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Autore: Rosmary    29/12/2020    7 recensioni
Raccolta disomogenea su diversi coppie e personaggi. Alcuni racconti sono missing moments di Paradiso perduto.
1. Incastrati nella testa (Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy)
2. Quando il buongiorno non si vede dal mattino (Scorpius Malfoy/Gwendolen Goldstein)
3. Scorci (Molly Weasley junior/Atlas Nott)
4. Sono tutti i colori (Luna Lovegood, Rolf Scamander, Lorcan e Lysander, Ron Weasley, Rose)
5. Emozioni (Albus/Moira, Albus/Teti, Albus/Scorpius)
6. Se non è per sempre (Moira Meadowes/Atlas Nott)
7. Di impiccioni, offese e chiacchiere (James Sirius, Rose, Un po’ tutti)
8. Legati (James Sirius, Rose, Un po’ tutti tra genitori, zii e cugini)
9. Un sabato tutto Grifondoro (James Sirius, Rose)
10. Il più bello del reame (più o meno) (Un po’ tutti)
11. Un modello per Louis (Louis, James Sirius, Fleur e Bill, Percy)
12. Tasselli (Un po’ tutti)
13. A lezione di Babbanologia (Albus, Scorpius)
14. Ritornare – e restare (Louis/Isabelle)
15. Promesso (Lysander, Gwenda)
16. Vita da Capitano (Louis, Amanda)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Molly Weasley, Molly Weasley Jr, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Vari personaggi | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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I personaggi presenti nelle storie di questa raccolta, salvo i miei OC, sono proprietà di J.K. Rowling; i racconti sono stati scritti senza alcuno scopo di lucro.
Le caratterizzazioni dei personaggi, alcune dinamiche e situazioni sono quelle di Paradiso perduto.



A Traumerin
e a tutte le mie lettrici scaldabolidose!

 
 
Incastrati nella testa
 
Febbraio 2022
 
Non sono ancora le quattro del mattino quando un sogno confuso agita Scorpius e lo obbliga a svegliarsi, fissare confuso il tetto del baldacchino, ansimare agitato.
Di nuovo.
È la quinta notte di fila che non riesce a dormire sereno, che qualcosa di molto simile a un incubo lo sorprende a tradimento.
Come incastrato in un rituale che si ripete a oltranza, anche ora si ritrova a mettersi seduto, strofinare gli occhi assonnati, guardarsi attorno per constatare ciò che ha già intuito: è troppo presto e i suoi compagni di stanza riposano sereni.
Istintivo guarda alla propria destra, cercando e trovando il profilo di Albus, che accaldato come al solito ha le coperte ricacciate sotto le spalle e i capelli umidicci di sudore.
Senza averlo voluto si ritrova a chiedersi per la quinta notte consecutiva se sia normale avere impressi nella memoria certi dettagli, ma ancora una volta decide di scacciare tutto, tirarsi su e camminare per rilassarsi – percorrere il corridoio del dormitorio sino alla Sala Comune lo aiuterà, ne è certo.
Deve solo non pensare.
In fondo è semplice. Non pensare o pensare ad altro, magari ripassare gli ingredienti della Pozione Polisucco in vista dell’interrogazione oppure passare in rassegna tutte le date delle guerre tra Folletti e maghi. Ecco, si dice, Storia della Magia è perfetta: noiosa, lunga e soporifera, l’ideale per distrarsi e riaddormentarsi alla svelta.
Purtroppo attuare il piano si rivela più difficile del previsto, come sempre, e prima ancora di raggiungere la Sala Comune i pensieri hanno già rincorso il sogno tanto simile a un incubo che gli impedisce il riposo, così vivido nelle sensazioni da lasciargli addosso l’impressione che quelle cose siano accadute sul serio – che lui abbia davvero baciato Albus.
Ed è terrificante.
Terrificante il calore che gli lascia addosso quella visione fuori da ogni logica, il sapore che gli sembra di avvertire nella bocca, la memoria che ricorda il corpo ossuto dell'amico sotto le proprie mani, l’olfatto che ne riconosce l’odore ovunque.
Continua a ripetersi che sia tutta colpa del dannato Capodanno e della robaccia dei Tiri Vispi Weasley. Per forza, deve essere stata quella sinistra polverina a mandargli in confusione la testa, e il fatto di essersi svegliato avvinghiato ad Albus ha fatto il resto – è solo suggestione.
“Guardati, sei un zombie!”
