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Autore: Futeki    10/01/2021    14 recensioni
Scorpius e Albus sono amici dal giorno in cui si sono conosciuti sull'Espresso per Hogwarts e il loro rapporto è cresciuto negli anni, portandoli a contare sempre l'uno sull'altro. Ma cosa accadrebbe se uno dei due si rendesse conto di provare per l'altro qualcosa di più di una semplice amicizia?
Aveva avuto paura, Scorpius, quando si era scoperto a guardarlo diversamente dal solito – o era il modo in cui lo guardava di solito a essere diverso da come avrebbe dovuto?
Albus pareva in attesa, forse di una parola o un cenno che spiegassero cosa gli passava per la testa, o forse perché, tutt’a un tratto, il suo migliore amico doveva aver cominciato a sembrargli troppo distante. E lui avrebbe voluto dirglielo, che la distanza non era niente, che non era abbastanza, perché non si può sfuggire a qualcosa che ti sta aggrappato al cuore in maniera così invasiva. E invece tacque.

[Storia vincitrice dell'Oscar per il Miglior attore protagonista, giudice Sia_, agli Oscar della Penna 2022 sul forum Ferisce più la penna.]
[Storia partecipante al “New Generation Contest” indetto da Roxanne Potter/Veronique97 sul forum Ferisce più la penna]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Anima nuda'
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Se n’era reso conto un pomeriggio d’inverno, sotto la luce insofferente di un sole pallido, e la sua reazione era stata fuggire, se da lui o da se stesso non gli fu mai chiaro. Il frastuono della consapevolezza lo aveva inseguito e raggiunto, scacciando il velo opaco del dubbio con la delicatezza di un tornado che si abbatte su un dente di leone, appena abituato a flettersi sotto una brezza leggera. Sradicato dal suo terreno da una forza sconosciuta – forse nemica o semplicemente nuova – Scorpius ne era stato completamente sopraffatto, solo per scoprire, in seguito, che il suo passaggio non aveva lasciato alcuna traccia visibile.

 

 

Non ne troviamo cicatrice

C’è una certa inclinazione di luce,

i pomeriggi d’inverno –

che opprime, come il peso

di musiche di cattedrale –

Una ferita celeste, ci apporta –

non ne troviamo cicatrice,

ma una interna differenza –

dove stanno i significati –

Nessuno può insegnarla – altrui –

è il sigillo la disperazione –

un’imperiale afflizione

inviataci dall’aria –

Quando viene, il paesaggio ascolta –

le ombre – trattengono il fiato –

quando va, è come la distanza

nell’aspetto della Morte.

 

(E. Dickinson)

 

 

Risvegliarsi era lottare contro gli abissi che lo risucchiavano intrappolandolo in un turbinio di ombre, e la luce che lo investì attraverso le palpebre chiuse mentre riprendeva conoscenza era una ferita che lo invitava a lasciarsi scivolare di nuovo a fondo.

Scorpius inspirò, scoprendo che era ancora in grado di espandere i polmoni, nonostante le piccole fitte di dolore provenienti da tutto il corpo. L’aria gli bruciò la gola, riportandogli alla bocca l’eco del sapore amaro di qualcosa che dovevano avergli fatto bere mentre era incosciente.

Aprì gli occhi e riconobbe immediatamente il soffitto dell’infermeria, che si era ritrovato a fissare durante lunghissime notti insonni a seguito di infortuni dovuti al Quidditch. Tuttavia, quella volta stava appena calando la sera, lo dedusse dalla luce rossastra del sole morente che attraversava le ampie finestre, gettando un alone infuocato sui letti vuoti. Il pulsare doloroso del suo braccio sinistro gli rammentò che c’era una ragione più che valida se era stato affidato alle cure di Madama Chips, perciò provò a muovere la testa per guardarsi e fare l’inventario dei danni.

«Sei sveglio», osservò una voce tranquilla, mentre uno strappo all’altezza dell’addome gli causava una smorfia di sofferenza. Albus gli si avvicinò, per entrare nel suo campo visivo senza costringerlo a sollevare la testa. «Ricordi cosa è successo?»

Una scoperta come un lampo di luce, il riflesso del sole invernale sui suoi capelli, una paura soffocante e poi la fuga.

Ricordava eccome, Scorpius, di aver mormorato parole di scuse ai suoi compagni e di essere – scappato – andato via, senza sapere bene perché e senza alcuna idea sulla direzione da prendere.

«No.»

Albus gli rivolse un’espressione affettuosa, celando a stento la preoccupazione. «Hai avuto un incidente con il Platano Picchiatore.»

L’affiorare di un mezzo sorriso gli rivelò che aveva un labbro gonfio e tumefatto, ma Scorpius non riuscì a trattenere l’ilarità. «Ora è tutto chiaro.»

