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Autore: _Lightning_    24/12/2020    3 recensioni
Una parte di lui è ancora, ferocemente, Mandaloriana [...] È custodita in una mano tesa verso qualcuno che non ha più nulla al mondo, per fargli capire che esiste ancora una Via. E non sa se stia pensando a se stesso da bambino, a Grogu, a Cara, o a ciò che è diventato lui adesso. Sa solo che quelle fiammelle tremolano ancora nella sua armatura, riuscendo a non renderla un involucro vuoto, e che la sua mano è ora stretta attorno a una pallina argentata che è riuscita a racchiudere tutto il suo mondo.
[The Mandalorian // What if? (post-S2) // Avventura // Introspettivo // Din&Cara // Din&Grogu // Mand'alor!Din]
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Luke Skywalker, Yoda
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
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©Lightning
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Prologo

Promesse in sospeso




 


Il motore della Slave I ha una frequenza irritante che gli fa vibrare i timpani.

Quella è l’unica osservazione di senso compiuto che continua a ronzargli nitidamente in testa. L’iperspazio sfreccia al di fuori del permaglass in striature bluastre e psichedeliche, un po’ come i suoi pensieri. Solo che la nave si lascia alle spalle migliaia di anni luce con ogni singola variazione di blu che attraversa, mentre lui rimane bloccato nello stesso, singolo istante. Sente ancora l’impronta indelebile di tre piccole dita impressa sul mento, quasi l
avessero marchiato a fuoco. Oltre la pelle, in modo indolore.

Ci rivedremo. Promesso.

Ciò che ha detto gli riverbera nell
anima, sotto al beskar. Ogni parola pronunciata da un Mandaloriano è legge, lastrica la Via sulla quale si posano i suoi passi. Lui non ha più una Via, ma sente comunque sotto ai piedi i vuoti lasciati da quella promessa che non può davvero mantenere, come pietre d’inciampo incrinate.

Non gli ha nemmeno ridato la pallina argentata. La stringe nel palmo e la fa rotolare tra le dita come se, attraverso quel movimento ipnotico, potesse stabilire un qualche tipo di connessione con Grogu. E forse lui, coi suoi poteri, riesce anche a sentirla, a sentirlo. È un dialogo a senso unico. A lui non arriva nulla indietro, solo la fredda rotondità di quella sfera inerte. 

Eppure, non smette. Se c’è anche una sola possibilità che Grogu possa percepirlo, vale la pena crederci. Non ha idea di come funzioni la Forza, e forse questo è un vantaggio. Almeno può illudersi, senza nessuna razionalità e conoscenza certa che possa riportarlo coi piedi per terra – sulla sua Via dissestata. Stringe la pallina nel palmo, espirando piano dal naso.

Sente di sapere così poco. L’elmo gli preme tra le caviglie, dove l’ha incastrato da ore. L’elsa della Darksaber è un peso estraneo al suo fianco, accanto al blaster. L’assenza del ciondolo col mitosauro al collo si fa sentire per la prima volta da mesi. La corazza è scomoda, ha degli spigoli che non ha mai notato che gli si piantano tra le ossa. E l’aria sembra premergli sul volto con una forza tangibile.

Sono miriadi di puntini e sensazioni che dovrebbe essere in grado di connettere e che invece rimangono a galleggiargli in testa, distanti come sistemi di pianeti indipendenti. La Via non riesce a raccordarli tutti. O ci riesce solo serpeggiando tra curve e anelli intricati, impossibili da percorrere. Grogu, il Credo, la Darksaber, se stesso. La Via non può diramarsi per raggiungere tutti – o forse può, e lui non lo sa. Sa così poco del Credo, del suo popolo, di quella Galassia che ha battuto palmo a palmo senza mai davvero vedere.

Socchiude d’un tratto gli occhi e viene strappato dal dormiveglia e da quel vortice di linee ingarbugliate, prima dai propri riflessi istintivi e poi dalla consapevolezza di cosa l’abbia riscosso. Un profumo leggermente speziato gli solletica le narici, e abbassa lo sguardo su una ciotola dal contenuto indefinito, ma commestibile. Muove impercettibilmente gli occhi, risalendo verso l’alto, lungo la mano e il braccio che gliela sta porgendo. Le bande nere verticali di un tatuaggio ben noto entrano nel suo campo visivo.