La battutaccia di Basile non è il buongiorno sperato e riesce solo a strappargli una debole smorfia mentre prende posto in Sala Grande. Sa di avere gli occhi cerchiati dalle occhiaie e il pallore della stanchezza in viso, ma non può farci niente, e di certo non andrà in Infermeria per chiedere il permesso di saltare le lezioni: non ha nessuna intenzione di addormentarsi né di guadagnare tempo libero per rimuginare.
“Problemi con Clarissa?”
Se avesse avuto meno autocontrollo avrebbe riso di gusto, è ironico che sia proprio Albus a porgli questa domanda.
“Nessuno.”
“Allora che hai?”
Scorpius scuote debolmente il capo e pensa bene di avviarsi in solitudine alla prima lezione del giorno, prima di rifilare qualche rispostaccia agli amici. Non ha voglia di dir loro cosa gli ruba il sonno, ma al tempo stesso è a corto di energie per inventare scuse, motivo per cui meglio ricorrere a una fuga strategica e aggirare l’ostacolo.
“Scorpius, aspettami.”
Come non detto.
Si scosta d’istinto quando Albus tenta di stringergli le spalle – e la vede, la perplessità che sporca quegli occhi verdi.
“Ma che hai?”
“Niente, te l’ho detto.”
Niente è quello che mi dici da giorni,” ribatte Albus. “Ti girano le palle, ce ne siamo accorti.”
“Ho solo sonno, Al, la notte mi sveglio e non riesco a riaddormentarmi... Ecco tutto. Per di più oggi abbiamo l’allenamento e Moira mi romperà il cazzo appena si accorgerà che non sono in forma... Non è giornata.”
Albus, lo sguardo che sonda il volto di Scorpius alla ricerca di non sa quale indizio, si stringe nelle spalle e accenna un debole sorriso.
“Sei pur sempre il cugino del suo ragazzo, sono sicuro che ti farà uno sconto di pena.”
Scorpius storce le labbra in una smorfia, mentre un fastidio irragionevole lo assale e quasi lo induce a sbraitare senza motivo contro l’amico.
“Ce l’hai sempre in testa,” mormora. “Lei e Atlas che se la scopa.”
“Era una battuta.”
“Riuscita male.”
Albus ingoia a fatica l’impulso di rispondergli a tono e si limita a ribattere con un pacifico sospiro, sorprendendo non poco Scorpius.
“Cos’è, incassi?”
“Ti girano le palle,” chiarisce Albus. “È meglio che non girino anche a me.”
Suo malgrado, Scorpius si ritrova a fare esattamente ciò che s’è ripromesso di evitare: sollevare lo sguardo e incrociare quello di Albus, trovarlo complice e rintanarsi in quelle terre conosciute.
 
Aprile 2022
 
Sono giorni, giorni, che non chiude occhio.
Giorni in cui vorrebbe andare dal fratello e pregarlo di cancellargli la memoria – e dire che James gliel’ha anche detto: Al, non vuoi saperlo, fidati.
Invece no, lui ha preteso di sapere, perché quando un sogno diventa insistente, un tuo migliore amico sfuggente e l’altro insinuante, sapere diventa indispensabile. E chi se non James avrebbe potuto dirgli la verità nuda e cruda?
È assurdo.
Non che una robaccia degli zii lo abbia indotto a baciare Scorpius né che questi ricordi tornino a galla – maledetto Louis che ha preso roba sperimentale –, ma le proprie reazioni a questi ricordi camuffati da sogni: sono quelle a essere assurde.
Non capisce.
Conosce Scorpius da anni, è sempre stato suo amico, lo ha visto innumerevoli volte aggirarsi per il dormitorio e gli spogliatoi mezzo nudo, a volte hanno persino usato il bagno insieme senza farsi problemi – uno al gabinetto, l’altro a lavarsi i denti. Non è mai esistito alcun tipo di imbarazzo, perché avrebbe dovuto esserci? Sono amici e tra amici il pudore non esiste.
O forse sì.
Forse si sviluppa crescendo, diventando adulti, in fondo hanno entrambi quasi sedici anni e tra un paio d’anni si lasceranno persino Hogwarts alle spalle. Eppure, per quanto si sforzi, Albus non riesce a trovare plausibile questa spiegazione – potrà andar bene per il pudore, ma il resto non si incastra per niente.
Crescendo, e di questo ne è certo, non si sviluppano sogni agitati in cui cerca le labbra del suo migliore amico, né si sviluppano pulsioni che lo inducono a rabbrividire quando Scorpius gli sorride, avvertire una morsa allo stomaco quando lo sfiora, agitarsi da capo a piedi quando vede la sua divisa scivolare via.
E poi – dannazione.
