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Autore: Signorina Granger    11/01/2021    12 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 2 – Ci sono troppi gatti su questo treno
 
 
Una settimana prima
Londra, Ministero della Magia, Dipartimento Auror
 
James Hampton stava tentando di riordinare la sua disastrosa scrivania, la cui visione era sufficiente a causare ai visitatori e agli Auror più pignoli piccoli attacchi di cuore.
Ricoperta da matite di ogni colore e fantasia, piume, calamai vuoti o pieni a metà, un paio di fotografie e gomme “troppo carine per essere adoperate” ricoprivano il ripiano del mobile leggermente traballante ininterrottamente.
Quel giorno il suo proprietario, di umore ancor più allegro del solito visto l’avvicinarsi del Natale e del suo compleanno, nonché alle vacanze, si era messo d’impegno facendo pulizia persino nei cassetti, cercando di liberare la scrivania da vecchie cianfrusaglie. L’unico oggetto che non veniva mai spostato era la targa d’ottone che riportava “James J. Hampton”, di cui il ragazzo andava più che fiero e che lucidava due volte a settimana.
 
“JJ.”
Il giovane Auror alzò lo sguardò dalla sua collezione di matite e sfoderò un largo sorriso nel trovarsi davanti una delle colleghe che in assoluto preferiva, nonché vecchia compagna di Casa ad Hogwarts, seppur Clodagh avesse qualche anno più di lui.
“Ciao Clo! Sto ordinando la scrivania, sono stufo di tutti quei commenti...”
“Lasciali perdere, sono solo dei barbosi dai gusti troppo convenzionali… C’è gente che trova i miei berretti orrendi, ma io non smetto certo di metterli. Ad ogni modo, sono venuta a darti una notizia.”
L’ex Tassorosso si fece improvvisamente seria – per quanto riuscisse a dare quell’impressione, vista la giacca giallo senape che indossava e che faceva a pugni con i suoi corti capelli ramati – e James la guardò attonito e preoccupato: doveva essere qualcosa di terribile, se Clodagh parlava con quel tono.
“Che cosa?! Oh no, non dirmi che mi fanno fare di nuovo da babysitter alla figlia del capo! Lily è carina, ma è sfiancante starle dietro.”
“No James, si tratta di un lavoro. Il capo mi ha dato un incarico per il periodo natalizio, ma ho sentito che vuole spedire Asriel da qualche parte.”
“Ma… ma voi andate sempre insieme ovunque.”


Una piccola ruga fece capolino sulla fronte aggrottata del più giovane, che guardò la collega senza capire dove volesse arrivare. Clodagh però, ancora mortalmente seria, allungò entrambe le braccia sopra la scrivania e gli poggiò le mani sulle spalle senza smettere di guardarlo dritto in faccia:
 
“Sì, ma io questa volta ho quell’altra cosa, quindi con Brontolo ci andrà qualcun altro. E ho sentito che Potter vuole mandare te.”
“Veramente?”
 
All’improvviso James spalancò gli occhi chiari, e un largo sorriso gli illuminò il volto sbarbato. Ben presto un’espressione gioiosa si fece largo su di lui, in netto contrasto con lo sguardo serio della collega, che lo guardava come fosse destinato al patibolo.
“Sì, JJ.”
“Ma perché hai questa faccia, mi stavi spaventando! Io non vedevo l’ora di andare in missione con lui, evviva!”
“No JJ, tu non capisci. Conosco Brontolo… Cioè, Asriel, da un sacco di tempo. E lavoriamo insieme da un sacco di tempo… non sarà facile. Ma se userai questo, tornerai a casa illeso.”
 
Dalla tasca interna della giacca gialla, la strega estrasse un foglio piegato in quattro che consegnò al ragazzo con fare solenne, guardandolo afferrarlo e aprirlo sempre più confuso.
“Ma che cos’è?”
“Questo è “Il Vangelo secondo Clodagh” su Asriel Morgenstern. Segui quello che ti dico, e ti prometto che te la caverai.”
“Ma dai Clo, lo conosco Asriel, non è così terribile!”
 
“Tsk, Tsk… regola numero uno del Vangelo: non sottovalutare quanto quell’uomo possa essere lunatico. Soprattutto quando è costretto a fare qualcosa che non gli va, e sono più che certa che non sarà affatto felice di questo incarico. E’ tremendamente abitudinario, non sarà felice di dover cambiare partner… anche perché, non per vantarmi, ma infondo mi adora!”
 
 
“Sono bloccato in mezzo alla neve e al nulla, mancano tre giorni a Natale, c’è un cadavere due cabine più in là della mia e non solo, ora salta fuori l’Evidenziatore umano, quindi oltre che di James e del caso dovrò occuparmi anche di lei! Ma insomma, ci dev’essere qualcuno che mi odia, in giro!”
Asriel sbuffò sonoramente mentre borbottava con fare sommesso, camminando lungo il corridoio del vagone della I classe con Zorba stretto tra le braccia.
Il gattino miagolò e il padrone annuì, serio in volto e con gli occhi azzurri che vagavano nello scompartimento come a voler cercare qualche possibile traccia.
“Per fortuna che tu mi capisci, piccolo. Adesso prima di iniziare le indagini ti porto in cabina, e non scappare di nuovo!”
L’Auror aprì la porta della sua cabina lanciando uno sguardo d’ammonizione al micio quando Zorba tentò di impietosirlo spalancando gli occhioni, intimandogli di non tentare di persuaderlo mentre, alle sue spalle, James si dirigeva verso la cabina di Alexandra con la chiave in mano: l’avevano tenuta sigillata fin da quando Asriel l’aveva esaminata brevemente, ma ora che tutti erano al corrente dell’accaduto potevano ispezionare a dovere la sua cabina e il cadavere.
 
 
Quando aprì la porta le labbra di James vennero incurvate da una piccola smorfia: la morte era qualcosa a cui ancora non aveva fatto l’abitudine, vista l’esperienza poco vasta che aveva in quel campo.
Il giovane mosse, titubante, un passo in avanti mentre alzava lo sguardo dal corpo della vittima per guardarsi attorno. La cabina era praticamente identica alla sua, anche se era più grande e lì regnava il caos: sembrava che la donna morta e il suo assalitore avessero discusso prima del tragico epilogo, perché la moquette ai piedi della piccola cassettiera era coperta da gioielli e cosmetici, come se Alexandra li avesse messi sul mobiletto prima che questo venisse urtato bruscamente. I cassetti erano chiusi, ma la valigia di pelle marrone della vittima era aperta, appoggiata accanto al letto sfatto. Le tendine delle finestre erano strappate e giacevano al suolo, e il grande specchio dalla cornice dorata era andato in frantumi.
 
