1. Hai voluto la bicicletta?
Rientrò
tra le mura di Volterra
che era furente. Camminò spedita fino
all’ingresso, scansando la figura
massiccia di Santiago — che probabilmente le voleva chiedere
perché fosse tanto
insolitamente scura in volto — e svicolando verso
l’ingresso della dimora dei Signori
di Volterra.
Raggiunse
il sottosuolo, dove si
dipanavano i cunicoli dell’antica sede dei Volturi senza
incontrare nessuno.
Era umido come sempre, ma percepiva il vago sentore di qualcuno di
passaggio,
qualcuno di nuovo.
La
segretaria umana — Giovanna
Gabelleri, volterrana — si alzò appena la vide.
«Bentornata,
Diana» la salutò mettendo su un sorriso.
Percepì
il suo cuore martellante
per la fretta di alzarsi e la vide aggiustarsi la camicetta che doveva
essersi
sbottonata, le guance arrossarsi mentre il sangue affluiva sotto
l'incarnato
vagamente olivastro della sua pelle.
«Buon
pomeriggio, Gianna» rispose, forse un po' troppo bruscamente
a giudicare dal modo in cui
lei trasalì e il suo cuore sussultò.
Si
ricompose in fretta, mentre le
sfrecciava davanti. Non aveva ancora aperto la porta che si
ritrovò davanti
Felix.
«Ci
stavamo giusto
chiedendo se foste fuggiti» le disse, con la sua voce
profonda.
S’irrigidì.
«Fuggiti?» ripeté.
«Sì,
fuggiti, tak» confermò.
Si fermò. «Cosa vuoi?» domandò, «Sto andando ad annunciare il mio ritorno da questa esilarante gita fuori porta. Vuoi che porti un messaggio ai nostri Signori anche da parte tua?» chiese, sbrigativa.
«Anche
se
l’unica che è fuggita sono io. Probabilmente il
nostro segugio era troppo
occupato a ricordare quando sia fenomenale, per accorgersi che la sua
allieva
se la dava a gambe» commentò.
Lui piegò le labbra. «Non ti disturbare, Gremlin
«Piuttosto,
eravamo curiosi
di sapere com’era andata. Difficilmente Demetri
dà… come si dice in questo
secolo… ripetizioni di questo
genere» sghignazzò.
Lo
fulminò con lo sguardò.
«Oh, intendi il signor ‘ce l’ho solo io?
Ed io sono io e voi non siete
un cazzo, rammentatevelo!’? Intendo quel Demetrios?
Lo stesso che ha detto ‘ti aiuto io, tranquilla, un
passo alla
volta’ e poi ha passato gli ultimi tre giorni a
giocare a chi ce l’ha più
lungo con una — che sarei io — che non è
in grado di ritrovare nemmeno l’auto in
un parcheggio con posto assegnato?» sbottò.
«Quel
segugio in
particolare?»
Il
grosso vampiro rise piano.
«Proprio lui» confermò.
«Pensavo peggio».
«Rimpiango
di non essere
rimasta a fare la bella statuina sui Monti di Verchojansk due settimane
fa» rispose, laconica.
Felix la guardò con l'aria di chi la sa lunga. «Ti sorprenderà, ma non fatico a crederlo» le disse.
Roteò
gli occhi.
«L'unica
con cui puoi
prendertela è te stessa, Diana. Sbaglio o c'eri anche tu
quando abbiamo inseguito
quel segugio per mezzo continente Africano?»
«Sì»
sospirò, «sì, c'ero anche io. Secondo
te è un problema di
categoria? L'essere delle prime donne fatte e finite?»
chiese.
«Teoria
interessante,» concordò lui,
«però ancora non ho capito come hai fatto a
perderti due settimane fa».
Arcuò
la sopracciglia. «Ah, è questo che ti ha
detto?»
Quindici
giorni prima
Lasciò
che la bufera di neve le imperversasse addosso. Quella che in
condizioni diversa l’avrebbe
congelata, sulla sua pelle era una carezza appena meno che tiepida.
Tuttavia,
il rimanere sommersa fino a sopra i capelli da quintali di neve fresca
non era
il suo problema maggiore.
