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Autore: Bibliotecaria    06/01/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: Tanti auguri di Buon Natale, Buon Anno e Buona Epifania a tutti voi!!!
Finalmente ci siamo liberati del 2020!

 
11. Farsi odiare per amore
 
Quando arrivò il momento di dare la mia risposta definitiva per il lavoretto, compii tutto il percorso dalla scuola alla base a passo cadenzato e a sguardo basso. Non ero per niente sicura di quel che avrei detto o fatto, per di più non ero ancora sicura di come non coinvolgere Giulio, Felicitis, Vanilla, Gahalad, Garred e Nohat. Sapevo che fare tutto da sola sarebbe stato rischioso, ma comunque il mio piano era quello di cavalcare uno malettissimo drago rischiando di inalare qualche gas tossico se superavo i quattromila metri, di morire assiderata durante il volo o finire divorata e o incenerita da quest’ultimo, quindi, in realtà, trovare uno stratagemma per poter restare sola con quel lucertolone troppo cresciuto sembrava relativamente semplice.
Mentre rimuginavo iniziai a scalciare un sassolino per strada e decisi che era meglio tenerli alla larga da questa storia in tutti i modi finché possibile, li avrei coinvolti solo se avessi notato la necessità totale di avere qualcuno che mi coprisse le spalle. Per di più c’era un altro grosso problema: se fuggivo con il drago avrei lasciato in dietro chiunque mi avesse aiutata e chissà cosa gli avrebbero fatto una volta scoperto che erano stati coinvolti.
 
In quel istante qualcuno mi abbracciò le spalle, istintivamente scattai: afferrai il polso della persona e feci per attuare una leva ma, quando resi conto che si trattava di Giulio, mi bloccai di colpo e sospirai cercando di liberarmi della tensione. “Ehi, Diana cosa succede? Sembri tesa.” Notò Giulio sorpreso per la tentata leva. A quel punto lasciai scivolare la mia mano sulla sua e la strinsi con dolcezza. “Nulla, tranquillo.” Sussurrai ma il mio volto rimase cupo; Giulio decise di non insistere ma potevo sentire dal modo in cui la sua mano mi stringeva dolcemente la spalla che era preoccupato. In risposta appoggiai il capo su di lui. “Diana, puoi parlarmi di ciò che vuoi, lo sai.” “Sono solo un po’ stanca Giulio.” Risposi placida mentre un turbinio di pensieri mi invase e compresi che non avrei mai voluto mettere la vita di Giulio in pericolo.
Pochi attimi dopo Nohat apparve dal nulla e mi sottrasse Giulio coinvolgendolo in un discorso che non seguii ma percepii gli occhi del mio fidanzato su di me di quando in quando.
 
Quando arrivammo difronte alla base, mi imposi di darmi un tono: feci compiere un giro completo alla testa, mi raccolsi i capelli in una coda alta, respirai affondo e con passo deciso entrai nella base sorprendendo i miei compagni. Cercai di apparire sicura e determinata benché in quel momento fossi a corto di entrambe. Tirai dritto fino al salotto. “Malandrino?” Domandai alla sala con un tono che quasi non mi apparteneva: calmo, deciso, autoritario, sicuro.
Sotto un leggero sconcerto, Idoler mi indicò l’ufficio. Procedetti a passo cadenzato fino alla porta e solo allora mi bloccai un istante, ma solamente il tempo necessario per bussare, non attesi che mi concedessero di entrare, sprangai la porta sorprendendo non di poco Malandrino. In qualche modo riuscii a tirare fuori le due fatidiche parole. “Ci sto.” A quel punto continuai la mia recita. “Cosa sappiamo finora del posto?” Domandai sedendomi davanti a lui lasciandolo un po’ interdetto.
“Ehm…” Malandrino controllò un attimo trai le sue carte e mi consegnò un plico di fogli, li afferrai senza porre troppe cerimonie e diedi una prima letta. Dentro di me non potei che esultare quando lo vidi in quello stato confusionario: per una volta ero riuscita a prenderlo in contropiede. “Leggiti pure con calma tutto nella stanza affianco alla mia.” Per un’istante mi bloccai: di norma solo chi era al comando aveva accesso a quella stanza. “Non metterti in testa strane idee, Orion è lì che ti attende per aggiornarti.” Mi informò con fare annoiato.
Stavo per alzarmi ma la sua voce mi interruppe. “Sospettavo che avresti detto di sì. In fondo tu vuoi cambiare il mondo, no?” Lo sguardo che mi diede mi fece raggelare un secondo, sembrava che mi stesse leggendo dentro e che sapesse cosa avevo in mente, ma mi ricomposi al istante accennai un’affermazione abbastanza convinta. “Bene, ora va’ e inizia ad aggiornarti. Per di più, per fare pratica, dirigerai altre piccole missioni d’ora in poi, spero che non ti dispiaccia il lavoro extra.” Mi informò Malandrino. “Niente affatto.” Risposi con tono placido.
 
