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Autore: Aching4perfection    28/12/2020    2 recensioni
Bulma e Vegeta dopo la saga di Cell. Rimasti soli a dover scegliere se ritrovarsi o perdersi per sempre. Una fic ‘muta’ per raccontare cosa resta quando le parole sono già state dette tutte
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutto! È un po' che non pubblico ma ho ripescato questa one shot scritta ormai più di un anno fa e ho pensato fosse un peccato non metterla fuori:) Chi già mi conosce sa che Bulma e Vegeta sono il mio soggetto preferito quindi... buona lettura!


Non guardarmi così.

Così freddo e altezzoso. Lì in piedi davanti alla porta della tua stanza, che poi lo hai deciso tu che quella stanza è tua, certo non ti spetta di diritto.

Lì immerso nella semioscurità con una mano già posata sulla maniglia.

Perché ora mi guardi se conto così poco per te?

Sei piombato giù dal cielo, come sempre, e ora pretendi di essere il padrone, come sempre.

Ma sono finiti i giorni in cui ti lasciavo giocare con la mia volontà.

Magari mio padre sarà stato contento di tornare a costruirti strani aggeggi. Magari Goku sarà stato contento di averti al suo fianco nella lotta contro Cell. Magari mia madre sarà stata contenta di servirti la sua cenetta stasera.

Ma io non farò finta di nulla.

Io ti ho seguito su per le scale solo per tornarmene in camera mia. Non certo per elemosinare da te un qualche tipo di attenzione.

Sono venuta qui solo per controllare che Trunks dorma sereno. Tuo figlio, ricordi? Quello che non hai nemmeno voluto veder nascere. L'unica cosa buona che tu abbia mai fatto, per inciso.

Quindi non guardarmi così.

Toglimi di dosso quegli occhi scuri e taglienti. Tu da me non avrai più nulla.

E la cosa peggiore… è che io ero pronta a darti tutto. Proprio tutto.

Io ti amavo.

Forse ti amo ancora. Così come sei: stronzo e arrogante, orgoglioso fino alla morte.

Ma ora ho un'altra priorità. Ho lasciato che giocassi con me, ma non permetterò che tu ti prenda gioco anche di mio figlio.

Poggio anche io la mano sulla maniglia e la spingo verso il basso e posso percepirlo fin da qui che tu, dal fondo di questo corridoio, non accetti di essere ignorato.

Apro la porta piano, con cautela, come quando bisogna togliersi dal raggio visivo di un animale feroce. Senza gesti inconsulti. Sperando che tu rimanga là dove sei.

Le tue pupille brillano nel buio e ti muovi rapido, troppo rapido per me. In poche falcate mi raggiungi e ti fermi davanti a me.

E continui a fissarmi severo.

Non guardarmi così, ti dico con gli occhi.

Tu non vacilli e continui  schiacciarmi con la tua presuntuosa presenza.

Ti prego, non guardarmi così.

In qualche modo devo aver tradito la mia supplica e tu, come uno squalo che sente l'odore del sangue, ti getti sulla mia ferita aperta.

Con una manata spalanchi la porta e con un cenno della testa mi ordini di entrare.

Non voglio. Resto ferma.

Spazientito mi posi una mano guantata sulla spalla e mi spingi oltre l'uscio. Piano, ma irremovibile.

Il cuore mi batte a mille mentre sento la porta richiudersi dietro di noi.

Il sangue mi pulsa forte nelle vene, un po' per la paura e un po' per la rabbia. 

Mi fa rabbia che la mia capacità di tenerti testa non possa nulla contro la tua superiorità fisica. Mi fa rabbia che sotto sotto, io ancora frema nel sentire le tue dita posarsi su di me. E mi fa paura il modo in cui continui a guardarmi.

Nel voltarmi trovo ancora lì il tuo sguardo impenetrabile. Cosa c'è in quegli occhi ora? Disprezzo? Orgoglio? Forse solo indifferenza? Non riesco mai a capirlo.

Ma quando percepisco i tuoi occhi scivolare giù per il mio corpo mi è tutto chiaro.

Si tratta di desiderio.

D'altronde è stato quello a portarci in questa situazione no?

Fin da quella prima volta in cui cedetti al tuo animalesco assalto in una sera di agosto.

Ma se credi che stavolta non userò gli artigli non hai fatto bene i conti principe.

Schiudo la bocca per parlare, per far sentire la mia voce, ma tu sollevi un indice e te lo porti davanti alle labbra. E tanto basta per zittirmi: un tuo dito.

