Film > Star Wars
Ricorda la storia  |      
Autore: Helmwige    02/01/2021    2 recensioni
[The Mandalorian // tra S1 e S2 // Din&Grogu // OOC // comico]
E se nella Galassia lontana lontana giungesse un video natalizio? Come se la caverebbero i nostri eroi con le tradizioni terrestri?
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Contesto: Non Canon (indicativamente tra S1 e S2)
Personaggi: Din Djarin, Cara Dune, Grogu, Greef Karga, nuovi personaggi
Genere: demenziale, comico, fluff
Avvertimenti: ho tentato di rispettare i personaggi, ma alcuni sono un po’ OOC… e no, non me ne pento
 
 
Via Lattea
Sistema Solare, pianeta Terra
 
I calendari terrestri segnavano l’anno 2048, e già dal numero si capiva che era un periodo funesto. Per dimostrare agli amanti della Smorfia che avevano più di un valido motivo per provare paura, il 2048 iniziò col botto. Più precisamente, con l’impatto di un enorme meteorite sul continente asiatico. La catastrofe che seguì fu devastante. La Cina, il Giappone e le due Coree furono rasi al suolo, e già si gridava alla fine del mondo, perché come si poteva sopravvivere senza i Manga, gli involtini primavera e, soprattutto, senza sushi?
Le speranze dell’umanità s’infransero definitivamente, tuttavia, quando un secondo enorme meteorite finì sugli Stati Uniti. La costa occidentale venne spazzata assieme a gran parte degli Stati centrali. Il mondo cadde nella disperazione, perché, si sa, gli Americani erano gli unici a poter salvare la razza umana.
Nell’Area 51, nel Nevada, gli agenti della CIA erano posseduti dall’assurda frenesia che caratterizza chiunque sia consapevole che, di lì a poco, ci lascerà le penne.
Tra chi tentava di accaparrarsi tutti gli oggetti di valore del laboratorio e chi, invece, pregava davanti ai modellini delle astronavi aliene, gli unici che mantenevano la dignità erano l’agente Rickmon e l’astrofisico McDork. Dopo un lungo battibecco di quasi tre ore – che li aveva fatti sudare e urlare parecchio – avevano convenuto che l’unica speranza per l’umanità era chiedere aiuto agli extraterrestri.
“Benissimo… come facciamo?” domandò Rickmon.
“Basterebbe mandare una richiesta di aiuto,” rispose quel genio di McDork.
“E fin qui... ma in che lingua? Non abbiamo ancora capito quale sia il mezzo di comunicazione più efficace.”
“Faremo alla vecchia maniera: disegneremo la situazione alla bell’e meglio e aggiungeremo un omino in ginocchio che prega.”
“E se non capiscono che sta chiedendo aiuto?”
“Scusi, ma un uomo in ginocchio con le mani giunte che altro potrebbe significare?”
“Ma che ne so, mica ho una laurea in Storia dell’Arte. A proposito, chi lo fa il disegno? Io non sono capace.”
Sopraffatto dai dubbi, McDork si prese il mento tra le dita ossute e si fece pensoso.
“Inviamo un video. Sarà anche più veloce. Prenda una delle tante dirette televisive sulle ultime catastrofi, manderemo quelle.”
Ma l’agente Rickmon non sembrava molto convinto. “E se pensano che siamo una specie belligerante e super militarizzata? E se non la intendono come una richiesta di aiuto, ma come una minaccia di invasione?”
“Bene,” rispose McDork. “Allora manderemo loro anche un video natalizio, così capiranno che siamo buoni e indifesi.”
Rickmon sbatté le palpebre più volte. “Un… un video natalizio?” balbettò.
McDork s’indispettì. “Sì, sì, un video natalizio! Forza, sbrighiamoci!”
“Ma perché proprio natalizio? E poi… gli alieni lo riceveranno in tempo, signore? Voglio dire…”
“So benissimo cosa vuole dire!” urlò McDork, con i baffi che tremavano per l’ansia e la frustrazione. “Non c’è più tempo per i dubbi, agente! Si muova!”
E fu così che l’ultima speranza per l’umanità fu affidata a un breve filmato di qualche minuto, dove tutti erano felici e contenti, con i maglioni di lana e tantissimi regali sotto l’albero.
In altre parole, inviarono la pubblicità natalizia della Coca Cola.
 
