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Autore: Domenico De Ferraro    09/01/2021    0 recensioni
Stasera vorrei parlare con qualcuno dei miei problemi di garzone di bottega . Oppure in alternativa , vorrei mettermi in auto e andare dove mi pare , per la città da solo con le mie lacrime , con l’amore che mi costringe a scendere in basso, fin laggiù nelle viscere della mia città , dai tanti volti e dalla tante musiche. Vorrei provare a raccontare di quella volta che ho provato a volare in alto , ed era troppo tardi per giungere vicino alle grigie nuvole . O di quando provai a rincorrere un treno ma era già tutto , troppo tardi , poiché era ripartito verso un'altra città. Rimasi di stucco sapere che molti dei miei amici erano partiti via . Rimasi con una lacrima nel palmo di mano , mentre il treno da Roma mi riportava a Napoli e alla stazione di latina vidi una coppia stringersi nell’aria gelida di gennaio. O come quella volta che andai a Mosca , senza maschera.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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QUANDO ERAVAMO GIOVANI E FORTI
 
LE DISGRAZIE DI UN GARZONE
 
 
Stasera vorrei parlare con qualcuno  dei miei problemi di garzone di bottega  .  Oppure in alternativa , vorrei mettermi in auto e andare dove mi pare , per la città da solo con le mie lacrime , con l’amore che mi costringe a scendere in basso, fin laggiù  nelle viscere della  mia citta , dai tanti volti e dalla tante musiche. Vorrei provare a raccontare di quella volta che ho provato a volare  in alto , ed era troppo tardi  per giungere vicino alle  grigie nuvole .  O di quando  provai a rincorrere  un  treno  ma era già tutto , troppo tardi , poiché era ripartito verso un'altra città.  Rimasi  di stucco sapere che  molti dei miei amici erano partiti via .  Rimasi con una lacrima nel palmo di mano , mentre  il  treno   da Roma  mi riportava a Napoli e alla stazione di  latina  vidi una coppia stringersi  nell’aria gelida di gennaio.  O come quella volta che andai a Mosca , senza maschera.
Ed ora , vi racconto lo squallore di una vita vissuta a ore, di gente che non sa più far l'amore. Mi sembra di capire che non sarà una bella cosa riprendere questo treno che mi riporterà  a Napoli. E gli angeli sono sempre li a guidare questo treno che corre  veloce nella  fredda sera dell’inverno maturo,  verso casa.   Vi  vorrei parlare  della  mia malinconia , del mio  vivere in periferia, del tempo grigio che mi porta via spesso  in altre illusioni e storie senza tasche. Lo so non ha importanza vivere a metà , forse  vale la pena  continuare a sognare perché non si paga .  Come  andare fino in fondo a ciò che crediamo giusto . Ed il treno è  un lungo verme che striscia nello scheletro del cadavere della nazione  , sulla schiena piegata dalla fatica ,  in mille antropomorfe situazioni che  inibiscono la realtà e mi  fanno dirigere verso una nuova azione . Una lepre  è  questo treno , fila veloce verso il fondo di questa storia.  Ed io vi racconto la mia vita,  il mio passato,  il mio presente, anche se a voi , lo so, non importa niente. Io vi racconto settimane,  passate in angosce sovrumane, vita e tormenti di persone strane. Di gente senza domani che  continuano a vivere  d’espedienti che sognano  da sempre di andare a vivere,  dove c’è tanto sole,  dove c’è un nuovo  amore ed  un utopia in più di nome Maria.  Vi vorrei continuare a  raccontare  di domeniche feroci , passate ad ascoltare le voci, di amici reclutati in pizzeria.  Di tanta gente che vive e non capisce niente,  alla ricerca di un po' d'allegria. Ma tutto questo , voi  già lo sapete  o  credete   di saperlo ,  perché tutti  voi  sapete bene  di che pasta sono  fatto.
 
