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Autore: RLandH    12/01/2021    0 recensioni
Magnus Bane ha un problema: non sa dire di no ad un’amica; il resto va fuori controllo
“Ah” aveva accettato Magnus con leggera indignazione, “Sarei percepito solo così?” aveva chiesto risentito, “Sono uno stregone di quattrocento anni con una carriera rinomata, tra cui, vorrei ricordare, la fuga su una mongolfiera con Maria Antonietta e la stesura degli Accordi” aveva aggiunto, suo marito lo aveva guardato con estremo stupore, “Ma sarei considerato solo come il marito di Alec? Cioè non fraintendetemi, adoro essere considerato il marito-di-Alec. Tipo mi piace così tanto che potrebbe essere il mio secondo nome, il Grande Magnus Marito-di-Alec Bane, suona benissimo, ma ecco, una persona si aspetta un po’ più di riconoscimento. Ho anche formato una setta che è diventata problematica ad un certo punto” aveva detto. Voleva che il discorso fosse serio, ma non c’era riuscito e dal sorriso teso di Tessa, per nascondere la risata gli sembrava evidente.
Alla fine la stregona aveva riso ed anche sul marito, che aveva posato la fronte sulla sua spalla.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Ragnor Fell, Theresa Gray
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve benvenuti qui, o lettori impavidi, che avete avuto coraggio di aprire questa storia sgangherata, che spero potrete apprezzare in qualche oscuro modo.
Prima però, cono un paio di fastidiosissime premesse (verrà il giorno in cui inizierò una storia senza premesse, ma quel giorno non è oggi). La prima: a dispetto del titolo (parecchio pretenzioso), questa storia vuole essere una storia divertente, non comica, ma divertente (con qualche momento di riflessione qua e là, sfortunatamente per me ho la profondità emotiva di una pozzanghera).
Seconda: La storia è piena di OC, so che a molte persone potrebbero non piacere, però ci sono (per lo più Shadowhunter e Stregoni, perché mi piacciono tanto) ed in realtà questa storia è nata dall’idea di avere una Ragnor/OC.
Terza(Riguarda spoiler): tecnicamente la storia si svolge tempo dopo La Regina dell’Aria e delle Tenebre (che confesso, shame on me, non ho letto) quindi potrebbe contenere spoiler di questo libro (mi sono documentata un po’), però contiene sfacciati spoiler de Il Libro Perduto del Bianco (e tecnicamente ho deciso di ignorare ogni sorta di ipotesi futura su il Libro Nero dei Morti).
Quarta (sono pessima): con Magnus mi sono presa un paio di libertà con la sua storia passata (incluso il suo nome) e con la timeline degli shadowhunter (un po’), infondo è una fanfiction.
Okay, fine premesse, oltre ciò, sì la storia ha una certa componente Malec(principalmente perchè sono una ship B E L L A), ma io non so scrivere robe romantiche e questa non è una storia molto romantica, tutto sommato. Insomma, è un'avventura.
Buona Lettura,
RLandH

Ps – Il titolo vuol dire letteralmente: Dall’Uovo, che è una locuzione latina per intendere “Dalle più remote origini”

 