***
 
Una Galassia lontana lontana
Territori dell’Orlo Esterno, pianeta Nevarro
 
Fu lo Sceriffo Dune a ricevere la registrazione inviata dalla Via Lattea. In realtà, ne ricevette solo un pezzo.
“Pare che il messaggio sia stato danneggiato durante la trasmissione,” sospirò tra sé e sé. Greef Karga, stravaccato sulla sedia e con i piedi sulla scrivania, sonnecchiava rumorosamente al suo fianco.
“Greef!” lo chiamò lei. “Svegliati, su… guarda cos’è arrivato.”
Ma l’uomo non ne voleva sapere di aprire gli occhi.
“Forza, Greef! Tirati su!”
“Mostra… mmm… Mando…” borbottò il magistrato.
Cara fece un lungo sospiro, si alzò, diede uno spintone a Greef Karga – il quale finì a gambe all’aria – e uscì a cercare Din.
Lo trovò poco fuori dalla cittadina, intento a lucidare la Razor Crest. Cosa ci fosse da lucidare in una nave che a malapena riusciva a volare, Cara non lo sapeva. E avrebbe continuato a vivere nell’ignoranza, perché mai e poi mai avrebbe osato chiederlo al proprietario.
Il piccolo, a pochi passi dal Mandaloriano, esprimeva il suo talento artistico lasciando manate di fango sul metallo appena lucidato. A quella scena, Cara si mise a ridere, richiamando così l’attenzione di entrambi.
“Ho bisogno del tuo aiuto,” esordì lei a mo’ di saluto.
Din inclinò il casco nella sua direzione in un muto cenno di assenso. Poi prese in braccio il piccolo, il quale protestò animatamente, e raggiunse Cara.
“Abbiamo captato questa trasmissione bidimensionale. Siamo riusciti a trasformarla in ologramma, ma il messaggio non è chiaro.”
“L’hai mostrata a Greef?”
“Non era… molto disponibile.”
“Bene,” sospirò Din. “Fammi vedere.”
Tre minuti dopo, l’espressione del cacciatore di taglie era a dir poco perplessa.
“Non ho capito bene,” ammise alla fine.
“Nemmeno io,” rispose Cara, alzando le spalle.
“Beh, non sembra una dichiarazione di guerra…”
“…né una minaccia. Forse una richiesta di aiuto?”
Din scosse la testa. “Dubito. Chi diamine manderebbe una richiesta d’aiuto simile? Sembrano felici… anche se non capisco minimamente cosa stiano facendo.”
“E se fosse una sfida?”
“Una sfida?”
“Sì, esatto, una specie di gara!”
Din rimase in silenzio per un po’, soppesando attentamente le parole dell’amica. “Ma una gara di cosa? Non si capisce assolutamente nulla di quello che fanno!”
“Beh…”
“E poi perché hanno messo un albero dentro casa? Non lo sanno che gli alberi hanno le radici?”
Cara si mordicchiò le labbra. “Forse è finto.”
Dal modo in cui Din inclinò la testa di lato, si capì che era decisamente incredulo. “Non ha senso.”
Le spalle dello sceriffo si alzarono di nuovo.
“Non sembra una civiltà molto intelligente,” dichiarò Din alla fine.
“Non puoi mica giudicarli solo tramite questo… manca un pezzo del messaggio, te l’ho detto…”
Rimasero in silenzio per un po’, ponderando le alternative – che poi non erano molte - e riflettendo sul significato di quell’albero finto che tanto aveva infastidito Din.
Fu il piccolo a interrompere le loro elucubrazioni, emettendo una serie di suoni incomprensibili. O meglio, incomprensibili per la maggior parte degli abitanti della Galassia, in quanto Din sembrava capirlo benissimo. Il bambino allungò le manine verso l’ologramma e rivolse uno sguardo implorante al padre.
Il Mandaloriano lasciò vagare lo sguardo tra il toporagno che teneva in braccio, le scene dell’ologramma e l’espressione confusa di Cara, finché non mormorò: “Magari possiamo imitarli. Insomma… non sembrano particolarmente brillanti, ma hanno l’aria di divertirsi.”
Cara lo fissò, sbattendo lentamente le ciglia. “Va bene,” disse alla fine. “Facciamolo. Ma non sarò io a mettere la casa a disposizione per questo esperimento!”
 