Quello stesso dito che ora lentamente punti verso un angolo della stanza.

Ne seguo la traiettoria e vedo cosa stai indicando: la culla di Trunks.

Un moto di rabbia mi pervade.

Cos'è ora ti preoccupi di lui? Ora sei tu che dici a me cosa fare con mio figlio? Questa è davvero bella.

Incrocio le braccia e ti guardo stizzita. E tu sorridi.

Sorridi con quel ghigno sghembo che fai tutte le volte che mi arrabbio. Sembra quasi che sia il tuo più perverso piacere farmi incazzare.

Pian piano però anche quell'accenno di luce scompare dal tuo volto e torni a immergerti nell'oscurità, facendoti minacciosamente serio in volto e cominciando ad avanzare verso di me.

E allora io d'istinto arretro. Di un passo, poi di un altro.

So cosa vuoi da me e che io sia dannata se te lo darò senza lottare.

Ancora un altro passo e mi ritrovo a urtare il bordo del letto.

Mi guardo alle spalle spaventata e poi subito riporto lo sguardo su di te.

Siamo alla resa dei conti immagino.

Con uno scatto cerco di aggirarti e di correre verso la porta. Un tentativo perso in partenza, come un pesce che si dimena tra le fauci di un orso.

Tu mi hai già sbarrato la strada semplicemente stendendo un braccio e per ulteriore sicurezza con l'altra mano mi afferri per i capelli, dietro la nuca.

Sul mio viso c'è dipinta una silenziosa preghiera ora.

Lasciami andare.

Non ti chiedo di amarmi o di stare con me. Non ti chiedo di essere diverso da ciò che sei, né di diventare un padre.

Ti chiedo solo questo: lascia che io sia libera da te. 

Lasciami andare.

Sono certa che tu, in qualche modo, stia udendo questa preghiera.

Ma la tua presa su di me non si allenta.

I tuoi occhi non mi mollano.

Non avrai pietà di me nemmeno questa volta è così?

Tirando la mia chioma come si fa con i fili di un burattino mi costringi a girarmi e mi getti sul materasso.

E in un attimo ti avventi su di me.

Io mi agito e mi dimeno come un cavallo imbizzarrito, soffocando le urla sul cuscino. Non voglio, non voglio maledizione! Non così, non più ormai.

Ma ancora una volta la tua forza bruta ha la meglio, e quando mi ritrovo con i polsi immobilizzati dietro la schiena e il viso premuto sul materasso, capisco che non ha più senso lottare.

Essia. Fai di me ciò che vuoi, ma non ti darò anche il mio cuore stavolta.

Fatti questa scopata, divertiti. È tutto ciò che avrai.

Quando avvicini il tuo volto al mio, tuffandolo tra i miei capelli e inspirando il mio odore, trattengo il fiato.

Il tuo profumo non lo voglio sentire, non voglio che mi annebbi la mente.

Chiudo forte anche gli occhi quando il tuo mento ruvido sfiora il mio collo, e il peso del tuo corpo ricade sul mio.

Questo contatto con te...quanto disperatamente l'ho desiderato. Quante notti a sognarlo. Quanto mi sei mancato…

Ma se non c'eri è solo perché non hai voluto esserci!

Con un ultimo moto di orgoglio tento ancora di sottrarmi dalla tua presa, e per un attimo, quando le mie mani tornano libere e ti sento spostarti, mi illudo di esserci riuscita.

Invece tu mi stavi semplicemente prendendo e rigirando come una bambola. E ora mi ritrovo di nuovo sotto di te, occhi negli occhi.

Ed ecco che, impotente, mi riempio di te, della tua immagine, del tuo odore, della nostalgia di te.

Sento le lacrime cominciare a salire incandescenti e fa un male dannato ricacciarle indietro.

Fa male e sono stanca di soffrire solo io.

Così ti tiro uno schiaffo con tutta la forza di cui sono capace.

E tu non mi fermi.

Perché non mi hai bloccato? Perché non l'hai schivato?

Quanti schiaffi ho provato a darti nei mesi trascorsi insieme. Ogni volta che facevi il bastardo, che mi prendevi in giro, che mi provocavi. 

Ma mai, nemmeno una volta hai lasciato che ti colpissi, neanche per gioco.

E allora perché ora ho sentito le mie dita schioccare sulla tua guancia e il mio palmo formicolare per la botta?

