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Autore: Futeki    22/12/2020    10 recensioni
Rose e Scorpius stanno insieme e non potrebbero sembrare più felici: Scorpius è gentile, premuroso, Rose è forte e sempre sorridente. Eppure qualcosa tra loro manca, lei lo sa e vuole che lo capisca anche lui, a costo di incrinare la perfezione del loro rapporto. Perché Rose ne è convinta: in amore non ci si può accontentare degli spiccioli.
Percepì soltanto il dolore di uno strappo, da qualche parte a metà strada tra lo stomaco e il cuore: quella stessa scintilla che si accendeva in lei ogni volta che lo guardava aveva preso a crescere senza controllo e a fare terra bruciata, implodendo e trascinandosi dietro ogni cosa. Perché ogni pensiero razionale, ogni studiata e costruita convinzione crollava di fronte all’enormità di una semplice assenza: il richiamo di un sentimento riconoscibile da un suo simile, l’estatica meraviglia radicata in punti inaccessibili dell’essere umano, oltre la mente, oltre il cuore. Tutto ciò che restava erano soltanto spiccioli, il resto di un tutto che continuava a essere niente. E che valore poteva avere ciò che le costava così tanto?
[Storia candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna.]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Anima nuda'
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A sue spese, Rose aveva imparato a riconoscere l’indissolubile legame di proporzione tra la meraviglia dei suoi sentimenti e la tacita sofferenza che faceva loro da contrappeso; aveva compreso il risvolto di ognuno di quegli attimi di felicità, perché essi avevano un prezzo, un costo superiore al loro valore, che lei, tremante, doveva pagare nel tempo con l’angoscia che scaturiva dallo squarcio al centro del suo petto – una ferita infetta destinata a ucciderla lentamente, tra un bacio e l’altro, con una lacrima dolce o un sorriso amaro, sale sui margini frastagliati del suo cuore spezzato.

 

 

Amari spiccioli contesi

Per ogni estatico istante

Dobbiamo pagare un'angoscia

In pungente e tremante rapporto

Con l'estasi.

Per ogni ora d'amore

Aguzze elemosine d'Anni –

Amari spiccioli contesi

E scrigni colmi di lacrime!

(E. Dickinson)

 

 

Aveva troppo freddo perché potesse essere davvero colpa dell’aria pungente di quel pomeriggio e Rose se ne accorse quando, varcata la soglia dei Tre Manici di Scopa, realizzò che stava ancora tremando. Si strinse nella giacca e passò rapidamente in rassegna la stanza, fino a trovare Scorpius proprio nell’istante in cui anche lui alzò lo sguardo su di lei. Era seduto a un tavolo con i suoi compagni di Casa – Albus immancabilmente al suo fianco – e nel momento in cui i loro occhi si incrociarono le rivolse un sorriso.

Subito lo stomaco le si serrò in una morsa, il fastidioso promemoria dell’effetto che solo lui sapeva farle, ma Rose rabbrividì ancora mentre il suo ragazzo lasciava gli amici tra le risate e le andava incontro.

Quando Scorpius si chinò per baciarla, si trattò di un contatto fugace e tenero, per nulla imbarazzato e allo stesso tempo non troppo intimo per il luogo in cui si trovavano. Normalmente, Rose sarebbe arrossita per quella manifestazione pubblica del loro rapporto, ma in quel momento fu colpita dalla semplicità con cui lui l’aveva salutata e presa per mano, trascinandola fuori dal locale come se le occhiate curiose di tutti i presenti fossero l’ultimo dei suoi pensieri.

C’era qualcosa di amaramente rassicurante nel modo in cui Scorpius Malfoy non si curava di nascondere la sua relazione con Rose. Prima di lei, c’erano state un paio di altre ragazze – brevi frequentazioni, le aveva definite lui – ma nessuna con cui avesse mai ritenuto opportuno farsi vedere insieme. Rose lo aveva osservato da lontano, all’epoca, soffocando una bruciante gelosia con la vanitosa consolazione che se per lui fossero state importanti non le avrebbe tenute nascoste; e adesso eccola, a crogiolarsi in quello stesso pensiero di falso conforto riferito a se stessa, nella situazione diametralmente opposta.