***
 
Nevarro non andava bene per i loro progetti intergalattici. La necessità di trovare un pianeta adatto, freddo e pieno di neve, si fece sentire subito. La scelta ricadde su Ilum, l’unico pianeta freddo dotato di foreste, perché “così facciamo un giro unico e prendiamo anche l’albero”.
Partirono tutti, compreso quel vecchio volpone di Greef Karga, il quale si era svegliato dal suo sonnellino pomeridiano a decisioni già prese e bagagli già fatti. Si stiparono tutti nella stiva della Razor Crest e partirono alla ricerca del maledetto albero.
Maledetto, sì. Perché ci sarebbe stato l’imbarazzo della scelta su quale prendere, visto quante foreste di pini offriva il pianeta… peccato che erano partiti con una nave minuscola. Trascorsero i primi due giorni girando il pianeta in lungo e in largo, arrancando con la neve fino alle ginocchia, con Greef che si lamentava continuamente per il freddo e Cara che sbuffava in risposta. Din, che cominciava a sentire quanto il piccolo risultasse pesante dopo ore passate tra le sue braccia, avrebbe gettato la spugna e se ne sarebbe tornato a casa – ovunque essa fosse – se all’ultimo minuto il bambino non avesse emesso un gridolino estasiato. Con il braccio stesso dritto davanti a sé e gli occhi lucidi per l’emozione, il toporagno verde indicava l’oggetto dei suoi desideri: un alberello alto meno di un metro, spelacchiato e sgangherato, con pochi rami e qualche ciuffo di aghi verdi qua e là.
L’albero più sfigato del mondo.
Eppure, al piccolo piaceva da matti e continuava a tenere la manina alzata nella sua direzione, aspettando pazientemente che qualcuno lo sradicasse e lo portasse alla Razor Crest.
Con un misto di delusione e perplessità negli occhi, Greef Karga si apprestò a fare il lavoro sporco.
 
***
 
Seguirono giorni tranquilli e divertenti.
Al piccolo piaceva la neve e sembrava non sentire particolarmente la morsa gelida del vento. Lo stesso non si poteva dire di Cara, abituata a climi decisamente più miti. Tuttavia, dopo essersi coperta con maglione, giacca antivento, guanti impermeabili, sciarpa e berretto, l’ex assaltatrice era pronta per scendere nell’arena.
A qualche metro dalla nave, regnava la guerra. Letteralmente.
Palle di neve volavano a destra e a manca, generando risate e urla eccitate.
Vicino alla nave, in ginocchio, Din provvedeva a Spelacchio, l’alberello scelto dal piccolo. Non aveva la minima idea di come renderlo vivace e allegro come quello della registrazione. L’unico ornamento presente era il pomello del cambio, la pallina preferita del bambino. Una pallina grigia su un albero ancor più grigio.
“Beh,” sospirò il giovane padre a se stesso. “Almeno ci ho provato.”
 
