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Autore: Merkelig    05/01/2021    2 recensioni
Storia partecipante al contest “Manuale di sopravvivenza Vol.1” indetto da Spettro94 sul forum EFP.
La brama consuma gli uomini. Ma quale desiderio arde nel cuore nero di Serafina, la regina oscura?
La sete di conquista?
L'ambizione di portare finalmente a compimento l'opera paterna?
O la cupidigia per Astelera, la bellissima regina elfica?
Dal testo:"Fu così che la sovrana seppe che i tempi erano ormai maturi; ben presto avrebbe appagato il desiderio suo e di suo padre, la brama che la consumava da quando era fanciulla, per un regno incantato che non era ancora nelle sue mani."
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Regina delle tenebre
 
Serafina, la bellissima regina oscura, sedeva sola e al buio nelle sue stanze. Meditava, con lo sguardo fisso all'orizzonte dove stava spuntando un'alba grigia e malinconica.
Il piccolo pettirosso, cui aveva aperto il ventre di sua mano, giaceva immobile sul ripiano del tavolo di lucida ossidiana nera; Serafina aveva squarciato il soffice piumaggio con gli artigli d'argento, che portava alle dita come gioiello e insieme strumento di morte, e ne aveva infilzato il minuscolo cuore mentre ancora batteva disperato. L'antica arte della divinazione di tanto in tanto richiedeva qualche piccolo sacrificio.
Fu così che la sovrana seppe che i tempi erano ormai maturi; ben presto avrebbe appagato il desiderio suo e di suo padre, la brama che la consumava da quando era fanciulla, per un regno incantato che non era ancora nelle sue mani.
La donna si alzò e prese a camminare avanti e indietro, impaziente; le nere vesti frusciavano contro le pallide gambe nude seguendone i movimenti, in un ipnotico contrasto cromatico. Un lieve fetore di morte si levò dal piccolo cadavere, un odore a cui Serafina era fin troppo abituata per prestarvi attenzione.
Finalmente udì dei passi lungo il corridoio e Darda, il capitano delle sue guardie, bussò educatamente alla pesante porta di legno massiccio.
- Entra - ordinò freddamente la regina.
L'uomo obbedì, si inchinò brevemente e si pronunciò.
- Maestà, lo abbiamo preso.
Una scintilla accese gli occhi d'onice della regina.
- Non toccatelo. Arrivo immediatamente.
Darda si inchinò di nuovo e uscì, chiudendosi le porte alle spalle.
Con un sorriso ferino la donna si diresse al proprio guardaroba e si vestì rapidamente.
L'impresa era ben lontana dall'essere compiuta e tuttavia già si sentiva molto più vicina al successo di quanto fosse mai stata prima.
 
Le segrete erano state costruite sotto il palazzo, nelle grandi grotte naturali che secoli prima avevano ospitato gli orchi in fuga dalle persecuzioni.
Ora le pareti spoglie e umide servivano principalmente per trattenere i nemici della regina così stolti da cadere nelle sue grinfie; il freddo pungente e il totale isolamento ben presto riducevano anche i soldati più temprati a docili agnellini.
Serafina incedeva rapida per i ripidi gradini; al suo passaggio non c'era testa che non si inchinasse spinta da quella combinazione di paura e istinto di sopravvivenza che la regina apprezzava tanto.
Raggiunse Darda, che da solo sorvegliava la porta chiusa di una cella da cui filtrava un tenue bagliore. Per un preciso ordine reale nessun altro doveva avvicinarvisi, pena la condanna a morte. Serafina lasciò indietro la scorta e fece un cenno a Darda perché si allontanasse anch'egli, prima di entrare.
Al centro dell'angusto spazio gocciolante, seduto sul terreno roccioso, stava un giovane elfo che le lanciò uno sguardo sofferente.
Nonostante i lunghi capelli che ricadevano scompigliati e la ferita alla tempia che gocciolava sangue dorato sulla veste candida, ora strappata e sporca, il giovane conservava una bellezza innaturale; i grandi occhi grigi la guardavano da sotto in su, supplici, mentre il suo viso dai tratti fini e perfetti sembrava rilucere di un chiarore che veniva da dentro di lui.
Cercava di divincolarsi dalle funi con cui gli uomini di Serafina lo avevano immobilizzato; le gambe, in special modo, erano state legate più e più volte e assicurate ad un pesante blocco di piombo.
La regina si chinò su di lui. L'atmosfera nella cella diventava sempre più inebriante ma la donna pareva non risentirne affatto.
- Allora - gli disse con voce melliflua - come ti chiami?
L'elfo esitò nel risponderle, frugando i suoi occhi alla ricerca di un inganno o di tracce di compassione. Non trovò né l'uno né le altre.
- Mi chiamo Alkaid - mormorò poi - Vostra Maestà.
- Alkaid - ripeté la donna, lasciandosi scivolare il suo nome sulle labbra - Molto bene. Sai perché sei qui?
L'altro fece un cenno di negazione.
- Tu hai qualcosa che voglio. Tu conosci bene la Città Sotterranea e i suoi ingressi.
L'elfo aveva iniziato a scuotere la testa fin dalla prima affermazione.
- Tu, come ogni elfo, padroneggi i suoi percorsi. Tu mi dirai ogni cosa.
- No maestà, ve lo giuro. Io... io non so nulla. Vi prego maestà...
Le sue parole successive vennero deformate da un grido di dolore. Serafina gli aveva piantato con forza le dita uncinate nella coscia.
- Dicono che per un elfo - gli sussurrò all'orecchio, sentendo che i polpastrelli si bagnavano di denso sangue dorato - non poter più correre sia peggio della morte.
Il giovane spalancò gli occhi, muto.
- Anche voi siete fatti di carne e ossa come gli umani. Basterebbe che decidessi di recidere qui - la mano libera scese a indicare un punto dietro il ginocchio - e il tuo stesso corpo diventerebbe la tua prigione. Mai più correre nei boschi, mai più saltare da una rupe all'altra. Un uccellino con le ali compromesse per sempre.
Terrorizzato Alkaid fissò Serafina negli occhi, che erano vuoti e gelidi come pietre.
Due grandi lacrime gli bagnarono le gote e scesero fino al mento appuntito.
"Perdonami, mia dea" pensò il giovane, chinando la testa sconfitto.
 