No,
il problema maggiore era che
doveva trovare quel proklyatyy* fuggiasco che le
aveva fatto
praticamente mangiare la polvere poco sopra dei Monti di Verchojansk,
dove
regnava la gradevole temperatura di -40°C in quel momento.
Il
vento diventò più sferzante:
nemmeno gli animali di quelle zone erano a giro, l’unica
creatura che era
sufficientemente resistente da rimanere all’aria aperta
— al di là dello stare
impalata come una statua con la neve che ormai le lambiva le ginocchia
— era
lei.
Si
passò le mani tra i capelli,
sentendoli semi congelati. Persino quelli come lei, in quel clima
terribile,
s’irrigidivano.
Tentò
malamente di annusare
l’aria, ma senza sentire altro che il proprio odore e quello
della neve. Ormai
le tracce o la scia che poteva aver lasciato il fuggitivo erano
sparite, divorate dalle
intemperie e dal vento.
Rimase
in mezzo all’ampia radura
per diversi secondi, infagottata dalla testa ai piedi e rimuginando su
cosa
fare. Sapeva che alle sue spalle c’era un bosco: per cui
l’unica era trovare un
riparo e un punto in quelle lande desolate in cui prendesse il telefono
e
chiamare rinforzi. Ormai era rassegnata a quell'eventualità
e alla figuraccia
che avrebbe fatto.
Sembravano tutti convinti — se non altro le guardie inferiori che come lei doveva entrare all'interno della Guardia ufficialmente — che fosse dotata di qualche sorta di capacità venatoria infusa da Demetri. Peccato che certe abilità non si trasmettessero con l'imposizione della mani, o sarebbe stata veramente un fenomeno e non si sarebbe trovata lì.
Batté
un piede in terra, sentendo il terreno sotto lo stivale
da trekking imbottito creparsi.
Dannazione,
dannazione,
dannazione.
Due cose doveva
fare: recuperare
le informazioni sull’emergente Clan che era nato nei pressi
di Mosca e poi
seguire il creatore. Creatore che aveva ben pensato di svignarsela
lungo la
transiberiana, a piedi.
Peccato
che dovesse essere molto
più esperto di lei, considerando la facilità con
cui l'aveva seminata. In quel
momento poteva essere tranquillamente quasi arrivato in America a
nuoto,
considerando le distante, o essersi rintanato sotto un ghiacciaio o
qualsiasi
altra cosa, nel mentre lei faceva la bella statuina.
Sospirò
di frustrazione e tornò
sui suoi passi per trovare un posto in cui cedere al lato
oscuro e
chiamare rinforzi.
La
bufera era talmente intensa
che vedeva solo il susseguirsi delle minuscole forme dei fiocchi di
neve che le
cadevano addosso, imbiancandole i vestiti, i capelli e andando a
confondersi
con la pelle alabastrina.
Non
credeva fisicamente possibile
che un vampiro potesse veramente perdersi, ma
pareva che lei avesse
deciso di sfidare le leggi della normalità con quella
missione.
Impiegò
un giorno intero per
trovare il primo posto in cui il telefono avesse segnale e ormai era
irrimediabilmente
lontana dall'obiettivo, ovunque esso si fosse rintanato.
Il
telefono squillò due volte.
«Demetri» rispose la voce maschile.
Sospirò,
ormai era troppo tardi
per tornare indietro. «Ciao»
mormorò.
«Che
succede?» le
domandò, mentre quasi lo vedeva smettere di fare qualsiasi
cosa stesse facendo
e prestarle attenzione. Comprensibile, dato che l'ultima volta a Vienna
quando
l'aveva chiamato era stata ad un passo dal fare una fiammata.
«Diana?»
insistette lui.
«Sì»
rispose, «io... credo di essermi persa»
mormorò, imbarazzata.
Un
secondo di silenzio. «Diana, i vampiri non si
perdono» le disse l'uomo. «Azzardo a dirti che sia
fisicamente impossibile» aggiunse.
«Questo
è quello che
pensi tu» rispose, tra sé. «Non sfidare
il mio senso
dell'orientamento, Demetrios».
«Dove
sei?»
chiese lui.
Disegnò
un cerchio distratto con
la punta congelata dello stivale, mentre qualcuno la guardava, da fuori
della cabina telefonica. Ricordarsi di muoversi era una gran seccatura.