Chiaro era stato soltanto il bisogno di allontanarsi, quindi aveva scelto una direzione a caso e messo in moto le gambe, ma non avrebbe dovuto saperlo, forse, che non si può sfuggire a un pensiero?

Aveva camminato a lungo, distratto dalle proprie riflessioni, e non si era accorto di quanto si trovasse pericolosamente vicino all’albero magico finché un ramo non si era abbattuto sul suo polpaccio destro.

«Qual è il verdetto?», domandò, cercando di mantenere un tono leggero.

«Contusioni e abrasioni ovunque, qualche escoriazione e una botta in testa che ti ha fatto perdere i sensi, ma che Madama Chips ha escluso essere pericolosa», replicò Albus, tenendo il conto con le dita delle voci dell’elenco. «La ferita al braccio, invece, ha richiesto dei punti.»

Scorpius spostò lo sguardo verso l’origine del dolore più intenso. Strinse il pugno sinistro e vide l’avambraccio gonfiarsi sotto le bende intrise di sangue. «Fa male», disse in tono neutro, più come una riflessione che non per lamentarsi.

«La fasciatura va cambiata», spiegò Albus, guardandosi intorno. «Vado a cercare Madama Chips per dirle che sei sveglio.»

«No, aspetta.»

Aveva parlato senza riflettere, come senza riflettere aveva provato a scappare – da chi? Lui o se stesso? – ed era finito contro un albero e poi in infermeria. Albus lo guardava, in attesa che aggiungesse altro, e Scorpius desiderava solo essere capace di maggiore autocontrollo, per scegliere con più cura ogni parola da pronunciare, ogni azione da compiere.

Veleno era stata quell’idea che aveva messo radici nella sua testa – perché un pensiero è forse l’unica cosa davvero irreversibile del mondo e la consapevolezza un peso opprimente sull’anima – quando il frastuono della conoscenza aveva sovrastato il piacevole silenzio dell’ignoranza.

«Ti manderà via, se la chiami», spiegò in un sussurro, una resa – a chi? Lui o se stesso? – che gli costava più di quanto avrebbe voluto e a cui giurava, internamente, di non piegarsi mai più.

Albus lo guardò perplesso, poi sorrise. «Allora devi proprio decidere», asserì divertito, «me e il braccio dolorante, o una fasciatura meno stretta?»

«Te», rispose lui immediatamente, la prima infrazione a quel giuramento che riformulò, silenziosamente, mentre pregava di riuscire ad attenervisi.

Se Albus ne fu confuso, non lo diede a vedere. Iniziò a sciogliere le bende, tastando con dita delicate il suo avambraccio e concentrandosi per non fargli male. Scorpius rimase in silenzio: il dolore strisciante del tessuto contro i lembi della ferita era un gradito promemoria della superiorità della carne e spazzava via ogni voluta di quel fumo che gli annebbiava la mente.

«Conosci un incantesimo?», domandò Albus, ancora concentrato sul rimuovere gli ultimi strati di bende.

«No.»

«Allora faremo alla vecchia maniera.»

Il taglio era netto e profondo, squarciava il braccio parallelamente al senso in cui correvano le vene bluastre sotto la pelle chiara, nello stesso punto in cui suo padre aveva il Marchio della sua appartenenza, in una vita passata, alla fazione oscura al seguito di Lord Voldemort.

«Resterà una brutta cicatrice», gli fece notare l’altro, in tono contrito.

A Scorpius però non importava, perché aveva imparato fin da piccolo a non dare troppo peso ai segni visibili. Sapeva per esperienza che quelli più importanti non lo erano, perciò, mentre fissava le mani del suo migliore amico che pulivano delicatamente la ferita dal sangue rappreso, realizzò che in verità non gli dispiaceva affatto avere addosso una traccia di quel giorno in cui tutto era cambiato.

«Va bene così», mormorò.

Albus interruppe il suo lavoro per alzare gli occhi su di lui. Verdi, come il colore che aveva sempre immaginato che avrebbe avuto la vita, se avesse dovuto attribuirgliene uno; verdi come foreste di alberi rigogliosi, distese d’erba infinite, rampicanti che rivestono il freddo grigio della pietra di un’esistenza nuova. Un raggio di luce debole tra i suoi capelli scuri, dissimile e uguale a quello di qualche ora prima, che lo aveva turbato e spinto a fuggire – da chi? Lui o se stesso? – lontano, senza meta.

Aveva avuto paura, Scorpius, quando si era scoperto a guardarlo diversamente dal solito – o era il modo in cui lo guardava di solito a essere diverso da come avrebbe dovuto?

