Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: saitou catcher    07/01/2021    3 recensioni
"Erwin era quello portato per queste cose, Erwin era quello che progettava e pianificava e spingeva lo sguardo oltre il confine del mondo quando lui era a malapena in grado di prevedere cosa sarebbe successo il giorno dopo, ma Erwin è morto e la cosa che lo attende poco fuori dalla porta non aspetterà che siano i morsi della fame a finirlo."
(Zombie!Au)
[Storia di Saitou]
Genere: Angst, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il cibo termina dopo la prima settimana.

Nel silenzio della foresta in attesa, Levi ripete più e più volte i calcoli, cercando di capire dove abbia sbagliato, quando esattamente abbia perso il controllo e permesso al suo corpo di dettare le regole, ma è un tentativo che muore con la luce di un nuovo giorno che sorge a incendiare le montagne; Erwin era quello portato per queste cose, Erwin era quello che progettava e pianificava e spingeva lo sguardo oltre il confine del mondo quando lui era a malapena in grado di prevedere cosa sarebbe successo il giorno dopo, ma Erwin è morto e la cosa che lo attende poco fuori dalla porta non aspetterà che siano i morsi della fame a finirlo.

A volte, nell'incrocio confuso di sonno e veglia in cui si è trasformata la sua esistenza, Levi crede quasi di sentirlo: un respiro sibilante, sfibrato, che scivola sussurrando tra le foglie e si tende tra gli interstizi delle pareti sfondate, lambendogli le orecchie con lunghe dita colore dell'osso. Quelli sono i momenti in cui si solleva a sedere di scatto con il cuore che tambureggia all'impazzata nello stomaco e la canna della pistola puntata verso il nulla- come se non sapesse, idiota, che sparare al buio non servirebbe a nulla, che mancato quel primo colpo non ne avrebbe altri con cui salvarsi- ma puntualmente a ricambiare il suo sguardo sono solo le sagome immote degli alberi e i resti rosicchiati di qualsiasi cosa la creatura abbia mangiato in attesa di un pasto più sostanzioso. Per assurdo, forse, è peggio non udire nulla, spingere gli occhi nel cuore stesso dell'oscurità e non scorgere che foglie in procinto di cadere e il volo solitario di qualche uccello che per un altro giorno ha scampato la morte. In occasioni come quelle è facile convincersi che le ultime ore non siano state che un sogno, che basti serrare le palpebre per cancellare l'odore di morte che ormai lo ricopre come una seconda pelle e quell'orribile sensazione di attesa- la certezza di trovarsi in piedi sul ciglio di un burrone e non avere il coraggio per buttarsi giù.

Non potrai tirarti indietro ancora a lungo, Erwin gli rammenta con quel suo tono sempre così sicuro, la voce di chi ha osservato troppo a lungo le fiamme per rimanerne accecato, Lui perderà la pazienza prima di te, e se riesce ad entrare gli sarà facile metterti con le spalle al muro.

"Questo lo so, stronzo" Levi abbandona la testa contro la parete alle sue spalle e chiude gli occhi "Peccato che io continui ad avere un solo proiettile".

È l'unica occasione che ti serve Dio, a volte ricorda perché un tempo doveva trattenere la tentazione di scaricare una pioggia di pugni su quel sorriso da pazzo Se riesci ad essere abbastanza veloce e non sbagli la mira, lo scontro sarà finito ancora prima di cominciare.

"Quindi, apro la porta, mi getto fuori, e quando quell'affare mi spunta davanti gli sparo alla testa e prego di colpire il cervello? È questo il tuo piano?"

Se la metti così, è logico che sembri una brutta idea.

Levi non si prende la briga di rispondere. Un unico raggio di luce solare è riuscito a insinuarsi tra le travi inchiodate alle finestre per andare a posarsi sui resti polverosi di una foto che giaceva abbandonata sul pavimento già quando lui ed Erwin si sono introdotti in questa casa per trovare riparo, i volti ritratti che sembrano accartocciarsi in smorfie grottesche sotto lo strato di crepe che sfregia il vetro. Un uomo, una donna e un bambino, quest'ultimo con le braccia avvolte attorno a un pupazzo a forma di scimmia, lo stesso che hanno seppellito insieme a quel che restava di un piccolo cadavere grigio. Secondo Erwin, i resti putrescenti che hanno trovato in giro per la casa appartenevano ai genitori del bambino, gli stessi che sorridono inerti dalla cornice ancora intatta. Devono essere stati morsi per primi, ha commentato aggiungendo un altro ciocco di legno alla pira in cui avevano gettato quel che restava dei non-morti Forse il bambino si era nascosto, per questo non l'hanno mangiato. O forse non hanno voluto mangiarlo.

