Fumetti/Cartoni americani > Spider Man
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Autore: Doralice    29/12/2020    3 recensioni
Apparire anonimi di sicuro era molto comodo quando si voleva pedinare e spiare qualcuno. Quando si entrava in modalità stalking. Cosa che lui assolutamente non aveva mai fatto, non intenzionalmente insomma. Non era intenzionale neppure in quel momento, anche se aveva deliberatamente scelto di seguire Wade per l’ennesima volta, con la macchina fotografica in mano e la musica dell’IPod nelle cuffie, sparata a palla per cercare di tenere a bada i sensi di colpa.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Deadpool, Peter Parker
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*coff coff* ...come si dice? Meglio tardi che mai?

Beh, ecco, a mia discolpa: non è stato un anno proprio facile. Voi che mi dite? In attesa di un 2021 che si spera faccia meno cagare, ecco il quarto nonché ultimo capitolo!



 

Capitolo 4


* * *

 

– Smettila di fissarmi. –

– Neanche morto. –

– No, sul serio, Wade. È inquietante! –

Peter guardava ovunque tranne che verso di lui. D’altra parte il foliage di Central Park era davvero interessante, non c’era che dire.

– Peggio per te. Mi devi mesi di stalking, quindi ti fisso quanto mi pare. –

– Immagino che tirerai fuori questa storia continuamente. –

– Immagini bene, Baby Boy. –

Peter non aveva bisogno di guardarlo: il sogghigno filtrava fin nella voce. Ficcò le mani nelle tasche del parka e si incassò nelle spalle, grato di potersi nascondere almeno in parte nella sciarpa.

– Mi metti ansia. –

– Senti, – Wade lo sorpassò e prese a camminare all’indietro davanti a lui – facciamo così: tu mi cammini davanti e io sto dietro a fissarti in pace. Mh? –

– Il mio senso di ragno mi suggerisce che sia solo un pessima scusa per potermi guardare il culo. –

– Il tuo senso di ragno è difettoso. – ade si strinse nelle spalle e con una piroetta riprese a camminare nella sua stessa direzione – Non ho bisogno di scuse per il fissare il culo al mio ragazzo. –

Peter lottò e perse clamorosamente contro la vampata che gli salì al volto.

– Ah, ora sarei il tuo ragazzo? – biascicò contro la trama della sciarpa.

– Chi è che tiene un album di mie foto nel comodino? Din-din-din! Risposta esatta! Peter Parker! –

Il Peter Parker in questione stava fumando per l’imbarazzo.

– C’è un modo per farti stare zitto?! –

– Punto primo: tu adori la mia incontinenza verbale, perché finalmente hai trovato qualcuno persino peggio di te. Punto secondo: – Wade lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori dal sentiero, dietro un albero, lontano dagli sguardi dei passanti – Baby Boy… – ringhiò gutturale, intrappolandolo tra sé e l’albero – ci sono tanti modi per farmi stare zitto, vuoi che ti faccia degli esempi? –

Onestamente, Peter avrebbe volentieri replicato con qualcuna delle sue frasette sferzanti, ma aveva qualche difficoltà a collegare quei due neuroni sani che gli erano rimasti. Così si trovò a boccheggiare poco elegantemente come un pesce fuor d’acqua.

– Sto cercando di flirtare. – bisbigliò Wade tra i denti, come un gobbo di teatro – Adesso tocca a te. –

– Non so come fare. – sbottò all’improvviso.

Wade si scostò appena e lo osservò, incuriosito.

– Voglio dire… so come fare, conosco la teoria. Sono...  – Peter soffiò via l’aria e si morse il labbro, non era da lui restare senza parole – Fuori allenamento? – azzardò con una piccola smorfia, mioddio Wade era adorabile e lui si sentiva così patetico – Voglio dire, non è che prima... –

In qualche modo l’intero discorso, che già prima era abbastanza confusionario, inciampo su quella parola. “Prima”. Prima di cosa? Prima di Gwen? Prima di Spider-Man? Prima di zio Ben? Di cosa?

– Non è che prima… – Peter scosse la testa, gli occhi che saettavano ovunque, il cuore che galoppava, il sudore che raggelava sulle tempie – Non è che… prima… –

La parola morì sulla stoffa del cappotto di Wade. Peter si concesse di chiudere gli occhi e lasciarsi andare contro la sua massa sicura, lasciarsi andare alla pena di sé, lasciarsi andare a un paio di lacrime che tracimarono timidamente. Lasciarsi andare e basta. Per una volta, lì, racchiuso nell’abbraccio di Wade, sentiva di poterselo permettere.

