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Autore: Ode To Joy    25/12/2020    3 recensioni
“Hai un figlio.”
“Sì, ne sono consapevole,” replicò Dazai, divertito.
Ryuunosuke decise di non esitare o l’altro se ne sarebbe approfittato in qualche modo. “Non è un segreto facile da gestire, nemmeno per te. “Chi è il padre di quel bambino?” Scandì ogni parola, così da non doversi ripetere.
Dazai parve soddisfatto. “Già, il coraggio non ti è mai mancato… E nemmeno la sfrontatezza. Facciamo così: scopri chi è il padre di mio figlio e io farò di te un detective di questa agenzia.
[Akutagawa x Atsushi]
[Accenni Trans!Dazai] -
-Calendario dell’Avvento 2020 di Fanwriter.it
-
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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Alle Ziones del mio bambino.
Una dedica non basta a ringraziarvi
per tutto l'amore.
Menzione speciale a Mini, 
senza cui questa storia non avrebbe avuto 

una battuta finale.



 

As pure as the driven snow



-In un giorno di neve-
 

Quando l’inverno decideva di arrivare a Yokohama, lo faceva con l’impetuosità delle correnti oceaniche. Non dava a nessuno il tempo di prepararsi: l’acquazzone autunnale di un giorno si tramutava in una bufera di neve quello dopo. La maggior parte delle volte, il peggio passava in fretta e si lasciava alle spalle un manto bianco, che donava alla città quel tocco di poesia a cui gli scuri grattacieli e le luci artificiali non contribuivano molto.

Ryuunosuke non si curava di quel genere di bellezza. Per gran parte della sua giovane vita, l’inverno era stato sinonimo di morte precoce. Nel peggiore dei casi per fame o per qualche malattia curabile in ogni parte della città, ma non nell’inferno in cui era cresciuto. Oppure, quando la nera mietitrice decideva di essere magnanima, arrivava nel sonno e prendeva i bambini tra le sue braccia come una madre misericordiosa.

Ryuunosuke non aveva mai provato tristezza per quelle perdite: non vi era altra via di uscita dall’abisso che li aveva ingoiati fin dalla tenera età. Quel pensiero, tuttavia, non lo aveva mai persuaso a piegare la testa e lasciarsi morire.

Si era trascinato in quell’esistenza miserabile fino a che una creatura oscura quanto lui - o forse di più - non gli aveva teso una mano e lo aveva tirato fuori dall’abisso, per condurlo in un mondo altrettanto buio, ma in cui non era più miserabile.

Anche alla fine di quella notte era sorto il sole.

“Giuro che farò il più in fretta possibile!” La voce di Atsushi era costernata, come se l’aver lasciato l’ufficio per seguire un caso - e lasciandolo solo a svolgere l’ingrato compito affidato loro da Dazai - fosse una sua colpa.

Ryuunosuke alzò gli occhi al cielo. “Jinko, non mi hai abbandonato in mani nemiche a farmi smembrare,” replicò, calmo, con il cellulare premuto tra l’orecchio e la spalla, per premere il pulsante di chiamata dell’ascensore con la mancina. La destra era ben stretta tra le piccole dita dell’ingrato compito in questione.

“Sta bene?” Domandò Atsushi con premura, dall’altro capo della linea.

Sebbene la risposta fosse ovvia, Ryuunosuke abbassò lo sguardo per assicurarsi che fosse tutto come doveva essere, ma gli occhi blu del piccolo demonio in sua custodia bloccarono ogni sua replica sul nascere.

“Volevo chiamarlo io, l’ascensore!” Esclamò il bambino indignato, stringendo ancor di più la sua mano, tanto per sottolineare l’impetuosità del capriccio in arrivo.

“Sta benissimo,” rispose Ryuunosuke, sibilando ogni sillaba con un’accuratezza che Atsushi non poté ignorare.

“Giuro che farò in fretta!” Ripeté.

Non era lui che doveva scapicollarsi per tornare, pensò Ryuunosuke, ma Dazai.

“Sopravviveremo,” concluse Ryuunosuke. Un secondo dopo, le porte dell’ascensore si aprirono e il bambino lasciò la sua mano per entrare trotterellando.

“Oh, lui sicuro!” Affermò Atsushi con convinzione. “È per te che sono preoccupato, Ryuu!”

Se sono sopravvissuto a un Dazai adulto, pensò Ryuunosuke, posso cavarmela con uno in miniatura. “Se fino a ora non mi hai fatto ammazzare tu…” Disse, invece.

Anche se avergli fatto lasciare la Port Mafia, tradendo tutte le personalità più pericolose del paese, ci andava pericolosamente vicino.

Atsushi cambiò immediatamente tono. “Vai al diavolo!”

Almeno aveva messo da parte l’ansia.

“Ci vediamo più tardi,” tagliò corto Ryuunosuke, seguendo il bambino nell’ascensore.

“Ryuu, mi raccomando, stai atten-“

L’ex mastino della Port Mafia interruppe la conversazione prima che il suo partner finisse di parlare e ripose il cellulare nella tasca del cappotto nero.

“Ryuu, faccio io!” Esclamò felice il bambino, sollevandosi sulle punte dei piedi per arrivare ai tasti dell’ascensore.

“Aspetta, Saku.” Ryuunosuke afferrò il piccolo sotto le braccia e lo sollevò. “Premi lo zero.”

Saku lo fece ancor prima che glielo dicesse e Ryuunosuke lo lasciò andare.

“Era Atsushi?” Domandò il bimbo, con un gran sorriso.

“Sì.”

“Quando torna?”

Era solo la milionesima volta che lo chiedeva dall’inizio della giornata. “Tra un po’...” Rispose Ryuunosuke distrattamente, mentre quell’ascensore sgangherato sobbalzava.

Saku s’imbronciò. “Lo hai detto anche prima.”

“E allora smetti di chiederlo.” Ryuunosuke fissò il bambino dritto negli occhi, minaccioso.

Saku fece spallucce, per nulla impressionato. “E quando torna Osamu?”

Mai troppo presto, era la risposta giusta.

Quella domanda era il ritornello che accompagnava le giornate di Ryuunosuke e Atsushi da almeno una settimana.

“È il tuo lavoro badare a Saku-chan,” aveva detto Dazai cinguettando. “E sei straordinariamente bravo a farlo. Così tanto, che sono sorpreso anche io.”

Ryuunosuke storse la bocca al ricordo di quelle parole.

“Dovrai solo fare qualche ora di straordinario e Atsushi sarà con te tutto il tempo, sarete adorabili!”

Peccato che Atsushi dovesse presenziare per un lavoro dalla parte opposta della città, nel pieno di una bufera di neve. Lo scemo continuava a dire che avrebbe fatto presto e Ryuunosuke sapeva che non si sarebbero visti prima di cena.

“Doppo non mi fa mai prendere l’ascensore.” La voce di Saku lo riportò alla realtà.

Ryuunosuke non gli chiese perché, sapeva che lo avrebbe scoperto comunque.

“Dice che fare le scale mi tiene attivo e che non devo assolutamente diventare come Osamu.”

Peccato che Kunikida non fosse lì. Ryuunosuke gli avrebbe volentieri riso in faccia. “Troppo tardi…” Mormorò tra sé e sé.

Saku lo guardò confuso, ma non chiese nulla. Le porte scorrevoli si aprirono.

Ryuunosuke gli prese la piccola mano e lo guidò fuori dell’ascensore.
 






-Prima che cadesse la neve-

 
“Credevo lo sapessi!” Atsushi lo disse come se fosse una cosa da poco, attraversando l’ufficio con una decina di cartelle strette tra le braccia.

Ryuunosuke lo seguì fino al piccolo archivio nell’angolo, guardandolo in cagnesco.

“E non fissarmi in quel modo!” Aggiunse la Tigre Mannara, cercando un modo per aprire il primo cassetto in alto e reggere le cartelle contemporaneamente.

Annoiato da tutta quella goffaggine, Ryuunosuke lo liberò dal peso per depositarlo sopra l’archivio, preoccupandosi di rendere l’impatto della carta contro la superficie del mobile il più rumoroso possibile.

Atsushi alzò gli occhi al cielo, arrendendosi al fatto che quelle iridi di acciaio non avrebbero smesso di trafiggerlo, fino a che non avrebbe dato loro tutta la sua attenzione.

“Che cosa c’è?”

Erano rimasti soli in ufficio, dopo che Saku aveva detto di volere una cioccolata calda e Dazai aveva acconsentito immediatamente, provocando le violente obiezioni di Kunikida. Attraverso un confusionario processo che Ryuunosuke aveva osservato in silenzio senza capirlo, erano andati tutti e tre al piano di sotto a fare merenda, lasciandoli soli a pensare alle scartoffie.

“Tu lo sapevi,” disse Ryuunosuke, accusatorio.

“Sì e non è mai stato un segreto per me!” Esclamò Atsushi, esasperato. “Lo conosci da più tempo e credevo che per te fosse lo stesso,” concluse, cominciando a riporre le cartelle in ordine alfabetico.

“L’ho incontrato prima di te,” lo corresse l’ex mafioso, con una nota di amarezza. “Conoscere qualcuno è tutt’altra faccenda.”

Atsushi sospirò. “Se la metti su questo piano, nessuno conosce davvero Dazai.”

Ryuunosuke assottigliò gli occhi e lo guardò sospettoso. Atsushi smise di fare quello che stava facendo per rispondere al suo sguardo: “che cosa c’è?” Domandò di nuovo.

“Non mi stai dicendo tutto.”