Con non poco sgomento ha iniziato a notare di avere impressi nella memoria persino i dettagli più insulsi del corpo di Scorpius: dalla vistosa cicatrice sul polpaccio sinistro causata da un Bolide a inizio anno sino alla sfumatura decisa dei suoi occhi grigi – si è accorto di aver paragonato quegli occhi a quelli di Moira tante, troppe, volte nel corso del tempo, perché riesce a distinguerli senza neanche rifletterci e nel farlo non dice mai a se stesso è il grigio di Moira, ma non è il grigio di Scorpius.
Non sa quanto ci sia di normale in tutto questo, e d’altra parte non sa neanche se abbia granché senso ragionare in questi termini: come dice James, normalità è una parola inutile, usata solo per far sentire fuori posto chiunque non segua strade preconfezionate e costruisca da sé e per sé la propria vita.
Ecco, ma se non è anormale allora non è neanche assurdo trovare attraente il proprio migliore amico, giusto?
Si morde le labbra a sangue per aver pensato una cosa simile – attraente.
No, deve fare un passo indietro e ingoiare questo pensiero, prima che Scorpius intuisca che stia dando di matto e lo allontani.
“Al, sei tra noi?”
“No che non è tra noi, guarda che ha combinato.”
“Ma perché ti sei morso?”
“È un coglione.”
Albus, gli occhi sgranati, non fa in tempo a ringraziare proprio Scorpius della gentile definizione che Basile gli ha già messo in mano un fazzoletto per fargli asciugare il sangue.
“Non volevo mordermi,” biascica mentre asciuga qualche piccola goccia. “È tutto qui? A sentire voi ero sul punto di morire dissanguato.”
“Non prendertela con me,” dice Basile. “È Scorpius che si è preoccupato.”
“Io non mi sono preoccupato.”
“Certo,” sogghigna Basile, alternando lo sguardo dall’uno all’altro. “Ma è comprensibile, siete così innamorati.
“Vuoi darci un taglio con questa stronzata?” sbotta Scorpius.
“Ma veramente non volete sapere cos’è successo?”
“No, né io né Al.”
“Ma… Ma dove vai? Non fare il tragico, è solo uno scherzo!”
E mentre Scorpius lascia la biblioteca a passo di marcia e Basile non trattiene una risata impudente, Albus scocca all’amico seduto accanto a sé un’occhiataccia prima di precipitarsi a sua volta in corridoio senza preoccuparsi di aver abbandonato libri, taccuini e pergamene sul tavolo – mi riporterà tutto Basile pensa, è il minimo che possa fare.
Tuttavia, fuori dal chiacchiericcio della biblioteca, si ritrova ad arrestare i passi a poca distanza dalla sagoma di Scorpius, ancora una volta irrigidito da un prepotente imbarazzo – forse, riflette a disagio, avrebbe dovuto evitare di seguirlo, ma riflette anche che oramai è fatta e tramutarsi in uno stoccafisso non è una grande idea.
“Scorpius.”
“Non devi seguirmi sempre.”
Quando si volta verso di lui, Albus si ritrova a incrociare occhi in cui non riesce a rintracciare nulla che non sia confusione. A sorpresa, si chiede se non abbia fatto un errore di valutazione nel credere di essere il solo a subire l’eco di insinuazioni scomode. Ha sempre attribuito le reazioni irritate dell’amico al fastidio, ma inizia a credere che anche in lui sia germogliato un disagio estraneo, che non ha nome né sostanza e costringe chi ne è schiavo a barcollare tra impaccio e nervosismo.
Inspiegabilmente, l’idea che siano in due – che siano entrambi – ad annaspare in pensieri sfocati lenisce il disagio e lo aiuta a macinare quei pochi passi che li separano per camminare assieme.
“Se non ti seguo io, chi ti sopporta?” ironizza allora.
Scorpius si lascia sfuggire un sorriso, scuote debolmente il capo e infila le mani in tasca.
“Basile sta esagerando e non lo capisce.”
“Forse dovremmo farci raccontare tutto,” tenta Albus. “O chiedere a mio fratello di cancellargli la memoria.”
Scorpius storce le labbra, e Albus ha la sensazione che un nuovo tipo di disagio lo abbia assalito – più evidente, più pressante.
“E se io già sapessi cos’è successo?”
Albus sgrana gli occhi e rallenta sino a fermarsi, quel nuovo tipo di disagio ora ha assalito anche lui e gli mozza il respiro – possibile?
“Me l’ha detto Clarissa,” continua Scorpius. “Non capivo perché le desse fastidio vedermi con te, abbiamo discusso e lei ha sbottato,” spiega. “Ci siamo lasciati.”