– Facciamo un gioco? –

Peter tirò su col naso e si scostò per guardarlo dal basso, una risata che già gli gorgogliava in gola.

– Siamo già a quella fase? Non è un po’ presto? –

– No no, seguimi. – lo invitò Wade tendendogli la mano – Sono serio. –

– Oh mio Dio. –

Peter intrecciò le dita alle sue e si fece guidare.

Mortalmente serio. –

– Ok, ti ascolto. –

Ripresero il sentiero e arrivarono davanti al Tavern on the Green. Wade si fermò all'ingresso.

– Adesso tu entri là e ti siedi e ordini qualcosa. – disse mentre sbirciava attraverso la vetrata – Quando entro, facciamo finta di non conoscerci. –

Peter inarcò un sopracciglio: – E poi? –

Wade tornò a guardarlo e gli rivolse un sorriso. Una roba che per poco Peter non si strozzò con la propria saliva.

– E poi vediamo come va. – gli disse, e strinse appena la sua mano prima di lasciarla andare.

 

*

 

– Ehi… ciao. –

– Ciao. –

Lo sforzo che stava facendo per evitare il suo sguardo era ammirevole – e inutile. Wade si appoggiò con nonchalance al bancone e gli rivolse un sorriso seducente.

Impostò la voce alla Joey Triviani: – Come ti va? –

Ammiccò, e Peter soffocò una risatina nell’esatto modo in cui faceva Phoebe in quella puntata. Dai, avete capito quale. Quella che avevano rewatchato giusto un paio di mesi prima, durante la loro maratona di FRIENDS.

– Mi chiamo Wade. –

– Peter. –

Peter. – “Peter Peter Peter” cantilenava nella sua testa, conosceva quel nome da un paio d’ore e né lui né le sue voci ne avrebbero mai avuto abbastanza – Ciao Peter. Vieni spesso qui? –

Peter sorride, arrossisce e gli manda uno di quegli sguardi. Quelli in cui sembra la reincarnazione di James Dean e lui vorrebbe solo strapparsi i capelli (se li avesse) e lanciargli le mutandine (quelle ce le ha). Ma con sforzo ammirevole Wade riesce a contenersi il tanto che basta a non essere cacciati dal locale con diffida e accompagnati in centrale per atti osceni in luogo pubblico.

Più tardi si darà una pacca sulla spalla per essere stato un adulto funzionale.

Wade gli aveva promesso un giro a Central Park, una cioccolata calda al Tavern on the Green e un giro in barca. Non arrivarono al giro in barca perché nel frattempo aveva fatto buio e si erano persi a parlare là dentro.

Tante cose le sapevano, tante altre le avrebbero scoperte man mano. Wade di fretta non aveva. Ma Peter volle lo stesso raccontare.

Gli parlò di zio Ben e di zia May, del peso della responsabilità che gli grava addosso e mai sarebbe riuscito a scrollarsi.

– Mi dispiace. –

– Mica è stata colpa tua. – Peter scrollò le spalle – E poi ogni eroe nasce da un trauma. –

– Non fare il cinico, che vai fuori personaggio. – Wade si accigliò – E poi, scusa tanto, ma non so se questa città merita di essere protetta da uno come te. –

– Beh, sai com'è: – Peter si schiarì la voce la impostò alla Batman – questo non è l’eroe che Gotham merita, ma è quello di cui ha bisogno. –

Wade si fece andare la cioccolata su per il naso, attirando non pochi sguardi.

Superato l’incidente, decisero di uscire da lì e allora fu la volta di Wade di raccontare. Weapon X e la sua mutazione non erano un mistero per Peter, già conosceva gran parte della storia, ma raramente Wade l’aveva messa in un contesto. Sicuramente non aveva mai parlato del trauma. Delle voci.

– Le senti anche adesso? – gli chiese Peter, le dita sottili di nuovo intrecciate alle sue.

Wade sospirò e soppesò le parole nella sua testa. Nella parte sana della sta testa.

– Sì. – ammise.

Peter non disse niente. Wade sentì la presa sulla sua mano stringersi ed ebbe la conferma che la sincerità paga sempre.