Atsushi alzò gli occhi al cielo, pentendosi di tutte le scelte di vita che lo avevano portato fino a lì. O meglio, che avevano portato Ryuunosuke lì. Perché, come Dazai ci teneva a ripetere di tanto in tanto, l’oscuro Akutagawa aveva abbandonato il dominio notturno della Port Mafia per lui, solo lui.

E Atsushi ne era felice.

“Ryuu, se hai delle domande, falle direttamente a Dazai!” Ad Atsushi piaceva essere discreto - preferibilmente invisibile - e parlare degli affari privati di Dazai era un po’ come scavarsi la fossa da solo. A quella ragionevole proposta, Ryuunosuke inarcò le sopracciglia, come se gli fosse stata detta la peggiore delle sciocchezze. Atsushi era a tanto così dal dargli uno dei fascicoli in testa: “dovrete parlare, prima o poi, Ryuu.”

“Parliamo già.”

“Intendo, parlare davvero,” sottolineò Atsushi, tornando a sistemare le cartelle. “Non limitarvi alle frasi di cortesia.”

Era facile per la Tigre Mannare dire una cosa del genere, quando aveva solo intuito il genere di passato che condividevano Ryuunosuke e Dazai. Quello che Atsushi sapeva - o che credeva di sapere - era solo la bozza di un disegno ben più complesso, dalle sfumature troppo scure perché potesse piacergli.

A Ryuunosuke andava bene così e sapeva che a Dazai faceva comodo il suo silenzio.

“Quanti anni ha?” Domandò, per tornare al punto della questione.

“Chi?”

“Il bambino.”

“Ne compirà tre questo inverno,” disse una terza voce, che attirò l’attenzione di entrambi verso la porta dell’ufficio.

Dazai li guardava con un sorrisetto che non preannunciava nulla di buono. Atsushi richiuse cassetto dell’archivio molto lentamente, assicurandosi di fulminare il partner con lo sguardo per tutto il tempo. Ryuunosuke lo ignorò deliberatamente.

“Dazai, ci disp-“

“Non hai motivo di scusarti, Atsushi.”

Ogni volta che il suo vecchio mentore dimostrava tanta gentilezza nei confronti della Tigra Mannara, Ryuunosuke sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa dolorosa. Non era la gelosia nei confronti di Atsushi a fargli quell’effetto, non più, ma un risentimento figlio dell’incomprensione. Atsushi aveva ragione: nessuno conosceva davvero Dazai Osamu, ma questo non impediva a chi gli stava intorno di dimenarsi disperatamente nelle ragnatele da lui stesso tessute. E tutto nella vana speranza di sfiorarlo.

“Atsushi, potresti scendere di sotto in caffetteria? Si tratta di Saku.”

Ryuunosuke percepì la tensione di Atsushi. “È accaduto qualcosa?”

Dazai ridacchiò. “Nulla di grave. Kunikida si stava lamentando della presenza di Ryuu tra di noi, definendola un insulto a tutti i suoi principi.”

Il diretto interessato accettò quella notizia con una smorfia annoiata.

“Saku ha preso le sue difese e ha detto qualcosa riguardo il vostro imminente matrimonio.”

Ryuunosuke non sapeva se furono più ridicole quelle parole e l’entusiasmo con cui Dazai le pronunciò. Poi Atsushi avvampò, togliendogli ogni dubbio.

Stupido Jinko.

“Ora Kunikida sta urlando di come Saku stia crescendo senza principi e altre cose, che non ho ascoltato ma di cui, stranamente, mi ritiene responsabile. Ci pensi tu?”

Atsushi era fuori dall’ufficio ancor prima che Dazai avesse finito di parlare. Ryuunosuke non fece nulla per trattenerlo, si limitò a dargli mentalmente dell’idiota e lasciò che il suo vecchio mentore lo costringesse in un angolo. Suo malgrado, aveva imparato a riconoscere un attacco di Dazai Osamu, quando ne sferrava uno, e sapeva quanto fosse inutile opporre resistenza.

“Atsushi ha un potere calmante su Kunikida e Saku lo adora. Inoltre, la signorina Montgomery sembrava piuttosto sconvolta, sai dirmi il perché?”

“Non t’interessa davvero.” Il fatto che Ryuunosuke avesse intuito il gioco, non significava che lo avrebbe assecondato.

Contro ogni sua aspettativa, Dazai continuò a sorridergli gentilmente. “Da quando hai varcato la porta dell’Agenzia e hai conosciuto Saku, il rumore dei tuoi pensieri si è fatto assordante. Non amo la confusione, a meno che non sia opera mia. Atsushi può fare ben poco per soddisfare la tua curiosità, perciò…” Dazai allargò le braccia, come per invitarlo a farsi avanti e, al contempo, rassicurarlo che non aveva nulla da temere. Ryuunosuke non era un ingenuo e valutò attentamente la sua prossima mossa, ma sapeva che non c’era modo di non affrontare la questione senza un testa a testa di qualche tipo.

Si spostò al centro della stanza, guardando il suo vecchio mentore dritto negli occhi. “Hai un figlio.”

“Sì, ne sono consapevole,” replicò Dazai, divertito.

Ryuunosuke decise di non esitare o l’altro se ne sarebbe approfittato in qualche modo. “Come?” Aggiunse velocemente.

“Hai vent’anni e devo realmente spiegarti che l’identità di genere e il sesso biologico non sono-“

“Intendevo dire-”

“Lo so cosa intendevi, Ryuu.”

Prima di riprendere la parola, Ryuunosuke contò fino a dieci. “Non è un segreto facile da gestire, nemmeno per te.”

“E chi ti dice che lo sia?”

Ryuunosuke aggrottò la fronte, ma Dazai non gli diede il tempo di approfondire la questione: “perché non mi chiedi quello che vuoi veramente sapere?”

“È lui?”

“Temo dovrai essere più chiaro di così, Ryuu.”

“Quel bambino è la ragione per cui ci hai tradit-?”

“Ah-Ah!” Dazai sollevò l’indice in direzione del più giovane, come se stesse rimproverando uno scolaro distratto. “Non sei più nella posizione per definirmi un traditore.”

Ryuunosuke strinse le labbra, conscio di non poter ribattere. “Lo hai fatto per lui?”

Dazai sospirò, scocciato. “Ti stressa tanto chiamarlo per nome? Ha un significato speciale, ci tengo. E mi vuoi spiegare perché va ancora avanti questa ossessione per la ragione che mi ha spinto a lasciare la Port Mafia?”

“Tu eri la Port Mafia,” affermò Ryuunosuke. “Nessuno aveva il coraggio di dirlo, ma era la realtà dei fatti. In molti si aspettavano una successione in breve tempo.”

Il sorriso di Dazai divenne un ghigno. “Le voci che mi descrivevano come il futuro assassino di Mori sono state oggetto di molte battute infelici, specie durante i miei ultimi mesi alla Mafia.”

“Per due anni tutti hanno pensato che fossi morto, che il Boss si fosse liberato di te per paura.”

Dazai inarcò un sopracciglio, incuriosito. “Questo non lo sapevo. E tu?” Domandò. “Tu cosa pensavi, Ryuu?”

“Non ti è mai interessato quel genere di potere e il Boss ti conosce bene. No, te ne dovevi essere andato per tua scelta, era la ragione che mi sfuggiva… Così ti ho cercato.”

“Davvero?”

“Quando si vociferava del ritorno di quel terrorista, l’Azure King.”

Dazai annuì. “Quando ti sei scontrato con Kunikida. Non te lo ha ancora perdonato, sai? Ti ha quasi sconfitto e d’allora desidera tanto una rivincita.”

Ryuunosuke aprì la bocca per dire la sua a proposito di quella quasi sconfitta, ma non perse di vista il vero motivo per cui erano lì a parlare e non lasciò che una frecciatina al suo orgoglio lo distraesse.

“Chi è?” Domandò.

Il sorriso di Dazai si fece provocatorio: aveva intuito facilmente il soggetto taciuto di quel quesito, ma non avrebbe mai concesso al suo primo pupillo d’imboccare una strada semplice. “Se vuoi saperlo, devi chiedermelo, Ryuu.”

“Chi è il padre di quel bambino?” Ryuunosuke scandì ogni parola, così da non doversi ripetere.

Dazai parve soddisfatto. “Già, il coraggio non ti è mai mancato… E nemmeno la sfrontatezza.”

L’Akutagawa Ryuunosuke sedicenne forse avrebbe abbassato lo sguardo a quelle parole. Il giovane uomo di vent’anni non era ancora immune al potere soggiogante di Dazai, ma era stufo di vivere nella sua ombra. “Siamo qui per parlare di questo,” disse con tono incolore e sguardo gelido. “E qualunque sia la verità, hai sentito la necessità di mandare Atsushi fuori dai piedi.”

Dazai infilò le mani nelle tasche del cappotto. “Per Atsushi, la verità non farebbe alcuna differenza.”

“E per me sì?”

“Diciamo che ho le mie ragioni per crederlo…”

Ryuunosuke non replicò, rimase in silenzio, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare. Quando fu chiaro che Dazai non aveva nulla d’aggiungere, ruppe il silenzio. “Allora?”

“Allora cosa?”

Ryuunosuke fece per rispondere spazientito e poi capì. Strinse le labbra per un istante e accettò il suo triste destino. “Che cosa devo fare?”

Dazai rise. Per un attimo, sembrò essere tornato il giovane demone che aveva reso di nuovo grande la Port Mafia, prima di essere investito dalla luce. “Santo cielo, Ryuu, non ti sto conducendo al patibolo. Avanti, fammi un sorriso. Sono sicuro che ad Atsushi piaceresti di più, se fossi più allegro.”