Voluto? Levi ricorda di aver sbuffato Credi che uno qualsiasi di quegli affari possa volere qualcosa?

Il bambino era chiuso a chiave nella sua stanza. Gli sarebbe stato facile sfondare la porta. E invece era intatta. Forse Hange aveva ragione quando diceva che qualcosa di quello che siamo rimane quando veniamo morsi.

La Quattrocchi diceva un sacco di cose Levi non vuole ricordare dove tutto questo l'ha portata. Contare le ore è più facile quando ciascuna di esse non si porta dietro un pesante carico di morti.

Ci sono così tante cose che non sappiamo, Levi gli occhi di Erwin non erano mai sembrati azzurri come allora, mentre contemplavano il lento disfacimento di qualcosa che un tempo era stato umano quanto lui Forse è per questo che non abbiamo ancora vinto la guerra.

A Levi non interessa. Levi può parlare solo di quanto riesce a vedere e a toccare- il suo stomaco che già si contorce in preda ai morsi della fame, il caldo soffocante che presto gli sottrarrà tutti i liquidi dal corpo, l'odore penetrante di morte della cosa che siede a pochi passi dalla soglia e aspetta che sia abbastanza coraggioso, o abbastanza codardo, da venire fuori. Forse c'era della verità nelle parole di Hange, forse ci sono davvero delle risposte che saranno sempre al di fuori della loro portata, ma intuirlo non le ha impedito di perdere prima Moblit e poi la vita, e allora che senso ha preoccuparsene?

(che senso ha sperare, in un angolo minuscolo e lontano, che almeno per questa volta la dannata Quattrocchi avesse ragione?)

 

Basta chiudere gli occhi perché tornino a trovarlo.

Certe notti è la testa di Isabel che rotola sul pavimento, le iridi due schegge di vetro senza più colore e la bocca spalancata nell'ultimo grido che ha potuto emettere prima che la facessero a brani; altre è Farlan che giunge a fargli visita, un torso galleggiante nell'aria che non cessa di espellere sangue, le viscere estirpate che lo seguono come un lungo macabro strascico. Per ragioni che non sa comprendere, le morti cui non ha assistito sono quelle che sogna più spesso: e così arrivano sere dove a riempire i suoi sogni sono Hange e Moblit, il braccio ancora in movimento che hanno gettato nel fuoco e gli occhiali coperti di rosso che hanno trovato abbandonati sul suolo della foresta, poco prima dell'orlo di un precipizio in fondo al quale non ha avuto il coraggio di guardare. La Quattrocchi ha avuto più fegato di lui, si dice certe volte mentre ascolta il ringhio rauco e sfinito al di là della porta; lei non ha atteso che la morte venisse a prenderla.

A volte basta un istante, a volte anche meno; per Nanaba è stato lo spazio di un secondo, lo spalancarsi allucinato dei suoi occhi, il fucile che si abbassava, il sollievo che sbocciava come un fiore già appassito in fondo alla sua voce- Mike, sei davvero...

A volte basta un istante, a volte anche meno, per ritrovarsi a giacere nel fango con il petto squarciato e i polmoni rovistati dalle zanne intrise di veleno di qualcuno di cui un tempo ti fidavi; una lezione che Levi non ha mai smesso di imparare, dal primo giorno in cui ha compreso che il mondo stava andando in pezzi fino ad adesso, rinchiuso in una casa abbandonata a giocare al gatto e il topo con un cadavere ambulante. È una questione di fortuna, come direbbe Erwin- tirare i dadi e provare a indovinare da che parte cadranno. Peccato che Levi sia sempre stato impedito con il gioco d'azzardo.

Ogni notte, il corteo degli amici che ha perso sfila in processione contro lo sfondo delle sue palpebre, ma questo è qualcosa che Levi capisce, che in qualche modo può affrontare; sono altri i ricordi che teme, le memorie che portano con sé l'amara consapevolezza che un tempo potesse esistere qualcos'altro a parte orrore e ossa sbiancate e la fame che non dorme mai, le immagini delle notti trascorse attorno al fuoco a raccontarsi che cosa avrebbero fatto una volta che avessero raggiunto un luogo davvero sicuro. Spente le fiamme, si sarebbe addormentato con l'orecchio premuto contro il battito regolare di un cuore che continuava a non arrendersi di fronte alla follia che sembrava costantemente sul punto di sopraffarli, il cuore dell'unica persona che Levi avrebbe seguito- seguirebbe- fino alla morte e oltre, se oltre la morte non fosse il luogo che è in tempi come questi.

