precisa.
3. Le cose che ci siamo detti io e mio padre sono reali. E Red cerca sul serio tantissime attenzioni, soprattutto da me.
4. Mio padre ha davvero dato questo soprannome a Red, che da alcune mie amiche è anche stato soprannominato Trattore o Motoscafo. 
 
 
 
ANGOLO AUTRICI:
io ed Emmastory auguriamo a tutti un buon Natale. Stiamo scrivendo due storie di questa serie, ambientate una il 25 e l’altra il 31 dicembre, ma non pensiamo di riuscire a pubblicarle per la fine di quest’anno. Speravamo di postarle nei giorni in cui erano ambientate, ma la vita e gli impegni ci hanno creato alcuni ritardi. In ogni caso arriveranno, e come quelle, ce ne saranno tante altre.
A presto!
   
 
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