Queste sono le mie angosce  . La sera oscura , mi prende per mano e mi porta dove  non c’è molto  piacere a sciacquare nuovi bicchieri al bar dove lavoro .  Dove si può  ambire ad essere chi si vuole  nei propri ideali musicali  , liberi  come una mosca ballerina sopra un sacco di carbone. E con la mia volontà,  ho fatto un patto che mi costringe a guardare negli occhi della verità . Trascendo  in  una lunga scia di perché ,  come quella  gente che va ed esce da questo mio racconto  di essere e non essere alfine  una mosca o una maschera.  
 
Quanti anni dovrò attendere  ancora perché tutto si ricomponga in questo mosaico narrativo. E continuo a lavorare entro questo bar come garzone. Lavo,  sciacquo bicchieri ,pulisco per terra , la mosca è  sempre li che mi guarda dispettosa e divertita. La  mosca , potrebbe essermi  amica,  invece ha deciso di essermi nemica. Va raccontando a tutti i suoi amici delle mie  debolezze  , dei miei mancamenti , di quando ero un ragazzo  incapace , di come  caddi  per terra quella volta  con la faccia nella neve.
 
Porto in tavola una torta di mele con su piantate venti candele e lo spumante dell'anno scorso, tenuto in frigo, rimasto lì.
Porto in tavola la commozione,  tutti i ricordi della mia  giovinezza, la ruota gira, gira il timone dirige la nave sul mare della  tristezza.
Fa capolino un poco di rabbia, fa capolino una vita schifosa, fa capolino il giorno in cui mamma diede il suo frutto di giovane sposa.
Eccolo lì il mio ragazzo dice a tutti gli invitati ,  eccolo lì giovane e forte, non avrà mai paura della morte,  non farà mai la mia sporca vita.  Ed io sorrido e ripeto :  si non farò mai la tua sporca vita.
E la guerra non c'è più ormai, la guerra è finita.
Suonano  alla porta, un poco di gioia, tra noi   bambini , mentre mia  sorella mi tira un calcio negli stinchi  . I grandi  vengono a fare la festa con noi , perché oramai  si annoiano di essere grandi . Qualche regalo,  pochi euro  per ringraziare dell’ospitalità .  Non so  cosa dire, mia  madre  mi  tira a se e mi dice  hai visto  non  sei contento , c’è pure tuo nonno e tuo padre.
 
