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Autore: Signore_Oscuro    07/01/2021    1 recensioni
L'amore di un genitore non conosce limiti, né si arrende di fronte agli ostacoli. Neppure di fronte alla nera signora...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Papà, prima di dormire mi racconti una storia?» domandò con due grossi occhini da cucciolo la bambina al proprio padre, seduto su una seggiola accanto al letto della figlia.
«Una storia, dici?...» ripeté lui, volgendo il proprio sguardo sulla libreria dalla parte opposta della stanza e ricolma di libri di ogni tipo.
«… Quale storia ti piacerebbe sentire?».
«Quella di Cappuccetto Rosso, o quella di Biancaneve!».
«Ma le sai a memoria ormai, e molto meglio di me!» sbuffò l’uomo, quando ad un tratto parve illuminarsi.
«Ho un’idea! Stasera ti racconterò una storia diversa da tutte le altre, fuori dal comune! Cosa ne pensi?».
«Sì! Una nuova storia!» esultò gioiosa la bambina, rimboccandosi le coperte.
L’uomo si schiarì allora la voce, indirizzando lo sguardo verso la finestra.
«Questa storia inizia nella stanza di un ospedale. Era il 3 Giugno 2013, ed una giovane donna aveva appena avuto una bellissima bambina…»
 
… “Una gioia che mai avevo provato prima cresceva dentro di sempre più; era andato tutto bene, e la bambina era sana come un pesce. Cos’altro potevo desiderare?
Più la tenevo tra le mie braccia più me ne innamoravo follemente; aveva gli stessi occhi verdi di suo padre. Splendidi.
«Benvenuta al mondo, piccola mia» le bisbigliai mentre la guardavo dormire tra le mie braccia, quando un improvviso rumore di passi, proveniente da dietro la porta della stanza, attirò la mia attenzione.
Avrei riconosciuto quel passo fra altri mille.
«Ryan…».
La porta si spalancò, ed un ragazzo fece la sua comparsa all’interno della stanza tenendo i suoi grossi occhi verdi fissi su di me.
Lo riconobbi all’istante; merito anche della vistosa cicatrice che sfoggiava sulla guancia sinistra, ricordo di una sua vecchia avventura.
«Elisabeth!».
In quel momento una lacrima mi segnò il viso; vederlo lì con me mi rasserenò.
«Ciao» mormorai con voce stanca e sorridendogli.
Lui mi si avvicinò in punta di piedi; probabilmente non voleva svegliare la piccola.
Si chinò su di me e mi diede un bacio sulla fronte; la sua barbetta mi fece il solletico.
«Com’è andata?».
Gli sorrisi. «E’ andato tutto bene. La bambina sta bene ed è sana come un pesce».
«E tu come stai?».
«Stanca ma bene. Ho solo bisogno di una bella dormita. Dopo l’attività di oggi, direi che me la merito» gli sorrisi.
Ryan ridacchiò, fissando poi la piccola che tenevo tra le braccia. «E’ bellissima».
Sembrava stesse cercando di trattenersi dal piangere.
«E’ tutta il suo papà…» gli dissi. «… Ha i tuoi stessi occhi».
«Vorrei chiamarla come te: Elisabeth» mi disse, ma io non mi trovavo d’accordo con la sua decisione.
«Io pensavo più ad un nome come Samantha»
In quel preciso istante diversi dottori entrarono nella stanza, cogliendoci di sorpresa ad entrambi.
«Lei è un parente?» domandò uno di loro a Ryan, fermo in piedi accanto al letto.
«Sono il compagno» rispose lui.
«Oh, ho capito. Beh auguri, è una femmina!» avvisò l’uomo, avvicinandosi a lui e stringendogli la mano.
Un’altra dottoressa, subito dopo, gli chiese di uscire dalla stanza. Il tempo delle visite era finito.
Ryan annuì e si voltò verso di me, dandomi un bacio.
«Resisti Elisabeth. Ci rivedremo presto, te lo prometto» mi sussurrò dolcemente.
Un’altra lacrima mi scese lungo la guancia al sentire quella promessa. La voce mi moriva in gola.
«Ryan?» lo chiamai, fermandolo.
Lui mi fissò dritta negli occhi e mi sorrise.
«Dimmi».
Aprii la bocca ma non riuscii a parlare. Era una sensazione terribile.
Lo vidi fissarmi in silenzio, forse nel tentativo di interpretare il mio sguardo. «Va tutto bene?».
Annuii, mostrando un falso sorriso ed asciugandomi con la mano la guancia.
“Ti prego, ricorda che ti amo” furono le uniche parole che riuscii a dirgli, prima che nuove lacrime mi segnassero ancora il viso.
Lui mi prese la mano e mi rispose “anch’io ti amo, e non ti lascerò mai. Nemmeno se finirò i miei giorni su questa terra”.
«Mi scusi?» si intromise nuovamente la dottoressa, interrompendoci e richiamando Ryan.
«Ora vado, prima che qui operino pure a me» mi bisbigliò lui, salutandomi con un ultimo bacio ed uscendo dalla stanza.
Quella fu l’ultima volta che lo vidi.
 