“Bene, vediamo di vederci più chiaro.”
La voce profonda alle sue spalle suggerì al ragazzo che Asriel lo aveva raggiunto nella cabina, e in effetti voltandosi James lo vide già senza la giacca grigia e impegnato ad arrotolarsi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti, sfoggiando un paio di poderosi avambracci coperti da una leggera peluria.
Voltandosi di nuovo verso l’interno, James non riuscì a trattenere un piccolo sorriso: lo aveva visto fare quei movimenti decine di volte, sembrava essere quasi si trattasse di un rituale. Si toglieva la giacca e si arrotolava le maniche liberando le braccia, guadagnandosi sguardi sognanti ed ipnotizzati da tutta la fauna femminile del dipartimento (e anche, in alcuni di casi, di quella maschile).
L’unica immune a quell’incantesimo sembrava essere Clodagh, che passava il tempo a sfottere le colleghe che tanto la invidiavano per la sua costante vicinanza ad Asriel, talvolta finendo col scimmiottarlo arrotolandosi le maniche allo stesso modo e scatenando occhiate torve da parte del mago.
 
“La sua bacchetta?”
“E’ laggiù.”
James indicò la bacchetta di Alexandra che giaceva sul pavimento, accanto a lei. Stava per chinarsi e raccoglierla quando Asriel gli intimò provvidenzialmente di non farlo: l’Auror estrasse la propria e, puntandola verso quella della vittima, mormorò un “Wingardium Leviosa” appena percettibile.
“Meglio non toccarla per il momento, potrebbe essere una prova importante. Puoi far comprare un sacchetto di plastica? Disgraziatamente non ho niente con me, d certo non ero preparato a dovermi occupare di un caso di omicidio.”
“Certo. Tieni.”  
James annuì e, fatto apparire un sacchetto trasparente, lo porse al collega prima di guardarlo farci planare dentro la bacchetta di Alexandra. A quel punto Asriel la chiuse con un sospiro sommesso, borbottando che avrebbe custodito tutto lui nella sua cabina, per il momento.
“Che altro c’è?”
“Beh, non sembra che il colpevole abbia rovistato, i cassetti sono chiusi… la valigia è aperta, ma mi sembra che il contenuto sia abbastanza in ordine. Ma lo specchio è rotto, forse un incantesimo lo ha colpito.”
“E anche le tendine… forse prima di essere uccisa la nostra vittima ha provato a difendersi ed è volato qualche incantesimo… Hai sentito nulla di strano ieri notte?”
James scosse la testa mentre Asriel apriva i cassetti, trovandoli tutti completamente vuoti.
 
“Niente. O la Sutton non ci ha messo nulla, o il colpevole si è intascato qualcosa. Prendiamo la valigia, la esamineremo più tardi in un posto più spazioso, qui dentro in due si soffoca.”
 
James avrebbe voluto fargli notare che lui da solo riempiva metà dello spazio stando semplicemente in piedi, ma qualcosa gli disse di non farlo e guardò il collega Appellare la valigia marrone prima di chiuderla.
 
“Doveva guadagnare parecchio. Quella valigia nel mondo Babbano costa un patrimonio.”
“Davvero?”
Inginocchiato sulla moquette color crema per chiudere la zip della Vuitton, Asriel lo guardò con la fronte aggrottata e James annuì con una stretta di spalle: aveva un vago ricordo di sua madre e di come ne avesse voluta una simile per anni, ma suo padre le aveva sempre ribadito quanto fosse inutile spendere tutto quel denaro in una valigia.
 
“Beh, la Sutton di certo guadagnava bene. Di sicuro più di noi e degli altri passeggeri. O meglio, quasi tutti…”
 
*
 
“Ro-Ro, ma dovevi viaggiare in II classe proprio quando ci incontriamo sullo stesso treno? Avrei potuto scroccare un po’ di relax in I classe da te, e invece… Ho sentito che ti fanno anche il servizio in cabina.”
“Scusami Laila, sono davvero costernato, la prossima volta viaggerò in I classe solo per la remota possibilità di incontrarci su un treno che va da Berlino a Nizza…”
Prospero accennò un sorriso mentre teneva il suo gatto maculato di razza giapponese sulle ginocchia, carezzandogli il pelo morbido. Seduto sulla poltroncina nera posta sulla parete opposta alla branda, il mago guardò l’amica sedersi sul piumino blu con un sospiro, accavallando le gambe magre coperte dai jeans neri prima di guardarsi attorno con discreta curiosità.
“E così è morta quella donna, eh… Un Natale triste per la sua famiglia.”
“Già, ma come hai elegantemente sottolineato a tua volta per noi non andrà meglio, visto che lo passeremo su questo treno.”
Prospero sfoderò l’ennesimo sorriso, scoccando all’amica un’occhiata divertita mentre Delilah, gettandosi all’indietro per distendersi sul letto del ragazzo, sbuffava piano:
 
“Hai ragione, che schifo. E abbiamo Asriel Manzo Morgenstern ad occuparsi del caso… se non altro potremo rifarci gli occhi.”
“Credo che sia molto… risoluto, nel suo lavoro. Ho idea che sarà un osso duro con cui confrontarsi, Laila.”
“Mh, forse hai ragione. Ci pensi? Un assassino su un treno del genere… chi l’avrebbe mai detto. Ora sì che non dormirò più definitivamente!”
 
Delilah sfoggiò una smorfia, atterrita, ma Prospero le sorrise prima di assicurarle che avrebbe tenuto le orecchie ben tese anche per lei e che di certo l’avrebbe salvata da ogni possibile pericolo.
 
“Ah, mio eroe! Scherzi a parte, abbiamo fatto bene a filarcela, di là si stava scatenando il putiferio! Eppure qualcuno con la coda di paglia deve esserci… non sappiamo come è morta, ma è sembrato chiaro che parlasse di omicidio.”
“Piccola Laila, chi meglio di noi sa filarsela al momento più opportuno? E’ nel nostro DNA di serpi.”
 
Il mago si sporse per darle un colpetto sul naso pallido con l’indice, facendola sorridere mentre Kiki, il gatto Iriomote di Prospero, gli dava un colpetto sul suo braccio con la zampetta reclamando attenzioni.
 
“Come sta Cecil, comunque?”
“L’idiota sta benone, gli porterò i tuoi saluti. Oh, Merlino, non posso nemmeno scrivergli, non ho un dannato gufo con me, e non so dove siamo…”
“Il Ministero inglese sa che siamo qui, sono certo che penseranno loro ad informare le nostre famiglie, Laila.”
“Non è questo il punto Ro… Chi diavolo la sente poi, mia madre, per essermi persa il Natale?!”
 
