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Autore: Red Owl    02/01/2021    0 recensioni
Quando un terremoto distrugge la sua città natale, Annabel lascia Epona e si trasferisce su Nantos-A, un pianeta scarsamente abitato. Lei e Seth, il suo fidanzato, intendono sposarsi e dare vita a una nuova famiglia, ma le leggi e le superstizioni del luogo li costringono a separarsi. Annabel si ritrova così legata a un uomo silenzioso e dal passato oscuro. Piena di rabbia e di rancore, la ragazza è determinata a non piegarsi a quell'ingiustizia, ma presto le diventa chiaro che la realtà è ben più complicata di quanto non sembri al primo sguardo. Ricongiungersi a Seth adesso non è più il suo unico obiettivo: deve anche restare in vita.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I minuti che passano da quando Seth e Annabel vengono lasciati soli a quando i due giovani escono dal tempio sono venti, e non dieci come anticipato da Elsa, ma nessuno viene a disturbarli.

Annabel non ha pianto. Gli occhi di Seth si sono velati di lacrime, ma quelli di lei no. Non c’è motivo di piangere, pensa, perché quello non è un addio: è solo un maledetto incidente di percorso, un inconveniente che supererà e si lascerà alle spalle come ha fatto con tanti altri inconvenienti che ha incontrato lungo la sua vita. In fin dei conti, un matrimonio combinato non può essere peggiore del fatto di venire abbandonata in mezzo ai rifiuti un solo giorno dopo essere venuta al mondo, no? Se è sopravvissuta a quelle prime ventiquattro ore a Yuba, sopravviverà anche a quell’anno a Huim. Senza contare che, se ne avrà l’opportunità, intende accorciare sensibilmente il proprio soggiorno in quel villaggio: ha già un piano; deve solo trovare il modo migliore per metterlo in atto.

Seth posa una mano sulla maniglia della porta e con l’altro braccio la stringe un’ultima volta. “Troveremo un modo per parlarci” le dice affondando il viso tra i suoi capelli. “Tra un anno ce ne andremo da questo posto. Nel frattempo, però, troveremo un modo per stare insieme, che a loro piaccia o no.”

Certo” annuisce decisa la ragazza. All’improvviso ha una gran voglia di uscire fuori e di andare avanti con quella maledetta cerimonia. Prima inizia e prima finisce, pensa. La cosa è inevitabile, quindi è meglio affrontarla in fretta: sarà come strappare un cerotto. Una volta fatto, avrà tutto il tempo per leccarsi le ferite e meditare vendetta.

Allora andiamo?” le chiede Seth, con la voce tremula di chi vorrebbe fare di tutto, fuorché aprire quella porta.

Andiamo” conferma lei. “Non ha senso aspettare oltre.”

Il giovane spalanca la porta e, malgrado sia determinata ad affrontare ciò che l’attende a testa alta, Annabel vacilla nel vedere la gente radunata davanti al tempio. Non che si siano aggiunte altre persone rispetto a prima, ma ora gli spettatori le sembrano malevoli e minacciosi.

Mentre scende i pochi gradini che separano la cappella dal terreno sul quale sorge, passa accanto a Kabir e Kalika. Le basta voltare di un poco il capo per incrociare gli occhi neri dell’uomo, che la studiano con una strana espressione che non sa interpretare. Annabel leva fieramente il capo e sostiene il suo sguardo, sentendo la necessità di comunicargli un messaggio. Non ho paura, pensa, e spera che Kabir colga il suo pensiero. Forse pensano di avermi convinta a fare quello che vogliono loro, ma si sbagliano di grosso.

Kabir annuisce in modo quasi millimetrico e un angolo delle sue labbra si solleva in maniera pressoché impercettibile. Ha capito, pensa Annabel, e pare approvare. Anche se non si sa spiegare il perché, il fatto di avere il sostegno del giovane la rinfranca. 

Mastro Leron si fa avanti. Sul viso ha stampato un sorriso gioviale e nulla in lui lascia intendere che ciò che è accaduto abbia rovinato il suo buonumore. “Ottimo” dice, rivolgendo un sorriso a Seth e ad Annabel. “A questo punto, direi che possiamo procedere. Iniziamo con voi due, se non vi dispiace.”