Sconsolata uscii dalla stanza e mi chiusi la porta alle spalle. Giulio, Nohat e Galahad mi stavano fissando, chiaramente confusi, mi limitai a dare loro un’occhiata e poi proseguii fin dentro alla stanza accanto con quel plico di fogli.
Orion era lì e stava studiando una mappa piuttosto grande e chiaramente fatta a mano. “Allora ho vinto la scommessa.” Disse Orion appena varcai la soglia. “Come?” Chiesi distrattamente. “Io e Idoler abbiamo scommesso sul fatto che accettassi o meno, e a quanto pare io ho vinto.” “Avevo molta altra scelta?” Domandai a mezza-voce con un certo rancore. “Nessuno ti ha mai obbligata.”
Non avevo intenzione di rispondergli ma non riuscii a mordermi la lingua abbastanza in fretta. “No, ma se avete chiesto a me di condurre questa missione, in maniera così diretta e specifica, dopo appena sei mesi che lavoro qui, non è di certo per le mie grandi doti. A voi serve un umano e io ero quella più semplice da reperire.” Orion mi fissò. “Allora non sei una stupida, mi fa piacere. Sì, ci serviva un umano per questa missione, Malandrino lavora alla raccolta di queste informazioni da anni, io credevo che fosse un mezzo delirio, ma a quanto pare i draghi sono ancora vivi e l’esercito ne tiene due per ogni evenienza.” Disse Orion e a quel punto mi sedetti.
“Cosa volete farne del drago una volta preso?” Domandai preoccupata. “Lo useremo per liberare tutti noi.” Si limitò a dire Orion con una punta di amarezza nella voce che non mi sfuggì. “Radendo al suolo una città?” Domandai preoccupata. “Solo se non si arrenderanno.” Disse Orion. “Ma non siamo più nel primo millennio Orion, e già nel trecento esistevano modi per uccidere un drago: combatteranno. Un drago da solo non può nulla.” Cercai di persuaderlo. “No, ma se si fanno esplodere le armerie del esercito e della S.C.A. nessuno riuscirà a raggiungere il posto, ad armarsi o a riorganizzarsi per tempo.” Sarebbe stato plausibile ma sarebbe stato necessario un ammontare di personale e fondi di cui non disponevamo. “Sì, ma…” “Diana.” Mi interruppe Orion. “O ci stai al cento per cento o sei fuori e Malandrino non manderà a puttane anni di lavoro per la morale di una bambina.” Mi sentii gelare il sangue. “Fa quel che ti diciamo e potresti ricevere una bella promozione, disobbedisci e sappi che ti costringeremo all’obbedienza, chiaro il concetto?” Domandò Orion, strinsi i denti. “Cristallino.” Dissi guardando Orion dritto negli occhi. “Bene. Ora, al lavoro.”
 
Mi ritrovai a leggere e studiare quei documenti per ore, carpendone diverse informazioni. Scoprii che avevano addestrato il drago ad attaccare chiunque non fosse umano anche, e soprattutto, in assenza di qualcuno che glielo ordinasse, il che complicava le cose, ma tanto oramai sospettavo di giaà che avrei dovuto passare del tempo in quella grotta per assicurarmi che non incenerisse nessuno. La buona notizia c’era però: il luogo in cui era tenuto il drago era in uno stanzone con il tetto removibile, e che era l’unico modo per l’animale di andarsene, quindi, molto probabilmente, sarei dovuta essere io a condurlo fuori. Il problema sarebbe stato riuscire ad allontanarsi senza beccarsi una pallottola.
 