Il suo vecchio mentore si avvicinò pericolosamente, ma Ryuunosuke fu veloce ad allontanarsi, prima che riuscisse a tirargli le guance nella parodia di un sorriso. Dazai lo guardò divertito ma lo risparmiò da ulteriori torture. “Il Presidente ti ha già detto che cosa devi fare per divenire ufficialmente un detective dell’Agenzia?”

“Ha parlato di un esame di ammissione da concordare con te.”

Gli occhi scuri di Dazai s’illuminarono. “Molto bene. Penso di aver preso una decisione.”

Ryuunosuke si mise sull’attenti, pronto ad accettare qualsiasi prova l’altro avesse ideato per lui.

“Che ne dici di prenderti cura di Saku?”

Ryuunosuke sbatté le palpebre un paio di volte. “Prego?”

“Ma sì!” Esclamò Dazai, entusiasta. “A Saku sei piaciuto subito e lui stravede per Atsushi. È un successo annunciato!”

“Vuoi che sia la balia di tuo figlio?”

“Più un fratello maggiore,” lo corresse Dazai, tamburellando l’indice contro il mento, come se stesse pensando ad alta voce. “Sì, suona più carino!”

“Questo non dimostrerà in alcun modo la mia forza all’Agenzia!”

“Ancora con questa storia?” Dazai sbuffò. “La forza distruttiva qui non è un requisito necessario.”

“E cosa lo è?”

“La capacità di arrivare alla verità. Scopri l’identità del padre di Saku e diverrai ufficialmente un detective di questa agenzia.”

Ryuunosuke aveva molto da dire a riguardo e una gran voglia di farlo urlando, ma il piccolo Saku aprì la porta dell’ufficio e non gli diede l’occasione.

“Osamu, Doppo mi urla!” Esclamò il bambino, correndo dal genitore, seguito a ruota da Atsushi.

Dazai fu svelto a prenderlo in braccio. “Oh, povero Saku-chan. Kunikida è così severo con te!”

“È intervenuta Yosano,” disse la Tigre Mannara, stancamente. “Hanno ordinato dell’alcol. Non finirà bene.”

Ryuunosuke dubitava che potesse andare peggio che a lui. Dazai non perse tempo a rendere Atsushi partecipe della novità. “Ho una sorpresa per te, Saku-chan,” cinguettò, sfiorando il naso del bambino con il proprio. “Da domani, Ryuu ti farà da fratello maggiore e starà con te, quando io e Atsushi dobbiamo lavorare. Così non ti annoierai ad ascoltare le cose da grandi!”

Alla notizia, Atsushi rimase al centro della stanza, pietrificato. Gli occhi multicolore si spostarono in panico da Dazai a Ryuunosuke, poi tornarono a Dazai.

“Ehm… Da-Dazai…”

“Evviva!” Saku sollevò le braccia, trionfante, poi si rivolse al giovane che era appena stato nominato suo fratello maggiore. “Posso chiamarti fratellone?”

“Assolutamente no,” rispose Ryuunosuke, minaccioso.

Atsushi lo guardò storto, ricordandogli tacitamente che stava parlando con un bambino.

Dazai mise su il broncio. “Saku-chan, penso che il nostro Ryuu abbia bisogno di un abbraccio.”

“Neanche per sogno,” sibilò Ryuunosuke, rifiutandosi categoricamente di ubbidire al più ridicolo degli ordini. Ma Saku era già corso da lui per stringergli le piccole braccia intorno alla vita. L’ex mastino della Port Mafia dovette compiere uno sforzo mentale per impedire all’istinto di scatenare Rashomon e lanciare il moccioso fuori dalla finestra. Gelò, le braccia sospese a mezz’aria e la spiacevole sensazione di non sapere cosa fare. Non era nuovo a quel genere di contatto fisico: sua sorella si era stretta a lui innumerevoli volte nelle notti d’inverno, per paura che il freddo lo uccidesse prima del mattino; e Atsushi si era preso la libertà di abbracciarlo qualche volta. In entrambi i casi, c’era una lunga storia a rendere quelle due persone le eccezioni per eccellenza della sua vita.

Quel bambino lo conosceva da appena pochi ed era corso da lui solo perché Dazai glielo aveva suggerito, come se Ryuunosuke non fosse tra gli assassini più ricercati del paese.

“Ryuu-chan è un po’ timido. Vero, Atsushi?”

Saku si voltò verso la Tigre Mannara, senza lasciare la presa sulla sua vittima. Perché questo era Ryuunosuke in quell’abbraccio. Una vittima.

“Sì, Ryuu è un po’ timido,” confermò Atsushi, in assenza di un aggettivo migliore.

Dazai sorrise, perfido. Ryuunosuke se ne accorse. “Figlio di puttana…” Quando vide l’espressione esterrefatta sul viso di Atsushi, si rese conto di averlo detto ad alta voce.

Saku si decise a staccarsi da lui per guardare il genitore. “Che vuol dire figlio di puttana, Osamu?”

“Perché non lo andiamo a chiedere a Kunikida, Saku-chan?”

Atsushi sgranò gli occhi, terrorizzato, poi lanciò uno sguardo rancoroso al mafioso che aveva abbandonato la sua vecchia vita per lui. 

E Ryuunosuke, improvvisamente, si sentì di nuovo un ragazzino nelle mani di un mentore troppo giovane e troppo lunatico per guidarlo da qualsiasi parte.




 



-In un giorno di neve-
 


“Io voglio una tazza di cioccolato caldo!” Cinguettò Saku, lasciando la mano del suo baby-sitter per saltellare fino al tavolino che più gli piaceva. Da dietro il bancone, il vecchio proprietario lo guardò sorridendo, poi rivolse un cenno di saluto al giovane che lo accompagnava.

Ryuunosuke ricambiò il gesto, avvicinandosi al bambino. “Come si dice, Saku?” Dazai non aveva alcun rispetto per la sensibilità di chi gli stava intorno, ma questo non significava che suo figlio non dovesse avere un’educazione.

Saku lo guardò, poi si accorse del signore sorridente e abbassò lo sguardo. “Buongiorno,” mormorò, timido.

Ryuunosuke alzò gli occhi al cielo e si sedette di fronte al piccolo demonio. Il proprietario della caffetteria li avvisò che avrebbe mandato qualcuno a prendere il loro ordine e sparì nella stanza sul retro. Non c’erano altri clienti, oltre a loro.

Saku guardava incantato la neve che cadeva lenta fuori dalla finestra. “Più tardi, andiamo a giocare fuori?”

“Se esce il sole.”

Non era previsto nessun miglioramento per quella giornata, né per quella successiva e questo significava lasciare la questione ad Atsushi.

“Quando torna Osamu?”

Bene, erano passati ben cinque minuti dall’ultima volta che Saku glielo aveva chiesto.

“Per la fine della settimana,” rispose Ryuunosuke, fissandolo.

“E Ats-“

“Non lo so. Che cosa vuoi prendere?”

“Una tazza di cioccolato caldo, te l’ho detto!”

Il broncio che il bambino gli rivolse gridava Dazai. Ryuunosuke sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena, come accadeva ogni volta che si rendeva conto che il suo vecchio mentore non era veramente unico e irripetibile, come aveva sempre creduto.

Se Dazai Osamu fosse mai stato un bambino - e Ryuunosuke non lo dava così tanto per scontato -, Saku ne era il ritratto vivente.

Da quando la sua prova di ammissione all’Agenzia era stata decisa, Ryuunosuke aveva studiato i dettagli di quel piccolo viso con attenzione. Ogni cosa, a partire dai capelli scuri per arrivare alle ciglia lunghe, apparteneva a Dazai. Saku aveva il suo sorriso, il suo stesso modo di parlare e - diamine - anche quello di muoversi.

Se non lo avesse ritenuto impossibile, Ryuunosuke sarebbe stato persuaso a credere che Dazai si fosse riprodotto da solo, senza la collaborazione di terze parti. Solo i grandi occhi azzurri sul viso di Saku stonavano con l’immagine del genitore, ma non contribuivano a rendere più facile la prova d’ingresso di Ryuunosuke.

Non poteva certo indovinare l’identità di un uomo partendo dal colore degli occhi del suo presunto figlio. Sempre ammesso che Saku li avesse ereditati dal genitore ignoto.

Ryuunosuke non era nemmeno sicuro che quel bambino fosse stato concepito all’interno della Port Mafia e questo estendeva i possibili sospetti a qualche miliardo di persone, eliminando i soggetti incompatibili per sesso ed età.

E tutto per colpa di Atsushi, del colore degli occhi di Atsushi, del sorriso di Atsushi e del potere non ben identificato di Atsushi che faceva sentire Ryuunosuke vivo... Ma non meno incazzato con il mondo o con chi lo abitava.

“Pensavo che ci fosse un cartello con scritto vietato l’ingresso ai cani all’ingresso.”

Quella voce di donna a Ryuunosuke suonò insopportabile, come unghie su di una lavagna. Rammentò a se stesso che non poteva uccidere nessuno, specialmente in presenza di Saku e all’interno dell’edificio che era, suo malgrado, divenuta la sua sede di lavoro, poi alzò lo sguardo.

Lucy Montgomery impugnava la penna con cui segnare le ordinazioni come un pugnale. Probabilmente stava fantasticando su quanto l’avrebbe fatta sentire bene usarla per sgozzare l’ex mafioso.

Tuttavia, come Ryuunosuke, Lucy aveva promesso a se stessa - non ad Atsushi, come al giovane piaceva ricordarle in modo indiretto - di trovarsi un posto nel mondo civile, alla luce del sole.