Prospero scoppiò a ridere mentre grattava le orecchie del micio, che sembrò felice di aver ritrovato le attenzioni del padrone. Delilah, invece, si fece del tutto seria e si issò su un gomito per guardare l’amico dritto in faccia, scrutandolo con attenzione:
 
“Dimmi una cosa, Prospero… Avresti preferito trovare Cecil o sei felice di aver incontrato me, su questo treno?”
Prospero esitò, prendendosi un istante di riflessione prima di rispondere. Il mago si tamburellò un dito sul mento con studiata teatralità mentre l’amica lo osservava ordinandogli silenziosamente di darle la risposta corretta: lei e il fratello gemello Cecil discutevano su chi fosse, tra i due, amico più stretto di Prospero fin dal secondo anno ad Hogwarts.
“Mi avvalgo del diritto di non rispondere.”
“Non te lo permetto, parla!”
“No, non lo farò.”
“E invece sì!”
“Kiki, difendimi, Delilah mi vuole affatturare!”
 
Il mago afferrò Kichona-kin e lo sollevò provvidenzialmente verso la strega, che di fronte allo sguardo torvo del gatto arretrò d’istinto maledicendo l’amico e tutti i mici del mondo – che sembravano odiarla e sempre pronti ad attaccarla – insieme a lui.
 
*
 
 
“Nella valigia è tutto in ordine, effettivamente. Si direbbe che non si sia trattato di un tentativo di furto andato male, dopotutto.”
“Quindi pensi che qualcuno sia entrato nella cabina col preciso intento di ucciderla?”
 
James, seduto sul bordo del letto di Asriel, guardò il collega sgranando gli occhi chiari e chiedendosi perché mai qualcuno avesse dovuto fare qualcosa di simile.
Asriel invece, seduto su una delle due poltrone blu petrolio poste davanti ad un tavolino, scrutava la lista dei passeggeri che gli era stata fatta recapitare poco prima.
“Così sembra, ad una prima occhiata. Ma visto che la Sutton è stata uccisa da un incantesimo, dobbiamo interrogare tutti e soprattutto ritirare ogni singola bacchetta presente su questo treno. Possiamo provare con l’Incantesimo Reversus, ma in caso dobbiamo farlo subito.”
 
Il mago si alzò, attraversò la cabina a grandi passi e, aperta la porta, ordinò senza tanti giri di parole al povero facchino di quella mattina – che stava passando, ignaro, davanti alla porta e che sobbalzò sentendosi chiamare in causa – di dire a Renèe Olivander che necessitava urgentemente di vederla.
O almeno così suppose James, visto che dalle sue parole in tedesco aveva potuto carpire solo il nome della sua ex compagna di scuola.
Che non gli era nemmeno mai andata troppo a genio, tra l’altro.
 
Asriel si chiuse la porta alle spalle con uno sbuffo, borbottando qualcosa sul fatto di star morendo di fame mentre Zorba giocava con una delle sue pantofole blu notte.
James, dal canto suo, a quelle parole si sentì raggelare: all’improvviso riuscì quasi a sentire la voce di Clodagh.
“Seconda regola: quando non mangia per alcune ore, diventa terribilmente intrattabile. Quindi assicurati sempre che mangi!”
 
A proposito.
Dov’era Clodagh?
 
*
 
 
“E’ tardissimo, perché non mi preparo mai niente la sera prima di partire, perché?!”
May sospirò esasperata mentre appellava una gran quantità di vestiti verso la valigia aperta sul letto, guardandoli planarci dentro alla rinfusa mentre una bambina bionda e – a differenza sua – già vestita di tutto punto seguiva la scena con una valigetta rosa in mano e un cappello di lana bianco calato sui capelli color grano.
 
“Io te l’ho detto ieri, ma tu hai detto che l’avresti fatto dopo cena. Ma non l’hai fatto perché hai guardato la tv!”
“Lo so, lo so! Dov’è Brutus, devo portarvi dai nonni prima di partire… BRUTUS! E dov’è il suo guinzaglio, dannazione!”
 
“Ce l’ho io. Hai il … spassasporto?”
Pearl le porse il guinzaglio nero del loro cane, un enorme Bovaro del Bernese che entrò scodinzolando nella camera da letto della padrona mentre May chiudeva la valigia.

Non era sicura di aver preso tutto, ma poco male, non aveva assolutamente tempo per una revisione, così prese il guinzaglio e lo allacciò al volo alla pettorina rossa di Brutus mentre Pearl lo distraeva con delle carezze.
“Bene, voi siete pronti. E… sì, ho il Passaporto. Passaporto tesoro, non spassasporto. Oh Merlino, ho il Passaporto?”
“La nonna dice sempre che a fare la valigia non sei brava.”
Pearl ridacchiò mentre la guardava controllare freneticamente in borsa, ma la strega sospirò di sollievo prima di lanciarle un’occhiata di rimprovero e prenderla per mano:
“Lo so, ma guai a te se le dici che eravamo in ritardo. Forza ciurma, in marcia verso il piano di sotto!”
“Non glielo dico, ma tu devi portarmi un regalino!”
La bambina di cinque anni sfoderò un sorrisino furbo che May non ricambiò, sbuffando prima di darle un buffetto affettuoso sulla testa:
“Va bene, va bene patatina, ma adesso andiamo… Brutus, vieni.”
 
  
May, seduta su una delle panche foderate davanti ad un tavolo del vagone ristorante, si lasciò sfuggire un piccolo singhiozzo mentre Renèe, sedutale accanto, le dava dei colpetti incoraggianti su una spalla.
Elaine, seduta di fronte alle due, si lasciò sfuggire un debole sospiro prima di estrarre un fazzolettino di seta dalla borsetta e passarlo alla bionda, accompagnando il gesto da un’occhiata quasi compassionevole:
 
“Tieni cara. Non piangere, ti si sbava il trucco.”
“Scusate, lo so che sembro una stupida, ma non ho mai passato un Natale senza Pearl, non vedevo l’ora di tornare a casa e abbracciarla… Sarà furiosa con me per averla lasciata sola.”
“Su, dai, Pearl starà benissimo con i tuoi genitori e Brutus, e tutto questo non è certo colpa tua. So che ti manca, ma vedrai che torneremo presto a casa. Non possono trattenerci in eterno, stanne certa.”
 
Mentre May si soffiava il naso Renèe lanciò un’occhiata estremamente torva al capotreno, che stava parlottando animatamente con una donna dai corti capelli rossi e un eccentrico completo giacca-pantalone blu di velluto addosso.
 
