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Autore: Mariam Kasinaga    04/01/2021    6 recensioni
Il suo amico Franz era morto; eppure era davanti a lui.
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Genere: Angst, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RIMORSO

 

Non sapeva da quanto stava correndo, sotto la pioggia battente. La divisa militare sporca di sangue era completamente fradicia ed il freddo pungente gli penetrava fin dentro le ossa.

  Aveva gettato via il fucile non appena aveva abbandonato il campo di battaglia, non avrebbe saputo dire se erano passati pochi minuti o qualche ora. Conosceva quei luoghi: ci era cresciuto da bambino, quando si divertiva a correre nei campi di grano insieme a Franz, senza alcuna preoccupazione.

  Correva velocemente lungo il sentiero che costeggiava la scogliera, tentando di ignorare il vento che gli sferzava il viso. Continuava ad avanzare, un piede davanti all’altro, maledicendo la pioggia che gli scorreva lungo il volto, rendendogli annebbiata la visuale.

  Fanghiglia, una pietra scivolosa, il soldato cadde rovinosamente a terra. Si rannicchiò al suolo, mentre le gocce di pioggia si mescolavano alle sue lacrime.

 

Franz era morto.

  Franz, il suo amico di una vita, era morto davanti ai suoi occhi. Se ne era andato in un soffio, colpito al petto da una pallottola nemica; si era accasciato al suolo senza nemmeno un suono, mentre attorno a loro la battaglia continuava imperterrita il suo corso.

  Franz non c’era più: non lo avrebbe più visto nei campi attorno alla fattoria, intento a mietere il grano;  non lo avrebbe più sentito cantare alla locanda, agitando in aria un boccale di birra scura; non avrebbero più passato il tempo a guardare le ragazze, durante le vivaci feste del villaggio.

Il suo migliore amico era morto, ed era solo colpa sua.

 

Il soldato si alzò lentamente, cercando di togliersi il fango dal volto e riprese a correre.

  La sua meta era una piccola, vecchia chiesa di campagna, costruita molto tempo prima a ridosso della scogliera. Il luogo era sconsacrato da qualche anno, ma veniva usato dai pastori come ricovero durante la transumanza delle pecore.

Non appena la raggiunse, entrò dentro, richiudendo il pesante portone alle sue spalle.

   All’interno la chiesa era spoglia, ad eccezione della grande croce di legno posta dietro all’altare. Con il bagliore dei lampi, le vetrate riflettevano una strana luce sul pavimento, quasi spettrale. L’unico rumore a rompere il silenzio era la pioggia che si infrangeva sul tetto dell’edificio.

  Stanco ed infreddolito, il ragazzo si trascinò fino ad un pagliericcio, cercando di riscaldarsi. Voleva piangere, ma le lacrime non uscivano più; voleva urlare, ma gli sembrava quasi di aver perso la voce. Continuava a fissare il soffitto della chiesa, mentre le statue dei santi parevano fissarlo, in un silenzioso giudizio.

 

“Bagnato fradicio e nemmeno una coperta per riscaldarti”

 

Il soldato si alzò di scatto, guardandosi attorno: la voce che aveva appena sentito aveva qualcosa di familiare, ma nella piccola chiesa era solo.

  Il ragazzo si alzò aguzzando la vista dato che l’unica fonte di luce erano i lampi che squarciavano l’oscurità. Eppure, nonostante fosse sicuro di aver sentito qualcuno parlare con lui era solo.

  Era dannatamente, maledettamente solo. Ed era tutta colpa sua.

 

“Coraggio Gerwin! Non dirmi che ti sei già dimenticato di me?”

 

Il ragazzo rimase immobile, cercando di scacciare quella voce dalla testa.

  Non era reale, non era possibile. Era solo una suggestione, uno stupido scherzo della mente.

Scosse con la forza la testa, come per allontanare da sé quella fastidiosa presenza; si rannicchiò su un lato, stringendo le gambe al petto, tentando di riscaldarsi.

  Aveva freddo, molto freddo. Si sentiva bagnato fin dentro il midollo e i denti gli battevano senza che potesse controllarli. Avrebbe voluto poter chiudere gli occhi e riposare, ma sapeva che se lo avesse fatto, l’immagine del corpo senza vita dell’amico lo avrebbe tormentato.

 

  Rimase in posa fetale per qualche minuto, fino a quando non si accorse che, oltre al rumore della pioggia, un altro suono giungeva quasi impercettibile al suo orecchio: era fiebile, lontano, come se qualcosa stesse grattando le pareti di roccia della chiesa.

  Gerwin si alzò faticosamente in piedi: “Maledetti topi” mormorò, facendo qualche passo verso l’altare. Era molto tempo che non tornava in quella chiesa: l’ultima volta, quattro o cinque anni prima, avevano celebrato il matrimonio di Hilda.