Si arresta lì sull'inchiostro inerte, evitando di arrivare a incontrare quello vivo degli occhi di Cara. Gli riesce difficile sostenere lo sguardo di chiunque, messo così a nudo, e si limita a fissare di nuovo la porzione di cibo che lei gli sta offrendo in silenzio.

«Non ho fame. Grazie,» aggiunge subito, a stemperare il suo tono brusco, dettato più dal lungo silenzio e dalle corde vocali ancora dolenti per la stretta del Darktrooper, che dal suo stato d’animo.

E non riesce a modulare al meglio la propria voce, senza una barriera in beskar a filtrarne le sfumature più intense. Deve abituarsi. Dovrà abituarsi.

Cara non si muove di un millimetro. «Da quanto non mangi?»

Din sente le proprie sopracciglia scattare verso l’alto in un moto di stizza e perplessità che non si è mai preoccupato di celare prma d'ora. Non lo sa, in effetti. Quel fatto lo irrita, lo fa sentire come se non fosse nel pieno controllo di se stesso. Non lo è, non del tutto. Ma avverte un lieve nodo all’altezza dello stomaco che si stringe al pensiero del cibo, e quello è un segnale che può leggere e interpretare facilmente, al contrario di quelli discordanti che si rincorrono nella sua testa.

Scioglie le braccia dalla morsa serrata sulla propria corazza e accetta la ciotola con un cenno impercettibile del capo, gli occhi ancora sfuggenti. Infila la pallina argentata al sicuro dietro al giustacuore. Sa che Cara nota quel gesto, ma non vuole davvero nasconderlo. Ci sono fin troppe cose che dovrebbe e non può nascondere, al momento. Sospira, senza il metallo ad amplificare quella sua reazione involontaria e connotata dai più disparati significati, per chi sa ascoltare. In quel momento è semplice, basilare rassegnazione.

Scopre di non doversi sforzare più di tanto, per mandar giù quello che sembra stufato di nerf e che ha però lo stesso sapore di segatura piccante. Odia le razioni liofilizzate, eppure finisce il tutto fino all’ultimo boccone, cercando di non pensare al fatto che è il primo pasto che consuma in pubblico da quando era poco più di un ragazzino. Mangia a capo chino, i gomiti puntellati sulle ginocchia, con qualche ciocca che scivola provvidenzialmente sulla fronte a mettergli in ombra gli occhi. È difficile estraniarsi, con la netta percezione degli sguardi di Bo-Katan e Koska che di tanto in tanto lo trafiggono dall’altro lato della stiva. Non quello di Cara, ora seduta accanto a lui e intenta a consumare la propria cena con lo sguardo puntato verso la paratia opposta, del tutto indifferente a lui, al suo volto, al suo elmo, e allo stesso tempo assolutamente attenta a ciascuna di queste cose.

Non parla, ma sa che una parte di lei sta aspettando che sia lui, a farlo. Non qui e non ora. Anche mai, ma la tacita offerta d’ascolto si tende tra loro, ben percepibile.

Din posa infine la ciotola vuota a terra, sentendo lo stomaco pieno, tiepido, e un pizzico di vigore in più in testa. Il suo lato pratico, pragmatico, di guerriero appena scampato illeso all’ennesima battaglia, registra quella sazietà e comunica al suo corpo che adesso sta bene. Che è il momento di coricarsi e riprendere le forze in vista della prossima battaglia. Solo che non sta affatto bene, e non sa nemmeno se ci sarà una prossima battaglia.

Ignora la sonnolenza che gli preme sulle palpebre e riprende a rigirarsi in mano la pallina, in quello che ha l’impressione diventerà un rito quotidiano. La stringe tra pollice e indice, ruotandola e intravedendo il minuscolo riflesso distorto sulla superficie lucida. Il proprio volto, quello che dovrà abituarsi a intravedere d’ora in poi. Sospira a labbra chiuse, racchiude la pallina nel palmo e poggia la nuca contro la parete metallica, sapendo di non poter più rimandare, ora che ha concluso la sua missione. Ora che Grogu è al sicuro.

Sa quale dovrebbe essere il prossimo passo della sua Via. Sarà anche l’ultimo.

Chiude infine gli occhi e incassa il mento sul petto, scoprendo che è una posizione di riposo molto scomoda, senza elmo. Il rombo vibrante ed estraneo della Slave I gli si insinua di nuovo nelle orecchie, troppo acuto, e gli sfugge un soffio esasperato dal naso. Rimane in bilico nel dormiveglia.

