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Autore: Deb    25/12/2020    3 recensioni
«Ti ho protetto. Sono riuscita a proteggerti. Stai bene».
Schiudo gli occhi, ritrovandomi ad osservare un soffitto alto e bianco. Porto una mano alla fronte, trovandola fasciata. Mi domando dove sono, ma non ho la forza di guardarmi intorno. Gli occhi bruciano e le lacrime che non finito di piangere bagnano il mio viso.

{Spin-off di Until the day I die}
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alma Coin, Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Peeta Mellark, Presidente Snow
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Circle Closes




«Ti ho protetto. Sono riuscita a proteggerti. Stai bene».
Schiudo gli occhi, ritrovandomi ad osservare un soffitto alto e bianco. Porto una mano alla fronte, trovandola fasciata. Mi domando dove sono, ma non ho la forza di guardarmi intorno. Gli occhi bruciano e le lacrime che non finito di piangere bagnano il mio viso.
Non l’ho protetta. Mi maledico, più e più volte. Se ne avessi la forza, mi alzerei e distruggerei tutto ciò che mi circonda. Qualsiasi cosa.
La realizzazione mi arriva improvvisa, come se fino a quel momento lo sapessi, ma non riuscissi a focalizzarlo.
Stacco il tubicino trasparente dall’interno del mio gomito. Il sangue zampilla per la veemenza con la quale ho tirato l’ago. Bene. Devo farmi male. Non merito di essere qui.
«Non avresti dovuto staccarlo».
Finnick. Chiude la porta alle sue spalle e si avvicina a me. Sposta una sedia per mettersi affianco il mio letto, sento l’attrito del legno contro il pavimento. Mi accarezza il viso, delicato e chiudo gli occhi. Un singhiozzo esce dalla mia gola, senza che possa trattenerlo. Non mi importa. Non devo essere forte, né con lui né con chiunque altro.
Sono morto anche io. Mi piacerebbe che fosse davvero così. Ma il dolore, dove ho tolto l’ago lo sento, e se non esistessi più, non sentirei più nulla. Starei meglio.
«Mi dispiace». Sussurra, abbassando lo sguardo. Non serve che lo dica. Non ha più importanza nulla, ora.
Intorno a me c’è il vuoto e nessuna parola di conforto potrebbe mai farmi ritornare a galla. Sono dentro il Lago salato e sprofondo, sprofondo sotto l’acqua senza fare nulla per riemergere. Lasciatemi morire. Ma so che non lo faranno. Non ancora, almeno.
Ma se lei non c’è, la mia esistenza non ha senso.
Le immagini della mia Katniss, mentre ardeva nel fuoco delle bombe esplose dopo, riempie la mia mente. Non potrò vedere nient’altro, se non il petto di Katniss alzarsi ed abbassarsi sempre più lentamente. Ascoltare le sue ultime parole, per me. Dedicate a me, anche se non le meritavo. Avrei dovuto proteggerla io. Io avrei dovuto salvare lei e me da quell’inferno di fuoco.
Non ci sono più. I suoi occhi grigi non ci sono più. Questo pensiero è come una pugnalata allo stomaco. Non sono più dentro questa stanza, sopra questo letto. Sono di nuovo lì, in strada, davanti al palazzo del Presidente ad osservare gli occhi grigi che tanto amo senza più nessuna scintilla di vita. Mi guardando, mi hanno guardato fino all’ultimo, continuano a farlo. Mi osserveranno per sempre.
Devo raggiungerla.

Non mi lasciano un attimo. Forse hanno capito che se mi lasciassero un po’ più di libertà, mi ritroverebbero freddo. Come è lei adesso.
Haymitch e Finnick mi vengono a trovare, spesso. Mi parlano, mi raccontano di come la guerra sia finita, di come le perdite che abbiamo avuto hanno avuto un senso. Non la nominano mai.
A volte sento il desiderio di vederla entrare nella mia stanza, correre verso di me e stringermi in un abbraccio. Desidero che mi baci. Spesso accade, nei miei sogni. Sogni che poi si tramutano in incubi ed al risveglio non mi sento meglio, perché lei non c’è. Non è con me. Non ho più parlato da quando mi sono risvegliato. Lo psicologo dice che il trauma è stato troppo grande, ma che con il tempo potrei ritrovare la parola. Non mi interessa. Io sono morto.