“Ridicolo, come se davvero potesse essere stato uno di noi ad averla uccisa. Non c’è nessun medico a bordo, come diavolo fanno a sapere che non ha avuto un attacco cardiaco, o che so io?”
“Beh, immagino che lo scopriremo presto… Una considerevole fortuna, avere un paio di Auror a bordo. Se davvero Alexandra Sutton è stata uccisa, posso solo immaginare come debba sentirsi il suo assassino ora.”
“E cioè, Elaine?”
Renèe guardò l’ex compagna di scuola inarcando un sopracciglio e con papabile scetticismo, ma la rossa non si scompose, anzi: continuando a carezzare il lungo pelo nero del suo enorme Maine Coon, che le si era accucciato accanto sulla panca, con una mano e a giocherellare con un bicchiere con l’altra, la cantante lirica piegò le labbra carnose in un sorriso quasi divertito.
“Come un topo in trappola, probabilmente.”
 
 
“Chiedo scusa. Renèe Olivander?”
Renèe aveva sempre risposto affermativamente a quella domanda con un sorriso estremamente soddisfatto sulle labbra, quasi fiera di rivangare la sua appartenenza ad una famiglia il cui ruolo era fondamentale per tutta la comunità magica inglese.
Quel giorno però, Renèe si voltò e lanciò un’occhiata sinceramente scocciata al facchino che aveva davanti, guardando il ragazzo dai capelli color sabbia con evidente disappunto negli occhi castani prima di rispondere freddamente:
“Sì, sono io.”
“Il signor Morgenstern vuole vederla.”
“Che diavolo vuole da me?!”
“N-non saprei signorina, ma è sembrato molto… impaziente.”
Il ragazzo, che ad occhio sembrava più giovane di lei, deglutì a fatica quasi l’idea di tornare dall’uomo a mani vuote lo terrorizzasse. Provando quasi compassione per lui Renèe annuì e si alzò con un piccolo sbuffo, rivolgendosi alle altre due streghe un’ultima volta:


“Va bene, vado dall’Auror. May, stai tranquilla, sarai a casa in un batter d’occhio.”
 
Dopo essersi scambiata un rapido sorriso con l’amica, che annuì poco convinta, l’ex Grifondoro si lasciò guidare fino al vagone di I classe, ritrovandosi davanti alla porta della cabina accanto alla propria.
Se non altro, si disse la giovane strega mentre bussava con impazienza, avrebbe avuto qualcosa di bello grosso da raccontare una volta tornata a casa.
E a lei stare al centro dell’attenzione non era mai dispiaciuto.
 
*
 
“Coco! Coco, aspetta, per favore, dimmi qualcosa!”
Clara si era alzata e non aveva esitato a seguire Corinne neanche per un istante quando l’aveva vista uscire dal vagone ristorante quasi di corsa.
La sua amica non era tipo da condividere o manifestare le proprie emozioni con facilità, ma Clara la conosceva abbastanza bene da saper riconoscere quando era sconvolta.
“Coco!”
Erano già nel vagone della I classe quando la mora riuscì finalmente ad afferrare la mano dell’amica, costringendola a fermarsi e a voltarsi verso di lei. Gli occhi di Corinne non erano pieni di lacrime – non che Clara si fosse aspettata il contrario – ma il volto della nota campionessa francese aveva comunque qualcosa di diverso rispetto al solito: trasudava un mix di emozioni e riportava uno sguardo che mai le aveva visto.
“Scusami Clara, preferisco stare sola adesso.”
“Corinne, Alexandra è stata appena trovata morta, non penso che dovresti stare sola.”
 
L’espressione risoluta dell’amica ed ex compagna di scuola quasi riuscì ad addolcire e convincere Corinne, ma la bionda si ostinò comunque a scuotere la testa mentre faceva scivolare la mano pallida dalla presa dell’amica, mormorando che ne aveva urgente bisogno prima di sparire dietro la porta della sua cabina.
Rimasta sola a sua volta nel corridoio, a Clara non restò che sospirare rumorosamente, maledicendo la testardaggine dell’amica tanto quanto la memoria della vittima che era appena stata rinvenuta su quel treno.
 
*
 
I suoi stivaletti color cuoio affondavano nella neve, ma Clodagh – bardata fino al naso dal cappotto e dalla sciarpa gialla e arancione abbinata al suo berretto col pompon – non ci faceva caso, proseguendo imperterrita accanto al treno fermo sulle rotaie.
Superato l’enorme veicolo, la strega lo raggirò per raggiungere le finestre della cabina della vittima, che le era stata indicata come la più grande del treno dopo quella occupata da una certa Corinne Leroux.
Corinne Leroux. Dove aveva già sentito quel nome?
L’Auror scosse il capo, dicendosi che ci avrebbe pensato più tardi mentre, finalmente, individuava la finestra giusta.
 
“Quindi non pensa che il colpevole possa essersi Smaterializzato?”
“No Signorina, dentro il treno non ci si può Smaterializzare o Materializzare… e il treno era ancora in movimento quando la Signorina è morta.”


Le finestre erano tutte sigillate dall’esterno, così aveva detto il capotreno. Senza contare che, col treno in movimento ad alta velocità, l’ipotesi che il colpevole potesse essersi lanciato dal veicolo erano pressochè assurde, anche con mezzo metro di neve ad attutire la caduta.
 
Gli occhi di Clodagh vagarono fino alla finestra della cabina del suo obbiettivo. Non erano nello stesso vagone.
Poteva forse essere coinvolto con la vicenda? Avrebbe potuto raggiungere la cabina della Sutton dall’esterno?
 
“Se è chiusa dall’esterno poteva aprirla… ma non aprire quella della sua cabina.”
La strega aggrottò la fronte coperta dalla lana del berretto, borbottando tra sé. Si stava giusto arrovellando su un possibile legame tra la vittima e il suo obbiettivo quando, all’improvviso, una finestra del vagone di I classe si aprì permettendo ad una figura alta, dalle spalle larghe e fastidiosamente attraente di rivolgerle un sorrisetto:
“Ah, sei lì, ti avevo quasi scambiata per la carota che si mette come naso ai pupazzi di neve… Ho fatto chiamare la Olivander per esaminare le bacchette, dovresti venire.”


“Non hai ancora bevuto latte e miele, vero Morningstar?”
 
Clodagh ricambiò il sorrisetto del collega, parlando a mo’ di cantilena mentre Asriel le abbaiava contro di non storpiargli il cognome. La strega, per tutta risposta – e sentendosi insultata per l’essere stata paragonata ad una carota – agitò la bacchetta, e un’enorme palla di neve schizzò dritta verso la faccia di Asriel.
 