«In
una cittadina a
centoquindici chilometri da Jakutsk» mormorò.
Dall'altra parte sentì
una mezza risata soffocata.
«D'accordo,
aspettami lì
e non allontanarti» le disse Demetri, paziente. «Ci
vediamo tra
qualche giorno» le promise.
Tre
giorni dopo dal limitare del
boschetto dove aveva deciso di aspettare, vide la figura dell'uomo.
Sembrava
camminare come se fosse capitato lì per caso e fu
lì per lì per salutarlo,
prima di rammentarsi il suo potere. Si era già umiliata a
sufficienza per i
successivi cinquant'anni.
«Ciao»
bofonchiò,
quando fu abbastanza vicino. «Sei stato veloce».
Demetri
la squadrò. «Cosa
è successo?»
Bofonchiò
la risposta, masticando
le parole.
«Come?
Non mugugnare,
Diana» disse.
Lo
fissò dal basso, soffermandosi
sulla grossa sciarpa che era lì a fare figura e che gli
copriva il viso fino a
sotto il naso, lasciando scoperti solo i capelli corvini e gonfi per il
vento e
il freddo, il dorso del naso e gli occhi neri per via delle lenti a
contatto
scure.
«Ho
perso il fuggiasco» ammise e se avesse potuto sarebbe stata
viola di vergogna. «Sui monti» aggiunse.
«Perso?»
ripeté
lui.
«Sì,
Demetrios, perso» confermò,
nervosamente, quadrandolo. «Fa freddo, smettila di
camminare come se stessi facendo una passeggiata in spiaggia»
lo
redarguì.
In
quel momento il termometro
segnava -22°C e lui se ne stava con quel giaccone adatto ad
andare giusto a
sciare e con la disinvoltura che avrebbe avuto passeggiando su una
spiaggia dei Cararibi.
Lui
la ignorò. «L’hai
perso o ti sei persa, come mi hai detto al
telefono?» le chiese,
avviandosi verso la boscaglia.
Grugnì
di nuovo una risposta,
sperando di non dover dire niente ad alta voce.
«Se
riuscissi a parlare
come di consueto, sarebbe estremamente utile»
sospirò lui.
«Non
lo so. Li ho
trovati, questo è certo. Erano a trecentottanta chilometri
da Mosca, verso Nord» spiegò. «Solo che
poi quell’idiota si è accorto che c’era
qualcuno ed ha fatto disperdere gli altri»
mormorò. «Così l'ho
seguito».
Attese
la ramanzina, ma invece
sentì il palmo della mano guantata premerle sulla schiena e
sospingerla verso il
centro abitato con gentilezza.
«Una
scelta saggia» commentò alla fine.
«Utile, se non altro. Altro? Hai capito se
ha un talento particolare?»
«Non
mi è sembrato. A
meno che tu non intenda la capacità di svicolare e farmi
perdere tempo»
commentò. «In ogni caso è successo che
abbiamo praticamente percorso
tutta la transiberiana a corsa. Ha attraversato a nuoto un lago
ghiacciato ed
ho ritrovato le sue tracce dal lato opposto, ma poi è come
sparito nel nulla» spiegò. «E mi sono
ritrovata tra i Monti di Verchojansk nel
bel mezzo di una bufera».
Demetri
sembrò rifletterci su.
«Probabilmente ha capito che sei relativamente giovane ed ha
approfittato della tormenta per confonderti e scappare»
ponderò.
«Poi,
permettimi»
proseguì mentre camminava. «Avete mandato me a
cercare qualcuno. Me,
che non trovo nemmeno la strada di casa in barba
al fatto di essere immortale. Se mi impegno forse riesco a perdermi
persino dentro l'abitazione!».
Lui
abbozzò per la prima volta un
sorriso. «Non esagerare,» la confortò,
«doveva
succedere che fallissi una missione, prima o poi» aggiunse
con leggerezza.
Arcuò
le sopracciglia chiare.
«Ve lo aspettavate?» domandò cercando il
suo viso.
«Era
piuttosto
prevedibile» rispose, saggiamente. «Hai appena un
ventennio
come immortale. Nessuno è infallibile».