“Devi esserti confusa,” replicò Ryuunosuke. “Ai cani è permesso entrare nei locali.”

“Se tenuti al guinzaglio. I randagi non sono ben accetti.”

“Lo accompagno io,” intervenne Saku, allegro. “Quindi Ryuu non è un randagio. Per me una cioccolata, grazie!”

Il diretto interessato non era sicuro che quelle parole giocassero completamente a suo favore, ma gli piaceva che il moccioso avesse messo l’americana al suo posto e ne approfittò: “per me un caffè nero,” disse, rivolgendo uno sguardo d’intesa al piccolo demonio.

“Guardami in faccia, se devi ordinare qualcosa, stronz-“

“Una parola di più di fronte al bambino e avrò qualcosa di cui parlare col tuo datore di lavoro,” disse l’ex mafioso, sollevando lo sguardo.

Le cose erano semplici: Ryuunosuke non sopportava Lucy e se lei avesse potuto, gli avrebbe avvelenato il caffè tutte le mattine, uccidendolo lentamente. Non era una questione di fazioni avversarie - entrambi avevano chiuso con le organizzazioni criminali che li avevano forgiati - ma di carattere molto più personale e scottante.

“Ma tu non lavori mai?” Domandò la cameriera, neanche fosse il suo capo e avesse tutto il diritto di rimproverarlo.

“E tu non puoi farlo in silenzio?” Ribatté Ryuunosuke.

Il suo nuovo ruolo gli imponeva di mantenere un certo controllo di fronte alle persone che non sopportava, ma avere una lingua tagliente non era ancora un crimine perseguibile con la pena di morte.

La vena sulla tempia di Lucy cominciò a pulsare. Se avesse potuto, anche lei avrebbe affrontato quella discussione in tutt’altro modo.

Prima che Atsushi li incastrasse, entrambi avevano fatto delle prove di forza il loro miglior strumento di comunicazione. Si prese metaforicamente a calci da solo: no, non era la stessa cosa. Di Lucy, Atsushi si era completamente dimenticato subito dopo la sua prima fuga dalla Moby Dick.

C’era un motivo se lui era finito a fare il detective all’Agenzia, mentre Lucy non era andata oltre il primo piano dello stesso palazzo, quello della caffetteria.

Atsushi aveva scelto lui e quella era una vittoria che non poteva togliergli nessuno.

“Stai sorridendo come uno psicopatico.” Il commento sprezzante di Lucy lo riportò al presente, dove Atsushi era a lavorare a un caso e, ufficialmente, stava guadagnando lo stipendio per tutti e due.

Ryuunosuke guardò la cameriera, le labbra serrate in una linea retta. “Ti ho ordinato un caffè, mi pare.”

Lucy se ne andò, tornò dopo appena tre minuti e gli sbatté la sua ordinazione sotto il naso con una tale violenza che Ryuunosuke si sorprese di non vedere la porcellana andare in mille pezzi. “Eccolo!”

Per nulla intenzionato a cederle l’ultima parola, l’ex mastino della Port Mafia fu pronto a trovare un altro motivo per cui lamentarsi. “Il cioccolato caldo per il moccioso.”

Lucy aggrottò la fronte e guardò Saku, come se si fosse accorta della sua presenza in quel momento. “Non hai ordinato nulla per lui,” ribatté.

Il viso di Ryuunosuke era una maschera inespressiva. “Ha fatto la sua ordinazione da solo. L’errore è tuo.” Mentì.

Lucy strinse le dita intorno al vassoio tanto forte che le sue nocche sbiancarono. Ryuunosuke vide nei suoi occhi il bruciante desiderio di darglielo in testa.

“Certo che ho ordinato,” intervenne Saku, facendosi leva sul tavolo con entrambe le mani. “Ryuu sa fare bene il suo lavoro e io lo sono, lo dice Osamu. Ryuu sa che mi piace fare le cose da solo.”

Entrambi i giovani adulti ammutolirono. Non c’era modo per Lucy di lamentarsi di un bambino di quasi tre anni senza uscirne compromessa e Ryuunosuke non si fece sfuggire quel vantaggio. “Lo hai sentito, cameriera?”

Lucy assottigliò gli occhi. “Disse la balia,” ribatté, con un sorriso perfido.

Ryuunosuke non ebbe il tempo di difendersi, che Saku prese di nuovo la parola. “Ryuu dorme con Atsushi e Lucy no. Vince Ryuu.”

Non era propriamente vero. In quell’appartamento vivevano in tre e Saku entrava e usciva a suo piacimento, per nulla rispettoso degli spazi altrui. Senza contare che Atsushi dormiva nell’armadio. Tuttavia, Lucy non aveva bisogno di conoscere tutti quei dettagli.

Ryuunosuke la guardò come se fosse su un piedistallo e stesse torreggiando su di lei. “Sei ancora qui?”

Lucy emise un ringhio a bassa voce e tornò al suo lavoro. Il giovane ex mafioso gioì in silenzio di quella piccola vittoria. Afferrò la tazzina, pronto a godersi il suo caffè.

Una manina gli tirò la manica del cappotto e lo bloccò. “Ryuu, hai scoperto chi è il mio papà?”

Eccola lì, l’unica cosa in possesso di Saku che non poteva essere stato Dazai a dargli: l’innocenza. La cosa più rara e preziosa che vi fosse nel mondo come un cane randagio lo conosceva. Ryuunosuke non aveva idea di cosa fosse, non l’aveva mai indossata con la stessa naturalezza di Saku. Ricordava di averla scorta su Gin, ma solo per poco tempo. E poi c’era Atsushi, con la sua innocenza fuori posto, macchiata da qualcosa di oscuro che persino lui aveva paura di toccare.

Saku non era come loro. Non aveva mai sofferto la fame, il freddo o la solitudine, quella vera, quella che fa realizzare alle persone che essere soli contro il mondo non è soltanto una frase a effetto.

Saku non era un randagio.

“No, non ancora,” ammise, con la stessa amarezza che avrebbe usato di fronte a Dazai.

Saku era deluso, ma senza rancore. Non avrebbe mai rimproverato Ryuunosuke per i suoi sbagli, perché si fidava di lui, come solo un bambino che non ha mai assaggiato il tradimento sa fare.

“Puoi trovarlo anche per me?” Chiese, con una gentilezza che Ryuunosuke non gli aveva mai sentito usare.

Il ragazzo inarcò le sopracciglia e solo allora si rese conto di non aver provato a seguire la pista che più aveva a portato di mano. “Non sai chi è tuo padre?”

Perché ci aveva messo tanto tempo a chiederlo?

Saku s’imbronciò, incrociando le braccia nella parodia di una posa conserte. “Osamu mi prende in giro.”

“Davvero?”

Per l’ex mafioso non era davvero una novità.

“Mi ha raccontato cose strane su papà,” riferì Saku. “Per me non sono vere!” Si sporse di colpo sul tavolino, porgendo al ragazzo il mignolo teso. “Promettimi che quando troverai il mio papà, mi racconterai tutta la verità e solo la verità!”

Ryuunosuke fissò quel ditino come se non sapesse cosa fare. Saku voleva un giuramento, e deludere lui era esattamente come voltare le spalle a Dazai.

Ryuunosuke inspirò profondamente dal naso e intrecciò il suo mignolo a quello del bambino, conscio di aver appena reso la sua posizione all’interno di quella storia ancor più complessa.

“Che cosa ti ha detto Dazai su tuo padre?”

“Mi ha raccontato che era uno scrittore.”
 






“Uno scrittore?” Ripeté Atsushi perplesso, passandogli un altro piatto appena lavato.

Ryuunosuke lo prese per asciugarlo. “Così ha detto il moccioso.”

Alla parola moccioso, Atsushi reclinò un poco la schiena all’indietro e controllò la situazione nella stanza principale del piccolo appartamento: sia Kyouka che Saku erano seduti a gambe incrociate sul futon; la quattordicenne mimava alcuni animali con le dita e il bimbo li indovinava tutti con entusiasmo.

Atsushi sorrise soddisfatto e tornò a porre attenzione al suo partner: “scrittore è una parola in codice per cosa?”

Ryuunosuke smise di asciugare il piatto che aveva tra le mani per guardarlo. “Che vuoi dire?”

Il più giovane scrollò le spalle. “Dazai fa sempre così con Saku,” spiegò. “A me, una volta, ha raccontato che i suoi genitori hanno combattuto una battaglia contro un drago pericoloso e altre cose così.”

Ryuunosuke sbatté le palpebre un paio di volte. “Il conflitto della Testa di Drago?”

Atsushi lo guardò sorpreso. “Sì, anche Kunikida lo ha chiamato così. Come hai-?”

“Intuizione.”

Gli occhi della Tigre Mannara s’illuminarono. “Se sai di cosa parla davvero quella storia, allora hai una pista da segui-“

“Io non c’ero,” chiarì subito Ryuunosuke, lasciando andare il piatto ormai asciutto. “Dazai mi ha trovato qualche mese dopo.”

“Oh… Comunque è questo che fa Dazai: racconta tutto a Saku. Tutto. Solo che lo fa in un modo in cui un bambino possa capirlo.” Atsushi chiuse il rubinetto e si asciugò le mani con uno strofinaccio.

“In altre parole, prende tutta la cronaca mafiosa degli ultimi otto anni e la trasforma in belle favole,” concluse Ryuunosuke, cominciando a mettere a posto piatti e stoviglie. “Tipico di Dazai.”

“Per questo ti ho chiesto se Scrittore è una parola in codice per altro. Nessuna altra intuizione?”