“Brutta befana, azzardati a mettere piede nella mia cabina e ne pagherai le conseguenze!”
“Oh no, Ariel la principessa degli abissi mi ha giurato vendetta, come potrò continuare a vivere con il peso di un simile terror-“
Clodagh non ebbe modo di finire di parlare, perché una raffica di palle di neve iniziò a colpirla.
 
 
“Asriel, ma il capotreno non ha detto che le finestre erano sigillate dall’esterno?”
“Mi sono fatto aprire la mia, vantaggio dell’essere il povero idiota che dovrà tirare fuori la più ricca compagnia ferroviaria d’Europa da questo macello.”

 
Asriel sfoggiò un sorrisetto mentre parava con la magia l’ennesima palla di neve lanciatagli contro da una Clodagh furibonda, che gli ordinò di rimangiarsi l’appellativo di “Befana” mentre la porta della cabina veniva spalancata: nessuno dei due Auror al suo interno aveva udito bussare.
Renèe si fermò sulla soglia e, vagamente perplessa, guardò Asriel Morgenstern – l’inscalfibile Auror che terrorizzava i poveretti che si ritrovava ad arrestare o ad interrogare prima di sbatterli ad Azkaban – bisticciare con qualcuno attraverso una finestra aperta.
Da lì non riusciva a vedere granché, ma aveva la sensazione che stesse facendo a palle di neve con qualcuno.
 
James Hampton, che conosceva di vista sin da quando frequentava Hogwarts, stava in piedi accanto a lui e sembrava rassegnato a divertito allo stesso tempo.
 
“Chiedo scusa. Credevo di essere stata convocata da degli Auror, non ad un asilo nido.”
 
“Crucco dei miei pompon!”
“Solo a metà, Befana irlandese! Oh, scusa Renèe. Prego, siediti, stavo solo cacciando una… barbona di passaggio.”
Asriel chiuse la finestra con un gesto secco e deciso – lasciando gli insulti di Clodagh, che aveva udito l’epiteto che aveva usato per definirla, all’esterno della cabina – prima di fare cenno alla strega di sedersi.
Renèe, che se da una parte era quasi orgogliosa di essere stata chiamata dall’Auror, dall’altra voleva chiuderla in fretta, obbedì e prese posto di fronte a lui su una delle due poltroncine di velluto.
James si fece comparire una sedia e sedette accanto ad Asriel mentre questi, senza dire una parola, le porgeva la lista dei passeggeri e degli inservienti del treno:
 
“Devo ritirare ogni singola bacchetta. Voglio che mi aiuti a catalogarle, descrivendomele una ad una. Puoi farlo, no?”
“Chiaramente posso, ma pensi davvero che tutta questa gente ti consegnerà la propria bacchetta? Con la paura scaturita da un annuncio del genere? Per favore, si aggrapperanno alle proprie come calamite.”
 
Per un istante, James si domandò perché quei due si dessero del tu. Guardò il collega, che sul lavoro era sempre estremamente formale – eccetto che per le discussioni con Clodagh – e poi la bionda, chiedendosi che cosa potessero avere in comune.
Disgraziatamente Asriel Morgenstern era la persona più riservata che avesse mai incontrato, ma poteva sempre chiedere a Clodagh.
 
“Ho l’aria di uno a cui importa? Una di quelle persone è l’assassino, ergo la cosa migliore è sequestrare ogni bacchetta. Del resto siamo su un treno, non penso che vi possano servire a molto, no? Ma sei libera di non aiutare le indagini, ovviamente, nessuno ti costringe. Il problema è che risulterebbe un tantino sospetto, non credi anche tu?”


Asriel sorrise, guadagnandosi un’occhiata torva da Renèe, che sedeva tenendo le braccia esili strette al petto, visibilmente sulla difensiva. Per qualche istante i due si scrutarono – mentre il mago accarezzava distrattamente il micino nero che gli si era accoccolato sulle ginocchia con aria beata – senza dire una parola, finchè la giovane non annuì con un debole sbuffo:
 
“Bene, lo farò.”
“Eccellente, essere collaborativi è sempre la cosa migliore per tutti, alla fine. Direi che possiamo tornare dagli altri passeggeri e condividere con loro la notizia.”
Asriel si alzò, e sembrava talmente quasi di buon umore che James lo guardò stupito. Del resto però, le regole di Clodagh (che lo definivano “più volubile del tempo”) gli imposero di non abbassare la guardia, e uscì insieme ai due osservando poco convinto la schiena fasciata dalla camicia e dal panciotto del collega.
 
*
 
C’erano decisamente troppi gatti, su quel dannato treno.
Finn scoccò un’occhiata decisamente malevola e sospettosa al gatto dal pelo maculato che gli passò accanto, portandosi istintivamente una mano a tastare la tasca esterna della sua giacca, occupata da un piccolo rigonfiamento.
Il grosso gatto ricambiò l’occhiata, ma non si fermò e proseguì dritto, trotterellando tranquillamente come se conoscesse perfettamente l’ambiente e sapesse dove andare.
“Ma insomma, in quanti siete?!”
L’ex Corvonero si fermò e, messe le mani sui fianchi, sospirò quando scorse un gatto nero accoccolato sotto un termosifone, i grandi occhi chiari puntati su di lui con diffidenza.
Il suo topolino, Alfaar, scelse esattamente quel momento per fare capolino dalla tasca della giacca del padrone, che lo coprì con una mano con un sospiro:
“Non ora Alfaar, se non vuoi fare da cena ad uno dei troppi felini che viaggiano su questo treno. Se almeno venissero tenuti nella loro cabina come dovrebbe essere…”
 
“Mi scusi, ha qualcosa contro il mio chat?”
Voltandosi, Finn incrociò lo sguardo di una ragazza mora che aveva intravisto poco prima nel vagone ristorante e che era uscita seguendo la sua amica.
Ad occhio doveva avere la sua età, e lo guardava con le braccia strette al petto, la fronte aggrottata e i grandi occhi castani carichi di rimprovero.
 
Finn, però, di certo non era tipo da farsi intimidire da una graziosa francesina dagli occhi da cerbiatta, e fece lo stesso prima di accennare al gatto alle sue spalle, impassibile:
“Se con chat intende il gatto, direi di sì. Credo che vadano tenuti nella propria cabina, non lasciati a piede libero su un treno di lusso.”
“E’ appena stata trovata morta una mademoiselle, dubito che qualcuno avrà da ridere per il mio Loki. E’ allergico ai gatti?”
Clara aggrottò la fronte mentre si chinava per prendere il gatto in braccio dopo che Loki era sgusciato fuori dal suo nascondiglio per raggiungerla, guardando Finn lanciare al micio un’occhiata più che torva mentre scuoteva la testa.
“No, ma non voglio che il mio topo faccia da cena al suo Loki!”


