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Autore: fedcan    22/12/2020    0 recensioni
Di notte tante cose accadono. Illuminato dalle luci di Natale, un ragazzo crederà di aver visto la sua luce, ma non sarà altro che una delle sue tante ombre
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                 LA REALTÀ DI UN SOGNO
Si era formato un leggero velo di rugiada sull’erba del giardino di fronte al locale. Era notte, tarda notte. Il posto era molto affollato. Decisi di uscire. Ormai la mia buona dose di alcool l’avevo consumata e mi ero divertito a sufficienza. Il cielo era totalmente nero. Le uniche luci erano quelle dei terrazzi con appese sopra le lucine di Natale. Sapete no, quelle piccole e lampeggianti. C’erano delle pozze d’acqua di varie dimensioni sull’asfalto, dove si riflettevano quei bagliori intermittenti colorati. Non pioveva, ma era terribilmente umido. Sentivo le ossa congelare dal freddo e il mio cappotto nero era già umido, come se fosse stato appena lavato. Il piazzale era circondato da edifici: condomini dove le persone vivevano in piccoli, ammuffiti ed angusti appartamenti ammassate l’una sopra l’altra.
L’unico spazio aperto era rappresentato da quel giardino di fronte all’ingresso. Passaggio obbligato per chi volesse entrare od uscire dal vialetto. Si trovava proprio a metà strada tra il locale e la strada principale. Non si sentivano né si vedevano macchine passare. Doveva essere molto tardi. Sapevo che non sarei stato in grado di affrontare un viaggio, pur breve, in macchina, nelle condizioni disfatte in cui versavo.
Si, ero ubriaco, e parecchio, ma ricordo tutto.
Pensavo che di lì a poco avrei sgottato sulla mia sciarpa rossa, appoggiato con le braccia al muro del vicolo, per poi cadere a terra svenuto. Cercavo di camminare dritto, ma non ci riuscivo. Barcollavo. Una minuscola barca di carta, piena di falle, guidata da un capitano pazzo, in un oceano in burrasca. Ecco cosa ero.
Mi buttai su una delle panchine del giardino, cercando di riscaldarmi il più possibile.
Freddo. Tanto freddo. La panchina era bagnata, a causa dell’umidità. Misi le gambe sopra le assi di legno e mi distesi. Fu una pessima idea. I miei pantaloni, non impermeabili, si inondarono di acqua, nemmeno me la fossi fatta addosso. Sarebbe stato meglio in realtà, almeno sarei stato al caldo.
Ero completamente sdraiato su quella panchina fradicia, con il braccio sinistro penzolante e con la mano che sfiorava l’erba umida, il braccio destro sulla cima dello schienale e i piedi sopra il bracciolo. Sembravo in posa per una foto. Una persona normale si sarebbe accovacciata il più possibile, serrando le proprie gambe e braccia al petto per disperdere meno calore possibile.
Ero troppo ubriaco per questo tipo di ragionamenti.
Girai la testa a sinistra, in cerca di una posizione più comoda. Intravidi una figura. Un’ombra. Era nera, mimetizzata nell’oscurità. Sembrava guardarmi, in attesa di qualcosa. Passò una macchina. Per un istante i suoi fari illuminarono il giardino, che fino a quel momento era stato nel buio completo. Furono poche le cose che capii. Ma bastarono. Era una lei. Capelli lisci di media lunghezza, arrivavano circa alle sue spalle. Basta. Non vidi più nulla. Fu sufficiente. Nella mia assurda condizione mi fu tutto chiaro. Era lei quello che cercavo
Con quali basi……Era lei
Perché l’avresti trovata proprio adesso……Era lei
Sì, quello che avevo sempre sperato. L’avevo trovata. Anni di insulse comitive, di serate in discoteca, di bravate notturne. Mi sembravano tutte uguali quelle che incontravo. Superficiali, banali, stupide, brutte, o anche belle a volte, ma solo se pesantemente truccate. Tutto di quelle esperienze era finto. Una farsa. Stavolta no.
Quei momenti erano stati i più veri di tutta la mia vita.
Nel ritrovato buio della notte, lei era scomparsa.
Fosse stata una visione…….
Provai ad alzarmi, ma come mi muovevo sentivo la testa scoppiare e mi investiva un terribile senso di nausea:
“Ehi tu”
Cosa?      Chi?     
“Tutto bene?”
Era una voce femminile. Sembrava un angelo. No, un angelo è riduttivo. Era qualcosa di inquantificabile. Un’opera d’arte di valore inimmaginabile. Con tutte le mie forze mi misi seduto, cercando di cogliere la figura, nonostante la mia vista terribilmente annebbiata. Lo stomaco si era completamente liquefatto. Sentivo come se fosse pronto a venir fuori dalla mia bocca tutto insieme. La gola deglutiva continuamente. L’alcool stava salendo.
Sentii dei piedi pestare la terra umida. Era l’ombra che camminava. Si avvicinava, Ad ogni passo la figura diveniva sempre più nitida. Sentivo un buon profumo nell’aria, doveva essere il suo. Passò un’altra macchina. Lì fini il sogno.
La luce dei fari illuminò il giardino. Pochi decimi di secondo. Bastarono. Riconobbi le spallette dorate e il distintivo sull’impermeabile blu. Non saprei descrivere né il volto, né il corpo, né le mani, né la postura. Niente. Tranne quei due dettagli. Da ubriaco noti solo quelli.
La poliziotta si mise a sedere accanto a me, guardandomi. Non ce la facevo più
L’alcool saliva ...Stavo per esplodere…saliva…
Vomitai tutto, compreso le mie speranze. Doveva avere un terribile odore. La poliziotta indietreggiò disgustata. Senza nemmeno chiedermi come stessi prese il cellulare e chiamò un’ambulanza. Stavo male
Il vomito, da quello che potevo vedere, si stava allargando lungo il prato, sostituendosi a quel leggero velo di rugiada.
   
 
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