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Autore: 9Pepe4    23/12/2020    3 recensioni
Inspirando dal naso, il bambino si strofinò le braccia infreddolite, e in quel momento uno dei soldati al servizio dei Fëanoriani attraversò il cortile quasi di corsa.
Elros lo guardò passare con un certo interesse. «Sembrava agitato» commentò poi. Si girò verso Elrond. «Credi sia successo qualcosa?»
«Non lo so» borbottò lui in risposta.
Non sapeva cosa pensare. Possibile che Maglor e Maedhros fossero sotto attacco? Ripensò al lampo di lame che gli era parso di vedere, e sentì una fitta di panico. Per quanto pensasse che i Fëanoriani se lo sarebbero meritati, lui non voleva ritrovarsi nuovamente nel mezzo di una battaglia.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Familiarità
 
Quel pomeriggio, Elrond ed Elros si trovavano nel cortile della fortezza dove vivevano.
Era una giornata fredda, ma dopo un’intera settimana di pioggia trascorsa al chiuso, i gemelli non avevano esitato ad afferrare i loro mantelli sfilacciati e ad uscire all’aria aperta. Tanto più che le mura che li circondavano – per quanto lugubri e opprimenti – offrivano loro un certo riparo dal vento sferzante.
I due bambini avevano trovato un paio di ramoscelli, e avevano iniziato a giocare utilizzandoli a mo’ di spade. Ad un certo punto, però, mentre parava l’attacco del fratello, Elrond si sentì mancare un respiro. Per un istante, gli parve di vedere delle armi vere, con lame brillanti di sangue.
Balzò all’indietro sotto lo sguardo stupefatto di Elros, e gettò via il ramoscello come se si fosse scottato.
«Basta» si affrettò a dire. «Non voglio più giocare».
Elros restò a bocca aperta. «Perché?»
«Mi sono solo stancato» sostenne Elrond, il cuore che gli martellava in petto. «E poi guarda, ci stiamo sporcando tutte le mani».
Non era una bugia, tecnicamente: i ramoscelli umidi avevano lasciato loro una bella collezione di macchie marroni. Elros si sfregò il palmo per cancellarle, ma la piega delle sue labbra rivelava che non era molto persuaso dalla spiegazione fornita dal fratello.
Per il sollievo di Elrond, però, non insistette, guardandosi invece attorno alla ricerca di qualcos’altro da fare. S’incamminò verso il muro più vicino, ed Elrond lo seguì automaticamente.
«Secondo te» chiese Elros, allungando una mano per toccare la pietra fredda, «quanto sono alte?»
Elrond lo guardò con aria critica, segretamente lieto di quella distrazione. «Almeno cinque volte te di sicuro».
«E quanto lunghe?» incalzò suo fratello. «Quanti passi ci vogliono per fare tutto il giro?»
Elrond non rispose, perché non lo sapeva. Una volta, lui ed Elros avevano conosciuto a memoria ogni stanza, ogni corridoio, ogni scalinata della loro dimora sulle bocche del Sirion. Avrebbero saputo percorrere la loro casa ad occhi chiusi senza mai mettere un piede in fallo.
Questa fortezza, invece, era ancora un mistero sotto molti aspetti… e onestamente Elrond non era sicuro di volerla conoscere meglio. Era… non era casa loro. Era solo una prigione.
Inspirando dal naso, il bambino si strofinò le braccia infreddolite, e in quel momento uno dei soldati al servizio dei Fëanoriani attraversò il cortile quasi di corsa.
Elros lo guardò passare con un certo interesse. «Sembrava agitato» commentò poi. Si girò verso Elrond. «Credi sia successo qualcosa?»
«Non lo so» borbottò lui in risposta.
Non sapeva cosa pensare. Possibile che Maglor e Maedhros fossero sotto attacco? Ripensò al lampo di lame che gli era parso di vedere, e sentì una fitta di panico. Per quanto pensasse che i Fëanoriani se lo sarebbero meritati, lui non voleva ritrovarsi nuovamente nel mezzo di una battaglia.
Un altro gruppetto arrivò nel cortile – due guardie, e un uomo che Elrond non conosceva. Indossava abiti pesanti, da viaggiatore, e sotto le sue spesse sopracciglia la sua espressione era tra il contrito e il polemico.
«Vi ripeto che ho istruzioni precise» stava dicendo, «devo parlare con uno di loro di persona».
Poi si accorse dei due gemelli in disparte intenti a fissarlo, ed aggrottò la fronte come se stesse cercando di capire chi erano. D’istinto, Elrond afferrò la mano di Elros per trattenerlo dall’avvicinarsi allo sconosciuto.