«Stai bene?», le domandò mentre camminavano affiancati per le strade di Hogsmeade.

Annuì. «Fa un freddo cane.»

«Andiamo in un posto caldo», propose lui, guardandosi intorno come se le insegne dei negozi potessero dargli un’idea su come spendere quel pomeriggio insieme.

Lei gli strinse una mano. «Veramente mi andrebbe di stare un po’ da soli», suggerì con un sorriso timido. «Facciamo una passeggiata fino al Lago?»

Scorpius inclinò la testa, un po’ confuso, ma poi annuì, si slacciò il mantello e glielo sistemò sulle spalle. «Tutto quello che vuoi.»

Quella replica così affettuosa le congelò il sorriso sulle labbra e Rose lasciò che un brivido le infiammasse la pelle nei punti in cui le dita sottili che tanto desiderava l’avevano sfiorata. Non sentiva nient’altro che il prepotente battito del suo cuore, ritmico nelle vene e attraverso la carne infreddolita di tutto il corpo, fino alla pancia, alla gola, alle orecchie. Percepiva dentro di sé il tumulto fastidioso dei propri sentimenti, che riecheggiava instancabile tra le pareti vuote dello spazio in cui si riservava di essere sincera con se stessa, quello stesso spazio in cui a contare era ciò che non sentiva: i sentimenti di lui.

Perché Scorpius Malfoy era il fidanzato perfetto, era premuroso, gentile e dolce, tuttavia – cruda e innegabile realtà – non era affatto innamorato di lei. Non che non fosse coinvolto, anzi, non di rado lei cercava conforto nell’intensità dei suoi baci, nella rassicurante stretta delle sue mani quando stavano insieme; ma il sentimento era tutt’altro e lei, che ne era consumata ogni giorno di più, lo sapeva bene.

Camminavano in silenzio, affiancati, Scorpius la teneva per mano e di tanto in tanto le accarezzava il dorso con il pollice. Sembrava sovrappensiero, ma Rose lo conosceva abbastanza da sapere che aveva intuito il suo conflitto interiore e le stava lasciando tempo per decidere come affrontarlo – e magari risolverlo senza coinvolgerlo.

Lei, d’altra parte, non desiderava altro che seppellire quei pensieri assillanti sotto la placida serenità che le provocava la vicinanza di lui, come era solita fare quando era turbata e non riusciva a venire a capo dei suoi problemi. Quelli, però, la inseguivano sempre con una tenacia che gli stati d’animo più positivi non sapevano emulare.

«A cosa pensi?», gli chiese lei, anticipando una domanda che non voleva sentirsi porre e sperando, al contempo, di distrarsi.

Scorpius si voltò a guardarla come se la vedesse di nuovo dopo un periodo in cui era stata lontana – e forse era proprio così. «Mi domandavo se fossi arrabbiata con me.»

Sempre sincero, sempre attento. Come poteva un ragazzo tanto perspicace non rendersi conto del fatto ovvio quanto crudele che lei provava per lui più di quanto lui avrebbe mai potuto provare per lei?

Perché era questo che faceva a pezzi Rose, la velenosa certezza che lui non fingeva affatto, e non le mentiva mai e non le domandava nulla e non le prometteva altro che niente. E, soprattutto, la privava della possibilità di odiarlo abbastanza da lasciarlo andare via.

«No», disse piano. «Scusami.»

Sapevano entrambi che non era la verità e che il perdono che chiedeva era solo per quella clemente bugia con cui sperava di rimediare a colpe che non sentiva neanche di avere.

Scorpius si portò alle labbra le loro mani intrecciate e le depositò un bacio sulle dita: un’assoluzione che Rose non aveva neanche fatto in tempo a meritarsi.