“Pardon, il suo cosa?”
Intuendo che la strega non avesse compreso, Finn si limitò a prendere delicatamente Alfaar con una mano e a mostrarlo alla ragazza, che guardò il piccolo topolino grigio squittire spaventato alla vista di Loki per poi affrettarsi a correre sulla manica della giacca del padrone, arrivando ad appollaiarsi sulla sua spalla per mettersi al sicuro dalle grinfie del felino, che lo guardava immobile.
 
“Ahh, un souris! Capisco. Ma… ma non le fa… come si dice… schifo?”
 
Clara aggrottò la fronte mentre osservava il mago che aveva davanti, chiedendosi con la più sincera perplessità come potesse una persona sana di mente desiderare un topo come animale domestico. La reazione dell’ex Corvonero però non si fece attendere, e Finn sgranò gli occhi verdi – offeso – prima di mettersi nuovamente Alfaar in tasca e scoccare alla strega un’occhiata fiammeggiante:
 
“Detto da una che mangia lumache e cosce di rana, è tutto dire.”
Clara avrebbe voluto informarlo, piccata, che a lei le escargot non erano mai piaciute, tantomeno le cosce di rana, ma il mago girò sui tacchi e si allontanò prima di darle il tempo effettivo di farlo, sparendo in fretta dietro alla porta scorrevole che separava i vagoni.
 
“Pff, Anglais. Sai che ti dico, mon chère? Qui ci vuole una fetta di Tarte Tatin, andiamo.”
 
*
 
Ma chi diavolo poteva aver ordinato pancakes con sciroppo d’acero a mezzogiorno inoltrato?
 
Ruven, sbuffando come una ciminiera e con la bandana bianca e nera allacciata sulla fronte, teneva la ciotola di vetro sottobraccio contenente gli albumi mentre li montava energicamente con la frusta, dando al contempo ordini a destra e a sinistra affinchè tutti gli ordini del pranzo venissero preparati.
Cadavere o non cadavere, i passeggeri avevano comunque un gran appetito, a quanto sembrava.
 
“Chef, una passeggera dice che la Tarte Tatin era poco cotta!”
“E tu dille che non è possibile, perché IO non ho mai cotto male una Tarte Tatin in tutta la mia vita.”


Ruven aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata torva al cameriere prima che questi girasse sui tacchi per riportare il messaggio, sinceramente offeso e desideroso di dirne quattro a quella cliente criticona. Come si permetteva di criticare la sua torta di mele?
Stava girando i primi pancake, furioso per quell’ordine atipico che gli stava facendo perdere un mucchio di tempo, quando lo stesso cameriere, un ragazzo dai capelli biondi e brillanti occhi azzurri, tornò deglutendo prima di balbettare qualcosa con tono sommesso, quasi temesse che Ruven potesse prendersela con lui:
“H-ha detto che se pensa che quello sia cuocerla bene a-allora ha cotto male Tarte Tatin per tutta la vita e che cosa può mai saperne un tedesco di come si prepara una torta francese…”
“Ha detto CHE COSA? Questo è troppo. August, fammi questi cazzo di pancakes.”
 
Il suo Sous-Chef si affrettò a prendere il suo posto davanti alla piastra per controllare i pancake mentre Ruven usciva dalla cucina a passo di marcia e con gli occhi ridotti a due fessure: non sarebbe di certo stata una passeggera con la puzza sotto al naso ad insegnarli come preparare una dannata Tarte Tatin.
 
*
 
“Per me del roast beef con patate, grazie. Per il mio amico… lui prende il panino più pieno e grondante di grasso che potete fargli, con formaggio, pancetta e contorno di patate fritte, più salse ci sono meglio è, ma non quella barbeque, la odia. Grazie.”
Clodagh consegnò il menù al cameriere sfoggiando un piccolo sorriso cortese sotto allo sguardo attonito di James, che le stava seduto di fronte mentre attendevano che Asriel li raggiungesse per pranzare dopo essere andato a ritirare le bacchette del personale, ignorando le proteste e le lamentele per poi zittirle con gli sguardi più raggelanti di cui era capace.
 
“Sai anche a memoria quello che magia?”
“E’ la cosa che ama mangiare di più al mondo. Se c’è qualcosa che lo mette di buon amore, è mangiare quelle schifezze, credimi. Dovresti segnartelo, è un ottimo trucchetto.”
“Vi conoscete meglio di quanto credessi, se devo essere onesto.”
 
“Io e Asriel ci ritroviamo spesso a dover condividere i pasti, che sia quando siamo fuori per una missione come ora, o quando siamo alle prese con un caso a Londra, e per non perdere tempo mangiamo senza smettere di lavorare.”
Clodagh si strinse debolmente nelle spalle mentre giocherellava con un pezzo di pane e i suoi occhi chiari vagavano distrattamente tutt’attorno a sé, sui passeggeri presenti. Sembrava che nessuno volesse stare solo, dopo la notizia, e più o meno tutti erano riuniti nel vagone ristorante a mangiare, chi solo e chi in compagnia.
“Vedo che hai rinunciato ai capelli neri.”
“Ah, sì, penso che debba restare con i miei capelli naturali, almeno per il momento. Ah, eccoti.”
 
Asriel era entrato nel vagone accompagnato da Renèe, che si diresse a passo di marcia verso il tavolo occupato da May ed Elaine senza degnare l’Auror di un’occhiata. Asriel però non sembrò farci caso, anzi la imitò e si diresse verso i due colleghi prima di sfilarsi la giacca, appoggiarla sullo schienale della sedia e infine prendere posto accanto a James.
Mentre si sistemava le maniche della camicia, James avrebbe potuto giurare di scorgere gli sguardi di tutte le presenti catalizzarsi su di loro. Ma fu solo per un istante, poi sembrò tornare tutto normale e il collega addentò un grissino con un sospiro cupo:
“Meno male, ho così fame che a breve avrei iniziato ad addentare una sedia.”
“Sarai felice di sapere che ho ordinato per te il tuo piatto preferito come offerta di pace. Cercherò di non storpiare il tuo cognome. Fino a domani, è ovvio.”
Clodagh allungò una mano sopra al tavolo, porgendola al collega che, dopo un istante di esitazione, annuì e la strinse con la propria, almeno il doppio più grande.
“E io non ti darò della befana irlandese per altrettanto tempo, accetto.”
 