Bevo e faccio finta di non vedere , cosa è questa vita come diventerà , questa citta tra cinquant’anni , quando la mosca sarà morta.  Ed io alla sua morte ,  gli farò  un bel funerale , con  un carro trainato da tre cavalli neri ed uno bianco , guidato da un cocchiere ubriaco a galoppo lungo le strade della mia città  . E la fiaba ,  prosegue,  quella dei morti viventi che ballano nell’aria, qualcuno sale a salutare   l’anno nuovo dalla  torre del campanile della chiesa principale.   Questa è una storia che fa agghiacciare la pelle. Ed una signora  distinta la racconta sempre a sua figlia , prima di andare a dormire. Una fiaba è una fibbia di scarpe è una febbre che sale lentamente. E la povera madre , spaventata chiama il dottore . La fiaba potrebbe finire in fondo come è  furono tutti  felici e contenti   senza varie interrogativi morali. Potrebbe essere una fiaba felice, potrebbe essere  quella cosa meravigliosa che ti rende  vivo  , ti rende umano .  Cosi di ritorno dal mio lavoro , come garzone mentre giro l’angolo verso il rettifilo  , vedo un rigattiere,  vendere la propria anima al demonio.  Purtroppo non è l’unico , la fila  è  lunga  ci sono tante  persone pronte a vedere la propria  anima per avere un posto in paradiso. Ma la morale  come su detto,  non è la regola  principale per capire chi siamo e cosa siamo destinati ad essere  in questa vita. Perché non esistono regole certe  e la confusione governa sovrana nella finzione  e nella sintesi a priori dell’oggetto nel soggetto come atto filologico che crea  quel valore morale  legato ad  un insieme di  varie dicerie   popolari.  
E si la strada è  lunga e capire non serve a molto. Ed  il semaforo scatta ogni cinque minuti ed a ogni segnalazione , aziona una circostanza che può condurre ogni uomo a prendere in seria considerazione che l’errore è  una forma organica dell’essere nel divenire.
C'è sempre un personaggio  nascosto in ogni vestito, dietro  ogni maschera in ogni sorriso, in ogni parola non detta, in un gesto, in ogni espressione del viso. C'è sempre un  personaggio  nascosto in ognuno di noi.  Forza andiamo incontro quell'uomo nascosto , andiamo a trovarlo. Cerchiamo di capire , cosa vuole. Da quanto tempo aspetta che scatti quel semaforo per andare incontro al suo destino. Ed un canto di libertà ,  vola nell’aria ed è  tutto poco serio, quasi  un sogno svanito tra le pieghe del tempo.
Sarebbe giusto capire noi stessi a volte
Non sparare cazzate,  piazza maggiore e piena  di figli dei fiori
che cantano sotto la luna .
Ho  un cartoccio di castagne arrostite , da offrire
Fai come vuoi il tempo , aspetta chiunque voglia donare
qualcosa di buono.
L’amore è  dunque una castagna bruciata
Continuo  a credere che qualcosa  un giorno cambierà
Io  ritorno  indietro
Io non voglio ritornare a dormire sotto i portici.
Cosa ci facevi  li in mezzo a tanti drogati
Sognavo  di essere qualcosa di diverso
Già  la vita vince sempre all’alba di un nuovo giorno.
Non voglio  continuare a suonare la mia chitarra per chi non crede nella libertà.
Sei triste figliolo ?
Sono solo  nell’inverno  ed aspetto l’estate
Forse mi hai convinto ora mi seggo ed aspetto anch’io
Questo treno tra poco partirà
Partiremo , mano nella mano
Andremo a Parigi ?
Insieme in  Russia
Sai che Freddo
Non hai una donna da portare con te  ?
Solo questa chitarra
Dai suonaci qualcosa
Faccio un giro in sol maggiore
Siamo in piazza maggiore
Incantevole  luogo all’ombra di San Petronio.
Quanti uomini e quante donne si nascondono dietro una maschera
Non lo so , io  aspetto il prossimo treno per ritornare a casa.
C'è  ancora , chi si nasconde in un'anima pura e vive evitando i peccati mortali. C'è  ancora  qualcuno , rammenta che  si nasconde,  facendo  del male  e chi tutti i giorni  dopo  una buona azione, ritorna a casa con il suo cuore a pezzi.  C'è  ancora chi si nasconde in una chitarra come te  e canta canzoni a chi non conosce, c'è chi si nasconde  tra un paio di cosce e chi si fa solo i fatti suoi. C'è un uomo  buono nascosto in ognuno di noi. Ma ora andiamo compagni  da  quel personaggio  nascosto in quella coscienza ,  andiamogli incontro  come un tempo,  come  quando  pensavamo di essere  vivi,  come  quando eravamo giovani e forti.   
 
Si bisogna andare, fino in fondo  a tutto,  in fondo a noi, in fondo agli argini del mondo, alla paura che mi fanno tutte  quelle persone che mi guardano , ogni giorno , passare per la piazza da solo con le mani in tasca . Fino in fondo alle tue cosce, intorno  ai tuoi fianchi, tondi  , fino alle ai tuoi seni gonfi di latte materno , fino ai miei timori alle mie  angosce. Fino in fondo alla pianura, all'orizzonte della città.  Fino in fondo alla periferia,  dove vivo con tutte le sue fabbriche e gendarmi  ed operai arrabbiati che s’ubriacano in osteria.  Lo so fino in fondo ,  non troveremo nemmeno un'ombra per riposarci.  In fondo dove sarà fatica, sarà sudore,  l'esser sincero mi salva dal giudizio  di essere qualcosa di diverso.  In fondo  tutto rimane  coperto , sotto la neve , sotto un tetto, sotto lo stesso mantello nero. E se domani la mia giacca di garzone sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato , come  lo fu mio  nonno.
 
Alcune strofe  sono state tratte dal canzoniere di  Lolli.
 
   
 
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