«Hai ancora freddo?»

Lei scrollò le spalle e gli si fece più vicino. «Sto bene.»

Le lasciò la mano solo per cingerle le spalle, mentre camminavano abbracciati in direzione del Lago. A guardarli, sarebbero parsi semplicemente una coppia di ragazzi molto presi l’uno dall’altra, come d’altronde li giudicavano tutti i loro compagni di scuola. Rose sorrise amara al pensiero di come le sue amiche avevano liquidato i suoi timori, suggerendo che fossero soltanto il frutto di una paranoia infondata, perché Scorpius Malfoy stravedeva per lei e non si era mai comportato meno che alla perfezione nei suoi confronti.

Le acque del Lago Nero erano immobili e scure, promettevano abissi inquietanti e pieni di creature magiche antiche, eppure a Rose piaceva l’atmosfera di placido torpore che si respirava sulla riva deserta.

Scorpius lo sapeva, quindi si limitò a lasciarle scegliere il punto in cui sedersi ad ammirare il paesaggio lacustre, mentre lei si toglieva il suo mantello dalle spalle e glielo restituiva, per non rischiare di sporcarlo.

Presero posto sotto una quercia che doveva avere almeno cent’anni più di loro e quando Rose si voltò per afferrargli il viso con le mani, Scorpius non oppose alcuna resistenza. Si baciarono con la tenera impazienza di due adolescenti, nella più impalpabile dolcezza – di lui – e con un’urgenza soffocante – di lei.

Scorpius le afferrò i polsi, non per liberarsi dalla sua stretta, ma per farle sentire che anche lui era lì e la desiderava, tanto quanto lei desiderava lui. Ma questo Rose lo sapeva benissimo, glielo rammentava la morbida carezza della sua lingua contro la propria, la delicatezza dei suoi morsi sulle labbra, il respiro affannoso tra un bacio e l’altro. Si mosse per porsi di fronte a lui, sedendogli in braccio, del tutto indifferente all’impudenza della propria posizione.

Con gli occhi chiusi, mentre si riempiva la bocca del suo sapore, i polmoni della sua aria, le mani della familiare rigidità delle sue spalle, Rose sentì che Scorpius la voleva e si concesse di pensare che nient’altro avesse importanza. Rincorreva con la mente la sensazione delle sue dita sotto l’orlo del maglione quando un piccolo suono la riportò a concentrarsi sulle labbra che stava baciando: il fiato corto – di lui, di lei – era una fragile testimonianza dell’urgenza con cui il desiderio di stare insieme superava la necessità di respirare, quasi l’erronea convinzione di aver bisogno di ossigeno fosse stata solo una distrazione, prima di quel momento.

La scoperta continua di non essere l’unica vittima di quell’attrazione insostenibile la salvava ogni volta dalla paura di esserne travolta. Ma se da un lato era vero che Scorpius la desiderava, dall’altro Rose sapeva benissimo che c’era molto di più tra loro: si rispettavano, erano felici di passare del tempo insieme, si volevano bene. Per questo, quando si decise a riaprire gli occhi, lo fece ancora una volta con l’ingenua speranza di veder svanire la propria ingrata insoddisfazione.

E invece, sollevate le palpebre, nel grigio screziato d’argento degli occhi del suo ragazzo, Rose riuscì a scorgere solo l’assenza di qualcosa che non avrebbe saputo descrivere, ma che era certa avrebbe riconosciuto se ci fosse stata, qualcosa che nel calore di quel metallo fuso avrebbe dovuto raggiungerla con la stessa violenza con cui si sentiva squarciare il petto ogni volta che vi annegava. Percepì soltanto il dolore di uno strappo, da qualche parte a metà strada tra lo stomaco e il cuore: quella stessa scintilla che si accendeva in lei ogni volta che lo guardava aveva preso a crescere senza controllo e a fare terra bruciata, implodendo e trascinandosi dietro ogni cosa. Perché ogni pensiero razionale, ogni studiata e costruita convinzione crollava di fronte all’enormità di una semplice assenza: il richiamo di un sentimento riconoscibile da un suo simile, l’estatica meraviglia radicata in punti inaccessibili dell’essere umano, oltre la mente, oltre il cuore.