“No, Jinko.”

“Gli ha raccontato una favola anche su di te, sai?”

“Non la voglio sentire.” Non appena Ryuu richiuse lo sportello della credenza, il suo cellulare cominciò a vibrare sul bancone della cucina. Sia lui che Atsushi lessero chiaramente il nome comparso sul display. Ciò nonostante - o forse proprio per questo - Ryuunosuke se ne rimase immobile, a guardare l’apparecchio che si muoveva come uno scarafaggio costretto sulla schiena.

Di fronte alla mancanza di reazioni da parte del suo partner, Atsushi alzò gli occhi al cielo e gli diede una gomitata. “E rispondi!”

“Non mi va.”

“Ryuu!”

“È Osamu?” Saku corse nel cucinino. “Quando Ryuu non risponde, è sempre Osamu.”

Ryuunosuke non diede tempo ad Atsushi d’iniziare un’altra lavata di capo delle sue - “Passi tutto il giorno con suo figlio!” Gli avrebbe urlato. “È normale che ti chiami, non puoi non rispondergli!” - prese il cellulare e lo passò al bambino. “Tieni, rispondi tu.”

Seduta sul futon, Kyouka vide Atsushi sollevare lo strofinaccio a mo di frusta, pronto a colpire Ryuunosuke.

“Pronto, Osamu?” La vocina allegra di Saku fece desistere la Tigre Mannara dal fare alcunché. “Sì, qui nevica ancora. Sì, Atsushi e Ryuu stanno facendo i bravi, ci pensiamo io e Kyouka.” Sollevò il pollice in direzione della ragazzina. Kyouka ricambiò il gesto con fermezza.

Atsushi la guardò esterrefatto. “Che significa? Siamo noi gli adulti qui!”

“Non credo che tu possa contare come adulto, Jinko,” disse Ryuunosuke, aprendo la porta del bagno per sparire dalla circolazione. Non fu abbastanza veloce.

Saku lo afferrò per la manica. “Osamu vuole parlare con te, Ryuu!”

Perché si era illuso che la sua giornata potesse finire in modo indolore, senza il contributo personale di Dazai?

Atsushi si mise le mani sui fianchi, in attesa che procedesse a prendere il telefono. Ryuunosuke lo fissò di rimando, saldo nella sua posizione.

Confuso, Saku gli tirò il braccio. “Ryuu?”

Il giovane fece finta di non sentirlo.

“Se lancio il cellulare dalla finestra, ti butti a prenderlo?” Domandò Atsushi, sadico.

Ci mancò poco che Ryuunosuke lo trafiggesse per il puro gusto di farlo. “Noi non parliamo di quello.”

Saku passò lo sguardo dal viso di un baby-sitter a quello dell’altro. “Quello cosa?”

“Cose da grandi,” tagliò corto Ryuunosuke.

“Ma voi non siete grandi!” La voce stridula di Dazai si udì chiaramente dal ricevitore del cellulare.

Appena tre metri più in là, Kyouka tossicchiò per coprire una risata, mentre Atsushi apriva la bocca per dire qualcosa. Ryuunosuke tolse il cellulare dalla mano di Saku per obbligarsi a non uccidere nessuno. “Sono io,” disse laconico.

“Finalmente!” Esclamò Dazai. “Parlare con te è più difficile che contattare il mastino della Port Mafia!”

E la prima provocazione era servita.

“Che cosa c’è?” Ryuunosuke prese il cappotto appeso accanto alla porta e abbassò la maniglia con la mano libera.

Atsushi si allarmò immediatamente. “Ryuu, sta nevicando! Non ti fa bene uscire con questo tempo! Ryuu!”

La porta d’ingresso che si chiudeva fu l’unica risposta che Ryuunosuke gli diede. Quietare le ansie di Atsushi riguardo la sua salute era tempo perso, tanto valeva ignorarlo.

“Si preoccupa per te,” commentò Dazai.

Seconda provocazione.

“Si preoccupa e basta,” rispose Ryuunosuke, premendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio per finire d’infilarsi il cappotto. Sì, nevicava, ma questo non gli impedì di scendere le scale e arrivare al cortile. Il freddo, quello vero, era un’altra cosa e non voleva che Atsushi origliasse la conversazione tra lui e Dazai.

Gli sfuggì un colpo di tosse e il suo vecchio mentore lo interpretò come il segnale per poter continuare. “Sei da solo?”

“Sì.”

“Perché hai tanta paura di parlare con me di fronte ad Atsushi?”

“Non sei sincero con me quando c’è lui. Non ci riesci.”

“Ma davvero?” Dazai sapeva benissimo che aveva ragione, ma Ryuunosuke non si aspettava che lo ammettesse con lui.

“Di cosa volevi parlarmi?”

“Perché sei sempre così serio, Ryuu? Ti prendi cura di mio figlio, è normale che io voglia sentirti.”

“Se vuoi sapere di Saku, chiami Atsushi e non me. Inoltre, non sento la voce del tuo partner e gli è fisicamente impossibile rimanere in silenzio in tua presenza. Questa è una conversazione privata.”

Dazai emise un verso di compiacimento. “Bravo, Ryuu, stai migliorando.”

Ryuunosuke appoggiò la spalla alla colonna del passaggio d’entrata del cortile, guardando distrattamente i fiocchi di neve che continuavano a cadere. Se Dazai lo teneva ancora sulle spine, gli sarebbe toccato dare ragione alle ansie di Atsushi e soffocare per la tosse. “Che cosa vuoi che faccia?” Tagliò corto.

Dazai non gli diede una risposta. “Come vanno le tue indagini?”

Si riferiva alla questione del padre di Saku e, stranamente, il suo tono era privo di sfumature sarcastiche. La risposta lo interessava davvero.

E Ryuunosuke gli disse la verità: “ho parlato con il moccioso.”

“Oh… Ti ci sono volute settimane per fare la cosa più semplice, non ci posso credere.”

“Mi ha detto che suo padre era uno scrittore.”

Un attimo di silenzio, poi un sorriso. Ryuunosuke non lo vide, ma lo sentì nelle parole che seguirono. “Sì, è quello che gli ho raccontato.”

“Saku pensa che tu gli abbia detto una bugia.”

“Lo so.” Dazai sospirò nella cornetta. “In realtà, è l’unica cosa vera che gli ho detto.”

Ryuunosuke aggrottò la fronte. “Che vuoi dire?”

“Ah-ah… Troppo semplice, Ryuu. Mio figlio ti ha già dato un indizio in più e anche io. Non ti si accende nessuna lampadina? Nessuna intuizione? Niente?”

“Ha detto era,” disse Ryuunosuke. “È morto?” Ora che lo chiedeva ad alta voce, la risposta gli parve quasi scontata. Non era possibile avere un figlio con Dazai e non avere alcun ruolo nella sua storia presente, e lasciarsi qualcosa d’insoluto alle spalle non era un’abitudine del suo mentore.

Escluso te, sussurrò una vocina maligna nella sua testa,

“Probabile…” Rispose Dazai, criptico. La sua voce non tradiva alcuna emozione particolare, nulla che potesse far intuire a Ryuunosuke la natura della relazione che aveva portato alla nascita di Saku.

Che si fosse trattato di un incidente, Ryuunosuke lo aveva dato per scontato da subito. Ma quanto d’inaspettato e casuale c’era dietro la nascita di quel bambino? L’incontro tra i suoi genitori o solamente il sesso?

Nel suo immaginario di sedicenne, Ryuunosuke non aveva nemmeno sospettato che Dazai fosse interessato al piacere carnale. Perché se così fosse stato, anche solo per l’avventura di una notte, avrebbe dovuto avere voglia di vivere.

Pensò a Saku, al fatto che Dazai aveva scelto per lui un nome con un significato.

”Ci tengo,” aveva detto.

Dazai Osamu non aveva mai tenuto a niente e a nessuno, nemmeno al partner con cui aveva condiviso decine di esperienze tra la vita e la morte.

Chuuya.

Nakahara Chuuya.


Ryuunosuke gelò e non perché era sotto la neve da più di dieci minuti. Per la prima volta dall’inizio di quell’indagine, aveva un sospetto e avrebbe preferito di gran lunga non averlo.

“Ryuu, sei ancora lì? Ti si è gelata la lingua? Se ti è andata via la voce, Atsushi si-”

“Ha i suoi occhi?”

“Eh?”

“Saku,” disse Ryuunosuke. “Saku ha gli occhi di suo padre?”

Dazai non rispose subito. Non era una pausa a effetto ma un'esitazione. “Sì, è la sola cosa che ha di lui,” disse, con un tono di voce che a Ryuunosuke suonò estraneo. “Tutto il resto è mio,” aggiunse, quasi cinguettando.

Il più giovane alzò gli occhi al cielo, dandosi dell’idiota per aver creduto che il suo mentore lo avesse lasciato avvicinare al suo lato umano. Sempre ammesso che ne avesse uno.

Saku non era abbastanza per togliersi ogni dubbio a riguardo.

Dazai era un maestro nell’indossare maschere, e Ryuunosuke aveva il sospetto che solo il padre di quel bambino avesse visto il viso che c’era celato dietro.

“Ora, arriviamo al motivo per cui volevo parlarti.”

Ryuunosuke sbatté le palpebre un paio di volte - alcuni fiocchi di neve si erano attaccati alle sue ciglia e scivolarono sulle gote - come se si fosse risvegliato da un sogno.

Dazai non gli diede il tempo di chiedere alcunché. “Vorrei che tu andassi in un posto per conto mio…”
 








“No-Noi finiremo in galera.”