“Quando? Perché non me l’hai detto?”
“Una settimana fa e… E non lo so, Al, sarà che non volevo incasinare anche te.”
Albus ha la sensazione che il corridoio dove sono impalati sia stato risucchiato da una dimensione alternativa, dove non esiste nessuno che possa interferire, interromperli, spiarli, dove il calore che lo ha invaso e il velo calato ad annebbiargli per un istante lo sguardo abbiano già una collocazione.
“A me l’ha raccontato James,” confessa improvviso. “Gliel’ho chiesto io, volevo capire.”
Capire.
“Capire le battutine di Basile.”
No pensa Albus, capire perché sei nella mia testa.
“Infatti, quelle.”
Scorpius un po’ annuisce e un po’ china il capo.
“Anch’io volevo capirle, Clarissa una cosa buona l’ha fatta.”
“Almeno hai finalmente avuto un pretesto per lasciarla,” mormora Albus. “Ora immagino ci proverai con Rose.”
“No, io… Non credo. In fondo non la conosco neanche, e tu mi hai sempre scoraggiato.”
“Anche tu mi hai sempre scoraggiato con Moira.”
Prima che Scorpius possa ribattere per sottolineare che il proprio intento non sia accusarlo di avergli rovistato i desideri, Albus gli ha già rivolto un sorriso complice e stretto la spalla in una morsa ruvida.
“Moira sta con Atlas, quindi non fa per te,” dice allora Scorpius. “Mio cugino è uno tosto, tu sei un rammollito,” scherza.
“Molto spiritoso.”
Scorpius sogghigna e Albus si ritrova a contraccambiare l’espressione furba – e a osservarlo come ha fatto tante volte, capendo una volta ancora di aver sempre fatto caso al suo profilo aristocratico, alle sue maniere eleganti, ai suoi occhi di quel grigio che non è chiaro ma non è neanche scuro. Forse, diversamente da quanto ha pensato nel corso degli anni, non è stata un’insana invidia a fargli imprimere nella memoria tutti quei dettagli, ma qualcosa di diverso che ancora fatica ad afferrare.
È quando riprendono a camminare e Scorpius lo sfiora sorridendogli che cascano tutti gli interrogativi, d’improvviso ha almeno una certezza: se sono insieme, va bene.
 
Giugno 2022
 
L’ultima settimana di scuola è sempre la più caotica: tra l’eccitazione figlia delle tanto attese vacanze e la stanchezza figlia dei mesi di studio, gli studenti un po’ arrancano e un po’ creano più baccano del normale.
Tuttavia Scorpius non ricorda di aver mai vissuto un anno tanto intenso e sfiancante – e per quanto ci provi, non riesce proprio ad addossare la colpa ai soli esami per i GUFO, che saranno anche stati impegnativi ma di certo non sono stati ladri di sonno.
Uscito dall’aula in cui ha sostenuto il suo ultimo esame, neanche tenta di cercare un unico volto nella calca, già sa che quegli occhi verdi sono nascosti altrove. Si allontana così senza avvisare Basile, che può immaginare da sé dove sia diretto – dopotutto, sanno entrambi che qualcuno deve recuperare Albus.
E questo qualcuno è sempre lui.
Lui, che macina rabbia pensando al motivo che induce l’amico a isolarsi ogni venticinque giugno. Possibile, si chiede ogni volta che ricorre questa data, che nulla di quanto costruito sia abbastanza per Albus? Possibile che ogni volta debba tramutarsi in un amante della solitudine per sfuggire al pensiero di essere l’unico Potter-Weasley a non poter festeggiare il compleanno in famiglia, nella stupida Sala Comune Grifondoro?
Lui, che in questo istante oltre alla rabbia macina anche un disagio invasivo, perché da quando hanno confessato l’un l’altro di sapere hanno anche smesso di trascorrere del tempo da soli – è stato un accordo implicito, qualcosa capace di porli al riparo da imbarazzi difficili da gestire e continuare a essere amici senza porsi troppe domande.
Scorpius dubita sia servito a qualcosa.
È almeno un mese che il suo inconscio non gli ripropone più i ricordi sfocati di quel dannato Capodanno, ma anziché rivolgersi altrove ha iniziato a inventare e ad assillarlo con sogni e pensieri sempre più invasivi il cui unico protagonista è Albus.
E più si chiede cosa significhino più non trova che un’unica, semplice spiegazione: è attratto dal suo migliore amico.
No.