Così dicendo, l’uomo rivolge un cenno a Kalika e a Kabir, che annuiscono e si dirigono verso il tempio. Quasi tutte le Sapienti si incamminano alle loro spalle; e lo stesso fanno gli uomini che hanno accompagnato il capo villaggio, Elsa e il Maggiore Nelson. Rimangono solo il bambino, due donne di cui Annabel non conosce il nome e Mada, che riprende il suo posto tra lei e Seth. E, naturalmente, Janus e Liri, che se ne stanno immobili a ridosso del muro del tempio: lo sguardo della donna è alto e perso nel vuoto, quello dell’uomo è fisso sulla punta dei suoi piedi. 

Mentre le sfila accanto, Romed si ferma per un istante accanto ad Annabel e lei viene assalita dalla voglia di sputargli addosso. Si trattiene a stento, quando già la saliva le si è raccolta dietro le labbra. Figlio di puttana, pensa stringendo i pugni. Adesso il discorso che le ha fatto il giorno prima assume un senso tutto nuovo e la giovane sente di odiarlo. Non ha mai odiato nessuno, non veramente, ma non ha dubbi su cosa sia il sentimento che le brucia dietro lo sterno.

Il suo volto deve tradire i suoi pensieri, perché l’uomo scrolla il capo e la fissa con un’occhiata di disappunto. “Ieri, quando abbiamo parlato, mi sei sembrata una ragazza intelligente” le dice in tono basso, parlando con una strana cadenza lenta. “Adesso è il momento di dimostrarlo, Annabel.”

La giovane si sente avvampare. Vorrebbe urlare, vorrebbe colpirlo, ma le parole le si bloccano in gola e, in realtà, non ha davvero il coraggio di aggredire fisicamente un uomo adulto. Romed la percorre da capo a piedi con i suoi occhi neri e poi sparisce anche lui dietro la porta del tempio, chiudendosela alle spalle.

Il silenzio nel piazzale è quasi totale e ad Annabel sembra di udire soltanto il sibilo del proprio respiro. Per qualche secondo non vede altro che il terreno sotto ai suoi piedi, poi i suoi occhi si alzano quasi senza il suo consenso e si posano sul bambino che ancora stringe tra le mani la gonna della vecchia che gli sta accanto. 

È oggettivamente un bel bambino, lo deve ammettere. Il visino pallido è contratto in un’espressione preoccupata e la giovane si domanda se si renda conto di cosa sta accadendo. Chissà se chiamerà Seth ‘papà’, si chiede, e il solo pensiero le fa venir voglia di vomitare. Non ha nessun diritto di farlo! Pensa, forse in maniera un po’ irrazionale, provando l’impulso di attraversare la piazza e spingere via quel ragazzino dai capelli neri. Vorrebbe allontanarlo, farlo sparire dalla sua vista, perché nel profondo del suo animo avverte che potrebbe essere lui il suo vero pericolo. C’è infatti un’altra domanda a cui non osa dar voce, ma che sta comunque piantando radici nei recessi della sua mente: chissà se Seth lo chiamerà figlio. 

Annabel non vuole pensarci - soprattutto non vuole pensare a come le cose sarebbero state diverse, se l’idea di avere un bambino non le fosse sembrata tanto sgradevole, quando ancora erano a Yuba - e allora segue lo sguardo di Haken fino ad arrivare inevitabilmente a Liri.

Dovrebbe odiarla così come odia Romed, eppure nei suoi confronti non prova altro che una bizzarra curiosità bellicosa. Forse è colpa di quel suo sguardo altero, caparbiamente perso nel vuoto, o dei suoi lineamenti così perfettamente privi di espressione. Quella donna è una fortezza di ghiaccio e Annabel prova una minuscola punta di ammirazione nei suoi confronti. Ha sempre desiderato raggiungere quel livello di indifferenza nei confronti del mondo, ma i suoi scatti d’ira e il suo carattere facilmente infiammabile non gliel’hanno mai permesso.

La donna deve sentirsi osservata, perché i suoi occhi incontrano brevemente quelli di Annabel. La ragazza sa che non è educato fissare la gente, ma si sente all’improvviso coinvolta in una sfida a cui non ha deciso di partecipare. Sostiene lo sguardo di Liri e ne imita la postura, cercando di ostentare la sua stessa fredda indifferenza. Non si illude di riuscirci: il battito accelerato che avverte alla base del collo e la tensione che le fa tremare lo stomaco le fanno capire che è ben lontana dal raggiungere la compostezza dell’altra giovane.

Non è poi così importante, però: anche se non la odia, avverte comunque la necessità  di sfidarla, di attirare la sua attenzione e di farle capire che Seth è suo e che ha ogni intenzione di lottare per lui. 