«Elrond! Elros!»
Al suono di quella voce secca, i due bambini si girarono di scatto. Affiancato dal suo soldato, Maedhros stava sopraggiungendo a grandi passi, vestito in tonalità di marrone e coi capelli rossicci in disordine sulle spalle. Senza fermarsi, rivolse ai gemelli un inequivocabile cenno del mento: via di qua.
Con gran sollievo di Elrond, anche Elros – per quanto fremente di curiosità – si guardò bene dal disobbedire, e corsero via entrambi. Fu solo quando furono all’interno della fortezza, a metà di una ripida scalinata, che Elros si fermò e riaprì bocca.
«Secondo te chi era quell’uomo?»
Elrond si fermò a sua volta, un piede sul gradino successivo. «Non ne ho idea».
Elros parve deluso, ma poi si guardò attorno e i suoi occhi si accesero. Spalancò le braccia come per comprendere tutta la scalinata.
«Questa montagna è altissima» dichiarò, «e noi saremo i primi a scalarla».
Elrond indugiò, titubante. Non era sicuro di aver voglia di tornare a giocare. Poi, però, Elros gli sorrise appena: «Sei invidioso perché sono sempre stato più bravo di te ad arrampicarmi?» ed Elrond si ritrovò a rispondere al sorriso, la fantasia che si metteva in moto.
Si abbassò, salendo di due gradini a quattro zampe e ribattendo: «Nei tuoi sogni, forse!»
Elros si affrettò a raggiungerlo con una mezza protesta, ma era chiaro che non poteva essere tutto così semplice: erano già quasi in cima alla scala, e il gioco sarebbe finito subito.
«Attenzione, una roccia!» gridò Elros, e insieme finsero di scivolare verso il basso.
Poi fu il turno di appigli che crollavano, del vento che li ostacolava, delle loro corde immaginarie che si spezzavano…
«Ti avevo detto che non sei capace di fare i nodi» disse Elrond in tono di rimprovero.
Elros gli fece la linguaccia. «Ma se sei stato tu ad annodare le corde!»
Elrond si finse pensoso, e si sbatté una mano sulla faccia. «Hai ragione».
Suo fratello rise, e il gioco continuò. Elrond si guardò bene dal dirlo ad alta voce, ma nella sua fantasia non stavano scalando quella montagna per mettersi alla prova o perché nessuno l’aveva mai fatto prima, lo stavano facendo per sfuggire ai Fëanoriani.
Poi Elros si sedette con decisione sul gradino più alto. «Ecco fatto» decretò. «Vetta raggiunta».
«Ce l’abbiamo fatta» convenne Elrond.
Rimasero in silenzio per un po’, lì in cima alla scalinata, fingendo di ammirare il panorama.
«Scommetto che Maglor lo sa» disse Elros, improvvisamente. «Chi è quell’uomo, intendo».
Elrond sentì il proprio stomaco che si contraeva. Aveva sperato che quell’argomento fosse ormai chiuso. «Può essere».
Elros fu subito in piedi. «Andiamo a chiederglielo».
D’istinto, Elrond si strinse le ginocchia al petto e scosse la testa. «No».
«Ma io voglio saperlo».
Elrond non si mosse. «Meno parliamo con loro meglio è».
Per un lungo istante, Elros rimase fermo a fissarlo. «D’accordo» disse infine. «Tu puoi restare qui, io vado».
Si mise in marcia con passo deciso, ed Elrond lo chiamò: «Elros!»
«Ci metto poco!» assicurò Elros, senza girarsi o rallentare.
Elrond indugiò, morsicandosi nervosamente le labbra. Per quanto non gli piacesse l’idea di andare a cercare Maglor, che il suo gemello ci andasse da solo gli piaceva ancora meno. Così respirò forte, frustrato, e balzò in piedi, lanciandosi al suo inseguimento.
«Ti ho detto che potevi restare lì» disse Elros quando lui lo affiancò.
Elrond scosse la testa senza guardarlo. «Vengo con te».
Insieme, svoltarono in un corridoio fiocamente illuminato. Dalle impronte sul muro si poteva vedere dove un tempo erano stati appesi alcuni arazzi variopinti, che erano poi stati barattati in cambio di cibo o abiti. Anche nella camera dove dormivano loro si potevano distinguere ombre simili, così come in molti altri angoli della fortezza.
Maglor, scoprirono i gemelli, non era nella sua stanza, ma avvicinandosi al suo studio sentirono la sua voce e quella di Maedhros.
«Stanno discutendo» bisbigliò Elrond nervosamente. «Andiamo via».