Albus pareva in attesa, forse di una parola o un cenno che spiegassero cosa gli passava per la testa, o forse perché, tutt’a un tratto, il suo migliore amico doveva aver cominciato a sembrargli troppo distante. E lui avrebbe voluto dirglielo, che la distanza non era niente, che non era abbastanza, perché non si può sfuggire a qualcosa che ti sta aggrappato al cuore in maniera così invasiva. E invece tacque.

«Non posso lasciarti solo nemmeno per un momento», commentò Albus, tornando a pulirgli la ferita. «Appena mi distraggo finisci contro un albero.»

Scorpius prese a fissarlo – gli occhi verdi, i capelli scuri – e si sforzò di ridere per una battuta che avrebbe trovato divertente se non fosse stato distratto dal suo tumulto interiore, una ferita invisibile crudelmente aperta – in quel punto profondo in cui giacciono tutte le cose cariche di significato.

«Senti chi parla», provò a scherzare a sua volta, un tentativo che sperò non sembrasse troppo fiacco, «quanti danni hai fatto mentre io soffrivo tutto solo?»

La risata di Albus gli vibrò nelle orecchie e nel petto, strappandogli il primo sorriso sincero di quella conversazione, che tuttavia gli morì sulle labbra un istante dopo, congelato dall’angoscia che lo divorava.

«Nessuno, ho rimediato il compito di Trasfigurazione da copiare», si difese lui, ma Scorpius non lo stava più ascoltando.

Non aveva avuto paura, invece, la prima volta in cui aveva pensato di poter stare con un ragazzo; non si era sentito turbato o preoccupato, sebbene avesse distrattamente considerato il fastidio di doverlo ammettere ad altri, oltre che a sé. Eppure nel profondo, mentre si riconosceva diverso, era stato orgoglioso di se stesso, perché aveva creduto che non poteva esserci niente di male nella capacità di amare qualcuno a prescindere dal fatto che fosse un maschio o una femmina. Si era detto che andava bene, che forse era persino una cosa bella, e che si sarebbe preoccupato di convincere gli altri di tutto ciò solo se e quando fosse stato necessario.

Neanche per un istante aveva immaginato che, dopo qualche tempo, avrebbe rinnegato quelle considerazioni, e avrebbe ritenuto sbagliato ciò che provava, un sentimento da nascondere e soffocare e non perché di un uomo per un altro uomo: di sbagliato c’era soltanto il desiderio per qualcuno che non solo non lo avrebbe mai ricambiato, ma che addirittura non ne avrebbe mai sospettato l’esistenza. Era un tradimento, un’indelebile macchia sull’innocenza e la purezza della loro amicizia, e Scorpius non si era mai sentito così sporco in vita sua.

«Chi è che sarà così generoso da salvarci da un brutto voto?»

«Rose», rispose Albus soddisfatto. «Ho riscosso tutti i favori che mi doveva e sarò comunque in debito con lei per il resto della mia vita, ma ne è valsa la pena.»

«Comodo avere una cugina geniale», commentò distrattamente, mentre ammirava la fasciatura pulita sul suo braccio, bianca quasi quanto la sua pelle. «Grazie.»

«Comodo avere te in infermeria», ribatté l’altro, rivolgendogli un sorriso di scuse. «Le ho detto che avevi avuto un incidente e che io aspettavo che Madama Chips mi lasciasse entrare per farti compagnia, quindi nessuno di noi avrebbe avuto il tempo per i compiti.»

Scorpius rise. «Quindi si è convinta per pura pietà?»

Albus scrollò le spalle, poi distolse lo sguardo dal suo, lasciandolo libero di vagare per la stanza. «Credo fosse piuttosto preoccupata per te.»

Detestava la sensazione di sollievo che provava a non sentirsi più i suoi occhi puntati addosso: era il segno della colpa che lo corrodeva, la paura di essere scoperto a dire o a fare – o a provare – qualcosa di inappropriato. Rimase immobile, a fissarlo come a volersi imprimere nella mente tutti i dettagli del suo viso prima di un addio che non ci sarebbe stato – se non in quel punto profondo in cui giacciono tutte le cose cariche di significato. Lo guardava e giurava che non avrebbe mai ceduto alla tentazione di dividere con lui quel peso sbagliato, non avrebbe mai accettato di lasciarsi guardare con empatia o, peggio ancora, con l’espressione ferita di chi si sente tradito. E se non poteva tornare indietro – perché sapere era l’unica cosa irreversibile del mondo e la consapevolezza un peso opprimente sull’anima – allora sarebbe andato avanti, soffocando e nascondendo e mentendo – a chi? Lui o se stesso?