“Stai zitto, Jinko.”

“Siamo in un pub per fumatori con un bambino piccolo!”

Ryuunosuke si coprì la bocca per soffocare un colpo di tosse. Non conosceva quel luogo dalle luci basse e dall’aria soffocante. Conosceva il quartiere perché vi erano un paio di appartamenti sicuri della Port Mafia, ma nulla di più. Se in quel locale venivano gestite attività illecite, Ryuunosuke non ne era mai stato informato.

“Lupin,” gli aveva detto Dazai la sera prima, a bassa voce, come se gli stesse rivelando un segreto. “È un pub. Entra e siediti al bancone, il mio contatto ti riconoscerà e ti dirà cosa fare. Ah! Porta Saku con te, mi raccomando!”

“Che cosa ci faccio io qui?” Domandò Atsushi, con le mani giunte, rivolgendosi al soffitto. Aveva cominciato a sprizzare ansia da tutti i pori ancor prima di mettere piede fuori dalla porta di casa.

Saku, al contrario, li aveva presi entrambi per mano e li aveva seguiti senza fare domande, felice di poter affondare gli stivaletti nella neve che ricopriva le strade di Tokyo - perché fino a lì erano dovuti arrivare. E ora se ne stava lì, seduto su uno sgabello troppo alto per lui, in un pub non adatto ai bambini, a disegnare sul bancone come se fosse la cosa più normale del mondo. Aveva totale fiducia in chi si prendeva cura di lui e non temeva nulla.

Ryuunosuke spiò lo scarabocchio colorato che stava prendendo forma sotto i suoi occhi e si chiese come dovesse essere vivere con tanta serenità.

Non era un buon modo di crescere, non per il figlio di Dazai Osamu. Prima o poi, la bolla dorata in cui il genitore lo stava crescendo sarebbe scoppiata e il mondo reale non sarebbe stato clemente con quel bambino.

“Che cosa stiamo facendo?” Domandò Atsushi.

Se Saku non fosse stato seduto tra loro, Ryuunosuke gli avrebbe mollato un colpo in faccia, solo per fargli chiudere la bocca. “Dazai ha detto di venire qui con Saku.”

“Lo ha detto a te, non a me.”

“Non mi fido di Dazai.”

“E questo come dovrebbe rassicurarmi?!” La voce di Atsushi si stava facendo stridula, ma la luce nei suoi occhi era astiosa, manco fosse tutta colpa del suo partner. Alla fine, sospirò e aggiunse con voce più gentile: “avevi paura di venire qui da solo, Ryuu?”

Ryuunosuke tese le spalle, pronto a difendere il suo orgoglio.

“E adesso non ti arrabbiare!” Lo precedette Atsushi.

“Pensavo che mi conoscessi, Jinko,” ringhiò l’ex mafioso, a bassa voce. “Non temo la morte e non-“

“Per favore!” Lo interruppe Atsushi, indicando il bambino tra di loro con un gesto del capo.

Concentrato sul suo disegno, Saku non diede segno di aver udito nemmeno una delle parole che si erano scambiati.

Atsushi si voltò con espressione rassegnata, quella di un topo che sa di essersi infilato nella tana sbagliata, ma non può più tornare indietro. “È inquietante qui…”

Ryuunosuke seguì la linea del suo sguardo: il locale era completamente vuoto, silenzioso. L’unica cosa a riempire quel piccolo spazio era l’odore di fumo che aleggiava silente. Atsushi aveva tutte le ragioni di sentirsi inquietato: quello era il genere di atmosfera che precedeva un incontro tra malavitosi. Anche il modo in cui il bartender dietro il bancone li aveva accolti era stato rivelatore: aveva sorriso con cortesia, per nulla sorpreso dalla presenza di Saku, e dopo aver chiesto loro se desideravano bere qualcosa - Ryuunosuke aveva risposto negativamente e aveva lanciato uno sguardo tagliente al suo partner per indurlo a fare lo stesso - era sparito sul retro e non era più tornato.

Ryuunosuke era dell’idea che fosse andato ad avvisare chiunque dovessero incontrare e, come da copione, si fosse tolto dai piedi per permettere all’incontro di avere luogo in tutta calma.

Saku lasciò andare il pennarello che aveva tra le mani. Quando toccò la superficie lucida del bancone, sembrò che fosse esploso un petardo. Atsushi trasalì esageratamente, ma fu svelto a ricomporsi quando gli occhi azzurri di Saku si puntarono nei suoi.

“Devo andare in bagno,” disse il bambino con naturalezza.

Atsushi scese dallo sgabello e fece per prendere Saku in braccio. Si fermò e guardò il suo partner, incerto. Ryuunosuke si limitò ad annuire due volte, la bocca una linea stretta.

La Tigre Mannara scosse la testa. “Non ti voglio lascia-“

“Perché sei spaventato, Atsushi?” Domandò Saku, innocentemente.

Il diretto interessato forzò un sorriso. “Non sono spaventato, pensavo solo che Ryuu potesse sentirsi solo.”

Saku si voltò verso il giovane vestito di nero. “Vuoi venire anche tu, Ryuu? Possiamo andare al bagno tutti insieme!”

Solo Atsushi poteva essere in grado di trasformare una situazione tesa in un ridicolo teatrino.

“No, Saku, vai con Atsushi. Io vi aspetto qui.”

“Tra poco possiamo tornare a casa?” Domandò il bambino, mentre la Tigre Mannara lo sollevava tra le braccia. “Io voglio giocare con la neve in cortile!”

“Torneremo a casa non appena Ryuu avrà fatto quello che Dazai gli ha chiesto di fare.”

“E Osamu cosa gli ha chiesto di fare?”

Proprio niente.

“Stai seduto al bancone e aspetta,” aveva detto Dazai. Nessuna spiegazione. Nessun dettaglio.

“Lo scopriremo presto,” gli promise Atsushi, scomparendo all’interno del bagno, insieme al bambino. Ryuunosuke incrociò i suoi occhi, prima che l’uscio li dividesse del tutto. Era preoccupata, la sua Tigre Mannara. Lui no: quel genere di atmosfera era la stessa a cui sei anni di Port Mafia lo avevano abituato. Senza ombra di dubbio, Dazai lo aveva fatto a posta.

Per farti sentire a tuo agio, la sua voce divertita riecheggiò nella testa di Ryuunosuke, che portò gli occhi sulle scale d’ingresso, pronto ad accogliere chiunque stesse per scendere e non per forza in modo cordiale.

Ah, quindi ha ragione Atsushi, hai paura.

“Taci…” Sibilò al locale vuoto.

“Che cazzo!” Gli rispose una voce fuori dalla sua testa.

Ryuunosuke s’irrigidì, pronto ad attaccare ancor prima di voltarsi. La manica destra del suo cappotto si allungò in una lama nera che finì alla gola di Babbo Natale. O meglio…

“Chuu-“

“No!” Chuuya Nakahara, Esecutivo della Port Mafia, incarnazione di un dio e arma di distruzione più potente che avesse mai camminato per le strade di Yokohama, si aggiustò la barba finta sul viso, come se questo bastasse a cancellare l’immagine di sé che aveva appena mostrato. “Tu non mi conosci! Tu non hai la minima idea di chi cazzo io sia e, giuro sulla testa del Boss, se quando torna il moccioso non ti comporti come se fossi il vero Babbo Natale, scuoierò il tuo gatto e ne farò un fottuto tappeto. Mi sono spiegato bene?” Smise di urlare per guardarsi intorno. “E dove cazzo sta quello stronzo di Dazai?”

Ryuunosuke ritirò Rashomon. “È fuori città per lavoro.”

“Pezzo di merda… E il moccioso?”

“In bagno…”

A causa del travestimento, l’espressione di Chuuya non era visibile ma non fu difficile per il più giovane indovinarla. Si accorse che la porta che portava sul retro del locale - la stessa dietro cui il bartender era sparito - era aperta e ne usciva un oggetto informe che Ryuunosuke, a causa della luce bassa, non riusciva a distinguere.

“Sei entrato dal retro,” disse, arrabbiato con se stesso per aver tenuto sotto controllo l’ingresso principale e non il secondario.

“Col cazzo che mi faccio vedere per strada conciato così!” Esclamò Chuuya. Ormai arresosi all’evidenza di aver completamente perso la dignità di fronte al più giovane, sospirò e tirò dentro la stanza l’oggetto che teneva aperta la porta.

Ryuunosuke si sporse appena sopra il bancone: era un sacco, di quelli natalizi, e al suo interno poteva vedere delle scatole avvolte in carte dai colori brillanti. Una di queste cadde a terra, Chuuya la rimise al suo posto bestemmiando, poi sollevò il sacco oltre il bancone come se non pesasse nulla.

Ryuunosuke lo fissò, immobile.

“Non sono bombe,” lo rassicurò Chuuya, esaminando le bottiglie di alcol esposte sulla parete. “Se la Port Mafia deciderà di farti il culo per il tuo tradimento, non lo farà in modo codardo.”

Ryuunosuke lo guardò. “Se?”

Chuuya gli lanciò un’occhiataccia da sopra la spalla: la barba finta gli era scivolata di nuovo sotto il mento e il ridicolo cappello sulla sua testa non era sufficiente a coprire i capelli rossi. “Che hai detto?”

Se la Port Mafia deciderà di farmela pagare e non quando?”

Chuuya sbuffò, scelse una bottiglia e prese un paio di bicchieri da sotto il bancone. “Siedi, va’...” Lo invitò, scostando il disegno e i pennarelli di Saku con il braccio.

Ryuunosuke guardò lo sgabello incerto.