Haymitch mi guarda con occhi tristi. Sospira, oggi. Non ho fatto alcun progresso, e gli inserti nuovi di pelle si stanno cicatrizzando sulla mia pelle buona. Quando ancora ero privo di conoscenza mi hanno operato, mi ha detto. Hanno preso pelle sintetica e me l’hanno cucita addosso, in quei punti dove la mia carne era troppo martoriata per poter riprendersi. Non mi hanno chiesto il permesso, lo hanno fatto e basta. Per salvare un’ultima volta il volto di questa rivoluzione. Dovevano salvare lei.

Non riesco a capire quanti giorni siano trascorsi. Mi sembra di essere rinchiuso qui dentro da una vita. Rinchiuso in una prigione nella quale l’unica cosa che vedo sono le fiamme che la bramano, che la consumano, ed i suoi occhi grigi che mi guardano, mi sorridono, addirittura. Come un ciclo infinito rivivo quei momenti, come se non esistesse nient’altro. Katniss. Sempre lei. È sempre stata solo e sempre lei, da quando ho memoria. Ed anche adesso che non riesco a svegliarmi dai miei incubi, dove il fuoco perpetuo me la porta via. Sempre più lontana, sempre più distante. Dove sei adesso, amore mio?
È stata colpa mia. Tutta colpa mia se adesso i tuoi occhi non potranno più guardare e soffermarsi su un dente di leone a ciglio strada, o incontrare il verde del bosco del Distretto dodici. Non mi porterà più al Lago, come aveva detto di fare. Non potrò più stringerla a me, sentire il calore della sua pelle e la sua voce chiamare il mio nome, come solo lei sapeva fare.
Mi hanno portato via tutto.
Metto i piedi a terra e cerco di alzarmi, ma le gambe non mi reggono e finisco a terra, riprovo, ancora ed ancora ad alzarmi in piedi a muovere qualche passo. Ci metto un po’, ma alla fine ci riesco.
Apro lentamente la porta, cercando di fare meno rumore possibile, guardandomi intorno. Sembrerebbe non esserci nessuno, quindi mi spingo fuori. Girovago un po’ per questa villa enorme che un tempo – non molto tempo fa – era gremita di persone vestite a festa. Hanno festeggiato anche noi, qui. Ho ballato con Katniss, ho desiderato la rivoluzione, all’interno di questo palazzo. Stupido. Eppure so che non sarebbe potuto andare diversamente. Non sarei tornato a casa, dai primi Hunger Games, senza di lei e lei non l’avrebbe fatto senza di me. Ed ora che non c’è più, so che non tornerò a casa. Non lo farò. Non senza di lei.
Perso nel suo ricordo, cammino per questi corridoi senza una meta, nascondendomi quando sento dei passi o qualche voce. Riprendendo a camminare quando il silenzio mi riempie la mente, finché non sento l’odore delle rose. Mi blocco ed alzo lo sguardo. Tremo, senza riuscire a trattenermi. Prima lo uccido e poi mi uccido.
Mentre avanzo lentamente nel salone, il profumo si fa opprimente. Non è forte come quello degli ibridi, forse, ma è più netto, perché non deve sovrastare la puzza di liquami ed esplosivi. Giro un angolo e mi ritrovo a fissare due guardie dall’espressione sorpresa. Non sono Pacificatori, naturalmente. I Pacificatori non ci sono più. Ma non sono nemmeno gli ordinati soldati del 13, con la loro uniforme grigia. Questi due, un uomo e una donna, portano i vestiti sbrindellati e raccogliticci dei veri ribelli. Smunti e ancora fasciati, adesso montano la guardia all’accesso che conduce alle rose. Quando mi muovo per entrare, i loro fucili formano una X davanti a me.
«Non può passare» dice l’uomo. «Ordine della presidente».
Mi limito a restarmene lì, aspettando pazientemente che abbassino i fucili. Non mi interessa nulla della presidente, di quello che dice, di quello che fa. Ho ben altro per la testa che continuare a remare all’interno di questa società distorta e bramosa di potere.