Non sentirti troppo tranquilla, bella mia, pensa, piegando le labbra in una smorfia.

Le sopracciglia di Liri si aggrottano per una frazione di secondo e Annabel pensa di essere riuscita a farsi notare, ma l’istante successivo la donna è già scivolata nell’indifferenza che ha ostentato fino a un attimo prima. La ragazza contrae la mascella, contrariata. Si crede forse superiore a lei? La giovane non riesce a spiegarselo: è possibile che quella donna sia felice di sposare un uomo che non ha mai visto prima di allora? Non può aver scelto liberamente di metterselo in casa, soprattutto perché ha anche un bambino a cui pensare. 

Annabel espira lentamente dal naso e poi, senza che riesca a evitarlo, i suoi occhi scivolano verso Janus. L’uomo sembra non essersi mosso di un centimetro anche se, ora che lo guarda meglio, vede che dei guizzi nervosi percorrono di tanto in tanto il suo volto. Patetico, pensa la giovane, sentendosi sopraffare dal disgusto. Nella sua volontà di evitare ogni forma di contatto non c’è nulla della gelida eleganza di Liri: Janus sembra quasi spaventato, il suo capo reclinato parla di timore e di desiderio di evitare i conflitti, non di un percepito senso di superiorità. La ragazza sente di disprezzarlo.

Il tempo scorre lento, quasi vischioso nell’immobilità dell’attesa, ma alla fine la porta del tempio si apre rivelando Kalika e Kabir, che si stagliano sulla soglia tenendosi per mano. Nulla è cambiato nel loro aspetto, fatta eccezione per dei lampi di colore dipinti sulle loro mani. Annabel non ha modo di esaminarli con più attenzione, perchè una delle Sapienti di cui non conosce il nome si frappone tra la coppia e la gente che attende nel piazzale. La vecchia si incammina verso la strada che Annabel ha percorso per arrivare lì e i due giovani la seguono senza una parola. La ragazza si sarebbe quasi aspettata di incontrare gli occhi di Kabir, ma l’uomo tiene lo sguardo basso, concentrato sul terreno. Non che questo impedisca ad Annabel di notare la tensione delle sue spalle.

Ferma all’entrata del tempio, Nisha si schiarisce la voce. “Seth e Liri: ora tocca a voi” dice, prima di aggiungere: “Liri, porta anche il bambino: è giusto che assista.”

A un cenno della donna che gli sta accanto, Haken trotterella verso la madre e Annabel si sente sopraffare da un’ondata di nausea. È tutto vero, pensa. Sta succedendo veramente. Qualcosa nel suo petto si contorce e la giovane prova l’impulso di scagliarsi in avanti e di avvinghiarsi a Seth, impedendogli di varcare la soglia della cappella.

Ma no, si impone, stringendo le mani in un pugno. Questo è il momento di tenere la testa bassa, di fingere una rassegnazione che in realtà non prova. Il momento di reagire verrà dopo. Lei e Seth ne hanno parlato come meglio potevano nel poco tempo che è stato loro concesso all’interno del tempio: hanno concordato che il modo migliore per uscire da quella situazione è dichiarare che i loro matrimoni non funzionano. 

La sua parte le è chiara: basterà far credere al Maggiore Nelson che Janus è una persona pericolosa. Annabel pensa che forse non ci sarà bisogno di mentire: non senza una certa preoccupazione, ricorda che l’uomo è un assassino e che, stupido o meno, potrebbe essere davvero uno squilibrato. Spera che non sia così, naturalmente, ma è pronta a tutto: è determinata a difendersi con ogni mezzo e a scoraggiare qualsiasi tipo di rapporto tra lei e lo sconosciuto con cui dovrà dividere una casa.

Seth si trova in una situazione un po’ più complicata: stando a quanto ha detto Nisha, Liri è una brava persona e le leggi di Huim non dovrebbero consentire il divorzio. Dopo averci riflettuto rapidamente, i due ragazzi sono giunti alla conclusione che dovrà essere Seth a farle desiderare di non avere nulla a che fare con lui. Come? Annabel non ha una risposta, ma solo un suggerimento: il ragazzo potrebbe trattare male Haken, portando Liri ad allontanarsi da lui per proteggere il figlio. Annabel non è un’esperta di relazioni madre-figlio, ma è abbastanza certa che l’istinto materno della donna possa giocare a loro favore.