Una volta conclusa la lunga riunione con Orion, potei finalmente andarmene. Lì fuori ad attendere c’era una buona fetta dei Rivoluzionari che come mi vide iniziò a bisbigliare. Decisi di ignorarli ma come feci per andarmene i miei amici mi seguirono, parevano decisamente incazzati, e mi fermai in una delle sale riunioni mezze vuote per parlare.
“Che c’è?” Domandai seccata una volta dentro a quella stanza senza finestre. “Da quando fai parte del circoletto di Malandrino?” Domandò Nohat chiaramente seccato. “Nohat! Non dire così, Diana probabilmente doveva solo fare un lavoro burocratico, non è così?” Rimasi zitta. “Diana?” Mi domandò Felicitis confusa. “Malandrino mi ha fatto un’offerta per dirigere un colpo abbastanza grosso, e io ho accettato.” Risposi freddamente. “Cosa!?!” Esclamò Vanilla e lessi immediatamente la gelosia nel suo volto. “Perché?” Mi domandò sconvolta. “A Malandrino serviva un’umana per la missione e siccome è rischiosa mi ha concesso di scegliere tra l’essere collaborativa e avere la possibilità di ottenere una promozione, collaborare comunque ma sotto le direttive di qualcuno o oppormi e venire trascinata a forza nella missione.” Spiegai pacata. “Ho scelto quello che era più conveniente per me.” Mi limitai a spiegare. Nohat stava per controbattere ma Galahad lo interruppe. “Nohat, non fare così: Diana avrebbe dovuto parlarcene ma, sinceramente, io le avrei consigliato di accettare, tutti noi vogliamo fare carriera.” Disse Galahad ma era chiaro che anche lui non ne era contento che non glielo avessi detto. “Sì, ha ragione, e poi così per noi sarà più facile entrare nella squadra e avere un ruolo diverso dal palo.” Disse Garred, a quelle parole divenni rigida. “Sarà una missione pericolosa, non voglio mettervi in pericolo.” Dissi cercando di evitare l’argomento. “Dai, lascia giudicare da noi, di che si tratta?” Domandò Garred. “Non ne posso parlare per ora. Sentite, ci penserò, ma per ora non posso dirvi nulla.” Decretai, a quel punto lanciai uno sguardo a Giulio, era chiaramente perplesso. “Con permesso.” Borbottai, feci per uscire ma Giulio mi sfiorò la mano e non riuscii ad ignorarlo, come non potei non notare lo sguardo seccato di Nohat.
“Diana, non dico che devi per forza dirci tutto, ma potevi parlarci del fatto che Malandrino ti aveva fatto questa offerta. Per di più oramai stiamo assieme da un po’, lo sai che con me ti puoi confidare.” Cercò di rabbonirmi Giulio, sospirai e mi liberai della sua presa. “Sentite è stata una giornata pesante e la scelta non l’ho presa a cuor leggero, la predica da voi è l’ultima cosa di cui ho voglia adesso. Vi parlerò della missione quando mi sarà concesso.” Risposi andandomene, i ragazzi rimasero in dietro interdetti ma Giulio mi seguì dopo qualche secondo di esitazione.
“Diana, aspetta. Non volevo rimproverarti. L’ho solo trovato un comportamento strano.” Mi spiegò cercando di riprendermi la mano e ci riuscì ma la mia presa inesistente lo fece demordere. “Non ho voglia di parlarne Giulio, per favore, sono state giornate pesanti.” Giulio si avvicinò a me e mi obbligò a guardarlo negli occhi usando le sue mani che schiacciò sulle mie guance. “Diana, io ci sono per te, lo sai. Anche se non mi puoi dire che succede io ti voglio aiutare.” Lo guardai tristemente: non volevo ferirlo però neanche che rischiasse la vita. “Voglio solo distrarmi un po’.” Sussurrai in maniera un po’ impasticciata dato che la stretta di Giulio portava la mia faccia ad assumere una posa innaturale. Lui mi sorrise ma potei notare che non era del tutto soddisfatto da questo. “Va’ bene. Ti va’ qualcosa di caldo?” Mi domandò dolcemente. “Sì, per favore.”
 
 
Giulio mi condusse in uno del caffè nei pressi della base, era piccolo e abbastanza sempliciotto ma non era male, in quel momento avrei tanto voluto potermi stringere a lui, baciarlo, ma sapevo che avevamo di già attratto fin troppi occhi indiscreti e anche Giulio se ne accorse. “Meglio che ce ne andiamo.” Sussurrò quando notò che un gruppo di persone avevano iniziato a fissarci e additarci una volta in più del dovuto. Mi alzai seccata e pagai dato che era il mio turno.
Una volta fuori e allontanati mi accoccolai a lui e mi strinse con forza a sé, a quel punto alzai lo sguardo e gli sorrisi dolcemente, da innamorata quale ero, in simultanea Giulio rispose. Era un gesto così semplice e banale: quel momento sarebbe stato un istante che probabilmente avrei cancellato dalla mia mente eppure la Storia ha deciso che milioni di persone di cui non saprò mai il nome e il volto diventassero testimoni di quel istante congelato nel tempo.
 
E tutto ciò avvenne poiché un flash rovinò quel attimo di intimità.
 