«Lasciatelo entrare».
Conosco la voce, ma non riesco a collocarla subito. Non è del 13, e decisamente non di Capitol City. Giro la testa e mi ritrovo faccia a faccia con la Paylor, comandante del Distretto 8. Ha un’aria ancor più distrutta di quella che aveva davanti all’ospedale, ma chi non ce l’ha?
«Lo autorizzo io» dice la Paylor. «Ha diritto a qualsiasi cosa stia dietro quella porta». Questi sono soldati suoi, non della Coin. Abbassano le armi senza fare domande e mi lasciano passare.
In fondo a un breve corridoio, faccio scivolare di lato i due battenti della porta e muovo un passo all’interno. Ormai il profumo è così intenso da perdere forza, come se il mio naso non potesse assorbirne di più. L’aria umida e tiepida è gradevole sulla mia pelle bollente. E le rose, poi, sono magnifiche. File e file di fiori sontuosi color rosa carne, arancione carico, e persino azzurro chiaro. Mi aggiro da una corsia all’altra di piante potate con cura, guardando ma non toccando, perché ho imparato a mie spese quanto letali possano essere quelle meraviglie. Penso che le sarebbe piaciuto questa distesa di colori.
Mi fermo davanti ad una rosa bianca, così candida che sembra risplendere. Non è ancora del tutto schiusa e vorrei poterla regalare a lei, se non sapessi che questo tipo di rose siano le predilette di colui che l’ha uccisa.
«Quello è grazioso».
Sussulto, preso in contropiede. Annaspo in cerca di aria quando riconosco la voce che ha parlato. Posso ucciderlo qui, ora.
«I colori sono belli, naturalmente, ma niente esprime la perfezione quanto il bianco».
Non lo vedo ancora, ma la sua voce sembra esalare da un cespuglio di rose rosse lì vicino. Giro l’angolo adagio e lo trovo seduto su uno sgabello contro la parete. È ben lisciato ed elegantemente vestito, come sempre, ma zavorrato da manette, ceppi e dispositivi di localizzazione. Nella luce vivida, la sua pelle è pallida, di un verde malaticcio. Tiene in mano un fazzoletto bianco, macchiato di sangue fresco. Anche ridotto così, ha sempre quegli occhi da serpente, freddi e lucenti. «Speravo che avrebbe trovato la strada per i miei appartamenti».
I suoi appartamenti. Mi sono introdotto in casa sua nello stesso modo in cui lui è strisciato nella mia, l’anno scorso, sibilando minacce dalla bocca che sapeva di rose e di sangue. Questa serra è una delle sue stanze, forse quella che preferisce, e magari, in tempi più felici, vi curava personalmente le piante. Ma adesso è parte del suo carcere. Ecco perché le guardie mi hanno bloccato. Ed ecco perché la Paylor mi ha permesso di entrare.
Pensavo fosse confinato nelle segrete più profonde di Capitol City, piuttosto che immerso comodamente nel lusso più smaccato. Eppure la Coin lo ha lasciato qui. Per stabilire un precedente, immagino, così che in futuro, se mai dovesse cadere in disgrazia anche lei, risulti chiaro che i presidenti, persino i peggiori di loro, hanno diritto a un trattamento di favore. In fondo, chi può dire quanto durerà il suo potere?
«Ci sono così tante cose di cui dovremmo parlare, ma ho la sensazione che la sua sarà una visita breve. Perciò, partiamo dalle cose più importanti». Comincia a tossire e, quando si toglie il fazzoletto dalla bocca, noto che è più rosso. «Volevo dirle che sono molto dispiaciuto per sua moglie».
Stringo i pugni. Quelle parole mi provocano una fitta di dolore che mi attraversa da capo a piedi, ricordandomi che non c’è limite alla sua crudeltà. E che fino all’ultimo cercherà di distruggermi. Non dovrebbe nemmeno permettersi di nominare mia moglie. Non ne ha il diritto. Non più. Stringo i pugni, pensando ad un modo per fargli male, tanto quanto ne ha fatto a Katniss quando la teneva prigioniera e dopo, quando il fuoco l’ha mangiata.