 
“Ma quella ragazza non è quella che si vede sempre nelle foto con Asriel Morgenstern?”
May lanciò un’occhiata carica di curiosità al tavolo occupato dai tre Auror mentre Renèe prendeva posto davanti a lei, ordinando una porzione enorme di fish and chips per tirarsi su di morale.
“Sì, è la sua partner abituale, Clodagh Garvey.”
La giovane fabbricante di bacchette annuì con un gesti vago, giocherellando distrattamente con i propri capelli biondi mentre osservava fuori dal finestrino accanto al quale erano sedute, cogliendo di sfuggita l’occhiata meravigliata che l’amica le rivolse:
“Quelli sono Morgenstern e Garvey, allora? Leggo sempre le cronache sui loro casi, sono fenomenali!”
“Conosci l’Auror?”
Questa volta fu Elaine a parlare, che guardò l’ex Grifondoro aggrottando appena percettibilmente la fronte, lo sguardo carico di curiosità mentre May, di fronte a loro, fantasticava mentalmente su quando emozionante dovesse essere la vita da Auror.
 
“Vagamente, sì. Ma non chiedetemi il motivo, è imbarazzante e non intendo dirlo.”
“Peggio per te Renèe, ora hai stimolato la mia curiosità e non ti darò pace.”
La maggiore sfoderò un sorrisetto divertito, quasi gongolando all’idea di poter tormentare l’amica per estorcerle l’informazione mentre Renèe, lanciandole un’occhiata cupa, tamburellava le dita sul tavolo in attesa del suo pasto.
“May, non cominciare, ti avverto.”
 
“Me lo puoi presentare almeno? Ti prego, è da anni che voglio incontrarli, sono un duo celeberrimo al Ministero!”
“Merlino, no. May, lascia stare, tu sei adorabile, e lui è la persona più scorbutica che io abbia mai conosciuto. Dammi retta.”
 
*
 
“Grazie.”
Lenox accolse i suoi pancake grondati di sciroppo e frutta con un sospiro di sollievo: di certo era un’ordinazione piuttosto atipica per un pranzo, ma in quel momento, con tutto il nervosismo accumulato – ora girava voce che volessero persino sequestrare a tutti le bacchette – aveva solo bisogno di gustarsi il suo piatto preferito.
 
Stava per iniziare a tagliare la pila di frittelle quando, all’improvviso, qualcuno gli domandò di poter prendere posto allo stesso tavolo. Alzato lo sguardo sul suo inaspettato interlocutore il mago annuì, guardando Finn Murphy sederglisi di fronte con un debole sospiro, borbottando qualcosa a proposito di gatti e padrone suscettibili.
 
“A dire il vero, temo di essere colpevole a mia volta sull’avere un gatto… ma è in cabina, giuro.”
Lenox si sforzò di sorridere di fronte all’occhiata cupa e terribilmente seria che l’altro gli rivolse, guardandolo aggrottare la fronte prima di fare cenno all’adorabile cagnolina che mangiucchiava qualcosa ai piedi dell’ex Tassorosso.
“Viaggi con un cane e un gatto? Coraggioso.”
“Non potrei mai lasciare Polly a casa da sola, le spezzerei il cuore. E non mi fido a lasciare solo neanche Scottish, ma per fortuna vanno abbastanza d’accordo.”
Lenox abbassò lo sguardo sulla Cavalier King e le diede una carezza affettuosa sulla testa, guardandola rivolgergli un’occhiata adorante mentre Finn, dal canto suo, si ritrovava a pregare mentalmente per l’incolumità del suo topolino, che aveva chiuso nella sua gabbietta nella cabina di III classe prima di sigillarne la porta.
Poteva solo sperare che nessun felino riuscisse ad intrufolarsi lì dentro.
 
“Mangi pancakes per pranzo? Questo sì che è curioso.”
“Emh… già.”
 
Lenox stava per chiedergli che cosa volesse mangiare quando, all’improvviso, si scordò di Polly e di come la cagnolina stesse reclamando attenzioni colpendogli leggermente un ginocchio con la zampetta. Si scordò persino del cadavere di Alexandra Sutton in I classe, quando vide quello che aveva tutta l’aria d’essere lo chef uscire dalla cucina e dirigersi a passo di marcia verso il tavolo occupato da una ragazza che sedeva sola dopo esserselo fatto indicare da un cameriere.
Lenox guardò lo chef – che pareva tutto fuorché allegro e affabile – e poi il ragazzo che aveva davanti, ritrovandosi a sgranare gli occhi prima di parlare, confuso:
 
“Per caso hai un… cugino che ti somiglia molto?”
“No, perché?”


Perché lo chef è la tua copia sputata!”
 
Finn seguì la direzione indicatagli da Lenox e lanciò una rapida occhiata scettica a Ruven prima di scrollare le spalle e scuotere la testa, liquidando il discorso con un gesto rapido della mano:
“Ma no, non mi somiglia per niente.”
“Per niente?! Un estraneo potrebbe scambiarvi per la stessa persona!”
“Sono sicuro che non accadrebbe ad anima viva.”
 
 
“Salve. Io sarei quello che non sa cuocere una dannata Tarte Tatin.”
Clara dovette, suo malgrado, alzare lo sguardo dal libro che teneva in mano quando sentì qualcuno rivolgerle la parola. La vista del ragazzo che aveva di fronte, vestito da chef con tanto di giacca a doppio petto, le fece però strabuzzare gli occhi scuri, perplessa:
“Ma lei è quello del souris!”
 
“Non so che sia un souris, signorina.”
Ruven aggrottò la fronte a sua volta di fronte all’occhiata confusa che la strega gli rivolse, costretto a doversi ricredere. Non sapeva bene perché, ma si era immaginato una vecchia zitella rompiscatole con la puzza sotto al naso. Quella che aveva di fronte, invece, era una sua deliziosa coetanea con granchi occhi scuri, lineamenti dolci e con un completo grigio scuro sopra ad un maglione a collo alto chiaro.
“Ah, tedesco. Pardon, è incredibile quanto le somigli… beh, ad ogni modo, sì, la Tarte Tatin. Non era proprio cotta a dovere.”
“Eccome se lo era, nessuno si è mai lamentato!”
“La gente è troppo educata, allora.”
 
Le labbra carnose di Clara si inclinarono in un sorrisetto mentre chiudeva il libro e accavallava le gambe, guardando lo chef piegando leggermente la testa.
Era evidente che stesse gongolando, e Ruven si vide costretto a rivedere la parte in cui l’aveva definita “deliziosa”.
 
“Del resto, cosa si può pretendere da un tedesco che cucina francese…”
Clara abbassò lo sguardo sulle unghie della mano sinistra, studiandosele con studiata noncuranza mentre una vena pulsava pericolosamente sul collo dello chef, che strinse lo strofinaccio che teneva in mano per trattenersi dal mandare il tavolo per aria.
“Ah, davvero? Vuole farmi la cortesia di dirmi come la si prepara a dovere, la sua dannata torta?”
 