Senza dire una parola, quasi senza nemmeno respirare, la ragazza guarda il suo fidanzato - il suo ex-fidanzato, ora - procedere verso la cappella, accompagnato da Liri, che continua a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, e da Haken, che invece alza i grandi occhi chiari sul giovane, un’espressione di sgomento sul visetto pallido.

Quando la porta si chiude alle loro spalle, Annabel permette all’aria di defluirle dai polmoni in un sibilo lento. Ancora una volta, l’attesa le pare interminabile. Mentre aspetta che venga il suo turno, cerca di estraniarsi dal mondo. È più facile, così. Non studia più Janus e ignora l’ingombrante presenza di Mada che, ora che non c’è più Seth, le si è avvicinata, forse con l’intento di infonderle un po’ di coraggio. Non sa cosa farsene, della sua vicinanza: non ha paura, è solo arrabbiata.

I minuti scivolano via e si moltiplicano. Dieci, quindici, venti: Annabel non sa quantificarli, ma il tempo ha ormai perso importanza. L’esito non può essere che uno ed è irrilevante che l’attesa duri un minuto o un’ora.

La porta si apre, segnalando che la cerimonia si è conclusa. La ragazza sente un rumore di passi, ma non alza il capo per osservare ciò che sta accadendo. Forse è un errore di cui si pentirà, ma non desidera incontrare lo sguardo di Seth e vedere che il giovane è ormai legato a un’altra persona: anche se è consapevole che si tratta di qualcosa di temporaneo, Annabel sa che quella vista la distrarrebbe, proprio ora che invece ha bisogno di concentrarsi su se stessa.

Seth lo rivedrò a breve, si ripromette. Adesso vediamo di affrontare questa buffonata.

Annabel e Janus: è il vostro turno.”

La voce di Nisha non la sorprende e la ragazza alza per un attimo lo sguardo su di lei, sperando che la smorfia che le piega le labbra esprima appieno il disgusto che prova in quel momento.

Con la coda dell’occhio vede che Mada sta protendendo una mano verso di lei. Senza conoscere l’intento di quel gesto, Annabel scrolla bruscamente le spalle per sottrarsi al suo tocco e poi marcia verso Nisha e le scale del tempio. Non si prende il disturbo di guardarsi attorno: sarà obbediente, ma non compiacente.

Anche se avverte i suoi occhi su di sé, la ragazza torna a ignorare la vecchietta, tenendo invece lo sguardo fisso sulla porta chiusa. Quello che non può ignorare, però, è la presenza di Janus che improvvisamente si materializza al suo fianco: l’uomo è una massa scura e silenziosa, alto - Annabel ricorda improvvisamente le gambe lunghe di Romed - e con un corpo solido.

La sua vicinanza la opprime, simile a un mantello troppo pesante che preme sui suoi sensi e sulla sua consapevolezza. La giovane socchiude per un istante gli occhi nel tentativo di ritrovare il proprio equilibrio e il giusto livello di indifferenza.

Andiamo” borbotta Nisha, facendo loro strada verso l’interno del tempio. La donna li scorta sino alle due sedie poste davanti all’altare, un semplice pannello di legno dipinto di bianco sul quale spicca un sole dorato. I raggi dell’astro si allungano fino a lambire i bordi della tavola e la vernice è stata lasciata colare lungo lo spessore laterale fino a creare delle piccole pozze auree sul pavimento di pietra della cappella. È un simbolismo piuttosto semplice e Annabel si chiede per l’ennesima volta come abbia fatto a finire in un posto così primitivo: forse sarebbe davvero stato meglio andare a lavorare su QZ-3.

Gli spettatori si dispongono in semicerchio alle loro spalle e Annabel sente qualcuno mormorare più volte il nome del suo futuro marito. È una voce femminile e la giovane cerca di tendere le orecchie per cogliere il senso del discorso, ma la donna parla in un tono troppo sommesso perché lei possa distinguere le parole.

Prima che possa decidere di voltarsi per vedere almeno quale delle Sapienti stesse parlando, Mastro Leron si fa avanti e si pone di fronte all’altare, posando su lei e Janus uno sguardo al contempo solenne e compiaciuto. “Ed eccoci al terzo matrimonio della giornata” sospira come se la cosa lo rendesse infinitamente felice. “Il più importante, consentitemi di dirlo: oggi è il giorno del vostro riscatto.”