«Uno spreco del tutto inutile. Chiunque poteva capire che a quel punto la partita era chiusa. In effetti, stavo proprio per dichiarare ufficialmente la resa quando loro hanno sganciato quei paracadute». Tiene gli occhi incollati su di me, senza battere le palpebre, per non perdersi neppure un attimo della mia reazione. Ma quello che ha detto non ha alcun senso. Quando loro hanno sganciato i paracadute? «Be’, non crederà sul serio che sia stato io a dare l’ordine, vero? Lasci stare il fatto più ovvio, cioè che se avessi avuto a disposizione un hovercraft funzionante, lo avrei usato per prendere il largo. Ma a parte questo, a cosa poteva servire? Sappiamo tutti e due che non ho alcuna remora a uccidere dei bambini, ma io odio gli sprechi. Tolgo la vita per motivi molto specifici. E di motivi per distruggere un recinto pieno di bambini di Capitol City non ne avevo nessuno. Proprio nessuno».
Troppo preso dal mio dolore, dal suo ricordo, non ho pensato mai per un momento all’ovvietà di quanto dice. Non aveva senso, per lui, uccidere tutti quei bambini quando avrebbe potuto scappare e non farsi più trovare. Non sarebbe stato ammanettato qua, se invece di lanciare le bombe, fosse salito lui stesso nell’hovercraft.
Annaspo, non riuscendo a respirare. Mi devasta. Mi brucia l’anima dall’interno. Non mi sono mai fidato ciecamente della Coin. Non l’ho mai vista di buon occhio. E lei se ne è accorta. Per lei valiamo più da morti che da vivi, cosicché lei non abbia oppositori, se mai decidessi di oppormi a lei.
Mi inginocchio a terra, rimettendo la bile dello stomaco. L’ha fatto per colpire me. Me e solo me. Katniss è morta per colpa mia, per colpire me.
«La mia rovina è stata la lentezza con cui ho compreso il piano della Coin». Confessa Snow. «Lasciare che Capitol City e i distretti si distruggessero tra loro per poi farsi avanti e impadronirsi del potere, con il 13 appena sfiorato dagli eventi. Stia pur certo che aveva intenzione di prendere il mio posto sin dall’inizio. Non dovrei esserne sorpreso. Dopotutto, fu il 13 a dare inizio alla ribellione che portò ai Giorni Bui. E in seguito abbandonò gli altri distretti quando le cose gli si rivoltarono contro. Ma io non prestavo attenzione alla Coin. Tenevo d’occhio lei. E lei teneva d’occhio me. Temo che siamo stati presi in giro entrambi».
E so che ha ragione. Che lei è morta per la sete di potere di una persona spietata, che si nascondeva nel cercare di aiutare tutta Panem.
Menzogne. Tutte menzogne. Siamo sempre state pedine in un gioco più grande di noi..

Passano altri giorni. Non sono più uscito dalla mia stanza prigione e ho continuato a vederla, tra le fiamme, mentre allunga la mano verso di me e con gli ultimi istanti di vita, con quegli occhi grigi che tanto amo, mi chiede di stringergliela un’ultima volta.
Lo faccio, sempre. La continui a stringere nei miei sogni, prima che si tramutino negli incubi di sangue e fuoco. Il fuoco ustiona anche me, dentro il corpo, lasciando intatta la mia carne. Sono un campo di cenere, ormai.
Haymitch mi viene a chiamare, mi alzo, vado a darmi una rinfrescata al viso. Cerco di dare l’impressione di continuare a vivere, sebbene la mia vita sia finita quel giorno. Insieme a Katniss.
Il mio mentore ha la voce rotta, me ne accorgo adesso. Non si è ripreso del tutto nemmeno lui. Mi dice che la Coin ha indetto una riunione e mi prepara dei vestiti sul letto. L’uniforme di Cinna e Venia. La lancia è lì vicino. Mi domando perché me la diano, visto che non devo uccidere nessuno.
«Oggi c’è l’esecuzione del Presidente Snow». Dice Haymitch, togliendomi ogni dubbio. Devo vestire in uniforme, come se la guerra non fosse finita, per vedere morire un mostro.