Abbassò
il viso, guardandosi gli
scarponi semicongelati. «Entriamo»
suggerì senza commentare
l’ultima frase e stringendogli le dita intorno
all'avambraccio sinistro per
tirarlo dentro.
Lui
la seguì. Era insolito che
due persone stessero fuori ad una temperatura del genere; infatti il
proprietario del
posto li intercettò quasi subito e li raggiunse.
Lo
ignorò, lasciando parlare
Demetri e seguendolo poco dopo sino ad un tavolino appartato. Finsero
di
scaldarsi le mani e gli si accostò per dare
l’impressione di essere alla
ricerca di calore e i gnorò i commenti sul suo aspetto
sibilando tra i denti per la frustrazione. Erano giorni che non si
nutriva e
quella locanda piena di umani le stava facendo ardere la gola, oltre
che
aumentare un insolito nervosismo. Generalmente era brava a gestire quel
tipo di
situazioni.
«Hai
sete?» le
domandò Demetri, quasi dovesse ordinare un litro di sangue
alla spinta
al proprietario che li occhieggiava in attesa di un'ordinazione.
Prego,
porga la carotide
destra.
Strinse
le spalle. «Voglio solo tornare a casa»
ribatté. «E farmi un bagno di
quindici ore, sono in delle condizioni rivoltati».
«Allora
sarà meglio
spostarci» rispose, vicino al suo orecchio.
Rabbrividì solo per un
secondo, sentendo il suo respiro solleticarle la pelle della guancia e
del
collo.
Lo
seguì all’esterno poco dopo, salutando
bruscamente il proprietario e rimanendo alle sue spalle, si
addentrarono dentro il bosco.
Da
lì aveva solo la vaga
impressione su dove dovesse andare.
«Se
mi stai per chiedere
da dove sono passata…» iniziò,
guardando gli alberi. «Arrangiati».
Lui,
ancora, non commentò ma la
superò e le porse una mano. «Vieni, forse
è meglio che faccia strada io».
Ignorò
il commentò e gli strinse
la mano guantata, confusa da quell'insolita ricerca di contatto.
Schizzarono
nella vegetazione a
colpo sicuro e lei si lasciò trainare da Demetri che si
muoveva tanto in fretta
da farle apparire quasi sfocati i contorni della vegetazione.
Raggiunsero la
pianura in metà del tempo che ci aveva impiegato lei e lui
le lasciò le dita.
Lo guardò osservare l'ambiente e poi tornare a guardare
lei.
«Facciamo
il giro, se
credi, ma non penso sia passato nessun altro da qui» disse,
facendole
cenno di seguirlo.
Aggirarono
il perimetro della
radura, ritrovandosi dall'altra parte. Stava guardando i cumuli di
neve, quando
avvertì lo spostamento delle sue mani e le sentì
sul viso. Sul momento pensò
che volesse baciarla, ma si riscosse in fretta: non si scambiavano
effusioni se
c'era altro da fare, come concludere quello strazio. Nonostante
ciò, sentì una
parte di lei — quella a cui avrebbe fatto anche piacere
ricevere un po' di
conforto e, perché no, anche un altro genere di attenzioni
— rimase in attesa speranzosa mentre lui si chinava sul suo
collo, infilava il naso tra i suoi ricciolini biondi e poi lo sfregava
contro il suo collo. Lo
sentì inspirare più di una volta così
alzò le mani per stringergli i polsi e in
quel momento lui si raddrizzò.
«Non
credo sia rimasto
granché addosso a me» mormorò,
stringendo la stoffa del suo giaccone
sotto le dita.
Il
fuggiasco, rimuginò, tutto sommato
poteva anche aspettare.
Non
sarebbe di certo morto, dato
che lo era già, se avesse perso un'altra ora, no?
Demetri
dovette scambiare la sua
occhiata come un momento di pensierosità rivolto al loro
obiettivo e le carezzò
una guancia. «Non temere, so dove andare»
assicurò.
Certo,
naturale. Lei si perdeva
in un bicchier d'acqua e lui arrivava con la disinvoltura di uno che si
trovava
lì per caso, il tempo di dare un'annusatina in giro e il
gioco era
fatto.
«Vi
siete scontrati, per
caso?» chiese improvvisamente.