Perché? Erwin gli avrebbe chiesto di tanto in tanto, qualcosa che si agitava oltre l'abisso del suo sguardo, una richiesta d'aiuto, forse, o l'ennesima domanda Non è nella tua natura seguire qualcuno; cos'avrei io di diverso?

Tu chiedi troppe volte perché, a domanda, risposta, e ormai c'era qualcosa di confortante in quello scampolo di quotidianità Ho detto che mi fido di te e lo pensavo sul serio. Se qualcuno può tirarci fuori da questa situazione, sei tu.

(non era vero, naturalmente- ma ormai non ha più importanza sapere chi fra loro due mentiva)

Erwin saprebbe cosa fare adesso, ma Erwin è morto e la cosa monta la guardia poco oltre il confine degli alberi, silenziosa e feroce e sicura; Erwin saprebbe cosa fare adesso, e forse la cosa peggiore è che in realtà lo sa anche Levi.

 

La notte del nono giorno, la creatura tenta di entrare.

Levi viene strappato al suo sonno dal raspare di artigli che grattano furiosamente contro il legno, accompagnato da un ringhio basso e costante che parla di una fame atavica e viscerale, un impulso che nemmeno il suo cuore ancora pulsante sarà in grado di spegnere. Per lo spazio di un secondo, è quasi tentato di cedere- sedere lì e aspettare che la morte gli cali addosso, abbandonare l'inutile pistola che ancora riposa nella sua mano destra e lasciare che siano altri a sbrogliare questo assurdo disastro. Che siano altri a lottare per portare avanti l'umanità, lui è stanco di proseguire senza sapere dove sta andando.

Ma si tratta di un istante, solo di un istante, e prima ancora che il pensiero abbia cessato di formarsi, Levi sa che non sarà questa la sua fine: non ha attraversato più orrori di quanto una sola vita dovrebbe contemplare solo per finire i suoi giorni nella bocca di uno di quei mostri contro cui ha lottato fino ad adesso. Non ha mai avuto una direzione, non lui, ma tutti gli amici che gli sono stati strappati sì e loro non meritano che l'unica persona che ancora può ricordarli abbandoni la battaglia come un fottuto codardo.

Levi arma il cane, punta la canna della pistola contro la porta, contro lo stipite che trema e vibra sotte le spinte sempre più decise della creatura. Un solo colpo. Un'unica occasione, ma basterà. Deve farsela bastare.

"Fossi in te, lascerei perdere" quanto è roca la sua voce, dopo giorni passati a marcire nella sua gola "Se devo piantarti un proiettile nel cervello, lo farò".

Non si aspetta davvero che funzioni. Troppe volte ha visto i non morti ignorare le suppliche disperate di quelli cui stavano affondando i denti nelle carni, troppe volte lui stesso ha dovuto staccare la testa a chi fino a poco prima era un alleato. Così, il suo cervello non registra subito il graduale affievolirsi dello stridio di unghie contro il legno, il ruggito che lentamente cede il posto a un cupo brontolio, simile a quello di un cane che si sia visto negare l'osso. Levi rimane immobile, l'orecchio teso a seguire il tonfo di passi che si fanno sempre più lontani fino a sparire del tutto, inghiottiti dall'ululato dei lupi e dal frusciare del vento negli alberi.

La mano armata gli ricade contro il fianco come quella di una marionetta ormai priva di fili. Vorrebbe poter dire di essere terrorizzato, ma la verità è che il suo cuore segue sempre lo stesso ritmo, come se nulla fosse accaduto. È passato il tempo in cui tutto andava ancora abbastanza bene da spaventarsi.

Tornerà, è una certezza, quella vibrante nella voce di Erwin, È impossibile che si arrenda così facilmente.

"Lo vedo da me, stronzo" Levi sbotta al vuoto nella stanza "Non c'è bisogno che me lo faccia notare tu".

 

L'alba che annuncia la nascita del decimo giorno trova Levi in piedi sulla soglia con una mano avvolta attorno alla maniglia e l'altra che serra ancora il calcio ormai tiepido della pistola. Il mondo attorno a lui rinasce sotto un manto del colore del sangue e se chiude gli occhi ancora riesce a vederli, arabeschi vermigli che si intrecciano contro il buio delle sue palpebre e delineano i contorni di tutto ciò che potrebbe divorarlo. L'aria che lo circonda è immobile come una lastra di ghiaccio in procinto di spezzarsi ed è così che anche lui si sente- l'unica differenza è che lui non sarà tanto fortunato da andare in pezzi, se qualcosa dovesse andare storto.