Una settimana dopo andai al suo funerale insieme a mia madre. Ryan aveva perso la vita in un incidente il giorno stesso in cui venne a trovarmi per l’ultima volta.
Nel cimitero c’era una grande folla; amici, parenti, suoi compagni di vecchia data. Tutti, quel giorno, erano lì.
Volevo aspettare che la gente si dileguasse, per poter dare libero sfogo al mio dolore senza che nessuno mi vedesse, quando una voce familiare mi colse di sorpresa.
«Stai solo perdendo il tuo tempo, Elisabeth» mormorò all’improvviso quella sgualdrina della mia matrigna da dietro le mie spalle.
Il saperla lì in quell’occasione mi faceva ribollire il sangue. 
Iniziai ad interrogarmi sul perché della sua presenza al funerale di una persona che ha odiato, deriso ed attaccato con tutta sé stessa dal primo momento in cui lui era entrato nella mia vita.
«Ne devi proprio avere di coraggio, per presentarti al suo funerale. Considerando che non vedevi l’ora che lui sparisse dalla mia vita… Immagino che ora ti sentirai realizzata, visto che tutto è andato come desideravi».
«Oh, suvvia mia cara, lo sapevamo entrambe che quel ragazzo non era adatto per te. Tu meriti molto di più».
Quel suo modo di atteggiarsi mi fece andare su tutte le furie, ma la rabbia passò quasi all’istante.
Vidi la bara venire ingoiata lentamente dalla terra, e il dolore prese il sopravvento.
«Perdonami Ryan». 
Le lacrime iniziarono a scendere copiose.
«Direi che abbiamo perso anche troppo tempo per oggi. Vieni, torniamo a casa Elisabeth» mi incitò la mia matrigna, prendendomi a braccetto e portandomi fuori dal cimitero.
 
