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Autore: NPC_Stories    28/12/2020    2 recensioni
Sequel di "Vampier's Diaries - Libro primo: la mia morte"
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Sono sempre io, Erika Lesmiere, l'adorabile ragazza che avrebbe dovuto avere davanti a sé un brillante futuro. Avrei potuto fare una vita da nobildonna, o intraprendere una carriera militare, oppure avrei potuto ribellarmi alle tradizioni della mia famiglia e scegliere un percorso accademico come alchimista.
E invece no, mai una gioia. Mi sono ritrovata a diventare un vampiro.
Ma forse anche la non-vita mi riservava qualche sorpresa, dopo tutto. Forse finché siamo al mondo possiamo sempre trovare un po' di felicità.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Questa storia è il sequel di Vampier's Diaries - Libro primo: la mia morte, e non è comprensibile senza aver letto prima quella storia.



Capitolo 1: La non-vita al Ventesimo Miglio


Fine estate 861 DR, campagne vicino a Silverymoon

Mi sono resa conto che non sono molto prodiga in fatto di descrizioni. Quando si racconta della vita bucolica, si dovrebbe parlare di campi coltivati, caprette coi ricciolini e grosse case coloniali (uno stile architettonico nato dal fatto che Silverymoon stesse colonizzando le aree periferiche del suo territorio; si traduceva in case molto funzionali, senza sprechi di spazi e ben protette da mura difensive, tutto il contrario di come gli stranieri s’immaginano le magioni di campagna).
In realtà non c’è molto da descrivere; se volete andare a vedere la casa e la tenuta del Ventesimo Miglio nulla ve lo impedisce. Sono ancora lì, e a dirla tutta è ancora casa mia, quindi magari fatevi annunciare prima di arrivare perché è molto maleducato piombare a casa della gente senza preavviso.
Quindi, avvalendomi della licenza di chi scrive il suo stesso diario, mi permetto di saltare a pié pari le noiosissime descrizioni di cose che comunque ricordo a memoria: immaginate pure vaste distese di campi di grano, se vi fa piacere. Di certo qualcuno se ne occupava, non mio padre ma forse l’amministratore che seguiva la mia famiglia.
Le descrizioni delle persone invece, sono una cosa che ho scelto volontariamente di evitare. Vorrei ricordare il volto di mio fratello, ma la triste verità è che ne ho memorie molto nebulose. Mio padre lo ricordo un po’ meglio, ma sempre meno di quanto vorrei.
Ricordo molto bene lord Yao, invece. Il suo volto senza tempo, come se fosse cristallizzato in un momento imprecisato fra i venti e i quarant’anni; è difficile stimare l’età degli orientali, ed è ancora più difficile capire a che età un umano è stato vampirizzato. Tranne nel mio caso. Dannazione, si capisce così bene che ero una maledetta adolescente quando sono morta.
Una persona meno attenta di me direbbe che le persone di Kara-Tur si assomigliano un po’ tutte, e qualcuna ogni tanto se ne vede, a Silverymoon. Non è una vista molto comune, ma ogni tanto qualche mercante si spinge perfino qui, nel profondo nord-ovest. Io non lo so se sia vero, che si somigliano tutti. Non mi sembra. Ormai per me ogni essere umano è differente, ognuno ha la sua singolarità e il suo profumo unico e irripetibile. Yao Taman non assomigliava a quegli umani. I vampiri non hanno odore, non per gli altri vampiri. Inoltre c’è qualcosa di orrendo nel modo in cui siamo cristallizzati nel tempo. La nostra pelle senza pieghe, senza rughe d’età o di espressione. Non so descriverla, è bellissima ed è rivoltante insieme. Quando ero umana non riuscivo a comprendere questi ossimori, ma ora li vedo e mi sembrano inevitabili.
Comunque, al di là del fatto di essere un vampiro: no, Yao Taman non assomigliava ai mercanti del Kara-Tur. Aveva la pelle più chiara perché non vedeva la luce del sole da secoli, non portava sul corpo i segni della fatica del viaggio, non aveva nemmeno lo stesso atteggiamento esageratamente esotico; lui non era un mercante e non gli interessava abbagliare il prossimo. Sapeva fare due cose molto bene: tenere un profilo basso, e ingannare.
No, diciamo tre cose: sapeva anche pretendere.
Dal giorno in cui mi ero risvegliata come vampier non aveva mai smesso di pretendere. Dovevo fargli da serva, procurargli delle prede - animali, perché nutrirsi di umani avrebbe attirato troppo l’attenzione - e poi dovevo continuare a lavorare sugli esperimenti di mio padre e dovevo anche dargli regolarmente quello che lui già una volta si era preso.
Odiavo quell’esistenza.
Odiavo con tutta me stessa ogni singola notte, dal momento in cui si svegliava a quello in cui ricadeva nel torpore dell’alba. Lui non sapeva che l’odiavo. Aveva già creato progenie prima di me, si aspettava che gli fossi assoggettata con il cuore e l’anima; avrei dovuto adorarlo, amarlo perfino, essere dipendente da lui. Di sicuro pensava che lo fossi. Non si interessò mai molto ai miei stati d’animo. L’unica cosa che occupava i pensieri di Yao Taman era Yao Taman.
A volte, nei miei momenti più bui e più depressi, caddi così in basso da desiderare quella schiavitù dell’anima. Se l’avessi amato come amano le Progenie Vampiriche, se la mia personalità si fosse annullata fino a farmi diventare qualcos’altro, qualcosa di completamente diverso da Erika Lesmiere, forse avrei trovato la pace e non avrei percepito quella realtà come un abuso. Sarei stata una creatura patetica, assetata di sangue, ambiziosa e capace di usare l’intelligenza solo per sottomettere il prossimo, ma eternamente fedele al mio Sire. E avrei trovato la mia dimensione, nella degenerazione e nell’ottundimento dei sentimenti verso la mia famiglia.
Odiavo quei pensieri, e mi odiavo quando ci cadevo dentro. Quanto doveva essere miserabile la mia esistenza per desiderare una cosa del genere? La mia mente ancora libera era l’ultimo dono che mio padre era riuscito a farmi. Avrei dovuto averne cura.