“Posa quel culo secco che ti ritrovi!” Ordinò Chuuya. Il più giovane si accomodò e il Dirigente riempì i bicchieri di un liquido rosso scuro. “Bere del vino rosso senza calice è come gustarlo a metà,” aggiunse, afferrando il suo - pieno fino all’orlo - e facendo scivolare il secondo verso l’altro. “Ma che ci si può aspettare dalle bettole che frequenta Dazai?” Prese un sorso. “Dove hai detto che si trova?”

“Non l’ho detto.”

Chuuya fece una smorfia. “Che andasse a fanculo per quel che mi riguarda. Strano che non sia qui per godersi il suo bel teatrino di merda!” Prese un altro sorso.

Ryuunosuke non sapeva come partecipare a quella conversazione e nemmeno si azzardò a prendere un goccio di vino: non reggeva l’alcol e Nakahara Chuuya si stava rendendo abbastanza ridicolo per tutti.

Il Dirigente si scolò il suo vino, mentre il più giovane l’osservava in religioso silenzio e la cosa gli diede fastidio. “Ehi!” Abbaiò, sbattendo il bicchiere sul bancone. “Smettila di guardarmi con quell’espressione e parla! O il gatto ti ha mangiato la lingua?” Aggiunse sarcastico - e forse anche un po’ brillo. “Rilassati, Akutagawa. Non sono qui per la Mafia, ma per Dazai… Lo stronzo ha organizzato il tutto solo per farmi fare la figura dell’imbecille di fronte a te, e farti rimanere bellamente di merda!”

“Dazai aveva parlato di uno scambio.”

“Stai fingendo di non vedere il fottuto sacco di regali alla tua sinistra?”

Ryuunosuke guardò il sacco in questione, come se contenesse davvero delle bombe. “Che roba è?”

Chuuya inarcò il sopracciglio destro. “Ti credevo intelligente, Akutagawa. Certo, rovinato da Dazai, come solo Dazai sa rovinare le persone, ma capace d’intuire l’A, B, C…”

Sì, Ryuunosuke lo aveva intuito perfettamente, nonostante l’infanzia oscura che si era lasciato alle spalle, ma quello che la sua mente gli suggeriva era qualcosa di troppo normale e innocente per le persone coinvolte. Fu allora che gli tornò alla mente un particolare. “Prima hai parlato del moccioso.”

“Ragazzino, per quale altra ragione pensi che lo stronzo mi abbia convinto a ridurmi così?” Domandò Chuuya, indicandosi.

Ryuunosuke lo guardò dritto negli occhi. “Tu conosci Saku,” non era una domanda, ma un’affermazione che nascondeva tante parole non dette. Quello che l’ex mastino della Port Mafia sapeva era che quel bambino era nato dopo il tradimento di Dazai, ma prima che divenisse un membro dell’Agenzia. Questo lo aveva portato a escludere il coinvolgimento di Chuuya nella vicenda… Fino al giorno prima, quando il sospetto si era fatto spazio in lui, impedendogli di dare forma a qualsiasi altra teoria.

Chuuya lasciò andare una risata amara. “Vaffanculo, Dazai, non sono abbastanza ubriaco per affrontare questa conversazione con il tuo cucciolo nero.”

A Ryuunosuke venne il dubbio che il vino stesse cominciando a parlare al posto di Chuuya, ma la calma dell’Esecutivo lo sorprendeva. “Tu conosci Saku.”

“Ti si è incantata il cervello, Akutagawa? Certo che quel micio ti fa male. Non hai ancora capito perché sei qui?” Chuuya alzò gli occhi al cielo. “Oltre a essere testimone della mia umiliazione, s’intende.”

Tutto lì? L’esame per divenire un detective dell’Agenzia era così semplice? Ryuunosuke si faceva venire un sospetto e Dazai gli offriva la conferma su un piatto d’argento?

Qualcosa non tornava.

“Dov’è l’inganno?” Domandò, minaccioso.

Chuuya inarcò le sopracciglia. “Ti ho già detto che non sono qui per farti fuori.”

“Ma Dazai ti ha mandato per un motivo, lo stesso per cui ha mandato me.”

“Dazai mi ha detto di venire in questo specifico buco per topi, vestito in questo specifico costume di merda per fare una sorpresa al moccioso. Invece, boom, trovo te che mi chiedi se conosco Saku… Non so se ridere o picchiarti a sangue.”

“Già… Dazai ha detto che Saku non è un segreto.”

“Infatti non lo è… A parte per te, s’intende.”

Ryuunosuke strinse le dita a pugno. “Chi altri lo sa?”

Chuuya si fece sinceramente confuso. “Sul serio non conosci l’A, B, C, ragazzino?”

Il più giovane si rifiutò di rispondere.

“Bella merda…” Aggiunse il Dirigente, incrociando le braccia sul bancone. “Ti è venuto un colpo, vero? Un piccolo Dazai respira e cammina in questa città da quasi quattro anni e tu non lo hai mai saputo. Beh, immagino che voglia dire che abbia funzionato.”

“Cosa?” Indagò Ryuunosuke. “Che cosa ha funzionato?”

Chuuya alzò gli occhi al cielo, si voltò alla ricerca di un’altra bottiglia di vino e quando la trovò, riempì di nuovo il suo bicchiere. “Sì, sono decisamente troppo sobrio per questa conversazione.” Ingoiò un generoso sorso e tornò a guardare il più giovane negli occhi. “Ciò che ha funzionato è una specie di patto di non-belligeranza che vi è tra il Governo e la Port Mafia da dopo la nascita di Saku.”

Quella risposta non chiariva alcunché.

“Si era già raggiunto quel genere di equilibrio dopo la Mimic,” ricordò Ryuunosuke.

“Su grande scala, sì, ma Saku è nato in zona franca. Non so se mi spiego.”

“No.”

“Sei proprio stupido. Non si può lasciare un cane come Dazai senza padrone, ti è piu chiaro così?”

“Non mi risulta che Dazai abbia mai avuto un padrone.”

“Smettila di rispondermi come un rompicoglioni e cerca di seguirmi,” disse Chuuya con la fermezza di chi è a un passo da commettere un omicidio. “Dazai ha avuto Saku in un momento in cui non era né proprietà della Port Mafia né, tantomeno, del Governo… E col cazzo che voleva essere il pupazzo di uno dei due.”

Ryuunosuke cominciava a capire. “Ma Saku era l’arma di ricatto perfetta.”

Chuuya ghignò. “Cominci a capire.”

“E perché nessuno se ne è approfittato?”

Chuuya scrollò le spalle. “Ci sono dei dettagli complicati che non ti riguardano. A te basti sapere che la Port Mafia non minaccerebbe mai l’incolumità di Saku in alcun modo. Quattro anni fa, questo è bastato a tenere buono il Governo e a lasciare a Dazai la libertà di crescere suo figlio.”

“Quindi Saku gode della protezione della Port Mafia senza farne parte,” concluse Ryuunosuke. Dirlo ad alta voce lo rendeva ancora più illogico.

Non era un mistero che Dazai non fosse stato un Dirigente qualunque, e anche il modo in cui la sua scomparsa, poi divenuta tradimento, era stata gestita non corrispondeva agli standard della malavita. Chiunque altro non sarebbe stato risparmiato dalla Port Mafia.

Dazai Osamu, invece, prima l’aveva tradita, poi aveva dato alla luce un figlio sotto la sua protezione… Senza dare nulla in cambio.

“Non ha senso,” concluse Ryuunosuke.

“Non è necessario che per te ce l’abbia,” disse Chuuya, per nulla sorpreso dalla reazione del più giovane. “Immagino che Dazai abbia architettato tutta questa ridicolaggine solo per farti sapere da cosa guardarti quando stai con Saku. Sei la sua guardia del corpo, vero?”

Ryuunosuke non l’aveva mai vista in quel modo. Lo avevano definito balia, tata, babysitter, fratellone, e con tanti altri termini umilianti. Guardia del corpo gli piaceva, era adatto a lui e lo salvava da un’umiliazione epocale di fronte al suo ex superiore. Ne approfittò.

“Sì,” confermò. “Lo sarò fino a che non diverrò un detective dell’Agenzia.”

“E che devi fare per diventarlo?” Domandò Chuuya, senza nessun reale interesse, portandosi il bicchiere di vino alle labbra.

“Devo scoprire l’identità del padre di Saku.” Ryuunosuke lo disse con nonchalance, certo di aver compiuto il passo definitivo verso quella verità di cui Dazai parlava tanto. Strinse le labbra per evitare di ghignare.

Chuuya non reagì come si era aspettato. Rimase col bicchiere sospeso a mezz’aria e ne fissò il contenuto come ipnotizzato, poi lasciò andare una risata che di allegro aveva ben poco. “Sei un sadico anche con te stesso, Dazai,” disse, come se il diretto interessato fosse lì. “Sei sicuro di non volere quel vino?” Aggiunse, tornando sul più giovane.

Ryuunosuke guardò il vino intoccato sotto i suoi occhi. “No, grazie.”

“Peccato, ne avresti bisogno…” Il Dirigente scolò il suo secondo bicchiere e si diresse verso la porta sul retro dalla quale era sbucato.

“Un momento!” Ryuunosuke si alzò in piedi. “Che senso ha avuto questo incontro?”

Chuuya rise di nuovo, ma con sarcasmo questa volta. “Se lo chiedi a me, ragazzino, sei messo proprio male!” Indicò il sacco che aveva lasciato al di là del bancone. “Ciò che d’importante avevo da fare, l’ho fatto; delle stronzate di Dazai m’interessa poco!”