Non lo sapeva mica cosa avesse fatto per meritarsi tutto questo, eh. Ma nel momento esatto in cui il cappuccio di Spider-Man era venuto via, aveva fatto a sé stesso il solenne voto di non mandare tutto a puttane come faceva di solito.

Magari era il karma, magari per una volta la ruota aveva iniziato a girare anche per lui. E adesso aveva trovato una persona che riusciva a non rigettare davanti alla sua faccia, e che in più non crepava facilmente. E che apparentemente non era terrorizzata dai suoi problemi mentali.

Spider-Man era dotato di superforza, senso di ragno, agilità e riflessi superiori, capacità di aderire alle superfici… e l’elenco di Wikipedia sarebbe ancora lungo, ma il concetto è chiaro, no? Spider-Man era un supereroe, chiaramente poteva fare cose da supereroe e non crepare. Magari ci andava vicino, ma ehi, nessuno è perfetto!

Ma al di là dell’ammirazione e della stupida crush, quello che Wade aveva imparato a conoscere – quello che stava scoprendo anche in quel preciso momento –, beh, quello era solo un ragazzo. Un collegiale che si nascondeva dietro la maschera dell’eroe pur di non crollare. Wade indossava una maschera simile da abbastanza tempo per riconoscerne una quando la vedeva.

Peter riusciva a restare umano nonostante tutto questo. Nonostante la vita disastrata dai superpoteri, dai lutti e dalla privazione di sonno. Cercava in tutti i modi di stare con i piedi per terra e fare una vita normale, anche se la sua vita continuava a cercare di affogarlo nella merda.

Si era chiesto spesso quanto potesse essere solo quel ragazzo, se doveva accontentarsi di fare squadra con uno come lui. Di trascorrere il tempo libero con un tizio con la faccia alla Freddy Krueger. Di affidarsi alle sue mani di mercenario per farsi rimettere in sesto dopo uno scontro. Cosa gli fosse successo, per doversi accompagnare a Wade Winston Wilson.

Adesso quello stesso ragazzo si stava aprendo a lui e quei motivi erano chiari. Talmente ovvi e dolorosi da schiacciarlo di angoscia. Erano diversi, loro due, lontani anni luce, eppure così simili.

Nel racconto della morte di Gwen e nel senso di colpa che soffocava Peter, Wade rivisse ciò che ancora lo perseguitava della fine di Vanessa. Due vite agli antipodi che si incontravano nel vissuto traumatico.

 

*

 

– Wade? –

– Mh? –

Peter si fermò davanti a lui e lo guardò tutto serio.

– Abbiamo legato sul trauma? –

Le inesistenti sopracciglia di Wade schizzarono in alto.

– Eddai, ci avrai pensato anche tu, no? – lo incalzò.

– Che le nostre storyline si assomigliano? Un po’ inquietante lo è come coincidenza. – ammise con una scrollata di spalle – Ma vuoi dirmi che la gente di New York sta messa meglio di noi? Voglio dire, e la città di Woody Allen. –

Peter arricciò il naso.

– Okay, ma non ti sembra comunque un tantino malsano? –

Wade si accigliò: – Che cosa? –

– Una relazione che si basa sul trauma non è destinata a durare. –

– Allora basiamola sul sesso! –

Peter lo colpì al petto trillando uno scandalizzato: – Wade!

– Cazzo, ma sei adorabile! – gli prese il volto tra le mani – Posso baciarti? –

– Oh, non lo so... – Peter si morse il labbro e battè le ciglia – È solo il primo appuntamento. –

– Ed è solo un bacio. –

– Mh… – Peter lo osservò fingendo diffidenza – Li conosco quelli come te.–

– Sì? –

Le mani di Wade scivolarono dal suo volto al collo in una carezza ruvida e calda che gli fece tremare le ginocchia.

– Non è mai “solo un bacio”. –

– Prometto di essere un gentiluomo. –

Il bordo del cappuccio di Wade sfiorava il ciuffo di capelli di che spuntava dal berretto di Peter. Le loro voci si fecero piccole, come piccolo si era fatto lo spazio tra di loro.

– Ne sarei molto, molto deluso. –

– Mi stai dando segnali contrastanti Baby Boy. – Wade gli grattò la nuca lentamente e per poco Peter non si mise a fusare come un gatto – Vuoi che faccia il bravo ragazzo o il cattivo ragazzo? –

– Cattivo. – sospirò Peter sulle sue labbra – Decisamente cattivo. –

 

*

 

– Cosa ti piace? –

Wade si staccò dalle sue labbra e gli sfiorò la bocca umida di saliva.