Perciò, quando Albus tornò a posare gli occhi su di lui, Scorpius era perfettamente preparato e represse la scarica che gli attraversò la pelle, ricacciando indietro le emozioni contrastanti che quel verde – il colore della vita – suscitava in lui.

«Penso che sia innamorata di te», mormorò Albus, assottigliando lo sguardo.

Un sussulto lo scosse, ma fu lesto a combatterlo prima che affiorasse in superficie.

Chi?”, avrebbe voluto chiedere, un istante prima di ricordare che parlavano di sua cugina.

«Rose?», domandò, sinceramente confuso.

L’amico annuì, serio, e lui si chiese se quell’occhiata attenta che gli stava rivolgendo fosse in grado di ripercorrere i pensieri negati – mai cancellati – che si agitavano dentro di lui. Decise di no, perché se Albus avesse sospettato qualcosa non lo avrebbe guardato in quel modo – non lo avrebbe guardato affatto.

E allora Scorpius pensò a Rose, la caparbia e intelligentissima strega che conosceva solo in quanto cugina del suo migliore amico, e fonte riluttante di compiti di scuola da copiare. Pensò che era bella e gentile – e giusta – e credette che forse, un giorno, avrebbe imparato ad amare qualcos’altro, qualcun altro, che fosse meno sbagliato.

«Dovresti chiederle di uscire», suggerì Albus divertito, mentre sfiorava distrattamente con l’indice un livido che iniziava a prendere forma sul dorso della sua mano.

Scorpius si sentì arrossire e odiò quel sangue traditore che non solo correva rapido nelle vene al ritmo di un cuore impazzito su cui non aveva potere, ma che osava anche affiorare sotto la pelle chiara delle guance colorandole di imbarazzo. Albus se ne accorse e il suo sorriso si fece più ampio – perché, naturalmente, ne fraintese la ragione.

«Be’…», iniziò, mentre pensava che magari, un giorno, sarebbe riuscito a mantenere il controllo sulla carne e sul sangue di cui era fatto, se proprio non poteva averne sui suoi pensieri. O che, addirittura, avrebbe potuto scegliere quali sentimenti assecondare e quali, invece, lasciar andare.

«Credo che lo farò.»

Non fu uno sforzo o una menzogna raccontata – a chi? Lui o se stesso? – per mettere a tacere ciò che si agitava dentro di lui, bensì la naturale risoluzione di quello stesso conflitto, lo scioglimento del nodo che gli serrava la gola e lo stomaco e sigillava sentimenti indesiderati da qualche parte dentro di lui – in quel punto profondo in cui giacciono tutte le cose cariche di significato.

Albus sorrise, timidamente incoraggiante, e la fitta di delusione causata dalla sua approvazione fu l’ennesimo tradimento di un corpo che aveva giurato di non piegarsi a un pensiero solo perché irreversibile; ma quando lui gli prese la mano, stavolta con decisione, in un gesto amichevole, intuì che desiderare con tutto se stesso qualcosa non gli avrebbe assicurato di poterla ottenere. Una smorfia involontaria gli deformò il viso, mentre iniziava a figurarsi lo sforzo che gli sarebbe stato richiesto da quel momento.

«Che c’è?», chiese subito Albus, preoccupato dalla sua espressione sofferente e tornando a guardare il braccio fasciato. «Ti fa ancora male? Pizzica? Cosa senti?»

Scorpius esitò, mentre realizzava che la finzione che avrebbe dovuto portare avanti per chissà quanto tempo iniziava in quell’istante. Desiderò di poter dire la verità al suo migliore amico un’ultima volta, di proteggersi dietro una sincerità dovuta – a chi? Lui o se stesso?

«Niente», scandì piano, dolorosamente consapevole della risposta a quella domanda che continuava ad agitarsi dentro di lui. «Non sento niente.»

 

 

 

 

 

 

Note

Questa storia si è classificata seconda, con il punteggio di 33.5/35, al contest “Angst, Potter?” indetto da Nemesi01 sul forum di EFP.

Fa parte della serie Anima nuda, per la quale costituisce un vero e proprio prequel, in quanto racconta il momento in cui tutto inizia tra Albus e Scorpius, perlomeno per quanto riguarda i sentimenti di quest’ultimo.

A questa one-shot ne segue un’altra, Amari spiccioli contesi, sul pairing Scorpius/Rose, che nasce proprio in seguito al consiglio che Albus dà qui al suo amico.

Come per tutti gli scritti di questa serie, il titolo è tratto da una poesia di Emily Dickinson, la stessa di cui ho riportato un estratto prima del testo.

Grazie per la lettura!

Come sempre, mi trovate su Instagram e Facebook.

Futeki

 

 

 

[Storia vincitrice dell'oscar per il Miglior attore protagonista, giudicato da Sia_, agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce la penna.]

   
 
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