Sia io che Giulio ci voltammo confusi trovandoci davanti un giovane uomo, forse di tre o quattro anni più grande di noi con una fotocamera piuttosto grossa in mano. “Perfetta, credo.” Sussurrò tra sé mentre noi due piccioncini ci guardavamo confusi. “Ehm… mi scusi… perché ci ha fatto una foto?” Domandai, ero così confusa che non sapevo neppure se essere arrabbiata. “Oh… Cosa?” Domandò il giovane uomo come se si fosse appena risvegliato da un sogno. “Ecco… io…” Iniziò a cercare tra le sue tasche con fare disordinato. “Sono un fotografo.” Spiegò mentre tirava fuori il portafogli. “Mi mancava una foto per completare il rullino con i negativi, quindi mi sono detto: perché non fotografare qualcosa di diverso dal solito.” Io e Giulio lo fissammo ancora più confusi. “Va’ bene ma bisognerebbe chiedere il permesso prima di scattare.” Disse Giulio mentre la sotto scritta fissava quel uomo ancora più confusa, Giulio, invece, era più interessato alla fotocamera ma anche lui aveva un fare altrettanto disorientato. “Sì, avete ragione. Per farmi perdonare che ne dite di vedere come sviluppo le foto? Sono anche a colori.” Io e Giulio ci lanciammo un’occhiata sorpresa. “D’avvero?” Domandammo in coro: non avevamo mai avuto tra le mani una foto a colori, sapevo della loro esistenza ma l’avevo sempre considerata una cosa da ricchi. “Sì, purtroppo ci vorrà almeno una settimana per svilupparla, tuttavia… un secondo.” Disse il giovane riponendo il portafoglio in una di quelle innumerevoli tasche per poi consegnarci un biglietto da visita. “Ecco, passate per il mio laboratorio tra una… no due… no tre, tre settimane e vi farò vedere come si fa’, e per…” Si fece un breve conto sussurrando cose a mezza voce. “Cinque dani potrei anche vendervi la vostra foto se riesce bene, sarà un po’ piccolina ma sempre meglio di nulla.”
Io e Giulio ci scambiammo un’occhiata, Giulio porse la mano e prese il biglietto da visita, c’era scritto sia il numero di telefono che l’indirizzo del laboratorio. “D’accordo, proveremo ad esserci.” Balbettò Giulio confuso quanto me. “Bene, chiamate pure per qualsiasi evenienza, non è certo che risponda, ma vale la pena tentare. Buona giornata!” Disse l’uomo svanendo nel nulla.
 
Mi voltai a fissare Giulio e lui fece altrettanto. “Hai capito che voleva quel pazzo?” Domandai confusa. “Boh, tizio strano, a quanto pare si chiamaaaa…” Giulio strizzò gli occhi per riuscire a leggere quella calligrafia sottile e arzigogolata. “Lorenzo Menagalli…. Anche il nome è strano.” Commentò Giulio confuso. “Secondo te ne vale la pena?” Domandai osservando il foglietto, Giulio lo fissò. “Uhm… l’indirizzo e il nome del posto lo conosco, ma solo di vista, ed effettivamente è un posto dove vivono gli artisti. Il tizio mi pareva strano ma non mi pareva che stesse mentendo.” Mi confessò Giulio. “Beh, fare un salto non ci ucciderà.” Commentai. “Va’ bene, poi non mi piace che qualcuno abbia una foto nostra così, a caso.” Commentò Giulio facendo un tratto di strada per riaccompagnarmi a casa, ci salutammo alla fermata del autobus e come girai l’angolo i pensieri cupi tornarono ad impossessarsi di me.
 
 
 