A giudicare dall'espressione nervosa e confusa sul tuo viso, non lo sai nemmeno tu.

Mi guardi incollerito, offeso, eppure non reagisci. Perché sei stato tu a volerlo prendere quello schiaffo e lo sappiamo entrambi.

Forse dentro di te sapevi di meritartelo? Che anche lo spietato principe dei sajan abbia una coscienza?

L'idea non ti piace affatto, lo so.

E infatti l'ira prende presto il sopravvento e la sfoghi su di me, intrecciandola indissolubilmente con la violenza del tuo desiderio.

Ormai non ho più dove nascondermi.

Mi afferri per il collo e con pochi e bruschi movimenti mi divarichi le gambe e sollevi il lembo del mio vestito.

Io ormai non ci provo più a opporre resistenza.

So che sarebbe inutile, e so anche che questo scontro l’ho già vinto io.

Perché ora ti stai accanendo su di me solo per mettere a tacere quella vocina nella tua testa che ti dice che non mi meriti più.

Stanotte potrai anche strapparmi i vestiti e far finta di essere tu il più forte, ma non appena la luce del sole ti colpirà non potrai negare di essere solo un debole.

Mi blocchi i polsi sopra la testa e ti sistemi sopra di me. E fai un imperdonabile errore: mi guardi ancora una volta negli occhi.

Le parole che ti rivolgo nella mia mente le sto urlando talmente forte che uno sguardo mi è più che sufficiente per fartele udire. Sei condannato ad ascoltarmi sajan.

Sì, sei tu il debole: troppo debole per fare il padre, troppo debole per fermarti e smettere di scappare, troppo debole per lasciarti alle spalle chi eri e diventare chi dovresti essere, troppo debole per amare me.

Sei la creatura più fragile e spaventata che abbia mai visto, un principe che non ha nulla, un uomo fatto di paura e vuoto e io, la misera terrestre che potresti spezzare con un dito, sono troppo pericolosa per te.

E allora ascolta queste parole se hai il coraggio, guarda nei miei occhi il misero riflesso di ciò che sei e poi, se ancora ne hai voglia, intrufolati nel mio corpo come un ladro.

Tu sei come paralizzato.

Mille diverse voci vorrebbero fuoriuscire dalle tue labbra contratte. Voci di rabbia, di dolore, di orgoglio e confusione.

E invece tutto è silenzio.

Mi aspetto da te solo due cose a questo punto: che tu mi faccia del male o che tu te ne vada. In passato hai fatto anche entrambe le cose insieme.

Ma tu alzi una mano, la alzi sopra il mio viso e quando mi giro pronta a ricevere il colpo... mi accarezzi i capelli.

Che cosa significa questa carezza?

Si tratta ancora solo di desiderio?

No, conosco il modo in cui ti prendi ciò che vuoi e non è questo.

È forse una specie di modo per chiedere scusa?

Ma che vado a pensare. Tu non chiedi mai scusa nemmeno a te stesso.

E allora cos’è?

Lentamente torno a guardarti e c’è tanta tristezza nel modo un cui sei incantato sulle mie labbra.

Malinconia. Ecco cosa c’è ora sul tuo volto.

La malinconia di chi finalmente ha capito che aveva qualcosa di bello che ha gettato via.

Ma c’è anche altro.

Quella scintilla di determinazione che brilla sempre in te, nemmeno ora si spegne.

Hai forse deciso di riavermi? Di riavermi come mi avevi prima?

E pensi sul serio che basti una carezza?

Lentamente fai scorrere il tuo pollice sul mio labbro inferiore, schiudendomi la bocca in un sospiro che avrei preferito trattenere.

Con decisa delicatezza ti avvicini. E mi baci.

Istintivamente poso la mia mano libera sul tuo petto e tento di respingerti.

E tu mi assecondi e sciogli quel bacio rubato.

Anche se continui a guardarmi come se non fosse mai finito.

Razza di bastardo maledetto. Ma chi ti credi di essere eh? Fai tutto tu: arrivi, mi seduci, te ne vai, mi ignori, mi aggredisci e ora? Ora cerchi di farmi gli occhi dolci?

Cos’è la tua una specie di sadica tortura? Sono forse il tuo malato passatempo?

Massì, ammazziamo il tempo giocando con la vita di questa misera terrestre, tanto siamo tutti insetti per te vero?

Forse non è vero che sei debole, forse sei stronzo e basta e io sono solo una scema.