Giustizia mosse il mio alto fattore

Ab Ovo

“Eri mai stato qui?” aveva domandato il giovane, mentre osservava il suo amico ed il suo maestro nascondere il viso sotto un cappuccio scuro, “No” aveva confessato onesta mentre si destreggiava tra le vie intricate della città.
Costantinopoli.
Istanbul.
Antica e potente.
Era bastato che si avvicinassero appena alla Capitale de facto dell’impero ottomano perché lui, che era ancora ignorante di tutto, potesse riconoscerne il vibrante potere; da esserne investito. Ogni mattone, ogni ciottolo, ogni cosa di quella città risultava intriso di magia. Una antica e potente.
Fratello Zebulon gli aveva raccontato che il Mercato delle Ombre di Parigi fosse il più antico – e lui non vedeva l’ora di vederlo –  ma quello di Istanbul era sicuramente il più grande e il più spettacolare.
L’altro aveva detto di non essere mai stato lì, né nella città, né all’interno del mercato, ma dalla sicurezza che aveva mostrato nel seguire nel percorso, senza dover chiedere informazioni o un minimo di esitazione, così come la certezza dei suoi movimenti, pareva evidente, a lui, che il suo amico gli avesse mentito.
A quella stessa maniera, era ovvio che non volesse farsi riconoscere; questo però non lo stupiva affatto, si era accorto che il suo maestro era una persona a volte troppo sospetta e, giustamente, paranoica.
Nel corso del tempo aveva visto il suo mentore spesso ricorrere al glamour o alle maschere per nascondere il viso verdissimo agli occhi dei mondani, era ovvio che non fosse quello scopo, il mercato delle ombre di Istambul pullulava a destra e manca di ogni creatura. Però il suo amico aveva il cappuccio scuro sceso sul viso ed un foulard legato sul volto, che ne copriva la punta del naso e le labbra, dandoli l’aspetto di uno spettro avviluppato nel nero, lasciando visibile solo una porzione di verde della pelle, da cui spiccavano gli occhi scuri.
“È qui che si trova il Sommo Stregone di Istanbul?” aveva domandato lui poi, sapeva che fossero andati lì per incontrare tale soggetto. “No” aveva risposto Ragnor senza fermare la sua camminata scivolando, attento tra la gente, mentre lui di rimando cercava di evitare la spallate degli abitanti che popolavano la strada del mercato e gli occhi intriganti rivolti verso di loro.
“Ragazzino” aveva sussurrato una voce, si era voltato, sentendosi chiamare, “Vuoi provare degli ottimi falafel?” aveva chiesto una giovane fata con la pelle scura come le foglie di tek, gli occhi blu intensi che coprivano l’intera sclera e capelli d’oro, vestita di foglie d’edera e tralci. Bellissima.
Aveva voltato il capo per cercare il suo compagno, “No, giovane Fey” aveva risposto proprio quest’ultimo, posando una mano sulla sua spalla, per trascinarlo nuovamente verso la sua rotta. “Cosa ti ha insegnato Fratello Juan?” aveva domandato retorico il suo maestro, guardandolo con uno sguardo di disappunto.
“Compra dalla fate non accettare le loro offerte” aveva ripetuto placido, “Non sei più un ragazzino, devi cominciare a fare attenzione” lo aveva rimproverato, prima di infilarsi in un vicolo, dove altra gente ancora più discutibile aveva cercato di vederle l’oro oggetti, ma la loro camminata non aveva avuto ulteriori interruzioni.


Dopo una serie di svolte a sinistra, di cui non aveva tenuto il conto, intervallate da due a destra ed un licantropo assolutamente certo di aver creato il filtro del vero amore, il suo compagno aveva arrestato la sua frettolosa camminata.
“Ho mentito a Fratello Zebulon” aveva confidato guardandolo di sottecchi, “Non siamo venuti ad Istanbul per conoscere Solyman Ibn” aveva ammesso colpevole, bussando poi contro la porta.
Questa era di un legno nero lucido, massiccio, con i cardini in ferro,  sulla sommità di essa era stata appesa una maschera, con un sorriso raccapricciante e largo. Le aveva studiate, sapeva servissero per scacciare il male da quella soglia.
L’uomo a cui aveva fatto riferimento il suo maestro, Solyman Ibn, era il Sommo Stregone della città di Istambul, la persona che erano venuti a trovare, o almeno così avrebbe dovuto essere. “Siamo qui per incontrare Iusta” aveva spiegato pratico il suo mentore. Uno spioncino tondo che scavava la porta, si era aperto; era di un metallo dorato ed un occhio aveva fatto capolino. Ci aveva impiegato qualche momento, ma aveva realizzato che la frase pronunciata dal suo accompagnatore non era per lui, ma per l’occhio. Dopo un secondo di esitazione da dietro la porta, l’altro aveva ceduto ed aveva abbassato il fazzolo che ne oscurava la faccia, rivelando la parte inferiore del suo viso.
“Ragnor Fell” era stata la bassa risposta che avevano ricevuto, poi la porta si era aperta, così quello definitivamente aveva fatto scivolare fuori anche il cappuccio, lasciando liberi i capelli bianchissimi e le corna.
Dietro la porta c’era semplicemente un uomo, sembrava mondano, se non fosse stato per gli occhi curiosi e scintillanti.