Annabel non riesce a evitare uno sbuffo sarcastico e anche Janus, ancora in piedi al suo fianco, si lascia sfuggire un’esalazione quasi impercettibile. Guarda un po’, pensa la giovane, con una punta di irritazione. Pare che anche lui abbia qualcosa da ridire su questa faccenda. Come se avesse il diritto di protestare, visto quello che ha combinato!

Il capo villaggio ignora l’evidente scetticismo dei due giovani e fa loro cenno di sedere. Annabel si lascia cadere pesantemente sulla sedia, ripiegando compostamente sotto sé le gambe e facendo sparire i piedi sotto l’orlo dell’abito azzurro che le hanno fatto indossare. 

Mastro Leron si avvicina e afferra loro una mano. Quando le dita della sua mano destra sfiorano il palmo caldo e ruvido del vecchio, Annabel è scossa da uno strano tremore. Non le piace che la gente le tocchi le mani: le sembra una cosa troppo intima, un gesto che sa quasi di fiducia e controllo.

Le sue dita hanno un piccolo spasmo involontario, ma l’uomo non vi bada e stringe un poco la presa. “Sarò breve” dice, il che, per quanto riguarda Annabel, è un’ottima cosa: malgrado stia cercando di estraniarsi quanto più possibile da quello che sta succedendo, l’atmosfera all’interno della piccola cappella le sembra farsi sempre più opprimente ogni istante che passa.

Normalmente”, riprende il vecchio, “il rito del matrimonio si basa su una benedizione. Nel vostro caso, però, dovrete prima dimostrare di meritarvela. Oggi ci limiteremo quindi all’aspetto legale della vostra unione: poi, se tra un anno le cose tra di voi andranno bene e avrete dato prova di essere bravi cittadini, completeremo la cerimonia e voi potrete ricevere la benedizione del Dio Sole.”

Il Dio Sole, pensa la ragazza con un fremito di disgusto. Può mai esserci qualcosa di più banale? Se le bestie fossero in grado di formulare un pensiero appena un po’ complesso, anche loro adorerebbero un Dio Sole: questa gente non è migliore degli animali.

All’oscuro dei pensieri che stanno passando per la testa di Annabel, Mastro Leron si avvicina ancora di un passo, fino a quando le punte dei suoi piedi, calzati in delle babbucce rosse, sfiorano quelle dei due giovani. Con un cenno del capo, l’uomo invita qualcuno ad avvicinarsi: un attimo più tardi, Shiera lo raggiunge con uno scalpiccio. Ha un’espressione solenne disegnata sul volto scarno e tra le mani regge un vassoio sul quale sono posate alcune ciotoline di bronzo.

Mastro Leron le sorride e poi unisce le mani dei due giovani, palmo contro palmo. La nuova posizione costringe la giovane a voltarsi leggermente verso il suo futuro sposo, ma lei si rifiuta di guardarlo in faccia. “Dita intrecciate, per favore” dice loro il capo villaggio.

Janus obbedisce e le sue dita scivolano tra quelle della ragazza. Ha le mani grandi, decisamente più massicce di quelle di lei, con dita spesse, con i polpastrelli più ruvidi anche di quelli di Annabel, che ha passato anni a stringere viti senza l’ausilio di guanti protettivi. La pelle del suo palmo è calda e asciutta, ma la sua presa è debole, quasi non avesse la forza o il coraggio di afferrarla più saldamente.

La ragazza potrebbe ritrarre la mano, se lo volesse, e per un istante è anche tentata di farlo. È un impulso istintivo e reprimerlo le costa fatica. Però lo fa perché, per ora, dimostrare di essere collaborativa è essenziale. Le sue dita rimangono però inerti, appena curvate in una piega naturale. Non intende toccare quell’uomo, se può evitarlo.

La verità, tuttavia, è che, almeno per il momento, non può evitarlo: senza una parola, Mastro Leron le serra delicatamente le dita attorno alla mano di Janus e poi le sorrise. Annabel irrigidisce la mascella e non dice niente. Sa di avere le dita fredde e sudaticce e la cosa la rallegra: il suo tocco dev’essere piuttosto sgradevole.

Benissimo” annuisce il capo villaggio, apparentemente soddisfatto di come stanno andando le cose. “Ora dovete impegnarvi a essere buoni sposi e membri produttivi di questa società.”

Janus”, continua, rivolgendosi all’uomo che siede accanto ad Annabel, “prometti di fare quanto in tuo potere per essere un buon marito?”

Con la coda dell’occhio, la ragazza lo vede annuire. “Lo prometto” mormora. Ha una voce bassa e un po’ roca e la giovane deve tendere le orecchie per sentirlo. 