Tutto ciò che restava erano soltanto spiccioli, il resto di un tutto che continuava a essere niente. E che valore poteva avere ciò che le costava così tanto?

Uno zellino, due zellini.

Frammenti di un cuore spezzato che crollavano sotto il peso di legami mancanti e si arrendevano al suolo in frantumi.

Un tintinnio, poi due, poi dieci, monete che suonavano più rumorose di quanto avrebbero avuto il diritto di fare.

Schegge aguzze conficcate nella carne dall’interno: laddove un battito ritmico avrebbe dovuto assicurare la vita, ogni pulsazione era invece un nuovo squarcio nel petto.

Un’elemosina che non valeva la pena ricevere, un sorso di vita che prolungava solo l’agonia prima dell’inevitabile fine.

Scorpius la guardava confuso, forse allarmato dalla sua immobilità o dal leggero tremore del suo labbro inferiore.

«Non posso più farlo», dichiarò Rose in un sussurro strozzato.

Lui inclinò la testa, confuso. «Io non capisco.»

Gli posò le mani sulle spalle e si sollevò leggermente, per allontanarsi da lui, che non cercò neanche di trattenerla. «Che stiamo facendo, Scorpius?»

«Ci stavamo baciando.» Il ragazzo sollevò una mano e le sfiorò un fianco, un gesto troppo delicato per essere un tentativo di attirarla nuovamente a sé.

Rose si mise a sedere per terra accanto a lui, lo sguardo dritto davanti a sé per non incrociare il suo; poi, quando le fu intollerabile averlo anche al margine del suo campo visivo, chiuse gli occhi inspirò forte prima di parlare. «Non so neanche perché stiamo insieme.»

Lui si mosse in modo da trovarsi di fronte a lei, le strinse un braccio con dita gentili e attese che lei tornasse a guardarlo. «È perché insieme stiamo bene», disse semplicemente.

Rose scosse la testa. «Non c’è equità in questo rapporto.»

«Tu mi piaci», insisté Scorpius. «Non so in che altro modo dimostrartelo. Mi piaci», ripeté. «Sono preso da te e voglio stare con te.»

Lacrime amarissime le affollarono gli occhi mentre soffocava la traditrice soddisfazione indotta dalla verità nelle sue parole. Ma come spiegargli ciò che mancava, se non tramite un paragone con ciò che provava lei? Come descrivergli ciò che avrebbe dovuto sentire anche lui senza esporsi, aprire il cuore a nuove ferite, allentare la stretta su quei frammenti destinati a precipitare?

Io sono innamorata di te.

Ma forse lui non era tanto inconsapevole, perché mai aveva pronunciato le parole sbagliate, mai aveva ingenuamente adottato definizioni inopportune per il loro rapporto.

E tu non sei innamorato di me.

Rose non avrebbe avuto paura se si fosse trattato di semplice attesa, perché la sua forza era nella capacità di amare per entrambi mentre aspettava che lui fosse pronto. Ciò che la distruggeva, invece, era la consapevolezza che quel momento non sarebbe mai arrivato, la certezza che il tempo davanti a lei si sarebbe dilatato all’infinito e poi aggrovigliato e annodato e attorcigliato intorno a lei fino a strangolarla.

Ammetterlo – a lui, a se stessa – e lasciarsi uccidere con rapida pietà dalle parole pronunciate ad alta voce – io sono innamorata di te – o crogiolarsi nel dolore di ciò che non sarebbe mai stato detto – e tu non sei innamorato di me – per aggrapparsi a pochi spiccioli amari?