 
Ricordo il 12 novembre 2023 per quell’attimo totale di immobilità prima che nella stanza scoppiassero in sincronia diverse reazioni. C’era chi sgranò gli occhi in preda allo stupore, chi mi lanciò uno sguardo omicida, chi iniziò a studiarmi con fare dubbioso, a chi brillarono gli occhi all’idea delle infinite possibilità con anche solo uno dei due draghi dalla nostra e chi, come me, rimase in silenzio e a testa china, concentrato sulla mappa che avevamo difronte.
Malandrino aveva deciso di coinvolgere più membri possibili dopo appena una settimana dalla mia risposta. Avevo tentato di convincerlo che era una scelta azzardata sperando di guadagnare ancora un po’ di tempo però, ovviamente, non mi aveva ascoltata e ora tutti sapevano e potevano iniziare a sviluppare le loro teorie.
“Ovviamente se questa notizia trapelerà sarete… beh… morti.” Li minacciò Malandrino con un sorrisetto falsamente innocente che metteva i brividi. Irritata mi domandai allora perché coinvolgere così tanta gente: a questo punto tanto valeva tenere informato il più stretto numero possibile di persone. “Ci sono ancora molti punti da chiarire.” Riprese Malandrino. “E uno di questi è senza dubbio è di organizzarci affinché l’attenzione, non solo della S.C.A., ma anche del esercito e della polizia, sia rivolto a qualcos’altro.” Spiegò con un sorriso inquietante che riuscì a risvegliare in me l’istinto di fuga.
Malgrado fosse di gran lunga più basso e mingherlino di me aveva l’abilità di rendere la sua presenza possente ed invadente, anche un gigante come Orion pareva un moscerino con lui accanto. Riuscii a mantenere un’apparente calma solo perché sapevo che non poteva sapere ciò che la mia mente racchiudeva.
“Per facilitare tale aspetto il colpo si terrà il 21 aprile del prossimo anno, durante la festa nazionale.” Disse Malandrino. “Sarà dolcemente ironico far iniziare la fine di questo stato corrotto lo stesso giorno in cui è stato fondato.” Disse Malandrino mentre mi ripetevo di mantenere un volto neutrale malgrado sentissi i caldi occhi di Giulio perforarmi l’animo, sembrava che volesse scavare dentro di me per capire cosa mi stesse passando per la testa. Tuttavia rimasi impassibile e concentrata su un punto ben preciso della mappa mentre Malandrino diceva cose che sarebbero state incoraggianti ed ispiranti se le avessi ascoltate. Infatti poco dopo presero dei bicchieri e dei buoni alcolici ed iniziarono a brindare al colpo, alla caduta dello stato e a tante altre cose. Io bevvi un sorso ad ogni brindisi e mi sforzai di dimostrare sicurezza e gioia.
 
Dovevo essere stata particolarmente convincente poiché quando, ore dopo, potemmo andarcene venni agguantata e trascinata via da Giulio e dagli altri ragazzi che lo seguirono a ruota.
Mi ritrovai in un vicolo e quando ci fermammo percepii lo sguardo deluso di Giulio intuii che volesse cercare di dirmi qualcosa ma si limitò ad esitare un istante per poi farsi da parte.
Solo in quel momento mi resi conto che lo sguardo di tutti era quanto meno preoccupato. Notai che Galahad era particolarmente arrabbiato e che stava per dirmi qualcosa ma venne anticipato da Nohat. “Sei una scema.” Iniziò furioso guardandomi negli occhi. Il suo sguardo sera fatto freddo come quello di un assassino e gli occhi parevano emanare una tenue luce propria e questo, unito alla opaca luce delle grigie giornate autunnali, gli donava un’aurea spettrale ed intimidatoria. “Un’autentica e inesorabile scema ed egoista, come tutti gli umani.” Aggiunse gelido come una lastra di ghiaccio, potevo palpare la sua rabbia fredda e distruttiva. “Ti rendi conto di cosa succederà se riesce la missione e cosa se non riesce?” Mi chiese Vanilla arrabbiata e delusa mentre mi stava guardava come se non fosse certa di avere davanti la solita Diana. “Non avevo molta altra scelta. Se non avessi accettato avrei rischiato la sua ira.” Mi limitai a rispondere freddamente mentre sentivo gli occhi di Giulio continuare a scavare confusi in me.
“Diana.” Iniziò Galahad molto più serio di quanto lo avessi mai visto in questi mesi. “Se la missione riesce, ed il che non è garantito, Malandrino non si farà scrupoli a distruggerà la città, e chi sa cos’altro, per ottenere il potere.” Mi spiegò parlandomi con estrema severità. “Se non riesce.” Proseguì avvicinandosi a me. “Noi tutti ci ritroveremo fucilati, o peggio, nel giro di una notte.” Gli occhi di Galahad erano duri, ma ressi il confronto. “E mi sembra che l’annichilimento di una città in cui vivono migliaia di civili, bambini e una buona fetta di Altri oltre che di umani sia un prezzo fin troppo alto.” Concluse infastidito.
“Credi che non lo sappia?” Domandai placida preparandomi ad attuare la recita. “Ma, nel caso non ti fosse chiaro, Malandrino mi ha fatto intendere che mi avrebbe coinvolta in questa cosa con le buone o con le cattive. Ho scelto di accettare per evitare di essere sequestrata, legata, imbavagliata e poi usata come esca per il drago.” Risposi cercando di contenermi: non potevo scatenare la mia ira adesso o avrei rivelato tutto. “Non capisco, vuoi approfittarne per fare carriera?” Mi domandò Garred con un tono di voce confuso. Mi volsi verso di lui e, invisibilmente, lo ringraziai di avermi dato l’idea per uscirne. “Perché no?”
Come le pronunciai sentii ogni cellula del mio corpo bruciare dall’ira. Avrei tanto voluto urlare loro la verità ma se lo avessi fatto sarebbe stata la fine: come avessero scoperto il mio piano li avrei messi in pericolo e questo non lo volevo.
A quelle parole Felicitis sbiancò. “Diana, non puoi dire sul serio!” Esclamò la ragazza, le sorrisi con lo stesso sorriso malato che avevo potuto studiare in questi mesi. “Questo mondo del cazzo cadrà comunque prima o poi: avete visto cos’è successo con quel nucleare, se non sarà l’inquinamento che noi stessi produciamo a disintegrarci, probabilmente saremo la causa di qualcosa di ben peggio del soffio infuocato di un drago, rispetto a quella roba credo che la soluzione di Malandrino sia molto più congeniale.” La mia voce era atona, inespressiva. “Diana, non puoi dirlo seriamente.” Iniziò Vanilla avvicinandosi più di quanto non avesse mai fatto e con uno sguardo che non vedevo dalla notte in cui eravamo diventate delle assassine: un misto di terrore e disgusto. “Perché no? Bruciare questo mondo con un’arma appartenente a ciò che ha portato gli esseri umani al potere. Sarà uno spettacolo macabramente magnifico.” Continuai lasciando tutti senza parole.
Fu Nohat a prendere in mano la situazione sbattendomi contro il muro. “Tipico degli umani!” Mi ringhiò in faccia con ora una luce ancora più brillante ed assetata negli occhi. “Non pensate mai alle conseguenze delle vostre azioni!” Dovetti fare uno sforzo enorme per non reagire fisicamente o verbalmente, mi limitai a reggere lo sguardo.
Capii che mi avrebbe picchiata, lo accettai, per com’erano adesso le cose me lo meritavo. Tuttavia Giulio lo bloccò appoggiando una mano sulla spalla del amico. Nohat lo riprese dicendo qualcosa sul fatto che ero indifendibile, che non importava che fossi la sua ragazza, ma si interruppe quando vide lo sguardo furioso che Giulio rivolse a me: i suoi occhi erano due pozzi ambrati d’ira pura. “Distruggi pure il mondo con Malandrino se la cosa ti rende felice. Tanto non possiamo andarti contro. Ma sappi che non vogliamo essere coinvolti in questa storia.” Disse con una freddezza che mi ferì profondamente. Mi chiusi in un angolo buio della mia mente lontano da tutto e tutti. “Distruggere tutto e tutti sarebbe poi così male?” Domandai con un sorriso che non mi apparteneva, con un tono che non era il mio, non sapevo neppure dove volevo arrivare, volevo solo accertarmi di tenerli il più lontano possibile da questa storia. “Per giunta, vi consiglio caldamente di fare come dico io d’ora in poi: non vorrete mai che un uccellino riveli quanto ho sentito oggi.” Aggiunsi imitando nuovamente Malandrino, stranamente mi riusciva fin troppo bene la parte della pazza assetata di sangue e questo mi spaventò.
 