– Mh? –

Peter batté le ciglia e lo guardò, tutto occhi lucidi e guance arrossate e capelli arruffati. C’era qualcosa di sacro in quella visione e Wade non era certo di meritarsela, ma Peter non sembrava dispacersi affatto, e chi era lui per sottrarsi al fato che lo stava portando a limonare duro con Spider-Man sul letto di casa propria.

– Cosa ti piace, Peter? – gli colpì il naso col suo – Dillo a Daddypool. –

– Oh… oh. –

Wade sogghignò senza pietà davanti al suo imbarazzo.

– Come posso metterla? Uhm… – Peter si schiarì la voce – Like a virgin… touched for the very first time. Like a virgin when your heart beats next to mine... –

Nella testa di Wade, le Voci stavano urlando molto forte e tutte insieme.

Peter si coprì il volto con le mani: – Per favore, non farmi continuare. Per favore… –

– Oh no, Petey-pie, credo proprio di voler sentire il resto. –

Wade lo sollevò e se lo manovrò in braccio, fino a farlo sedere in grembo.

– Sai quella parte che dice… come faceva? – la sua voce andò giù di un paio di ottave – Gonna give you all my love, boy… –

– My fear is fading fast. – gli fece eco Peter.

– Been saving it all for you… – cantarono insieme in un bisbiglio.

– Questa? –

Wade annuì: – Sì, quella. –

 

*

 

Novembre arrivò, e con esso il compleanno di Peter, che venne festeggiato in due parti. La prima parte si svolse a casa di zia May, che come ogni anno gli fece la sua torta preferita, lo obbligò a soffiare sulle candeline – rigorosamente 20 e tutte e 20 accese, mica quelle a forma di numero che secondo lei erano “per la gente pigra” – e gli fece scartare il suo regalo – capello, sciarpa, manopole, e in fondo alla scatola una piccola busta con un buono per il supermercato che Peter si chiese quanti straordinari doveva aver fatto per riuscire a mettere insieme i soldi. La seconda parte su svolse a casa di Wade, e per educazione sorvoleremo sui dettagli, vi basti sapere che sul menù della serata era compre Manzo di Mercenario in umido, il dolce venne consumato sul divano, il regalo venne scartato – se togliere un grosso fiocco rosso dalle parti intime di Wade si potesse considerare “scartare” – nella camera da letto, e la mattina dopo ringraziarono entrambi di avere un ottimo fattore di rigenerazione, perché dovettero aggiustare qualche mobile e portarne altri in discarica.

– Ne è valsa la pena! – sentenziò Wade mentre staccavano dal soffitto le ultime ragnatele. In tutta onestà, Peter non ebbe niente da obiettare. Anche perché il fattore di rigenerazione stava facendo fatica a guarire le sue corde vocali. Si appuntò mentalmente di lasciare una nota di scuse ai vicini di casa di Wade e di insonorizzare le pareti dell’appartamento.

Poi venne il Ringraziamento. E per la prima volta dopo molti anni, Wade lo festeggiò in compagnia. Non fu per niente facile per Peter convincerlo, infatti chi ci riuscì fu zia May, che dopo anni passati a rifiutarsi di armeggiare con la tecnologia, estorse a Peter il numero di cellulare di Wade e trovò il modo di inviargli un vocale. Un gentile ma inappellabile ordine al “fidanzato di suo nipote” di presentarsi a casa su per il pranzo del Ringraziamento, e di portare da bere, “ovviamente analcolico vista l’età di Peter”.

Peter non aveva mai visto un uomo imponente e minaccioso come lui, farsi così piccolo e timido mentre ascoltava quel messaggio. Manco a dirlo, Wade eseguì l’ordine alla lettera. Riuscì persino a presentarsi con indosso un maglione – quasi – normale. Insomma, un maglione che citava la puntata di FRIENDS in cui Monica si infila il tacchino in testa, era pur sempre meglio della felpa degli Orsetti del Cuore macchiata di salsa tex mex e coperta di fori di pallottole che aveva indossato l’anno prima, no?

– Non discuti con Molly Weasley. – aveva commentato davanti allo sguardo sconvolto di Peter.