  Le labbra del ragazzo si incresparono in un sorriso: lui e Franz avevano fatto una scommessa su chi avrebbe conquistato il cuore della ragazza, ma alla fine lei aveva deciso di sposare il figlio del mugnaio.

  Era come se quei ricordi non gli appartenessero più. Hilda, i matrimoni, gli incontri clandestini nel fienile… era come se tutto ciò fosse stato vissuto da un altro. Era venuta la guerra ed aveva ingoiato tutto, lasciando solo un guscio vuoto.

  Il soldato appoggiò i palmi contro il freddo marmo dell’altare, ascoltando il rombare dei tuoni. Fuori imperversava il temporale: avrebbe reso le trincee fangose e le impugnature dei fucili scivolose. Sarebbe stato l’ennesimo nemico contro cui i soldati avrebbero dovuto lottare, nella disperata impresa di sopravvivere un altro giorno.

 

“Credi che riusciranno a recuperare il mio cadavere?”

 

Gerwin alzò la testa di scatto e urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, fino a quando non  sentì la gola bruciare. Rimase con la bocca spalancata anche se non emetteva più alcun suono.

Franz era morto.

Il suo migliore amico era dietro l’altare, con un foro di proiettile all’altezza del cuore.

 

“Non puoi essere qui. Tu sei…”balbettò Gerwin.

Morto? Oh sì, penso sia quello che accade quando un proiettile ti colpisce in pieno petto” replicò l’altro, scrollando le spalle..

  Gerwin indietreggiò di qualche passo: “Tu sei morto”ripetè, cercando freneticamente di estrarre la pistola dalla fondina.

  La risata di Franz rimbombò tra le colonne della chiesa: “Sempre molto intelligente, Gerwin, davvero. Forse dirlo anche una terza volta ti aiuterà. Mettila via, non posso morire una seconda volta” aggiunse, indicando con un cenno del capo la pistola.

  Gerwin fece un respiro profondo, senza abbassare l’arma: “Cosa vuoi?” domandò con voce tremante, indietreggiando ancora.

  Sul volto dell’amico comparve un’espressione indecifrabile: “Perchè?” domandò con un filo di voce, guardandolo dritto negli occhi.

  Quando era in vita, gli occhi di Franz erano un caleidoscopio di emozioni; ora sembravano distanti, freddi, come se fosse stato svuotato di ogni emozione.

  Gerwin sentì una lacrima rovente scorrergli lungo la guancia. Si vergognava di quello che aveva fatto. Aveva corso dal capo di battaglia alla chiesa con il peso del senso di colpa: quello che era successo era colpa sua, era solo colpa sua.

  

Franz era sempre stato il migliore dei due: il più coraggioso, il più altruista, il più affascinante, il più forte. Era l’amico su cui sapeva di poter sempre contare.

  Sarebbe stato perso in guerra senza di lui: Franz sapeva come rincuorarlo, riusciva a strappargli un sorriso nei momenti più cupi e spronarlo quando dovevano attaccare.

L’unica volta che era stato Franz ad avere bisogno di lui, l’aveva deluso. L’aveva tradito, gli aveva girato le spalle ed era scappato, come un codardo.

  Gerwin sentiva le lacrime scorrere lungo le guance, senza poter far nulla per fermarle: piangeva perché il suo amico era morto, e lui non aveva fatto nulla per evitarlo; piangeva perché avrebbe dovuto essere lui a morire sul capo di battaglia, quel giorno; piangeva perché avrebbe dovuto vivere ogni giorno con il peso della sua colpa.

“Mi dispiace, io… mi dispiace” disse, con la voce rotta dai singhiozzi.

  Una folata di vento, ed il fantasma dell’amico era a pochi centimetri da lui, talmente vicino che poteva sentire il gelo della morte che emanava.

  “Ti dispiace? Dopo tutto quello che ho fatto per te?” la voce di Franz era innaturalmente stridula ed ogni parola gli affondava nel cuore come un coltello di ghiaccio.

  Gerwin lasciò cadere l’arma a terra e si prese il volto tra le mani: “Non posso fare più nulla! Dimmi cosa dovrei fare?” urlò, per sovrastare il rumore dei tuoni e della pioggia che scrosciava.

 

“Corri Gerwin. Corri come hai sempre fatto”

 

Il ragazzo corse per tutta la navata, senza mai voltarsi indietro. Spalancò il portone e ripercorse il sentiero lungo la scogliera.

  Doveva andarsene da quel luogo, dal campo di battaglia, dal suo villaggio: doveva raggiungere un posto dove nessuno lo avrebbe riconosciuto, dove avrebbe potuto ricostruirsi una vita.

  

Fanghiglia, una pietra scivolosa, e l’acqua del mare lo abbracciò.

 

Mi dispiace

   
 
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