«In che direzione stiamo andando?», domandò esitante. Non voleva forzarlo, né mettergli pressione, ma doveva quantomeno fargli notare che il problema non stava in una semplice condizione momentanea, bensì nell’impossibilità di un futuro insieme. «Tu pensi mai che possa esserci qualcos’altro al di là di questo», indicò con un dito prima se stessa e poi lui, «e che tu non lo raggiungerai mai?»

Non aveva inteso muovergli un’accusa, ma addolcire la domanda con un clemente noi l’avrebbe resa la peggiore delle bugie.

Scorpius la guardò sgomento, incapace di replicare, e Rose si alzò in piedi, approfittando di quel momento in cui era rimasto interdetto; si scosse via la polvere dai vestiti, con un sorriso sulle labbra amaro come il veleno che sentiva in bocca da quando l’insoddisfazione aveva coperto il sapore meraviglioso dei suoi baci.

«Dovresti rifletterci su», gli suggerì con tenerezza, perché non sarebbe stata capace di rivolgerglisi meno che dolcemente.

Terrorizzata da ciò che lui avrebbe potuto rispondere, lo anticipò rivolgendogli l’ennesimo sorriso, poi si voltò e si allontanò a grandi passi, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

 

***

 

Era dal pomeriggio precedente che lo evitava. Rose era tornata al Castello imponendosi di non pensare a quanto gli aveva detto, ma dopo una cena consumata per mantenere le apparenze – lo stomaco serrato in una morsa, le spalle rivolte a lui, al suo tavolo, alla sua Casa – nella solitudine del proprio letto non aveva più potuto ricacciare indietro le lacrime. Era stata orgogliosa di se stessa per non essersi accontentata di ciò che lui aveva da offrirle, per aver riconosciuto ad alta voce che quello che avevano non era abbastanza, neanche lontanamente, ma adesso si odiava per quel dolore autoinflitto con cui doveva fare i conti. Perché era facile dirsi insoddisfatta tra le sue braccia, quando tutto ciò che mancava era un di più e l’ossigeno le riempiva i polmoni, il sangue le pulsava nelle vene e lo stomaco le si contorceva soltanto per un sentimento travolgente. Adesso che era sola, invece, avrebbe voluto prendersi a schiaffi per aver rinunciato a tutto ciò, per aver definito elemosina quel tanto che la rendeva in grado di respirare, muoversi, vivere. Avrebbe dato qualunque cosa per poter tornare indietro e cancellare ciò che aveva detto, perché forse non c’era bisogno di avere di più e bastava che stessero bene insieme, che si desiderassero e si volessero bene, forse non serviva altro che la possibilità di respirare, muoversi, vivere, perché come poteva esserci altro se non c’era neanche quello?

Aveva pianto e soffocato i singhiozzi in un cuscino che non sapeva affatto di lui, il naso premuto contro il cotone candido nella speranza di rintracciare un odore familiare che non aveva ragione di esserci. Si era fatta violenza immaginandosi senza di lui, certa che prima o poi il bruciore lancinante dell’assenza si sarebbe affievolito e avrebbe lasciato spazio a qualche altro tipo di sofferenza; le avrebbe provate tutte, prima o poi, ma per adesso le sarebbe bastato riuscire a estirpare quel vuoto a cui non sapeva dare contorni, perché avrebbe preferito strapparsi dal petto grovigli di spine e schegge, trovarsi lacerata e ferita e distrutta, ma non vuota, non vuota di un vuoto che non si può riempire, che soffoca con il peso del suo niente. Rose non aveva immaginato, quando gli aveva detto di riflettere, che le sarebbe costato così caro essere onesta con se stessa, non aveva pensato che il coraggio avesse un prezzo tanto alto e che non avrebbe potuto pagarlo soltanto con i pochi spiccioli che aveva raccolto e a cui si era affidata per respirare, muoversi, vivere.