Oltre alla capacità di pensiero indipendente, c’era un’altra grande libertà che il siero di mio padre mi aveva donato: potevo ancora camminare sotto il sole. Provarci era stato un azzardo, non ero del tutto certa che non sarei stata incenerita, ma fino a quel momento la pozione alchemica aveva funzionato almeno in parte permettendomi di mantenere la mia identità; perché non avrebbe dovuto mantenere anche le altre sue promesse? E soprattutto, cosa avevo da perdere se non un’eternità di prigionia?
Un mattino decisi di provarci. Misi piede fuori casa quando il sole era già alto, mentre il mio Sire riposava quiescente nei sotterranei. Dopo tanti giorni di oscurità il sole mi parve accecante. Mi fece venire un capogiro, e mi sentii subito più fiacca e più pesante… ma non mi uccise. Un piccolo malessere era del tutto tollerabile, se si considera il vantaggio che mi dava: potermi muovere di giorno, lontano dal suo controllo. A sua insaputa.

Cominciai a vivere una doppia vita: di notte ero la serva fedele e obbediente, le cui ambizioni e idee si conformavano del tutto a quelle del suo Sire. Di giorno ero Erika Lesmiere, una ragazza pallida e fragile che poteva tranquillamente passare per vivente, perché chi avrebbe sospettato di poter vedere un vampiro sotto la luce del sole?
Che cosa potesse fare Erika Lesmiere, però, era qualcosa che non avevo ben chiaro in mente. Non avevo un piano. Non potevo raggiungere la città, chiedere aiuto e tornare alla casa in campagna prima che facesse buio, anche muovendomi a cavallo era troppo lontano, e non avevo poteri straordinari come trasformarmi in un pipistrello oppure volare. Non ero neanche dotata di una velocità superiore alla norma, ero davvero la versione meno potente - più umana - di un vampiro. Date le ore di luce a mia disposizione, e mi tocca ribadire che in quel periodo eravamo alla fine dell’estate quindi le ore di luce erano ancora molte, potevo solo arrivare ad altre magioni di campagna dei nostri vicini, o alle fattorie dei nostri contadini, ma che aiuto avrebbero potuto darmi?
Per un periodo mi limitai a usare le mie ore diurne per mantenere i contatti con la servitù e con l’amministratore, lasciando intendere che andasse tutto bene; poi scrivevo lettere, riposavo, e non ultimo scartabellavo fra i libri e le ricerche di mio padre. Forse lì avrei trovato qualcosa, qualche metodo per sbarazzarmi di un vampiro senza dover chiedere aiuto alla città e ai suoi chierici. Temevo che, se avessero saputo, avrebbero distrutto anche me.

   
 
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