Ha rifiutato questa spiegazione l’istante dopo averla avvertita sulla punta della lingua, lasciandosi assalire da nuovi interrogativi che lo hanno indotto a guardare con maggiore interesse altri compagni di Casa – ha persino soffermato lo sguardo sul corpo fastidiosamente perfetto di Louis Weasley –, sperando invano di provare le stesse sensazioni che gli attanagliano lo stomaco quando indugia su Albus. E non sa perché lo abbia sperato, se sia stato per dare un senso a tutto, per potersi dire che forse gli interessano anche i ragazzi, o per trovare rifugio nell’idea che possa disintossicarsi da Albus, virare le attenzioni altrove e ritornare a essergli amico come lo è sempre stato.
Un sospiro abbandona le sue labbra – come lo è sempre stato. Ma se sia stato sempre e solo un amico, ormai ne dubita un’ora sì e l’altra anche. Ci sono dettagli incastrati nella testa cui non ha mai dato peso, ma che da quando sono emersi sono diventati macigni – dettagli come conoscere a menadito le abitudini di Albus, le linee del suo corpo magro, la curva delle sue labbra quando è nervoso, i piccoli calli alle mani che si è procurato ostinandosi a non indossare i guanti per giocare.
Dannazione.
Clarissa è stata la sua fidanzata, eppure ha dovuto faticare persino per ricordarne il colore preferito. E Basile, ecco, c’è anche lui, lo ha sempre considerato un amico al pari di Albus, eppure non ha la più pallida idea di come tremi la sua bocca quand’è nervoso né ricorda se i suoi palmi siano ruvidi né saprebbe dire se abbia messo su peso nel corso degli anni.
È quando arriva ai piedi dell’ultima scalinata che arresta tutto – incedere e pensieri –, dicendosi che è ancora in tempo per rinunciare e lasciare che siano altri a recuperare Albus. Peccato che non si dia tempo di elaborare la scappatoia e si precipiti invece a percorrere le scale in salita, arrivando alla Guferia dove senza sorprese scorge la sagoma del ragazzo, che come ogni anno approfitta della necessità di dover rispondere agli auguri dei genitori per rintanarsi nel silenzio.
Non sapendo cosa dire, gli si avvicina e ne richiama l’attenzione sfiorandogli la schiena.
Albus sussulta come non ha mai fatto e anziché voltarsi china il capo in avanti, per Scorpius è come aver appena ricevuto uno schiantesimo in pieno stomaco.
“Sapevo che saresti venuto,” esordisce a sorpresa Albus. “Lo fai sempre.”
“Quest’anno avresti potuto evitare, avevo l’ultimo esame, un po’ di sostegno non mi avrebbe fatto schifo.”
“C’era Basile.”
“A volte dai proprio delle risposte del cazzo.”
Le labbra di Albus si curvano in un sorriso furbo e quelle di Scorpius le imitano un istante dopo – come guidate dallo stesso istinto.
“Sono proprio un Potter-Weasley, eh?”
“Più sopportabile dei tuoi parenti, ti ha salvato Serpeverde.”
Albus si volta, ma anziché ribattere o scherzare, fugge lo sguardo dell’amico e si limita a fissarsi le dita sporche di inchiostro – vorrebbe dirgli che lo ha aspettato, che ha persino tremato di aspettativa quando ha sentito i suoi passi percorrere la torre, che ha sperato con tutto se stesso che quanto accaduto non gli avrebbe impedito di osservare il loro personale rituale.
Si è chiesto se rifugiarsi qui ogni anno non significhi altro.
Ha sempre detto, pensato, sentito che sia un modo per dimenticare l’opprimente sensazione di estraneità che esplode il giorno del suo compleanno, facendolo sentire ancora più escluso quando James e Lily sono costretti a rincorrerlo in Sala Grande per gli auguri, quando i cugini lo cercano nei corridoi, quando tutti sono bene attenti a non parlare mai troppo delle festicciole in Sala Comune in sua presenza – per non ricordargli di essere un estraneo.
Ma ora.
Per la prima volta in cinque anni i suoi pensieri sono stati risucchiati da altro, e questo altro è Scorpius.
Ha riflettuto sulle sensazioni lasciategli dai venticinque giugno trascorsi a Hogwarts ed è arrivato alla conclusione che vi sia meno negatività di quanto ha sempre creduto, perché in ognuno di essi – sin dal primo – c’è sempre stato Scorpius a tirarlo via dal baratro di tristezza.