Gli servirebbe la vibrazione bassa e ronzante della Razor Crest, per riuscire davvero ad addormentarsi. Il tintinnio preoccupante e allo stesso tempo familiare di qualche piastra metallica fissata male. Lo sporadico gocciolio del tubo della doccia che non ha mai riparato. I cigolii improvvisi di cui non riusciva mai a identificare l’origine. Il respiro rapido, regolare e quasi impercettibile di Grogu sospeso sopra la sua testa, inframezzato da qualche richiamo assonnato, a cui rispondeva con mugugni altrettanto assonnati, o con una mano che si alzava a dondolare l’amaca in un gesto rassicurante, accompagnato da un mormorio musicale che gli saliva spontaneo alle labbra...

... ke nuhoy naakla, cyare ad’ika
Ke nuhoy uuryc, bat buir’gaid...*


Una lieve pressione sulla spalla straccia quel ricordo sovrapposto, con la sua voce persa in quella di chi gli ha insegnato la nenia decenni fa, e sobbalza così violentemente da sbattere quasi la testa contro la parete. Si volta di scatto con una mano già sul calcio del blaster, e il suo sguardo stralunato incrocia direttamente quello di Cara – per la prima volta da quando non ha più nulla a schermarlo. Rimane paralizzato, fisso nelle sue pupille, con un’ondata fredda ed elettrica che lo investe lungo i nervi come nella base imperiale. Paura, irrazionale, istintiva, nel sentirsi esposto e vulnerabile. 

Cara distoglie con prontezza gli occhi da lui, puntandoli invece verso la rampa della Slave. È aperta, Din lo nota solo ora, e non c’è traccia degli altri. Dank farrik, quanto ha dormito?

«Scusa, non volevo allarmarti,» dice Cara, per poi fare un cenno del mento verso l’esterno, dove si scorgono immense fabbriche che eruttano cumuli di fumo nero nell’aria tersa. «Siamo arrivati su Faeron**.»

Din annuisce, deglutendo a fatica mentre riprende il controllo dei propri muscoli, irrigiditi dal brusco risveglio. Allenta la presa dal calcio del blaster e ritorna a poggiare la schiena contro il sedile, serrando nuovamente le caviglie attorno all’elmo ai suoi piedi. Ha ancora la pallina stretta in mano, e la ripone sotto la corazza.

«Gli altri?» chiede, dopo essersi schiarito la voce.

Cara alza le spalle. «Alla Cantina. Bo-Katan voleva parlarti.»

Din si limita a inarcare le sopracciglia, lo sguardo appuntato sul soffitto. Ovvio.

«Le ho detto che non dormivi da due giorni e che c’è tutto il tempo della Galassia, per sistemare le sue faccende
,» continua, con palpabile irritazione e il sottinteso di averle risposto esattamente in quel modo non troppo accomodante. «Non penso che tu voglia scappare adesso con la Darksaber, no?»

Lui scuote piano la testa, per poi serrare gli occhi alla realizzazione di cosa porta appeso alla cintura alla stregua di una comune arma.

«Dank farrik,» mormora, attraverso un sospiro stremato. Vorrebbe gettare quella spada in un vulcano attivo su Nevarro.

«Già,» replica lei, tirando le labbra in una smorfia, ma intuisce che è solidale con lui. «Din?» lo chiama poi, e lui trattiene l’istinto di voltarsi nell’udire il proprio nome.

Non è abituato a sentirlo pronunciare, ma scopre di preferirlo al generico, inappropriato Mando di cui ha calzato i panni fino ad oggi. I suoi occhi scattano lateralmente verso di lei, in un movimento fugace e cauto – un invito a continuare, finché possono sfruttare quel momento di riservatezza lontano da orecchie esterne.

«So che non è quello che vuoi sentirti chiedere,» esordisce lei, con insolita reticenza che gli fa capire quanto davvero debba sembrare sull’orlo di un tracollo, al punto che qualsiasi parola potrebbe spingerlo oltre il bordo. Forse è così. «Ma cosa hai intenzione di fare, adesso?»

Din incrocia le braccia al petto, e la pallina va a premere in quella nicchia tra due costole appena sotto al cuore, dove probabilmente finirà per incastrarsi e fondersi. I lumicini della mappa stellare racchiusa nella sua testa ondeggiano, distanti e ancor più difficili da unire. Il punto, è che Din Djarin sa esattamente come rispondere a quella domanda. Conosce a memoria il percorso che gli si è avvitato in testa finora, tra sogno, realtà e dormiveglia. La sua missione è compiuta. Grogu è al sicuro – lontano da lui, così lontano che gli si sfilaccia l’anima – ma è al sicuro. Gideon è in una prigione della Nuova Repubblica e non potrà più fargli del male. E il Credo è in frantumi, sparpagliato ai suoi piedi, che hanno continuato a calpestarlo finché è stato necessario. E adesso non lo è più. Non ha più giustificazioni per continuare a indossare l
elmo e dichiararsi Mandaloriano.