Mi vesto e porto la lancia sulla schiena, al suo posto. Porto una mano sulla clavicola, il morso della notte è sempre lì, nell’esatto posto in cui era durante la rivoluzione. Guardo Haymitch, che sembra non accorgersi di ciò che sto toccando, e mi chiedo se sia stato lui a premurarsi di lasciarla lì.
Camminiamo l’uno affianco all’altro, raggiungendo la Coin, senza sfiorarci mai. Non parliamo, anche perché io non ho più parlato da allora e penso che non lo farò mai più. La mia voce era per lei. Ci ritroviamo in una stanza in cui sei persone sono sedute intorno a un tavolo. Finnick, Johanna, Beetee, Haymitch, Annie ed Enobaria. Indossano tutti l’uniforme grigia del 13. Nessuno di loro ha un gran bell’aspetto. Ci sono tutti i vincitori superstiti, ma manca la più importante. L’unica degna di essere chiamata vincitrice, colei che è andata contro tutto e ha superato un depistaggio pur di tornare da me. Ci sarebbe dovuta essere lei, non io.
«Prego, siediti, Peeta». Invita la Coin, chiudendo la porta. Prendo posto tra Finnick e Beetee. Come al solito, la Coin va dritta al punto. «Vi ho chiesto di venire qui per appianare una controversia. Oggi giustizieremo Snow. Nelle scorse settimane, centinaia di suoi complici nell’oppressione di Panem sono stati processati e ora aspettano la morte. Ciononostante, la sofferenza dei distretti è stata tale che alle vittime questi provvedimenti non sembrano abbastanza. In effetti, molti stanno chiedendo l’annientamento dell’intera popolazione di Capitol City. Tuttavia, se vogliamo garantire la sopravvivenza della nazione, non possiamo permetterci un passo di questo genere. È stata quindi suggerita un’alternativa. Ma dal momento che i miei colleghi e io non riusciamo a raggiungere un valido accordo, abbiamo stabilito di lasciare che siano i vincitori a decidere. Il programma si considererà approvato se avrà una maggioranza di almeno quattro voti. Nessuno potrà astenersi dal votare». Dice la Coin. «La proposta è questa: invece di eliminare tutta la popolazione di Capitol City, organizziamo un’ultima, simbolica edizione degli Hunger Games, utilizzando i bambini imparentati direttamente con gli uomini di maggior potere».
Ci giriamo tutti e sei nella sua direzione. «Cosa?» Dice Johanna.
«Teniamo un’altra edizione degli Hunger Games coi bambini di Capitol City». Spiega la Coin.
«Sta scherzando?» Chiede Finnick.
«No. Vi dico inoltre che se alla fine i Giochi si terranno davvero, verrà reso noto che la cosa è stata fatta con la vostra approvazione, mentre i singoli voti saranno mantenuti segreti per la vostra stessa sicurezza». Chiarisce la Coin.
«L’ha avuta Plutarch, quest'idea?» Chiede Haymitch.
«L’ho avuta io». Risponde la Coin. «Mi è parso che compensasse il bisogno di vendetta con il minor numero di vittime. Potete votare».

Vendetta. Mi rimbomba nella mente questa parola. Vendetta.
È questo quello che ha fatto quando ha lanciato i paracadute sui quei bambini indifesi? Vendetta genera vendetta. È un circolo vizioso dal quale non si esce. Vendetta. Anche io esigo vendetta. Per lei. Per Katniss. Vendetta. E all’improvviso è come se vedessi rosso. Rosso come il sangue, come il fuoco, che balla senza sosta fino a che tutto ciò che lo circonda non diventa cenere.
«Be’, non crederà sul serio che sia stato io a dare l’ordine, vero?».
Mi alzo in piedi, strisciando la sedia a terra. Tutti i presenti mi guardano, persino la Coin. Ed io guardo lei. Vendetta. Mai parola è stata più attinente e l’ha pronunciata proprio lei che, con quegli occhi senza pentimento, mi osserva curiosa. Non si aspetta che colui che l’ha appoggiata, ha deciso di esigere vendetta. Non nei confronti del Presidente Snow. No. A lui non manca tanto: morirà. Se non verrà ucciso, morirà per tutto il sangue che sputa in quel fazzoletto bianco.