Elros, però, non gli diede retta e avanzò verso la porta chiusa. Pensando che suo fratello avrebbe meritato un bel calcio negli stinchi, Elrond lo seguì, e la prima frase che distinse fu nella voce amara di Maedhros.
«Davvero ti stupisce?»
La risposta di Maglor non si fece attendere. «No, ma il tempismo è pessimo».
«Non c’è bisogno che me lo dica tu» – di nuovo Maedhros, irritato.
Elros posò cautamente un orecchio contro la porta ed Elrond si ritrovò ad imitarlo: se doveva proprio origliare quella conversazione, tanto valeva farlo per bene.
«Dobbiamo riempire le nostre dispense» disse la voce di Maglor, e sembrava che stesse camminando avanti e indietro. «Organizzare battute di caccia più frequenti».
La risposta di Maedhros fu asciutta e poco ottimista: «Dubito che si trovi molto in questa stagione».
«Turco direbbe…»
Maglor venne interrotto da un colpo secco che fece sobbalzare entrambi i gemelli, ed Elrond scambiò con Elros uno sguardo ad occhi sgranati.
Ci fu un momento di silenzio, poi Maglor riprese parola come se nulla fosse: «Potremmo vendere uno dei cavalli».
Sembrava perfettamente calmo. Contro ogni sua aspettativa, Elrond provò un certo sollievo a sentirlo così. Non era sicuro di cosa fosse successo ma per un istante aveva temuto che Maedhros lo avesse colpito, anche se effettivamente il suono era stato più di una mano sbattuta contro uno scrittoio che di un pugno o uno schiaffo.
«Possiamo provare a vendere anche questa fortezza» ritorse Maedhros, la voce acre e vibrante, «il problema è trovare qualcuno ancora disposto a fare affari con noi. E quel paio di cavalli che abbiamo forse sarebbe meglio tenerlo».
Quindi era questo il problema? Non potevano più fare affari con altra gente? Comprare cibo, abiti, altre necessità?
«Per ora il cibo non ci manca» arrivò la voce di Maglor, quasi sapesse che Elrond era lì fuori ad ascoltare e volesse confortarlo.
«Dici bene: per ora. Ma sarà meglio iniziare a razionarlo con più rigore».
«Elrond ed Elros…»
Elrond si ritrovò a trattenere il respiro. C’era qualcosa, nella voce di Maglor…
«Continueranno a ricevere la stessa quantità di cibo».
Elrond ed Elros si fissarono, ed Elrond vide la propria sorpresa riflessa sul viso del gemello. A quanto pareva, persino Elros si sarebbe aspettato che Maedhros insistesse che dovevano digiunare come tutti gli altri.
«Nelyo…»
«Stanno ancora crescendo» tagliò corto Maedhros, bruscamente. «L’ultima cosa che ci serve è che si ammalino perché malnutriti».
Seguì un momento di silenzio, poi Maglor disse qualcosa in una lingua sconosciuta. Elrond drizzò le orecchie, intrigato proprio malgrado. Un nuovo linguaggio era qualcosa che forse avrebbe imparato volentieri persino dai Fëanoriani.
Nonostante non capisse le parole, però, era abbastanza certo che la conversazione tra Maglor e Maedhros fosse ormai giunta al termine. Era sicuro che presto sarebbero usciti dallo studio, e l’ultima cosa che voleva era che li trovassero intenti ad origliare.
Non ebbe bisogno di strattonare via suo fratello; Elros sembrava essersi fatto la stessa idea e si staccò dalla porta di sua iniziativa.
Insieme, ben attenti a non far rumore, si allontanarono, dirigendosi verso la loro stanza.
«Allora quell’uomo…» bisbigliò Elros. «Quell’uomo è venuto a dire che non vuole fare più affari con loro?»
Elrond emise un mormorio di assenso. «Credo che quello che abbiamo visto fosse un messaggero. Però sì, il contenuto del suo messaggio sembrava quello».
Si sentiva scosso. Si sarebbe aspettato che in una situazione simile lui ed Elros sarebbero stati i primi ad essere sacrificati, che i figli di Fëanor avrebbero iniziato subito a nutrirli con tozzi di pan secco e acqua fredda… ma da quello che avevano sentito non sembrava affatto così.
E non riusciva a togliersi dalla testa il modo in cui Maglor aveva detto i loro nomi. Come se fossero importanti. Come se ci tenesse.
Elros fece per imboccare un corridoio ed Elrond lo fermò istintivamente, accennando ad una scalinata alla loro destra. «Per di là» gli disse, «la strada è più breve».
Forse stava iniziando a conoscere questa fortezza, dopotutto. Forse era meno terribile di quanto si fosse immaginato.
  
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