Magari sarebbe bastato scusarsi, aveva pensato quella notte per lenire un dolore a cui non era certa di poter sopravvivere, per arginare la sofferenza e rimandarla, pietosamente, a quando fosse stata in grado, almeno, di respirare da sola. Lo aveva formulato e poi rifiutato, quel pensiero codardo e soprattutto ingenuo, perché assuefarsi ancora un po’ all’elemosina non l’avrebbe salvata dalla sua incapacità di tenersi insieme da sola.

Magari sarebbe bastato scusarsi, aveva pensato di nuovo quella mattina, a colazione, quando si era seduta al tavolo dei Grifondoro – dandogli ancora le spalle, ma senza la forza di fingere di poter mangiare – e lui avrebbe intrecciato le dita alle sue e le avrebbe baciato il dorso della mano, perdonandola ancora una volta. E lei sarebbe stata disposta a implorare quel perdono che lui le avrebbe concesso senza esitare, perché Scorpius non aveva idea di cosa ci fosse di sbagliato in lui, ma certamente non aveva mai trovato niente di sbagliato in lei, neanche quando era stato incapace di comprenderla, neanche quando si era visto restituire quegli spiccioli amari che, pur non essendo abbastanza, a lei sembravano servire – per respirare, muoversi, vivere.

Magari sarebbe bastato scusarsi, pensò un’ultima volta quel pomeriggio, mentre lui le si avvicinava nel cortile semideserto della scuola, scusarsi e rimangiarsi tutto, fingere di aver avuto una brutta giornata, un momento difficile, un attimo di confusione.

Uno zellino, due zellini.

Raccogliere gli spiccioli prima che lo facesse qualcun altro, imparare ad amare ciò che aveva, a riconoscere l’importanza di poter respirare, muoversi, vivere.

Un tintinnio, poi due, poi dieci, monete sparse tra i frammenti di un cuore spezzato; ma cosa avrebbe potuto raccogliere – ferendosi le dita, il prezzo per aver lasciato cadere tutto – se non ciò che era ancora intero e utilizzabile?

Scorpius le andò incontro a passo tranquillo, l’espressione impassibile.

Elemosina o cocci? Poco, troppo poco, o niente?

Magari sarebbe bastato scusarsi, o magari non sarebbe servito. Forse lui le avrebbe detto che non era innamorato di lei – e il cuore le si sarebbe spezzato di nuovo – ma che un giorno avrebbe potuto esserlo – e lei avrebbe raccolto i cocci, li avrebbe stretti al petto e avrebbe sopportato il dolore della ferita meglio di quello dell’assenza.

Rose sorrise, perché di tutte le speranze che aveva nutrito in ventiquattr’ore quella era certamente la più ingenua. Sorrise anche mentre lui si avvicinava e il sapore amaro delle parole che stava per ascoltare le inondava la bocca.

Ti prego, non lasciarmi, implorò un’ultima volta, incapace di resistere.

Magari sarebbe stata abbastanza forte da non scusarsi.

Ti prego, lasciami andare.

Scorpius la guardò e nel metallo fuso dei suoi occhi Rose vide qualcosa che non c’era mai stato prima, una consapevolezza nuova, una scintilla che la terrorizzò e la emozionò allo stesso tempo.

In ogni caso, prima o poi avrebbe dovuto ricominciare. A respirare, muoversi, vivere.

«Dobbiamo parlare

 

 

 

 

 

 

Note

Questa storia si è classificata ottava, con premio speciale "Miglior finale" al contest "Hold my Angst (Flash contest – Edite ed inedite) – Seconda edizione" indetto da BessieB sul forum di EFP.

Fa parte della serie Anima nuda, per la quale costituisce un secondo prequel, successivo alla one-shot Non ne troviamo cicatrice, sul pairing Albus/Scorpius, che spiega il punto di vista di quest’ultimo, che qui resta celato. Pertanto, questa OS precede direttamente la long.

Come per tutti gli scritti di questa serie, il titolo è tratto da una poesia di Emily Dickinson, la stessa di cui ho riportato un estratto prima del testo.

Grazie per la lettura!

Come sempre, mi trovate su Instagram e Facebook.

Futeki

   
 
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