Poco dopo Serafina uscì dalla cella e si chiuse la porta alle spalle.
Subito un servitore accorse e le porse un telo immacolato perché potesse mondarsi le mani dal sangue dell'elfo.
- Darda - chiamò.
L'uomo fu al suo fianco in un baleno.
- Sigillate questa porta. Nessuno dovrà entrare mai più e lui non ne deve uscire per nessun motivo.
- Sì maestà.
- Un'altra cosa. Fai convocare Alastor e Baeron nella sala bellica tra mezz'ora.
- Agli ordini.
Il capitano sgusciò via, efficiente e svelto come di consueto.
La donna risalì i molti gradini che l'avrebbero riportata alla luce del sole con impazienza, uno stato d'animo così insolito per il suo temperamento e tuttavia così familiare per lei in quei giorni.
All'uscita l'aspettava una sorpresa sgradita.
- Le segrete si sono arricchite di un altro prigioniero? - le chiese il suo sposo, apparentemente impassibile.
- Non vedo come potrebbe interessarti, marito mio - gli rispose lei calcando apposta il tono di voce sulle ultime due parole.
- Mi interessa perché - sibilò l'uomo, frapponendosi tra lei e il suo cammino - almeno di nome sono ancora il sovrano di questo reame.
Serafina lo incenerì con lo sguardo. Non l'aveva toccata, aveva imparato ormai da molto tempo a non farlo, tuttavia non desisteva dal voler esprimere di tanto in tanto la propria opinione.
Cosa che la donna trovava irritante sopra ogni altra.
- Tu qui non sei il sovrano di niente, Gregory - gli disse, imbevendo ogni sillaba di sonoro disprezzo - o hai bisogno che te lo ricordi?
L'uomo strinse le labbra ma non aggiunse altro. Si fece da parte, e la regina proseguì per la sua strada.
 
Quella notte, come molte altre prima di quella, Serafina rimase sveglia ben oltre il tramonto. Le luci del villaggio fuori dalla finestra erano quasi tutte spente; il palazzo era totalmente immerso nel silenzio, ad eccezione dei radi passi della ronda notturna che si udivano in lontananza.
La donna ruotò leggermente il viso verso l'altra parte del letto.
Il profilo del marito si intravedeva a malapena, baciato com'era da un raggio lunare che scivolava obliquo fin dentro la stanza.
Mentre giocherellava con un anello di rubini, che aveva scordato di riporre nello scrigno prima di indossare la veste da notte, ripensò alla prima volta che aveva posato gli occhi sull'uomo che era destinato a diventare suo marito.
Gregory era sempre stato attraente, fin da ragazzo; i riccioli color miele d'acacia e gli occhi brillanti come zaffiri rendevano il giovane principe l'oggetto dei sospiri di numerose fanciulle. Quando si era sparsa la notizia che il re intendeva dare in sposo il figlio minore all'unica erede di Obscurus, il sovrano conquistatore che era giunto fino a quel remoto angolo di mondo, molti cuori erano andati in frantumi.
Non che l'alleanza basata su quelle nozze fosse servita a lungo; Obscurus si era affrettato a tradire il patto e a invadere il regno di Gregory. E per buona misura ne aveva fatto giustiziare il padre e il fratello maggiore, caso mai a uno dei due fosse venuto in mente di tentare di riconquistarlo.
Gregory si era ritrovato unico superstite della famiglia reale alla corte nemica, e da quel momento la sua vita era stata perennemente in bilico tra una sopravvivenza defilata e una sentenza di morte.
Eppure prima delle guerre e delle ambasciate c'era stato un tempo in cui Serafina e Gregory erano stati solo due ragazzi, entrambi ignari di quello che sarebbe stato il loro futuro, che si divertivano a tirare di scherma insieme nel cortile reale e a vedere chi l'avrebbe spuntata.
Di solito si trattava della fanciulla, che poi rivolgeva al promesso sposo un inchino sarcastico. Il ragazzo di rimando le sorrideva ammirato e la sfidava ad un altro combattimento, che molto spesso finiva per perdere. Malgrado ciò non si accigliava mai, non imprecava né si stizziva, anzi apprendeva, diventando via via sempre più bravo.
Sembravano trascorsi secoli dalla loro prima notte di nozze; dalle carezze inesperte, dall'ardore dei loro corpi giovani che si sfioravano, si sfregavano e accarezzavano, ora impacciati ora eccitati.
Quel momento di appena dieci anni fa ora non era altro che uno spettro pallido, che aleggiava nell'oscurità delle notti silenziose come quella.
Molte cose erano cambiate da allora. Loro stessi erano cambiati.
La sovrana espirò e si girò su un fianco, dando le spalle al consorte.
Dopo poco riuscì faticosamente ad assopirsi.
  
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