Una volta a casa riuscii a lavare via il dolore. Passai le mani sul viso e controllai l’occhio nero che si era appena formato. Era stata Felicitis a farmelo, non me lo sarei mai aspettato da lei, eppure mi aveva colpita in pieno e probabilmente avrebbe continuato se Giulio e Vanilla non l’avessero fermata a forza. Non la biasimai, io a sentire una frase simile da uno dei miei amici avrei cambiato loro i connotati, soprattutto dopo tutto quello che avevamo passato assieme nel ultimo mese.
Con un sorriso amaro pensai che per mia fortuna Felicitis non era esattamente un esempio di forza bruta e non era brava a picchiare e che se a farlo fosse stato Nohat, da cui ero sicura che avrei ricevuto qualcosa in più di una strigliata, probabilmente sarei dovuta andare in ospedale, quindi mi era andata di lusso: un piccolo prezzo da pagare per proteggerli. Potevano odiarmi se volevano, se ciò significava non coinvolgerli e proteggerli ero disposta ad accettarlo.
 
Egoisticamente ero convinta che sarei riuscita a reggere bene la pressione, che sarebbe andato tutto come previsto, ma a quanto pareva mi ero dimenticata dei miei primi mesi a Meddelhok. E del fatto che da sola non valgo la metà di quando posso disporre degli affetti.
 
 
Da quel momento inizia a sentirmi tirare da tutte le parti, era come se da ogni lato qualcuno cercasse di portarmi al mio limite. Ero un elastico così teso che poteva fare solo due cose a questo punto: spezzarsi e quindi crollare, distruggendo tutto ciò per cui stavo lavorando, oppure sfuggire dal lato che maggiormente tirava e perdere tutto il resto per una costrizione a cui non potevo sfuggire.
 