“Con piacere Chef. Le darò una lezione base di pasticceria quando vuole. Au revoir!”
 
Ruven avrebbe voluto sbraitare che mai, nessuno avrebbe toccato la sua cucina, ma la “francesina” – così decise che l’avrebbe soprannominata – si alzò e si allontanò con disinvoltura prima di dargliene il tempo, lasciandolo di stucco e terribilmente offeso.
 
*
 
Corinne non aveva pranzato, ma non aveva affatto fame.
Stesa sul proprio letto da una piazza e mezza nell’enorme cabina, la strega osservava qualcosa che, per qualche strano motivo, non si era mai decisa a buttare e che da anni le capitava all’occhio quando prendeva in mano i suoi documenti.
Una fotografia che la ritraeva, qualche anno prima, sulla bellissima Costa Azzurra, dove era cresciuta, in una casa che dava sul mare.
Accanto a lei, sorridente allo stesso modo, un’altra ragazza bionda.
 
Corinne esitò per qualche istante, continuando a fissare quell’immagine. Infine, l’appallottolò nella sua stessa mano e la gettò dall’altro lato della stanza.
Di Alexandra Sutton non voleva più saperne niente.
 
*
 
“Spero che vi siate gustati il pranzo signori, perché questo pomeriggio cominceremo ad interrogarvi. Uno ad uno, nella mia cabina in I classe… Io, il Signor Hampton… e prima non ho avuto modo di presentarvela, ma con me c’è anche la mia collega, la Signorina Garvey. Prima degli interrogatori, ognuno di voi dovrà consegnarci la bacchetta. Nessuna eccezione.”
 
Un mare di proteste iniziarono a sollevarsi, ma Finn non ci fece troppo caso, gli occhi chiarissimi fissi sulle tre persone che aveva davanti.
Facevano quasi ridere, messi vicini, quei due Auror: lui altissimo, spalle larghe, completo elegante grigio e serio. La strega, invece, aveva vivaci capelli rossi e indossava un completo di velluto di un brillante blu, e sorrideva allegra quasi avesse l’aria di divertirsi.
Non avrebbero potuto essere più diversi, quegli Auror.
 
Ma a preoccuparlo, era ciò che aveva appena sentito.
Morgenstern e Garvey.
Aveva letto molto, su quella coppia di Auror, tra cui il fatto che insieme avessero risolto un numero esorbitante di casi.
Il mago sospirò e spostò lo sguardo sulla tovaglia del tavolo a cui era seduto, certo che il primo di cui avrebbero sospettato chi sarebbe stato, se non un ex detenuto di Azkaban?
Avrebbe fatto meglio a tirare fuori dal cilindro un alibi più che convincente, perché di tornare dentro quelle mura Finn non ne aveva la benchè minima intenzione.
 
*
 
 
Caro diario,
Alla fine Clodagh è saltata fuori sul treno. Assurdo, ma è così. Lei e Asriel sono un po’ strambi, ma infondo credo che si stiano simpatici a vicenda. Credo.
Comunque, la donna morta era molto importante, e secondo Asriel è stata uccisa intenzionalmente… dice anche che aveva di certo un sacco di nemici a causa del suo lavoro.
Alpine è furiosa con me, l’ho ignorata tutta la mattina per cercare Zorba – ma Asriel mi ha fatto i complimenti, quindi ne è valsa la pena – e mi ha riempito di graffi… E’ proprio una palla di pelo viziata.
 
James interruppe brevemente la scrittura sul suo quadernino dalla copertina coperta da pupazzi di neve, bastoncini di zucchero e abeti addobbati per lanciare un’occhiata storta alla sua gatta, un bellissimo esemplare di Sacro di Birmania che lo stava ignorando da mezz’ora.
Non solo, la furbetta era saltata in braccio ad Asriel non appena lui si era seduto, facendogli le fusa mentre prendeva appunti sulle bacchette, annotando tutto ciò che Renèe diceva sulla loro composizione.
 
Zorba, dal canto suo, guardava furioso la gatta bianca come a volerle ordinare di levarsi dal padrone, ma Alpine si limitava a guardarlo sdegnosa, il collarino rosa coperto da brillantini che luccicava sotto il lampadario.
“Tranquillo Zorbino, ti coccola Zia Clodagh!”
 
Clodagh prese il gattino, se lo mise in grembo e iniziò a dargli grattatine sulla pancia mentre James, abbozzando un sorriso, si chiedeva cos’altro potesse scrivere puntellandosi la matita con i pupazzi di neve sul mento.
 
Comunque, credo proprio che ne verremo a capo. Lo spero, domani è anche il mio compleanno… Asriel e Clodagh sono molto bravi, anche se strambi, e di sicuro posso imparare un mucchio di cose da loro.
Spero solo che non si ammazzino a vicenda, e che Alpine la smetta di graffiarmi!
 
“Clodagh, pensa alle indagini invece di arruffianarti il mio gatto!”
“Sei solo geloso, perché Zorba vuole bene anche a Zia Clodagh! E poi hai poco da parlare, tu, hai Alpine in braccio!”
 
La suddetta gatta, che si stava leccando una zampetta, lanciò un’occhiata sdegnosa anche a lei prima di girarsi con fare di superiorità, dando le spalle a tutti i presenti, e strusciarsi invece sul petto di Asriel, che le carezzò istintivamente la testa senza smettere di scrivere.
 
“JJ, la tua gatta è proprio una snob, e guarda come si arruffiana Asriel!”
“Lo so, mi sono ritrovato Minù degli Aristogatti… solo che lei graffia.”


 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Tardi come sempre, ma alla fine giungo con questo capitolo super gattaro.
Piccola premessa: vorrei mandare in frantumi le speranze di chi aveva idea di trovarsi di fronte ad un giallo serio. Ecco, dovete perdonarmi, ma io ad essere seria a lungo non ce la faccio, senza contare che molti OC che mi sono arrivati hanno un potenziale comico impossibile da non sfruttare.
Spero che a nessuno turbi la cosa!
Detto ciò, grazie a tutti per le recensioni e per sopportare i miei Tornei idioti su Instagram.
Ora però veniamo alle cose serie: i capitolo introduttivi sono finiti, a breve inizieranno gli interrogatori, ergo io inizierò ad approfondire gli OC.
Siete pregati, quindi, di scegliere uno tra questi nomi e di farmelo avere qui o su Instagram in forma privata:
 
Delilah
May
Clara
 
Grazie in anticipo, buonanotte e a presto (avviso preventivamente che il seguito arriverà dopo lunedì prossimo, visto che il 18 ho un esame)!
Signorina Granger
   
 
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