Ecco che torni a baciarmi, e stavolta non riesco a non sentire il tuo sapore sulla mia lingua. E per un attimo indugio nella nostalgia di quando ho creduto di amarti.

Mi stringi forte e quasi ci credo che sia tutto vero.

Sento una lacrima salire e torno bruscamente alla realtà spingendoti di nuovo via da me.

E va bene, forse davvero in quella tua mente malata credi di amarmi, ma insomma cosa ne sai tu di cosa vuol dire amare?

Sei poco più di un bambino viziato che abusa del suo giocattolo preferito fino a distruggerlo. Come potrei mai fidarmi di te?

Lo vorrei. Dio se lo vorrei. Ma l’ho sognato troppo a lungo perché possa avverarsi.

Smetto di lottare contro quella lacrima e lascio che mi percorra la guancia destra.

Tu la raccogli con un dito. E poi fai una cosa strana. Con quello stesso dito ti bagni il viso, dipingendoti addosso la mia sofferenza.

E resti così a guardarmi.

A vederti così… sembra quasi che anche tu possa piangere.

E forse… forse questo è l’unico modo in cui puoi farlo.

È così Vegeta?

È questo il tuo modo di piangere per me?

Sono sentimenti veri quelli che stai provando?

Posso infine abbandonarmi al disperato desiderio che ho di te?

Forse no e sto solo inventando giustificazioni alla mia dipendenza nei tuoi confronti. Ma sono stanca e non mi importa più. Ora voglio solo credere a questa favola. 

Così, quando per la terza volta mi baci, io ti lascio entrare.

Hai vinto di nuovo stupido sajan. Ma io non sono schiava dell’orgoglio come te e so che a volte perdere è meno onorevole ma infinitamente più dolce.

Gusto questo bacio come un morto di sete gusta dell’acqua fresca, spingendomi contro il tuo corpo come a volerti entrare sotto la pelle. 

Metto da parte ogni dignità e la cosa strana è che tu non me lo rinfacci come hai sempre fatto.

Mi cerchi con altrettanto ardore e mi spogli come se la mia pelle nuda fosse il tuo ossigeno.

Faccio lo stesso e dopo averti abbassato i pantaloni ti allaccio le gambe intorno alla vita senza nemmeno pensarci.

Quando entri dentro di me so di essere definitivamente perduta.

Tutto l’astio che avevo accumulato nei tuoi confronti, tutto il gelo di cui avevo circondato il tuo ricordo, tutta l’indifferenza con cui mi ero armata ora precipitano al suolo come foglie in autunno ed è dannatamente facile tornare indietro.

Cominci a muoverti nel mio ventre risvegliando in me una sensazione che era ormai sbiadita, un qualcosa che era diventato talmente impalpabile da essere prossimo alla dissoluzione. Ora invece torna cento volte più violento e inebriante di come ricordavo e sai cosa?

Me lo voglio godere.

Sì è così: godo nel farmi toccare da te e nell’incastrare i nostri corpi. Adoro il tuo torace che copre il mio viso e perdo la testa per i silenziosi sospiri che sussurri al mio orecchio.

Mi muovo al tuo ritmo in questo ennessimo peccato a cui mi hai condotta, consumato al buio e in silenzio come il più deplorevole e meraviglioso dei misfatti. 

Accolgo senza esitazione l’orgasmo che trascina prima me e poi te nella più totale e insensata euforia.

È stato bello. Maledettamente bello.

Lo è stato soprattutto perché questa volta so di avere la forza di finirla qui.

Mentre riprendi fiato con la fronte poggiata sul mio seno penso che ora sono in grado di perdonarti. Ti assolvo dai tuoi peccati perché in fondo tutto ciò che hai fatto non è stato per ferire me, ma solo per non compiere l’incauto gesto di allontanarti troppo da ciò che conosci: solitudine e asprezza.

Va bene così. Lo capisco.

Quindi sei libero dalla mia rabbia e dalle mie recriminazioni.

Libero di andartene lontano da me.

Perché ti perdono, ma non dimentico.

Ho imparato la lezione e la userò per proteggere mio figlio. Io sono abbastanza forte per sopravvivere a te, ma lui no.

E lui è tutto ciò che conta ormai.

Con un gesto lento e fermo ti respingo e lascio che tu esca da me, ricadendo al mio fianco sul materasso.

Mi alzo e mi rivesto e mi avvicino alla porta.