Non mi muovo, sospiro, ma rimango in piedi e sembra che la cosa non dia fastidio a nessuno. Il vociare ricomincia. Finnick dice che non si può avere un’altra edizione degli Hunger Games, non è così che deve andare. Violenza genera violenza, e dopo questa edizione speciale potrebbe essercene un’altra, senza che finisca mai questo vortice di sangue.
Johanna invece vorrebbe vedere la nipote di Snow, cercare di vivere quanto più a lungo possibile in un’arena che sputa sangue, come il sangue che si è ritrovata nella bocca pensando fosse pioggia. Ma quella bambina non ha colpe, non sarebbe giusto. Niente è giusto. Non è giusta la vita che scorre nelle vene di Alma Coin che ha fatto sì che quella di mia moglie si fermasse.
Così, mentre tutti chiacchierano, non si accorgono che la lancia non si trova più sulla mia schiena, ma stretta nella mia mano destra. Non si accorgono quando alzo il braccio e sono pronto a lanciare.
«L’hai uccisa tu». Sussurro, con la voce roca di chi è da tanto che non parla, prima di vedere la punta di ferro trapassare il petto del nuovo Presidente che sgrana gli occhi, esalando l’ultimo respiro.
Sento le sedie cadere a terra, veloci. Haymitch ride, per qualche strano motivo; e mentre i miei denti raggiungono il taschino e portano alla bocca il morso della notte, il cerchio si chiude.



BUON NATALE!
Questo è un capitolo aggiunto, POV Peeta, di Until the day I die. Spero che lo abbiate apprezzato. Come dicevo nelle scorse NDA, Katniss ha chiuso il suo cerchio, ma mancava qualcosa per chiuderlo del tutto.
Peeta non avrebbe mai potuto vivere con i sensi di colpa dovuti per la morte della donna che ama con tutto il cuore e, parlando con Snow, comprende quanto sia stato manipolato – come Finnick aveva detto a Katniss in Until.
Con questa shot il cerchio si chiude definitivamente.
Spero che la fic vi sia piaciuta!
Ci vediamo la prossima settimana con l’Epilogo di Until! ♥
Baci e buon Natale
Deb

Ringraziamenti:
LaGattaImbronciata aka la Pavonessah. Questa storia non sarebbe iniziata senza di te, senza la tua dolcezza e bontà. E te l'avevo promesso che l'avrei scritta, per te. Certo, sarebbe dovuta essere una OS e non una long, ma sappiamo bene, ormai, che non possiamo fare pronostici. Ma non ti devo ringraziare soltanto per il fatto che tu mi abbia fatto iniziare a scrivere questa fanfiction, ma anche e soprattutto perché mi sei stata a fianco per tutta la stesura della fic, aiutandomi, spronandomi, plottando insieme e aiutandomi nei dialoghi e nell'introspezione. In tutto. Perché questa non è la mia fic, ma è tua. Nata per te e con te. E devo ringraziarti con tutta me stessa per il semplice fatto che mi stai vicino, mi sei stata vicino e che mi aiuti, sempre. Il mio mastrino non bilancia, nei tuoi confronti, ma fortunatamente non sono Kitkat... e troverò comunque il modo per sdebitarmi. Sei fantastica. E te l'ho già detto e te lo dico spesso, ma senza di te non riuscirei più a scrivere. Quindi grazie ancora. Ti voglio bene, tesoro.
radioactive aka Renny cuoreh che ha creato questo banner con la sua bravura nell'arte grafica. Questo banner è la bellezza e l'adoroh perché è davvero tantoh cuoreh per il fatto di avermi fattoh il banner T0T Grazieh! *debbina ti abbraccia strettah strettah!* Sei gentilissima!
E un grazie speciale a tuttah la mia famigliah virtuale. Gabry, Sun, yingsu e tutte le persone che sono diventate tanto importanti per me e che adoro, che ho conosciuto in questo fandom. ♥ Vi adoroh! T///T



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