Ha ricordato il secondo anno, l’alba dei suoi tredici anni, quando sulla scorta dell’anno precedente non ha fatto altro che fissare le scale in attesa di vederlo apparire. E così i due anni a seguire, sino a questo in cui a fargli compagnia non è stata solo l’attesa, ma anche una strana forma d’ansia – finalmente avrebbero trascorso di nuovo del tempo da soli, riuscendo forse ad abbattere l’imbarazzo che s’è impossessato di loro a seguito del confronto vecchio di due mesi.
“Non ti ho comprato il regalo.”
La voce di Scorpius spezza il silenzio e obbliga Albus ad abbandonare la fitta rete di pensieri per sollevare lo sguardo su di lui.
“Non importa, hai tutta l’estate per comprarmelo.”
Scorpius sorride e muove un passo in avanti, non sa bene perché ma vuole accorciare la distanza che li separa.
“E se non volessi comprartelo? Gli auguri dovrebbero bastarti.”
“A volte dai proprio delle risposte del cazzo,” celia Albus, facendogli il verso. “A me piacciono i regali.”
“Il solito principino viziato.”
Albus inarca le sopracciglia e a Scorpius sfugge un sorriso che sa di amarezza.
“Non dovresti farti rovinare il compleanno dai tuoi parenti,” riprende. “Mi fai incazzare ogni volta.”
Albus sospira – è un discorso che affrontano sì e no una volta al mese da quando si conoscono e ha sempre avuto un senso tirarlo fuori anche il giorno del suo compleanno, ma non questa volta, non oggi, e non sa come dirgli che a tenerlo in bilico non sono i colori rosso e oro, ma cumuli di pensieri che vanno in tutt’altra direzione.
“Non...” tenta. “Non sono loro il problema...”
“Siamo noi a non essere abbastanza, lo so.”
A Scorpius le parole sfuggono esattamente come gli è sfuggito il sorriso amaro un istante prima – impulsive. E dire che lui non è una persona impulsiva, anzi crede di avere un istinto di sopravvivenza così marcato da essere immune a quasi ogni sciocchezza dettata dall’irruenza. A quanto pare, riflette disorientato, Albus deve essere il suo punto debole, o qualcosa del genere, perché riesce sempre a destabilizzarlo e a fargli saltare i nervi, soprattutto quando si strugge per lo Smistamento andato male, per il suo stupido fratello, per delle persone che non lo meritano – per la sorte che lo ha voluto suo amico.
Forse è come dice Basile: lui fraintende tutto, dà di matto solo perché crede che Albus se potesse lo escluderebbe dalle sue giornate, e non capisce che quell’idiota mette in discussione sempre e solo se stesso, mai loro, mai le persone cui vuole bene. Però, ecco, il fastidio – la gelosia? – è così difficile da ammansire.
“Cosa?”
Albus gracchia la domanda con occhi già ridotti a fessure e a Scorpius sa di scena già vista: l’amico sulla difensiva e pronto ad attaccare, se stesso con la pazienza esplosa.
“Certe cose sono evidenti.”
Risponde senza fermarsi a riflettere – non sempre l’esperienza serve a qualcosa, a quanto pare – e la nota subito, la rabbia che gli sporca il viso.
Albus serra le labbra, le schiude, le serra di nuovo – incredibile, Scorpius riesce a straparlare in qualsiasi situazione se l’argomento slitta su suo fratello e i suoi cugini, riuscendo a scavargli dentro un nervosismo così invasivo da spazzare via tutto il resto. Quando lo sente parlare a quel modo ha l’impressione – il timore? – che nutra un vero e proprio astio per chiunque porti il proprio cognome, compreso lui, una prospettiva che non riesce a sopportare, che lo scaraventa in un baratro di infinita solitudine – e allora scappa.
“Non capisci più niente quando si tratta della mia famiglia.”
Lo mormora nervoso, Scorpius non fa in tempo a rispondergli che lo vede correre via, giù per le scale e poi sempre più giù, diretto al loro dormitorio.
Lo segue svelto, senza preoccuparsi di sembrare due matti nel procedere a passo di marcia, uno avanti e l’altro a seguire, le mani ficcate in tasca e le labbra sigillate, sino a sfilare cupi lungo la Sala Comune prima e l’ala maschile poi.
Scorpius non ha previsto di chiudere la porta della loro stanza in un tonfo né di guardarlo in cagnesco perché ha preferito mettere quanta più distanza possibile tra loro piuttosto che spiegarsi – capire che se nutre rabbia è solo perché vorrebbe vederlo sereno, senza ombre a incupirgli lo sguardo, mai pentito di quello che hanno costruito.
“Ora che siamo qui sei soddisfatto?”
“Lasciami perdere.”