Se continui a pensare a tutto quello che potrebbe accadere, non varcherai mai quella porta. Se davvero è destino che tu muoia qui, almeno saprai di aver lottato fino alla fine.

"Facile dirlo, per te" questo, non è sicuro di averlo detto a voce alta "Scommetto che tutto sembra molto pù semplice, quando si è morti".

Stavolta, non riceve risposta. Ma non è importante. La verità è che dentro di sé ha sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato e proprio per questo ha esitato fino all'ultimo secondo possibile. E c'è una parte di lui, quella minuscola stupida parte che sussurra che non è ancora troppo tardi, che se si decide a compiere questo passo non potrà più tornare indietro, che ha giurato che sarebbero arrivati fino alla fine insieme e se rinuncia adesso niente di tutto questo avrà più avuto senso...

Ma ormai è tardi per i rimpianti. Lo era allora, quando tutti insieme credevano che sarebbero riusciti a superare l'inferno e lo era dieci giorni fa, quando l'unica persona che aveva giurato di non perdere mai ha varcato quella stessa porta che ora lo protegge per non fare ritorno. Erwin non avrebbe esitazioni, Erwin al posto suo avrebbe fatto quello che doveva già da molto tempo e Levi ha giurato a sé stesso che si sarebbe fidato del suo giudizio, che l'avrebbe seguito anche in fondo al baratro, se fosse stato necessario. E così è stato, in fondo al baratro e anche più giù, da dove nemmeno lui è riuscito a risalire.

Dopo aver tratto un profondo respiro, Levi abbassa la maniglia.

 

Il mondo che lo attende al di fuori è incendiato dalla luce nascente, dorata e calda e talmente intensa da costringerlo a chiudere gli occhi per non restarne accecato. Lontano, verso l'orizzonte, le montagne si stagliano nere contro il rosa del cielo e lo sguardo di Levi le rincorre per pochi, brevi secondi, prima di tornare alla foresta che si stende attorno alla casa come un abbraccio mortale, verde lì dove il bagliore del sole le sfiora prima di cedere il passo a un'oscurità molto più fitta, il buio dentro cui da sempre si annidano i mostri. È la vista di quella tenebra a ricordargli cos'è venuto a fare, per quale ragione non può semplicemente sedersi e assaporare la brezza che gli sfiora le guance, accontentarsi per un altro giorno di essere vivo.

"Erwin" la voce gli esce roca, dopo tanti giorni trascorsi in silenzio" vieni fuori. So che sei lì."

Per molti secondi, non succede nulla. Il sole continua a sorgere senza curarsi di lui, il vento stormisce tra le foglie e porta alle narici l'odore di terra bagnata, di fiori che attendono un tempo migliore per sbocciare, di qualcos'altro che non visto attende tra gli alberi e almeno per adesso non risponde al suo richiamo. È su quest'ultimo odore che l'attenzione di Levi si concentra, portando il suo sguardo su una macchia di alberi poco distante, lì dove qualcosa si muove, piano inizialmente, ma sempre più udibile mano a mano che la distanza tra loro si accorcia.

Il corpo di Levi si tende, i muscoli si accendono della tensione che prepara alla battaglia, ma il suo cuore segue lo stesso ritmo. Ha avuto abbastanza tempo per soffrire, ha avuto abbastanza tempo per accettare quel che doveva fare e la verità è che ha atteso fin troppo. Non è riuscito a salvare Erwin, gli deve almeno questo.

All'inizio è solo una sagoma scura come tutta il resto, visibile solo perché continua a farsi avanti in mezzo a tronchi che rimangono fermi. C'è qualcosa di innaturale nel suo modo di avanzare, come se lo scheletro non fosse in grado di sostenere il peso del corpo, braccia e gambe che affondano nell'aria con le movenze di una marionetta privata dei fili. Il tonfo dei suoi passi contro il terreno si allarga per tutto lo spiazzo, insieme con l'odore di morto che emana dalla sua carne, il sentore di sangue corrotto che serra ogni organo di Levi in una morsa e spinge il suo corpo a implorarlo di correre, fino a quando tra lui e la creatura ci saranno laghi e oceani e montagne. In altre occasioni il suo istinto l'ha salvato; questa volta, Levi lo ricaccia in un angolo remoto del suo cervello e attende che la cosa abbandoni definitivamente il delimitare del bosco, solo il pulsare ritmico contro i polsi e le vene a ricordargli che il tempo sta ancora scorrendo.