Poco tempo dopo avvenne un altro incidente; la donna delle pulizie ricevette due poliziotti sulla porta di casa. Ci dettero la notizia della morte di mio padre e della mia matrigna, morti in un incidente mentre tornavano a casa.
In un primo momento pensai ad uno scherzo di cattivo gusto, ma poi, quando capii che non era una burla, riflettei su quando il destino, alle volte, riusciva ad essere quasi ironico.
Erano morti nello stesso modo in cui morì Ryan.
Da quel giorno le cose andarono di male in peggio.
Avevo perso il ragazzo che amavo, avevo perso mio padre. Non avevo un lavoro e non sapevo come potermi occupare di mia figlia. Ero disperata.
Cercai di combattere con tutte le mie forze contro le difficoltà che mi si paravano davanti agli occhi ogni maledetto giorno, ma purtroppo, si sa, anche il più forte dei guerrieri non può nulla contro la volontà del destino.
Una sera, l’ultima sera, andai in cucina e presi un coltello. La bambina, nell’altra stanza, stava piangendo.
Con il coltello stretto nella mano andai nella camera della piccola e mi fermai davanti alla sua culla; piangeva come una disperata.
Iniziai a piangere come mai avevo pianto in vita mia, mentre alzavo la mano verso l’alto, pronta a commettere il più grande peccato che una madre potesse mai fare.
«Perdonami piccola mia… presto sarà tutto finito» mormorai in lacrime, quando qualcosa mi fermò.
Avvertii una strana sensazione, un’insolita brezza nella stanza che, per un attimo, mi mise i brividi.
Un’ombra attirò la mia attenzione in un angolo buio della stanza.
Iniziai a tremare, ero terrorizzata. Non sapevo cosa stava succedendo.
«Ferma la tua mano…».
Una voce che mi suonava familiare mi provocò ancor più terrore.
Lasciai andare il coltello che cadde sul pavimento, vicino alla culla, ed avanzai a piccoli passi verso l’ombra.
Questa ad un tratto svanì, così com’era comparsa.
Nella camera eravamo di nuovo io e la bambina.
Feci per voltarmi verso la porta, quando sentii una sensazione simile ad una carezza sulla guancia; una carezza che riconobbi subito.
Le gambe mi cedettero, e caddi in ginocchio sul pavimento in lacrime.
Davanti a me, un ragazzo mi fissava con i suoi grossi occhi verdi restando in silenzio.
La voce mi era morta in gola. Aprii la bocca ma non emisi alcun suono.
Come poteva essere lì, davanti a me?
Mi fece cenno di stare in silenzio. Si avvicinò a me, e sentii le sue labbra posarsi sulle mie.
«Sono venuto a riprendermi ciò che è mio» disse con voce calma, quando sentii una fitta tremenda al ventre.
Abbassai lo sguardo sulla chiazza rossa che si espandeva a vista d’occhio sulla mia maglia; il coltello, nella mano di lui, sembrava pianger sangue.
Il dolore durò ancora per poco, poi tutto divenne buio.”
 
«Ma papà! Che storia brutta!» esclamò la bambina nel letto, lamentandosi.
«Come? Non ti è piaciuta?» le domandò il padre ridacchiando.
«No! E’ una storia triste! A me non piacciono le storie tristi!».
«Anche Biancaneve è triste. Viene avvelenata da una mela» ribatté lui in risposta.
«Ma poi il principe la salva».
«Capirai…» sbuffò l’uomo, alzandosi dalla sedia.
«Papà, qual è la morale di questa storia?» insistette la piccola trattenendo il genitore.
«La morale? Che ne sai di che cos’è una morale? Non sei ancora un po' troppo piccola?» ridacchiò l’uomo che poi rifletté.
«…La morale…».
Rimase in silenzio per lunghi secondi, poi posò gli occhi sulla figlia che lo fissava impaziente della risposta.
«Non volere mai del male alle persone, perché questo, prima o poi, tornerà indietro».
«Ti riferisci alla matrigna della ragazza?» le domandò la bambina spinta dalla curiosità.
«Esatto, proprio così» rispose lui, avvicinandosi al letto e dando un tenero bacio sulla fronte della bambina.
«Ora dormi Elisabeth, è tardi».
La piccola annuì sorridendo.
«Papà, posso chiederti una cosa?» domandò poi.
«Certo, che cosa tesoro?».
«Come te la sei fatta quella cicatrice che hai sulla guancia?» chiese, indicandosi la guancia sinistra.
«Questa dici?… Oh, beh… è stato un incidente».
«E perché anche la mamma ha una cicatrice sulla pancia? Ha avuto anche lei un incidente come te?».
«Sì, proprio così amore» le rispose il padre sorridendole, prima di spegnere la lucetta della camera e di uscire dalla stanza.
«Buona notte piccola mia».







-Angolo Autore-

Ciao a tutti ragazzi, ho ponderato a lungo sulla pubblicazione di questa storia che altro non è che un vecchio progetto di scuola di diversi anni fa, scritto dal nulla per un piccolo concorso.
Alla fine ho pensato di condividerlo con voi tutti nella speranza che possa piacere o anche solo incuriosire :)
Critiche, consigli ed opinioni sono ben accetti!
   
 
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