“Perché? Sono troppo indegno per nominare i tuoi parenti?”
“Ma sei serio?” esplode Albus. “Indegno, tu, il mio migliore amico? Ma che cazzo ti dice la testa?”
Scorpius si ritrova a boccheggiare, mentre la testa gli urla che Albus ha ragione da vendere e le emozioni impazziscono perché, no, non è mai stato così diretto, non ha mai urlato la loro amicizia – e allora sorride nervoso, perché non sa che altro fare.
“Non devi pensarle più queste cose, odio che le pensi.”
Odio che le pensi – parole che rimbombano in entrambi e convincono Scorpius a sopportare la fatica di ingoiare il disagio, ricambiare la sincerità con la sincerità, accettare il rischio di esporsi.
“Dovresti guardati da fuori,” mormora. “Quando ti isoli perché non sei uguale a loro, perché hai solo noi… Fa male.”
È Albus a boccheggiare ora, la sensazione che quelle parole racchiudano molto altro è forte, invasiva, a tratti persino prepotente, e a sorpresa gli infonde coraggio.
“Non si tratta di loro,” ammette allora, gli occhi che ancora una volta vagano ovunque pur di non incrociare quei contorni grigi. “Questa volta si tratta di me e di te… Di noi.”
In altri tempi, un’affermazione del genere avrebbe causato in Scorpius un’ondata di gelo, ma ora si ritrova ad allentare accaldato il nodo della cravatta e a sbarazzarsi della giacca della divisa – inizia a credere che abbiano lo stesso, identico, macigno.
Albus, rapito da quei movimenti, si ritrova suo malgrado a guardarlo e ingoia a vuoto non appena ne scruta il viso in tensione, perso in fitte riflessioni. Si guarda allora attorno, vede la loro stanza vacante, ripensa ai mesi trascorsi e alle parole buttate fuori – ma cosa gli è saltato in mente?
Nervosismo, rabbia, stanchezza, è esploso tutto insieme quando gli ha sentito pronunciare quelle parole – non abbastanza – e lo ha offuscato impedendogli sia di proseguire sulla scia giocosa sia di ragionare assieme a lui sul sentimento di esclusione di cui gli ha parlato tante volte, trovando in Scorpius l’amico con cui confidarsi e cui affidarsi in maniera un po’ contorta forse, perché dentro di sé ha sempre esultato nel vederlo rabbioso della sua rabbia, deluso della sua delusione, intristito della sua tristezza, pronto a insultare tutti pur di risollevargli il morale.
Scorpius è sempre stato al di là dell’amicizia.
Lo ha capito in queste settimane di distanza imbarazzata, in questi mesi di disagio perenne, in quei ricordi sfocati che sono diventati incubi e sogni a occhi aperti. Lo ha capito quando ha guardato con più attenzione Moira e ha rintracciato in lei la piega delle labbra di Scorpius, il grigio ingannevole di occhi simili, il sarcasmo pungente che sa di Malfoy – l’ha vista per la prima volta per ciò che ha sempre rappresentato per lui: una persona in grado di ricordargli il suo migliore amico, se questo abbia senso o meno ha preferito non domandarselo.
Ora però non sa che fare.
Non ha raccattato abbastanza coraggio per confidargli ciò che sente, ma non ha neanche la forza per continuare a fingere indifferenza.
Nell’incertezza si rintana nel silenzio e gli dà le spalle, sussultando l’attimo dopo quando avverte la mano di Scorpius toccargli la schiena e poi allungarsi sino a sfiorargli l’ombelico. Non sa cosa stia facendo né perché, ma un gemito strozzato – imbarazzante – lo sorprende quando avverte i polpastrelli altrui oltrepassare i bottoni della camicia e pizzicargli la pelle.
Prima che possa accorgersi di essersi irrigidito, Scorpius si allontana e il vuoto lo assale a tradimento.
Si volta di scatto e vede l’amico rosso in viso e gli occhi fissi sulle mani – lo conosce così bene che riesce a sentire tutti gli insulti che sta rivolgendo a se stesso.
È quando capisce che è sul punto di andare via, rotto dalla vergogna, che macina i tre passi che li separano e gli afferra rude i polsi.
Scorpius ha appena il tempo di alzare lo sguardo che le labbra di Albus toccano le sue. Ingoiano entrambi a vuoto, fissandosi con occhi sgranati, immobili in una morsa che di scomodo ha tutto.
Nessuno dei due ha idea di chi abbia schiuso la bocca per primo, eppure il calore che li avvolge è reale, tangibile, così come i denti che cozzano impacciati e i sapori che si mischiano.