Abbasso piano la maniglia e apro uno spiraglio. Per un attimo mi manca il coraggio di voltarmi e trovare il tuo sguardo perso e risentito.

Ti conosco e il rifiuto è qualcosa che conosci fin troppo bene, ma che non ha mai smesso di bruciarti.

E mi dispiace, mi dispiace davvero essere proprio io a dovertene infliggere un altro.

Avrei voluto qualcosa di diverso, spero che tu possa capirlo. Ma hai concepito in me un figlio e ora non posso più giocare a dadi con la sorte come ho sempre fatto.

Stringo le dita sulla maniglia metallica e mi concedo un ultimo doloroso singulto prima di dirti addio.

Io lo so che, a modo tuo, goffo e indelicato, tu mi ami. E quell’amore storto e imperfetto mi andrebbe bene, perché in definitiva sono imperfetta anche io. È solo che questo tipo di affetto non basta per mettere al sicuro un figlio. Se sei incapace di mettere da parte il tuo orgoglio per lui… allora gli farai del male. Gliene farò anche io allontanandoti, ma è ancora il male minore.

Rilasso finalmente i muscoli e mi giro, in pace con ciò che devo fare.

Il letto è vuoto. Ma dove…?

Istintivamente guardo la finestra pensando a una tua fuga, ma la trovo chiusa.

E poi eccoti.

In piedi davanti alla culla.

Te ne stai lì immobile a fissare Trunks, come incantato, ancora nudo.

Lo studi in ogni dettaglio incuriosito. Deve sembrarti strano, con quei capelli e quegli occhi…

Ma il colore della pelle lo riconosci non è così? La forma delle sue sopracciglia e dei suoi zigomi. Sono i tuoi.

Quasi come se mi avessi letto nel pensiero ti porti una mano al viso e la fai scorrere su una delle tue guance, e con l’altra fai lo stesso a Trunks.

E impercettibilmente sorridi.

Non so cosa tu abbia oggi ma mi stai costringendo a rivedere tutte le mie posizioni, e questo fa male.

Non so cosa sia successo tra te e Trunks durante la battaglia contro Cell, ma c’è qualcosa in te che… che mi spinge pericolosamente a sperare.

E ricominciare a sperare è il primo passo per riaprire ogni mia ferita.

Trunks emette un unico piccolo gemito. Il solo assordante rumore che manda in frantumi il silenzio.

E in un attimo mi è chiaro che di nuovo sto sbagliando tutti i miei conti.

Ripenso a quel ragazzo venuto dal futuro e al dolore nei suoi occhi, ricordo come ti guardava, lasciando trasparire senza vergogna che enorme vuoto avesse lasciato la tua assenza nella sua vita.

Ricordo com’era deluso dopo le prime volte che ha avuto a che fare col tuo tremendo carattere.

Eppure ricordo anche con quanta difficoltà ti abbia detto addio prima di ripartire e lasciarti di nuovo.

Ora è tutto chiaro.

Tenervi lontani non è la scelta più giusta. È quella più facile. È priva di rischi per lui e per me.

Ma se c’è anche solo una possibilità, una su un milione che tu possa essere un padre per questo bambino, allora te la devo dare.

Perché forse alla fine puoi davvero riuscire a essere un genitore, imperfetto e complicato ed esasperante, ma meglio di un’ombra inconsistente.

Sto per richiudere la porta, ma mi blocco. La lascerò così: socchiusa.

Ora sta a te decidere che fare.

Con passi leggeri torno al letto dove ti ho ceduto ancora una volta e mi ci sdraio.

Sono stanca e ho bisogno di dormire finché posso.

So bene che averti nella vita di Trunks vuol dire averti anche nella mia e ho ampiamente dimostrato di non essere in grado di resisterti quando ti ho davanti.

Quindi ora dormirò e raccoglierò le energie, e se domani mattina non ti troverò le userò per andare avanti.

Se invece sarai ancora qui… le userò per amarti.

Ti guardo un'ultima volta mentre i miei occhi si chiudono, e spero con tutta me stessa che non sia un sogno questa immagine di te che vieni a coricarti al mio fianco.


Eccoci alla fine! Spero che vi sia piaciuta questa strana storia dove i personaggi non hanno battute:) Mi sono abbandonata all'introspezione e all'amore per questa stupenda storia tra due personaggi che sembrano fatti per stare insieme contro ogni logica! Sono curiosa di conoscere la vostra opinione!




 
   
 
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