Lo
guardò. «Sì»
rispose. «ad un certo punto lo aveva quasi messo spalle al
muro e lui
mi è balzato addosso» raccontò,
rievocando quel momento, «ed io
ci ho provato, ma credo di essere stata battuta
dall'esperienza»
commentò, arricciando il naso e sfiorandosi il braccio
destro.
Quando
si era ritrovata a terra aveva stupidamente alzato l'avambraccio per
difendersi e ovviamente aveva ricevuto un bel
morso. Aveva pizzicato per un po', prima di passare.
Demetri
comunque non parve molto
contento dell'accaduto. «Allora dovremmo evitare che vada
troppo
lontano» suggerì.
Annuì
non potendo essere più
d'accordo. «Okay,» rispose. «Dove
dobbiamo andare?»
«Più
a Sud»
rispose lui, «ma vedrai che arriveremo assolutamente in
tempo» assicurò.
Si
guardò intorno: se dovevano
andare a Sud significava che Demetri intendeva seguire la sua scia
mentale a
ritroso e poi intercettare nuovamente quella del fuggiasco. E
significava anche
che era andata esageramene a Nord, rispetto a dove si era diretto lui:
praticamente dalla parte opposta.
«Mi
sono proprio persa,
vero?» domandò alla fine.
«Non
lo credevo
possibile, ma sì Diana. Ti sei persa».
Nota
autrice.
Ciao a
tutti e, intanto, buone
feste!
Sono
(quasi) nuova del fandom di
Twilight. Iniziai una fanfiction che considero però
più un errore di gioventù
che altro. Il mio problema principale è che io, con i
personaggi ispirati dai
film 'non funziono'. Ho bisogno sempre di lavorare su quelli dei libri,
è più
forte di me.
In ogni
caso ho da poco ripreso
in mano il mio profilo (cambiando il nome da Kaithlyn24 ad Arlie_S) e
le storie
incompiute, tra cui ce n’è anche una che riguarda
l’OC che viene presentato
qui.
Nell’attesa
di avere
l’ispirazione per decidere da che punto partire per
raccontare la vicenda, ho
pensato di rompere il ghiaccio con questa… cosa, qualsiasi
cosa sia dato
che non so nemmeno dargli proprio un nome.
Credo che
alla fine farà una
raccolta di scorci, dato che quando scrivo una storia finisco sempre
per avere
carrellate di capitolini decontestualizzati tipo questo: per inserirli
tutti
dovrei fare una fanfiction che finirei a 116 anni, quindi mi se
è sembrava una
soluzione papabile.
Precisazioni:
‘tak’ dovrebbe
voler dire ‘sì’ in ucraino, in quando
è il posto d’origine della nostra
protagonista. Proklyatyy, invece significa
‘maledetto’. Quindi
‘maledetto fuggiasco…’ be’,
avete capito, la signorina non è troppo raffinata
per gli standard dei Volturi.
L’incresciosa
vicenda di Vienna,
si svolge grosso modo qualche anno prima degli eventi di Twilight,
quindi siamo
circa nell'inverno del 2001.
NB: ho
fatto qualche ricerca sui
nomi dei personaggi e ho deciso che per me 'Demetri', che ricordo
è un uomo
nato nel 1000 D.C in Grecia (per me è originario di
Creta, ma non voglio
rovinare tutta la storia della fanfiction dato che tengo molto al
background
che ho ideato per questo personaggio), è un diminutivo di
'Demetrios' che
letteralmente significa 'sacro a Demetra'.
NB2: il
nome della segretaria nei
libri è Gianna che rappresenta un abbreviativo di Giovanna.
Il cognome l'ho
scelto tra quelli più diffusi a Volterra ed è
uscito 'Giovanna Gabelleri'.
NB3: il
rating per ora è verde,
ma molto probabilmente nei prossimi capitoli potrebbe salire.
Detto
questo, spero di avervi
incuriosito e fatto passare qualche minuto con questo scorcio
brevissimo.
Probabilmente il prossimo capitolo riporterò la lezione che
ha fatto 'sbroccare'
la protagonista.
Fatemi
sapere che ne
pensate, se ne avete tempo e voglia e grazie, comunque, di
aver letto fino
a qui!
Mi auguro
che stiate tutti
passando delle buone feste, nonostante il periodo.
A presto!