Quando Scorpius inclina il capo per favorirsi, serra anche le mani attorno a quei fianchi ossuti – e il corpo trema immediato, memore di una sensazione sottopelle che non ha mai dimenticato. Lo avvicina a sé senza garbo, stringendoselo addosso, mentre qualcosa nel petto prende a battere all’impazzata quando le dita di Albus decidono di avventurarsi tra collo, scapole, schiena.
Si allontanano improvvisi, come ustionatisi da qualcosa di troppo nuovo che li induce ad arrossire di imbarazzo oltre che di foga.
E se Albus è in affanno, Scorpius finge di inumidirsi le labbra per raccattare tracce del sapore dell’altro.
Cos’è che si dice dopo aver baciato il proprio migliore amico?
È una domanda che martella entrambi, che tenta di razionalizzare emozioni e scoperte che sono fatte di istinto – sentimenti.
Albus passa una mano sul viso e sulla bocca, mentre gli occhi tentano di non sbirciare quelli altrui.
“Ti ha dato fastidio?”
Scorpius non sa dove ha trovato il coraggio di porgli quella domanda, sa solo che è la prima che ha fatto a se stesso e la risposta che ne ha ricevuto lo ha terrorizzato ed elettrizzato assieme.
“Non proprio,” mormora Albus. “No.”
Al pari dell’altro, non sa dove ha trovato il coraggio di aggiungere il monosillabo, ma sa che il sorriso spontaneo che sfugge a Scorpius è capace di ripagarlo dello sforzo e spingerlo in avanti, di nuovo a contatto con quel corpo che non ha nulla di femminile, ma sa come niente prima d’ora di terre attese e conosciute.
Si guardano senza sfiorarsi, senza imbarazzo, come se ogni tessera avesse d’improvviso trovato la sua collocazione – come se una parte di loro stessi avesse smesso di fuggire assieme a sguardi riluttanti e sporchi di vergogna.
È solo quando le dita si intrecciano e la fronte di Scorpius si poggia su quella altrui che Albus avverte di nuovo il bisogno pressante di parlare, cercare conferme, avere la certezza di non essere vittima di un’illusione.
“Quindi… insomma,” farfuglia. “Questo significa che noi… Che noi…”
“Respira,” interviene lesto Scorpius, aprendosi in un sorriso. “Significa solo che Basile gongolerà fino alla morte.”
E se Albus scoppia a ridere, leggero come non lo è da mesi, Scorpius decide in fretta che di lui vuole imprimersi dentro ogni cosa e ne bacia la risata senza preavviso, consapevole, ingoiando un sorriso tronfio quando lo sente arrendersi ai loro sogni agitati, quelli che senza permesso hanno incastrato l’uno nella testa dell’altro.
 
Forse non durerà che un istante – forse tutta la vita.







 
Note dell’autrice: questa storia partecipa al Gioco di scrittura e all’iniziativa Una storia tutta per te ed è il mio regalo di Natale in ritardo per Traumerin_, che è appassionata di questa coppia e crede possa avere un futuro persino nella mia long – e siccome non è la sola (non so come sia potuto accadere!) dedico questo piccolo racconto anche alle altre lettrici che vorrebbero vedere i miei Albus e Scorpius insieme.
Piccole note tecniche: non so quando termini l’anno scolastico a Hogwarts, per esigenze di trama ho ipotizzato che la scuola chiudesse i battenti a fine giugno (nel caso qualcuno fosse curioso, il venticinque giugno è proprio la data di nascita che ho scelto per Albus in Paradiso perduto). Per chi sa di cosa parlo (!), questa storia a livello cronologico è una sorta di What if? post Mai chiedere consiglio allo zio George!. Nel caso vi fossero lettori che non seguono la long, preciso che Basile, Clarissa, Moira e Atlas sono miei OC.
Questa raccolta fa eco a Perduti quanto a progetto, perché i protagonisti sono i personaggi di Paradiso perduto, ma i racconti si collocano al di fuori della trama della storia madre: quindi, salvo eccezioni che nel caso segnalerò in note, sono racconti indipendenti e ciò che narrano non è mai accaduto nella long.
Per quanto riguarda proprio l’aggiornamento della long, non l’ho dimenticato né accantonato, per ora mi limito a dire che questo è stato un anno complicato e tante volte non sono riuscita a dedicarmi a qualcosa che a livello emotivo mi impegna tantissimo e cui tengo più di ogni altro racconto possa scrivere.
Grazie del tempo dedicato, un grande abbraccio. ❤
   
 
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