Infine venne il Natale. Wade non ebbe bisogno di alcuna Strillettera da parte di zia May e riuscì anche ad impacchettare dei regali veri con carta da regalo vera. No, sul serio, senza alcun sottinteso. Quelli li aveva tenuti tutti debitamente da parte per la notte di Capodanno.

 

*

 

Le dita di Peter smisero di colpo di seguire pigramente gli arabeschi di cicatrici sulla sua pelle. E Wade seppe che stava per chiedergli qualcosa.

– Posso chiederti una cosa? –

– Quando sei nudo puoi chiedermi tutto quello che vuoi, Baby Boy. –

Si guadagnò una gomitata da parte di Peter. Wade rise e rotolò sotto le coperte, portandoselo sopra. 

– Perché sei tornato indietro? –

Wade incrociò le braccia dietro la testa e lo guardò interrogativo. Peter si rizzò, mettendosi a sedere.

– L’avevi già capito che ero io. No? –

Wade chiuse gli occhi un momento. Non era per niente facile ragionare con Peter che gli stava nudo a cavalcioni e portava senza vergogna una testa di capelli post-sesso. Non era facile ragionare in presenza di Peter – a prescindere. Tutta la sua scarsa capacità intellettiva andava a farsi benedire nel momento in cui collegava i puntini e si ricordava che non stava allucinando: erano davvero in una relazione.

Riaprì gli occhi e Peter era ancora lì, con l’aria interrogativa e quel cipiglio inamovibile che, Wade l’aveva capito quando aveva fatto la conoscenza della signora May Parker, doveva essere una cosa genetica.

– Potevo restare nel presente. – parafrasò Ash Williams – Avrei fatto una vita da re. –

– Ma non ti puoi lamentare. – Peter gli sorrise – A tuo modo, sei un re. –

Gli fece un cenno: – Dammi un po' di zucchero, baby. –

Peter tornò a chinarsi su di lui per un bacio. Uno di quelli languidi e pigri che amavano scambiarsi dopo. Che saranno anche stati due fuori di testa sull’orlo di numerosi problemi mentali, ma erano pur sempre due scemi che ogni volta si mettevano a piangere quando Spock muore ne L’Ira di Khan.

– Perché tu hai tenuto nascoste quelle foto? – gli chiese Wade – Lo sapevi che ti sarebbe bastato una parola. –

Peter si stava masticando il labbro.

– Ehi. – lo richiamò stropicciandogli i capelli.

Lui ruotò la testa e posò il mento posato sul suo petto, fissandolo dal basso.

– A Spidey sarebbe bastata una parola. –

– Mh… –

Wade osservò con immensa tenerezza questo giovane genio dal Q.I. stratosferico, nonché indiscusso e generoso eroe, capace nonostante tutto di dubitare di sé al punto da pensare che uno sfigato come lui potesse non desiderarlo.

– Vieni qua su. –

Peter si scivolò in su, fino ad arrivare faccia a faccia con lui. Sotto il suo sguardo curioso, Wade allungò una mano al comodino tastando alla cieca e infine pescò quello che gli serviva. Si scambiarono un’occhiata. Non era la prima volta che usavano quell’aggeggio, ma, come si può intuire dalla sua collocazione, aveva un certo tipo i fine, strettamente correlato alle loro attività in camera da letto. Attività alle quali tuttavia in quel momento non si stavano dedicando.

Wade si premette addosso Peter e manovrò l’aggeggio come meglio poteva con una mano sola, fino a trovare – forse, sperava – l’angolazione giusta. Premette il pulsante.

Click.

Vrrr.

La fessura sputò fuori una lingua di carta bianca con un quadrato tutto nero in mezzo. Peter la prese per un angolo e lo agitò per aria.

– Cosa vedi? –

Peter si accucciò contro di lui e assieme guardarono la foto.

– Cosa vedi, Pete? –

Peter non rispose. Perché non c’era nulla con cui si potesse rispondere, non c’era nulla che potesse descrivere la felicità su quei volti sfatti d’amore a allucinati dal flash della polaroid.

La foto scivolò tra le lenzuola sfatte.

Si avvinghiò a Wade, con tutta a forza di un mutante, con tutta l’insaziabile fame di affetto di un ragazzo rimasto solo troppo a lungo. Con tutto quello che era racchiuso in quella foto e che solo loro potevano vedere davvero.

   
 
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