***
 
Dalla pancia della Razor Crest, attraverso il lucido metallo del telaio, provenivano canzoni mai sentite prima. Alle voci di Greef e Cara si mescolavano gli adorabili suoni del bambino, gridolini  allegri capaci di far sciogliere il cuore più gelido della Galassia.
Din fece abbassare il portellone ed entrò nella nave, beandosi del calore al suo interno e lasciando che le labbra si stiracchiassero in un sorriso esausto ma appagato… un sorriso che si congelò appena vide con cosa stava giocando suo figlio.
Granate. E detonatori termici.
Il coraggioso Din Djarin svenne, cadendo per terra come un sasso.
Cara dovette schiaffeggiargli l’elmo quattro volte per farlo rinvenire. Ci volle qualche secondo prima che l’uomo si ricordasse l’ultima scena che i suoi occhi avevano registrato.
Si mise a sedere di scatto. Il suo sguardo incontrò quello del piccolo, seduto comodamente sulle ginocchia del padre. Tra le dita stringeva una granata rossiccia.
Trattenendo un’imprecazione, Din si girò verso Greef Karga. “Una granata a impulsi magnetici? Stai scherzando?” ringhiò.
“Tranquillo, sono state tutte disinnescate,” s’intromise Cara.
“Lo spero bene,” sibilò Din a denti stretti.
“Non sono mica scemo,” disse Greef.
Din si rigirò la granata tra le dita guantate, con il cuore ancora in piena corsa. “Le hai pure dipinte.”
“Mi sembrava una cosa carina…”
Cara gli diede una pacca sulla spalla. “Ce la fai a rialzarti o ti aiuto?”
“Sto bene,” rispose stizzito il Mandaloriano.
“Non devi mica sentirti in imbarazzo, capita a tutti di svenire…”
“Non sono in imbarazzo.” Non serviva guardarlo in faccia per immaginare quanto fosse pallido sotto l’elmo.
“Come vuoi. Allora ti sei solo spaventato…”
“Non mi sono spaventato!”
Cara dovette mordersi le labbra per non mettersi a ridere.
 “Non insistere,” s’intromise Greef, agitando un mano per indicare tutte le decorazioni che aveva appeso: fiocchi, ghirlande, bastoncini di zucchero e festoni. “È solo invidioso delle mie abilità artistiche.”
“Guarda come hai conciato la mia nave…”
“Non c’è di che.”
 
***
 
Alla fine, Din e Greef fecero pace. O meglio, Greef si fece perdonare cucinando di tutto e di più. Il bambino si riempì di Nevarro Nummiens fino ad aver mal di pancia. Din, invece, mangiò così tanto che dubitava sarebbe riuscito a infilarsi di nuovo la corazza senza dover trattenere il respiro.
L’ultimo giorno su Ilum si aprirono i regali.
Mentre il piccolo stracciava la carta che rivestiva il suo nuovo giocattolo (il Mandaloriano gli aveva costruito un modellino della Razor Crest), Din continuava a maledire silenziosamente i metri di nastro adesivo con cui aveva combattuto per incartare il pacchetto.
Scotch. Un’invenzione di qualche maledetto Gungan ubriaco, Din ne era certo. Altrimenti non si spiegava come un oggetto così piccolo potesse farlo infuriare tanto. Per tre giorni e tre notti aveva combattuto con le unghie e con i denti, strappando e tagliando, con le dita appiccicose e il desiderio di trovare l’inventore di quella diavoleria e disintegrarlo.
Tralasciamo i regali che ricevettero gli adulti (tipo i calzini a pois che Cara regalò a Greef).
Le ultime ore a disposizione le passarono fuori, seduti sulla rampa della nave, a bere spotchka e a sgranocchiare biscotti blu duri come sassi.
“Beh, alla fine non è andata tanto male,” disse Cara, cullando il piccolo. Din la guardò tenere in braccio suo figlio per chissà quanto tempo, lasciando che il sangue gli arrivasse bollente al cervello. Venne pervaso da una strana sensazione di leggerezza e torpore, e non sapeva neanche lui se era causata dall’alcol o da altro.
“Concordo,” fece Greef.
“Com’è che la chiamano, questa cosa?” chiese Din.
Cara aggrottò le sopracciglia nel tentativo di ricordare. “Natale?”
Din annuì piano, mezzo stordito dalla spotchka. “Natale,” ripetè.
“Oh no!” esclamò Cara all’improvviso. “Non abbiamo fatto l’uomo di neve!”
“L’uomo di neve?” ripeté Din.
“Sì, il pupazzo che facevano vedere alla fine dell’ologramma!”
“Magari lo facciamo la prossima volta,” propose Greef.
Din si girò a guardarlo. “La prossima volta?”
“Ma la pianti di ripetere ogni singola frase?!”
Indispettito, con la testa pesante e vuota al tempo stesso, Din incrociò le braccia e tornò a guardare la neve che cadeva sul piccolo Spelacchio.
 
Così, mentre in un’altra galassia l’umanità veniva sterminata da meteoriti e calamità naturali, mentre l’agente Rickmon e il professor McDork aspettavano, pregando e implorando, di essere salvati dagli alieni, i nostri eroi scoprivano la magia del Natale.
 
 
-Fine -
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Helmwige