Alzò una mano in segno di saluto. “Saluta Saku per me, la parte in cui mi umilio anche di fronte a lui me la risparmio.”

“Chuuya, aspetta!”

Il Dirigente lo guardò, esasperato. “Che cazzo vuoi, Akutagawa?”

“Sei tu il pad-“

“No.” Chuuya non lo fece neanche finire di parlare. “Diavolo, no!” Aggiunse con più rabbia, realizzando cosa implicasse essere il secondo genitore di quel bambino. “Dovrei prenderti a calci in culo solo per averlo pensato!”

Ryuunosuke sbatté le palpebre un paio di volte, poi dischiuse le labbra per aggiungere qualcos’altro.

Chuuya non glielo permise. “Senti…” Si mise le mani sui fianchi e lasciò andare un sospiro, come se dire quello che doveva richiedesse un grande sforzo. “Sono felice che abbia scelto te, se così si può dire.”

Smarrito. Questo era Akutagawa Ryuunosuke, ed era un’emozione che lo faceva sentire terribilmente piccolo, sconfitto, come quel bambino raccolto nella notte da un ragazzino poco più grande di lui.

Chuuya si liberò del cappello rosso e della barba finta. “Sei forte,” aggiunse. “Saprai come proteggerlo.” Mise un piede fuori dalla porta, poi si voltò. “La prossima volta che c’incontreremo, non potremmo sederci a bere del vino come due vecchi colleghi, immagino che tu possa comprendere.”

Ryuunosuke annuì a testa alta, per nulla spaventato da quella cortese minaccia.

Chuuya se ne andò sollevando la mano in un vago cenno di saluto.

Atsushi e Saku riemersero dal bagno poco dopo.

“Eccoci qua!” La Tigre Mannara sembrava sconvolta. “Abbiamo dovuto cantare una canzoncina per concentrarci e fare la-“

“Non m’interessa, Jinko.”

“È passato Babbo Natale!” Saku si staccò dalla mano di Atsushi per correre verso il sacco colmo di regali. “Atsushi guarda!”

Ma Atsushi stava già guardando tutto con molta attenzione e una buona dose di paura. “Che co-cosa… Che…?”

“Non hai sentito, Jinko? È passato Babbo Natale.” Ryuunosuke decise di allentare la tensione accumulata prendendosi gioco del suo partner.

E Atsushi era così bravo a cadere in quel genere di trappole. “Non prendermi in giro, Ryuu!”

“Non ti sta prendendo in giro!” Esclamò Saku, mostrandogli uno dei pacchetti colorati lasciati da Chuuya. “Guarda! È vero! Babbo Natale è stato qui! Osamu lo ha chiamato!”

Ryuunosuke cercò di togliersi dalla testa l’immagine di Dazai che intratteneva una conversazione telefonica con Babbo Natale e prese il regalo dalle mani del bambino per rimetterlo al suo posto. “Aiutami, Jinko.”

Atsushi strabuzzò gli occhi. “Vuoi portare a casa questa roba? Ma non sappiamo se è sicura, non sappiamo chi… Chi diavolo l’ha portata qui?”

“Babbo Natale, Jinko.”

“Akutagawa Ryuunosuke, falla finita!”

 







Nonostante i capricci di Saku, non ci fu modo di convincere Atsushi a portare il sacco di Babbo Natale a casa, così Ryuunosuke lo lasciò in ufficio affinché gli altri detective lo controllassero. Kenji non aveva idea di cosa fare, Yosano decise che non era una sua responsabilità e Ranpo disse chiaro e tondo che poteva indovinare il contenuto di quei pacchi uno a uno, ma non aveva alcuna voglia di farlo.

Alla fine, i regali per Saku rimasero in ufficio fino al ritorno di Dazai e Kunikida.
 





“Babbo Natale vi ha consegnato un pacco pieno di regali,” ripeté Kunikida, assai dubbioso. “In un pub chiamato Lupin?”

“Sì, Babbo Natale!” Confermò Atsushi, lanciando un’occhiata storta al partner seduto di fronte a lui.

“Che vuoi, Jinko?” Domandò Ryuunosuke, non ancora stufo di prendere in giro la sua Tigre Mannara.

“Bambini, non litigate,” canticchiò Dazai, continuando a tirare fuori i pacchi colorati.

Erano seduti tutti e quattro nel salottino in cui erano soliti far accomodare i clienti, il sacco posato sul basso tavolino tra i due divani. Dopo aver sentito la storia, Kunikida aveva insistito per controllare ogni regalo con un metal detector. “Non siete abbastanza grandi da sapere che non si deve mai e poi mai accettare regali dagli estranei?” Tuonò, irritato dal fatto che la sua tabella di marcia di lavorativa fosse andata in fumo ancor prima di mezzogiorno.

“Ci dispiace, Kunikida,” rispose Atsushi, sinceramente costernato.

Ryuunosuke prese tra le mani l’ennesimo pacchetto, avvolto da una brillante carta color rosso. Nel bigliettino appeso al fiocco nero solo due parole: Per Sakunosuke.

“Sakunosuke?” Lesse ad alta voce, perplesso.

“Sì, Sakunosuke,” confermò Dazai, togliendo gentilmente il regalo dalle mani del più giovane. “Sakunosuke detto Saku. Pensavo di avertelo detto.”

Ryuunosuke scosse la testa, mentre Dazai esaminava con attenzione il biglietto su cui era scritto il nome di suo figlio. Di punto in bianco, il suo viso si contorse in una smorfia disgustata e lanciò il pacco rosso come fosse immondizia.

“Questo lo possiamo anche buttare!” Affermò.

Ryuunosuke lo afferrò al volo e lo sguardo gli cadde sull’unica lettera con cui il mittente aveva firmato quel biglietto di auguri: -C.

Ecco spiegata l’ostilità di Dazai nei confronti di quel pacco, confezionato in modo fin troppo sontuoso per un bambino di nemmeno quattro anni.

Sono felice che abbia scelto te.

Con la coda dell’occhio, Ryuunosuke guardò il giovane uomo seduto al suo fianco. Era quella la reale ragione dietro il compito che Dazai gli aveva affidato? Gli aveva davvero messo nelle mani la vita di suo figlio, ordinandogli tacitamente di proteggerla?

“Chi è Elise?” Domandò Kunikida di colpo, rigirandosi tra le mani un disegno eccessivamente colorato, sicuramente opera di un bambino.

Dazai si sporse e glielo tolse di mano. “Non lo sai? È l’aiutante di Babbo Natale.”

Kunikida sbatté le palpebre un paio di volte. “Non mi risulta.”

“Solo perché sei sempre così serio e noioso.”

“Che correlazione ci sarebbe tra le due cose?”

“Scusate l’interruzione…” Yosano comparve sulla scena, stringendo tra le braccia un Saku ancora mezzo addormentato. “Qualcuno si è appena svegliato dal riposino e reclama Dazai.”

Il giovane genitore sorrise dolcemente. “Grazie Yosano,” disse, prendendo il suo bambino tra le braccia. “Ben svegliato, Saku-chan!”

Ancora assonnato, Saku sollevò la testolina di scuri capelli ribelli e appoggiò la fronte a quella del genitore, giocando distrattamente con il suo cravattino.

Mentre Kunikida incitava Atsushi a muoversi con gli ultimi pacchi, Ryuunosuke osservò Dazai illuminato da quella luce del tutto nuova, e tornò a chiedersi quale uomo avesse mai potuto donare tanto a qualcuno che della vita non sapeva che farsene.

Suo malgrado, aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto porsi quella domanda ancora per un bel po’. Ma per il momento…

Sei forte. Saprai come proteggerlo.

La mano di Atsushi che copriva la sua lo riportò alla realtà. “Perché sorridi, Ryuu?”

Ryuunosuke sollevò gli occhi grigi e trovò quelli di Atsushi che lo studiavano con dolcezza. Ricambiò la stretta e gli promise in silenzio che gli avrebbe raccontato ogni cosa, ma a casa, lontano da orecchie indiscrete.

“Babbo Natale…” Mormorò Saku, indicando i suoi regali, gli occhi azzurri ancora velati di sonno.

“Sì, il Babbo Natale che ha incontrato Akutagawa,” sottolineò Kunikida, velenoso. “Avrei tanto voluto vederlo anche io!”

“No, no, no, c’è un errore qui!” Intervenne Dazai, agitando l’indice. “Ryuu ha incontrato Basso Natale, non Babbo Natale. Vero, Ryuu?”

Ryuunosuke dischiuse le labbra, ma non trovò un modo intelligente per replicare a quell’assurdità.

“Basso Natale, no?” Insistette Dazai. “Il nostro buon vecchio e basso amico.”

“Ho capito, Dazai!” Esclamò Ryuunosuke, solo per farlo smettere. Atsushi aggrottò la fronte e fece per chiedergli qualcosa, ma lo fermò premendogli un indice contro le labbra.

Completamente ignaro di quello che stava succedendo, Kunikida disse la sua. “Non mi risulta neanche che esista un Basso Natale.”

Dazai sbuffò. “Ma Kunikida! Non conosci Basso Natale e la sua aiutante Elise! È scandaloso!”

Ryuunosuke si coprì gli occhi con la mano destra, stringendo quella di Atsushi, manco fosse un appiglio sicuro in mezzo a una tempesta. Allo stato attuale, non sapeva se sarebbe arrivato sano di mente al giorno in cui avrebbe trovato il padre di Dazai Sakunosuke, ma era certo che Nakahara Chuuya avrebbe sofferto di otite fino a Natale.
 



   
 
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