E prometti”, prosegue Mastro Leron, “di impegnarti per rendere più prospero e sicuro il nostro villaggio? Porterai il pesce alle famiglie in difficoltà, aiuterai a riparare le case che hanno bisogno di essere riparate, lavorerai nei campi, se ti verrà richiesto?”

Prima di rispondere, questa volta l’uomo esita un attimo. “Lo prometto” ripete poi.

E Annabel”, fa il capo villaggio, rivolgendosi ora alla giovane, “prometti di fare quanto in tuo potere per essere una buona moglie?”

La ragazza stringe la mano sinistra in un pugno. “Lo prometto” proclama con voce squillante. Nella sicurezza della sua mano serrata, la punta di mignolo e anulare si incrociano: un piccolo gesto scaramantico che le dà sicurezza. Prometto di fare quanto in mio potere per essere una pessima moglie, si ripromette mentalmente.

E prometti di impegnarti per rendere più prospero e sicuro il nostro villaggio? Cucinerai per chi non può permetterselo, filerai e tesserai per chi ha bisogno di abiti, lavorerai nei campi, se ti verrà richiesto?”

Annabel storce le labbra e incontra lo sguardo del vecchio. “Non so tessere né lavorare nei campi; e la mia cucina è pessima” ammette, decidendo che la sua onestà sarà apprezzata. “Ma farò del mio meglio per imparare.”

E noi ce lo faremo andare bene” la rassicura Mastro Leron. “Le vostre promesse sono vincolanti” prosegue, afferrando tra due dita una delle ciotole che Shiera porta sul vassoio. “Come vi ho anticipato, oggi non pronuncerò alcuna benedizione, ma sulle vostre mani traccerò comunque i segni che ricorderanno a voi stessi e agli altri le vostre promesse.”

Così dicendo, l’uomo intinge l’indice destro nella ciotola e quando lo ritrae Annabel vede che il suo polpastrello è ricoperto da uno strato di pittura marrone. “Il marrone è per la terra che ci nutre e sostiene” dice, e la ragazza ha l’impressione che la spiegazione sia tutta a suo beneficio: Janus probabilmente conosce già il simbolismo di quel colore e di quel gesto. Il vecchio traccia una sorta di arco che parte dal polso della giovane - sotto l’attaccatura del pollice - e termina su quello di Janus, disegnando due mezzelune sui dorsi delle loro mani.

Mastro Leron intinge poi il medio in un’altra ciotolina, emergendone con il dito coperto di pigmento blu. “Il blu è per l’acqua che ci dà il pesce, che ci disseta e che irriga i nostri campi” spiega l’uomo, tracciando un tratto ondulato sui polsi uniti dei due giovani, a mo’ di bracciale.

Il verde”, prosegue il capo villaggio, intingendo l’anulare in una ciotola che contiene quel colore, “è per le piante che crescono sulla nostra terra, che sfamano noi e i nostri animali, che ci danno frescura e legna con cui costruire le nostre barche e le nostre case.” Partendo dal punto in cui le loro mani sono congiunte, sotto l’attaccatura dei mignoli, Mastro Leron traccia una spirale che copre le loro dita e arriva a sfiorare i loro polsi, sovrapponendosi ai simboli che ha tracciato poco prima e sfumandone un poco i colori ancora freschi.

Il mignolo dell’uomo si tuffa nella quarta ciotola, quella che contiene un pigmento rosso. “Il rosso è per il fuoco che ci scalda d’inverno e che ci permette di cucinare i nostri pasti” illustra, lasciando tracce di quel colore sulle loro nocche e sull’intera estensione dei loro mignoli.

Una volta completata la sua opera, l’uomo fa cenno a Shiera di allontanarsi. Annabel nota che sul vassoio c’è una quinta ciotola che non è stata toccata. Notando forse la direzione del suo sguardo, Mastro Leron scrolla appena il capo. “Oggi non dipingerò d’oro le vostre mani” spiega. “Se ve lo meriterete, tra un anno compiremo di nuovo questa cerimonia e allora potrete portare sulla vostra pelle anche il segno del sole.”

Ne faccio volentieri a meno, pensa la ragazza, osservando il miscuglio di colori e di simboli che il capo villaggio ha disegnato sulla sua mano. La sensazione della vernice - o quello che è - che si asciuga sulla sua pelle è aliena, sgradevole e appiccicosa: esattamente come il matrimonio a cui l’hanno costretta.

   
 
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