Non ringhia, come succede alle altre creature. Non emette alcun rumore. Si limita a camminare nella sua direzione, gli occhi due frammenti di vetri nella carne scavata e marcia, un misero intrico di linee a ricordare il volto che ha amato. Il braccio destro termina all'altezza della spalla, un vuoto infinitamente migliore della pelle grigiastra che pende dal moncherino, mossa leggermente dal soffiare del vento. Levi vorrebbe urlare, vorrebbe piangere, vorrebbe riuscire a vomitare via tutto l'orrore e il disgusto e l'assurdità, ma il calcio della pistola pesa alla fine del braccio e la gola è diventata troppo stretta per lasciar passare le lacrime.

Finalmente, la creatura che una volta era Erwin si arresta, pochi metri di terra bruna a dividere i loro piedi. Levi lo osserva dalla soglia della baracca e per assurdo che possa sembrare la cosa (Erwin) ricambia il suo sguardo, iridi azzurre scintillanti nella bruma del mattino, il volto immobile come quello di una statua, i capelli un tempo dorati che ricadono sulla fronte.

"Eccoti qui" Levi lo apostrofa nel mattino immobile "mi dispiace di averti fatto aspettare".

Dalla creatura non giunge alcuna risposta. Lo scruta come farebbe un bambino davanti ad un insetto particolarmente curioso, il capo appena reclinato verso una spalla, a lasciar intravedere la vena lacerata da cui biancheggia l'osso. Nell'istante in cui la voce di Levi raggiunge le sue orecchie, qualcosa si agita appena oltre le pupille morte, un lampo così vago ed effimero da lasciargli il dubbio di averlo scorto davvero.

Forse Hange aveva ragione quando diceva che qualcosa di quello che siamo rimane quando veniamo morsi.

Se davvero è così, allora non può permettersi di aspettare un istante di più.

Il suo braccio non trema quando lo solleva per puntare la pistola verso la fronte di Erwin; il cuore gli si serra solo per un attimo quando un raggio di sole sfiora il volto che troppo poco tempo fa rappresentava la sua ragione per andare avanti, ancora visibile oltre il velo di sporco e fango e morte che ancora cammina. L'aria che gli colma i polmoni è fresca e pulita, persino in quell'atmosfera di morte, carica del profumo di pioggia e dell'erba che riprende calore. Levi darebbe qualsiasi cosa perché il tempo si fermasse adesso, prima di costringerlo a compiere l'irreparabile, prima di portarlo un passo più avanti oltre il baratro e verso la sopravvivenza.

Almeno uno di loro deve andare avanti. Se non altro per dare un senso a tutto quel che hanno perso finora.

Levi preme il grilletto.

Prima ancora che Erwin rovini a terra, sa di aver centrato il bersaglio; non ode nulla, non il boato dello sparo, non il tonfo del corpo che lento si accascia nell'erba, non l'ultimo respiro rantolato della morte che finalmente muore; l'unica cosa di cui è consapevole sono gli occhi azzurri fissi nei suoi, più brillanti del cielo che si srotola sopra le loro teste e il muto, veloce messaggio che parte da essi. Grazie.

Forse la Quattrocchi aveva ragione, dopotutto.

Non sa per quanto tempo rimane lì, ad osservare la sagoma riversa sul terreno, sperando, illuso fino all'ultimo, che le ultime ore non siano state altre che un sogno, che Erwin si leverà in piedi per guidarlo di nuovo, forte e dorato e teso verso un orizzonte che solo lui riesce a vedere. Come se non sapesse che d'ora in avanti dovrà proseguire da solo, che da oggi fino alla fine dei suoi giorni il peso della battaglia graverà solo sulle sue spalle. Meglio così, una parte di Levi si sorprende a pensare. Erwin ha già lottato abbastanza per tutti e due. È giusto che non debba più preoccuparsi.

Il sole è definitivamente sorto quando Levi abbandona finalmente la foresta, respirando a pieni polmoni la brezza tagliente della montagna, la promessa di un mondo che un giorno tornerà ad essere accogliente. Non si è guardato indietro neanche una volta.

Ho una sola cosa da dire a mia discolpa.
... perché no?
-Storia di Saitou-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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