C’è un unico passo che gli resta da compiere, adesso: trovare l’Armaiola e riconsegnare il beskar. E poi... non c’è un poi. Quella è la fine della Via. Bandito, spogliato dell’armatura, bollato come reietto tra le Tribù – e poco male che, per qualche folle scherzo del destino, lui sia ora il legittimo Mand’alor. Magari la sua scomunica risolverà anche quella diatriba e potrà sbarazzarsi di quella spada. Non lo sa. Sa a malapena cosa sia, un Mand
’alor – è una figura leggendaria nascosta tra le nebbie di antiche ballate, e il pensiero di incarnarlo lo fa sentire ancor più inadeguato, indegno com’è del semplice beskar che ha ancora attaccato addosso.

Abbassa lo sguardo sull’elmo, studiandone la superficie perfettamente lucida. Non può più indossarlo, questo gli è stato chiaro sin dal momento in cui l’ha tolto – per la seconda, forse terza volta. Deglutisce a vuoto. Quante volte ha infranto il Credo? Quante non se n’è pentito, sapendo che quella era la cosa giusta da fare per proteggere Grogu? 

Serra le labbra e si acciglia, con qualcosa che gli si agita nel petto, un movimento irrequieto che fa vibrare la pallina argentata all’unisono con la corazza che la racchiude e col cuore che vi batte contro. Sembra volergli rompere le costole per uscirgli fuori dal petto, liberarsi della doppia gabbia d’ossa e beskar. Prende un respiro profondo, sentendo quel nugolo di puntini incollegabili che si fonde in un
unica volontà, condensata al centro della sua testa nella forma indistruttibile di una pallina argentata non restituita, di una galassia non vista, di domande prive di risposta.

È una Via molto chiara, diritta e priva di bivi, quella che gli si è sempre dipanata davanti. Un tracciato univoco che ora va a perdersi nel vuoto. Eppure, la trasforma in un labirinto con mille uscite nel giro di poche, semplici parole:

«Prima di tutto, mi serve una nuova nave.»



 


 

Note:

*"Dormi sereno, bambino mio // dormi tranquillo sulla corazza di tuo/a padre/madre."
**Nome inventato per il pianeta ancora ignoto su cui vengono recuperate Bo-Katan e Koska.
 
Note dell’Autrice:

Ehm, sì. Sì, ho iniziato un’altra long. No, non me ne pento minimamente.
Se devo essere sincera, non so ancora dove mi porterà – o meglio, lo so, le tappe ci sono tutte, ma non so cosa accadrà lungo il cammino e la stesura.

Diciamo che era l’anello mancante che sentivo di dover aggiungere: Vode An vede un Din ancora stabile, fermo nel suo Credo e nei suoi legami; Quando guardi l’Abisso lo pone in una situazione traumatica in cui queste certezze vengono meno contro la sua volontà. Qui, invece, voglio seguire il canone e affrontare Din nel momento in cui ha rinunciato a tutto ciò di propria sponte. Aspettatevi di tutto, insomma, questo era solo il prologo... come avrete notato dall'introduzione, le cose andranno a complicarsi e non mi prendo responsabilità delle azioni di Din. Ah, e non è un caso che abbia scelto di mostrarlo senza elmo nel banner ;) 

Bon, vi lascio a elucubrare (?) su questo ennesimo parto della mia mente, e come sempre ogni feedback è gradito :’)
Buone Feste a tutti, e alla prossima!

-Light-


P.S. a ninna nanna in Mando’a che avete letto nel capitolo è scritta di mio pugno sulla base di una realmente esistente in gallese, Suo Gân. Qualcuno di voi potrebbe conoscerla per via del film L’Impero del Sole, che mi è sempre rimasto nel cuore e che ho voluto omaggiare in questo modo un po’ strambo. Tradotto: ho raggiunto un nuovo livello di nerdaggine linguistica e non me ne pento.
 
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti, o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.
Questa storia è scritta senza scopo di lucro.


©_Lightning_

©LucasFilm
 
   
 
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