Il primo lato, la scuola, tirava con una forza bassa e costante. Esse la ragazza strana, nuovamente isolata, testa calda ma comunque intelligente che, pur facendo esasperare i professori per i suoi modi, riusciva portava dei buoni risultati era faticoso ma avevo accettato di non poter combattere su ogni singolo fronte, quindi tenevo la testa china, facevo il mio lavoro come studentessa e nessuno mi diceva niente.
Incredibilmente la scuola e le lezioni parevano la terra dei beati in confronto al resto: sopportavo molto più facilmente i professori con le loro frasi scontate da recitare all’interno di un’ora di lezione.
Il problema era durante la ricreazione. Senza i miei amici a spalleggiarmi, il resto dei miei compagni, o almeno la parte che avrebbe considerato una prova di coraggio, se non addirittura intelligente, avvicinarsi ad un orso affamato, si divertiva a stuzzicarmi e a farmi perdere la pazienza. A volte arrivavano pure a tentare di picchiarmi ma tutto si concludeva con una visita in infermeria da entrambe le parti o solo da parte del mio sfidante.
Come se non bastasse per la preside ero diventata il suo nuovo passatempo preferito. Si divertiva a minacciarmi di sospensione per i diversi pestaggi quando sapevamo entrambe che se lo avesse fatto qualunque avvocato di primo pelo avrebbe dimostrato che la mia era stata legittima difesa, infatti non avevo mai iniziato una rissa. Tuttavia, da quando aveva scoperto che conoscevo bene la legge, se mi incrociava per i corridoi mi faceva domande al limite della decenza della serie. “Che ne pensa dell’articolo n° 26 delle leggi di restrizione?” O cose così alle quali rispondevo monosillabica e acida. (Per puntualizzare la l’articolo n° 26 delle leggi di restrizione cita: Agli altri il frequentare una carriera scolastica si deve fermare al quinto anno di liceo, data la ovvia incapacità di competenze. Ci terrei a sottolineare che questa legge la butterei volentieri giù per il cesso con tutto il resto del capitolo delle leggi di restrizione.)
 
Nel secondo lato c’erano i miei genitori. Mi comportavo esattamente come mi avevano sempre giudicata ovvero una ragazzina irresponsabile, ribelle che non fa altro se non contestare e mettere il broncio e dovevo sempre sembrare quel malumore che si attende da una diciottenne: ingenuo, generico, lunatico, e stava diventando sempre più difficile essere sempre la stessa quando l’unica cosa che volevo fare a casa era buttarmi sul letto e dormire o cercare di lavorare al mio piano.
A casa si stava raggiungendo livelli di tensioni terribili: oramai discutevo con mio padre per ogni più piccola questione, dalla scelta dell’università al modo in cui mi vestivo, con mia madre essenzialmente non ci parlavo per paura che scoprisse tutto e la scacciavo in malo modo ogni volta che mi si avvicinava. Questo atteggiamento degenerava in scontri fisici tra me e mio padre e porte sbattute in faccia con mia madre. Mene uscivo sempre con le classiche frasi da manuale: “Lasciatemi stare! - Non potete controllarmi!” Mi sentivo patetica a farlo oramai. Non mi interessava un bel niente del mio futuro o dell’università o di qualsiasi altro problema tipico di una studentessa umana al quinto anno. L’unico mio pensiero e preoccupazione era rivolto alla riuscita della missione e uscirne viva.
 
Al terzo lato c’erano le famiglie che mi ero scelta. Da un lato cercavo di rassicurare i miei amici di sempre e di spiegargli che avevo la situazione sotto controllo, che il colpo era uno scherzo che andava tutto bene. Quando niente andava bene, rischiavo la pelle con quell’operazione e la rischiavo anche con le missioni minori che Malandrino gentilmente mi aveva assegnato.
Dall’altro c’erano i miei nuovi amici, avevano praticamente chiuso ogni comunicazione con me, non mi guardavano neppure a volte, in missione e davanti agli altri fingevano una relazione quantomeno civile ma per il resto il nostro rapporto era diventato asettico. Neppure Giulio osava guardarmi, il che, sebbene odiassi ammetterlo, dovetti constatare che mi stava facendo impazzire quasi quanto tutto il resto messo assieme, soprattutto perché sapevo quanto lui mi avrebbe sostenuta se gli avessi spiegato tutto, che avrebbe cercato una soluzione assieme a me, ma non potevo mettere la sua vita, quella degli altri e dei loro cari in pericolo.
 
