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Autore: Angels4ever    07/01/2021    2 recensioni
Una giovane donna cammina per strada sotto la neve, sola, ricordando una persona amata e riflettendo sulla solitudine (irrazionale o razionale?) che vive da diverso tempo.
Può questa malinconia portarla a gesti sconsiderati?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Cade la neve

 
 
Camminava per strada, in quel piccolo paesino ove era solita rifugiarsi nei momenti più bui. Tutto era illuminato in vista del Natale, ed una leggera neve cadeva giù dal cielo, dipingendo un quadro romantico, un buffo cliché che mai si sarebbe aspettata.
La sciarpa spessa, di lana rossa, che indossava quella sera le fasciava il collo in una morsa decisa.
Alcuni passanti la salutavano, augurandole un felice Natale. 
Come poteva essere “felice?”
Juliet si sentiva terribilmente sola.
Pur essendo circondata da una famiglia numerosa e da amici ancor più numerosi, continuava a sentirsi sola ogni giorno sempre un po’ di più.
Mentre muoveva un passo dietro l’altro, per inerzia, senza meta prefissata, delle lacrime scesero come rigagnoli giù per le sue guance, piccoli cristalli in una notte gelida.
Si strinse a sé stessa, perché in cuor suo sapeva che era l’unica di cui potersi fidare; non voleva accettarlo, non aveva mai voluto accettarlo, ma era una cruda e dura verità: era lei l’artefice del suo destino e delle sue emozioni.
Si sentiva fragile, non abbastanza forte per quel mondo ingiusto, non abbastanza forte per la vita.
L’unica persona che avesse mai amato non c’era più, ed anche se erano passati anni il dolore per la perdita era ancora un fuoco acceso che la inondava.
Si sentiva sola molto spesso.
Ma “sentirsi sola” ed esserlo sono due cose diverse, eppure quella sensazione orribile che le aggrovigliava le viscere non voleva scomparire.
Non importava cosa le dicessero gli altri, non importava se la rassicuravano ogni volta, la solitudine che provava – irrazionale o razionale che fosse – non accennava a scomparire.
Era una donna di successo, con un lavoro e una posizione, tuttavia svegliarsi ogni mattina per riprendere la stessa identica routine durata anni le costava una fatica non indifferente.
La solitudine è la maledizione peggiore, e lei non sembrava esser in grado di sgusciare fuori da quel gelo di ansia e depressione che stava vivendo ma che tentava di nascondere con tutte le sue forze.
“Mi manchi” avrebbe voluto urlare all’oscurità della notte. “Mi manchi e ti odio: mi manchi perché sei morto e ti odio perché mi facevi sentire viva, e a modo tuo amata”.
«Ehi, attenta a dove metti i piedi!»
Non fece caso al tono inacidito di una signora a cui, per sbaglio, era andata contro. Continuò a camminare come se tutto il mondo attorno a sé fosse svanito. Ma era una mera illusione: ogni cosa era ancora al suo posto, solo che lei non riusciva più a sopportare quelle emozioni, quelle sensazioni assolutamente sbagliate, che l’affossavano.
Si fermò ad osservare un gatto in fondo alla via: i suoi occhi gialli brillavano nell’oscurità, fissandola come se fosse una creatura di poco conto.
Adorava i gatti, erano creature affettuose e calde (quando ne avevano voglia), ma allo stesso tempo non avevano bisogno di nessuno, non per davvero; le unghie affilate del più piccolo gattino, erano capaci di iniettare di sangue gli occhi del più feroce dei pitbull. 
Sorrise, ad un passo da quel felino tigrato; erano a pochi millimetri di distanza, ma l’animale scappò via, correndo con le sue zampine morbide.
«Nemmeno tu vuoi stare con me, micio?» mormorò, mentre la neve continuava a cadere con più forza e decisione.
Stava iniziando ad attecchire, lasciando una leggera coltre bianca sul selciato. Un tempo quel paesaggio di montagna l’avrebbe lasciata senza fiato, si sarebbe sciolta come una bambina in frivoli pensieri romantici.
Però adesso era grande, ed era sola. Non riusciva a “gioire” della neve, del freddo, di quella piccola perla in mezzo ai monti, perché in quel periodo non aveva nessuno con cui condividere ciò che le accadeva.
Era assurdo, irrazionale e sbagliato dipendere così tanto dagli altri, ma non ne poteva far a meno. In maniera blanda soffriva di una sorta di dipendenza affettiva.
Era dipendente dalla sua famiglia, era dipendente dai suoi amici… nonostante ciò sentiva di non essere abbastanza per loro. O di esser data troppo per scontata.
Aveva senso tutta quella malinconia? Forse no.
Si ritrovò fuori dalla porta di casa, dove una minima quantità di neve si era accumulata formando una piccola montagna bianca.
Infilò una mano nel cespuglio accanto all’entrata, per far riemergere dal gelo un enorme mazzo di chiavi.
Spinse la porta con decisione, facendo leva su una gamba. Accese la luce, e la solitudine che stava provando si trasformò in concretezza.
Non era più solo una sensazione irrazionale.
Era fisicamente sola, in una grande casa fredda.
Barcollò verso la poltrona consunta e si lasciò cadere.
Se fosse sparita, semplicemente sparita, sarebbe mancata a qualcuno? Per davvero? O sarebbero caduti in banali cliché come “Era una brava persona. Le volevano tutti bene”?  
Qual era il metodo più veloce e indolore per morire?
Lui aveva scelto l’impiccagione; si era lasciato andare con il cappio al collo.
Perché? Perché? Perché?
Forse sperava che qualcuno arrivasse in tempo, che qualcuno lo fermasse. Forse una parte di lui, una parte recondita, non voleva dire davvero addio alla vita.
E lei? Lei cosa desiderava davvero?
“Ti prego, vienimi a prendere”.
Voleva davvero lasciare la sua vita – imperfetta ma bella – per qualcuno che non lo meritava?
Doveva essere coraggiosa, doveva sperare che prima o poi tutti avrebbero capito quanto fosse speciale e quanto fosse stata incredibile nel sopravvivere nonostante il dolore.
Oppure poteva semplicemente ingoiare una quantità disumana di benzodiazepine e farla finita. Ma a cosa avrebbe portato? Solo ad altro dolore.
I suoi genitori non avrebbero capito, sua sorella non avrebbe capito; tutti sarebbero stati infelici per il resto delle loro vite. E molto arrabbiati.
Chiuse gli occhi, ed il volto di lui comparve nella sua mente: labbra carnose, occhi caldi, naso aquilino, un sorriso storto.
«Perdonami, Juliet.»
Riaprì gli occhi di scatto, sentendo il cuore che minacciava di uscire dal petto.
Le era parso, per un solo fottutissimo istante, che fosse lì con lei.
Lei, una donna di scienza, non credeva agli angeli, quindi sapeva perfettamente che tale sensazione era dovuta ad un desiderio del suo subconscio. O forse a qualche psicosi.
Pensando a quanto fosse religiosa sua madre – eccessivamente religiosa – nel dubbio che lui potesse essere veramente lì ad osservarla, rispose.
«Non posso perdonarti.»
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Lo so, è super malinconico. La malinconia, l’angst, l’introspezione, nelle storie mi piacciono molto!
Spero che questa piccola storia – che conta 1029 caratteri esatti – possa esser piaciuta; non è stata scritta “per niente”, spero in futuro di trasformarla in qualcosa di intenso e duraturo, nel mentre mi piacerebbe qualche parere per capire se sono nella direzione giusta.
Buone feste passate e a presto (forse).
  
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