Nel quarto lato c’era Malandrino. Dovevo apparire decisa, sicura, pronta a tutto, un po’ incosciente, a volte pure ingenua, amante del rischio e della rissa, dovevo essere quella parte di me che lui voleva vedere ma era faticoso, e in quel periodo particolarmente perché da ogni lato mi sentivo abbandonata, questo aumentava le mie paure e le mie insicurezze.
Eppure, contro ogni mia aspettativa, procedeva bene: ero riuscita a ottenere un piano che non prevedesse l’uccisione del minor numero di agenti possibile e un impiego minimo delle nostre forze ma non saremmo mai potuti essere solo io e lui in quella stanza, e per quanto sembrasse che adesso si fidasse di me, non sarebbe mai rimasto solo con una mina vagante come la sotto scritta. Per di più gli servivano almeno altre due persone per fargli da scudo in caso il drago lo attaccasse. Per settimane cercai una soluzione ma nulla, da sola avrei solo rischiato di fare del male a me e al drago, di farmi beccare o ammazzare.
 
In ogni momento della giornata da quando mi svegliavo a quando crollavo a letto sfinita mi sentivo falsa e mi odiavo per questo: malgrado tutto ero sempre stata fedele a me stessa non nascondendo a chi mi circondava e a me stessa, soprattutto, chi ero, com’ero, cosa pensavo e ciò in cui credevo. Mi sentivo sprofondare in un abisso di angoscia, responsabilità, timori, insicurezze e frustrazioni che una ragazza non dovrebbe vivere ma che sfortunatamente dovevo sopportare. Forse se avessi avuto accanto a me qualcuno, anche solo una persona, sarei riuscita a reggere meglio la situazione.
È vero alle volte volevo fare le cose per conto mio e mi era sempre piaciuto lavorare da sola, tuttavia ho sempre avuto bisogno di qualcuno che mi stesse accanto, che mi distraesse, che mi ascoltasse dato che, senza di questo, crollo.
Ho sempre avuto compagnia, sostegno e amici ed in quel momento mi resi conto che senza questi non sarei mai riuscita nel mio intento.
  
Alla seconda settimana di pianificazione cedetti e compresi che o coinvolgevo le uniche persone di cui mi potevo fidare o tanto valeva che mi gettassi nelle fauci del drago. Non mi piaceva come soluzione ma stavo impazzendo e questo era il modo più sicuro per la riuscita del mio piano. Mi ripromisi di scegliere i compiti più sicuri per tutti loro e se possibile non coinvolgerli direttamente ma oramai avevo le mani legate: Malandrino voleva dei nomi al più presto e, siccome ero io a dirigere l’operazione, si aspettava che scegliessi qualcuno di cui mi fidassi. Non avevo altra scelta che riconciliarmi con i miei amici, scusarmi, spiegare loro la situazione, il mio piano e pregare il Sole e la Luna che non mi ammazzassero o vendessero subito dopo a Malandrino o la S.C.A., e non avevo idea di quale delle due fosse peggio.
 
Ovviamente scelsi di iniziare dall’unica persona che probabilmente se avessi dimostrato un intento di rappacificazione mi avrebbe concesso un’ultima occasione e non lo avrebbe spiattellato tutto agli altri: Giulio e ad essere sincera erano settimane che volevo riaverlo tra le mie braccia.
Fu così che durante la lezione di scienze mi sedetti accanto a lui. Questi si sorprese sul momento, ma distolse lo sguardo subito dopo, era ancora profondamente arrabbiato e non gli potei dare torto. Tuttavia procedetti: strappai una pagina bianca del diario, scribacchiai qualcosa, lo piegai in quattro e glielo feci scivolare sul banco. Giulio guardò per un istante il bigliettino, poi diede un’occhiata a me, pareva confuso e sorpreso mentre riportava lo sguardo sul biglietto. Dopo qualche istante in cui sperai che me lo prendesse tra mani mi scostai e lasciai che lo prendesse e se lo infilasse dentro al astuccio.
Sentii il magone alla gola ma lo lasciai fare, sapevo che era solo un gioco di aggressività passiva però stava avendo l’effetto desiderato perché mi si stava contorcendo lo stomaco per il dubbio che non lo leggesse. Come mi resi conto di cosa stavo pensando distolsi lo sguardo ma non vi riuscii del tutto, ogni tanto riportavo i miei occhi su Giulio che invece non attuò nessuno sforzo per non guardarmi dato che riuscì a concentrarsi sulla lezione prendendo appunti mentre la sottoscritta a stento sottolineava solo qualche passaggio di rilievo nel libro. Conclusasi la lezione Giulio sistemò metodicamente le sue cose e se ne andò alla sua prossima lezione senza rivolgermi uno sguardo neanche per errore.
Abbassai lo sguardo rassegnata: se era questo il suo gioco lo avrei accettato, anzi me lo meritavo, ma questo non significava che non mi ferì.
 
 
   
 
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