“Non accettare nulla da qui” si era raccomandato poi Ragnor, “Altre fate?” aveva chiesto sogghignante lui, “Anche” aveva confidato secco, “Ma per lo più non voglio occuparmi di uno stregone ragazzino in estasi” lo aveva rimproverato.
Ecco, , quello sembrava sinceramente divertente – e da fare, doveva appuntarselo da qualche parte.
Ragnor lo aveva guidato all’interno del giardino di un cortile porticato. Il palazzo moresco riverberava di colori vibranti, così come i fiori che adornavano il giardino.
Il corridoio porticato, composto da pilastri rossi, si affacciava su stanze, i cui usci erano nascosti da tende chiare.
Dalle ombre proiettate dalle tende e dai rumori che udiva, specie quando si erano lasciati alle spalle il giardino per entrare in un corridoio riccamente decorato, avrebbe immaginato quello fosse un bordello – i fratelli avrebbero potuto risentirsi molto – ma poi era passato davanti una sala, dove aveva osservato tre figure mano nella mano attorno ad un cerchio. Praticavano incantesimi.
Così alla fine aveva chiesto: “Chi è Iusta? Che posto è questo?”
“La stregona che siamo venuti ad incontrare” aveva raccontato poi il mentore, “Che non è la Somma Stregona di Istanbul” aveva considerato il più giovane, tra sé e sé, ma sapeva che Ragnor lo aveva sentito ugualmente, “Solamente per sua volontà” aveva risposto di fatti, fermandosi davanti una tenda da un intenso colore rosso.
Aveva rivolto verso di lui uno sguardo piuttosto teso, “Questa è una Domus Magicae[1], un luogo che dovrai evitare di raccontare ai Fratelli di aver visitato” lo aveva avvertito. Lui aveva annuito, mentre osservava Ragnor scostare una tenda di raso rosso, per entrare in una stanza.

“Due giovani stregoni” aveva cinguettato una voce in greco, allora lui l’aveva vista, su un’ottomana c’era una donna, stesa, indossava una lunga veste crema, sopra un peplo porpora,  non mancavano attorno ai polsi sottili ed il collo di cigno collane tempestate di gemme lucenti e file di perle bianche.
Però sembrava mondana, in tutto, l’incarnato olivastro, gli occhi scuri ed i capelli corvini raccolti in una treccia spessa che scivolava da una spalla sul petto florido.
Mangiava dell’uva con un certo gusto.
“Ragnor Fell, sei diventato un uomo mentre ero distratta” aveva commentato lei, tirandosi su, facendo inavvertitamente cadere la ciotola dal suo ventre, ma invece che crollare rovinosamente a terra, essa si era posata delicatamente.
“Sono passati molti anni, Iusta” aveva sussurrato lui, chinandosi su un ginocchio e baciando  le dita della mano sinistra della donna, con un tono amorevole.
Si era accorto come Ragnor fosse sempre cedevole al gentil sesso, ma che la voce stucchevole che aveva utilizzato con la donna non sembrava rispettare la sua usuale verve romantica, non riusciva a capire se fosse più sincero o meno, era come se la sua voce fosse tinta di un’intensità diversa.
“Ho sentito che ora sei in terra iberica, che insegni ai nephilim” aveva valutato, “Londinium ti è venuta a noia?” aveva indagato Iusta tirandosi su.
Ragnor aveva riportato fosse una stregona, però non lo sembrava affatto, forse aveva un ottimo glamour. “Insegna ai bambini, insegnerai agli uomini” aveva detto lo stregone dalla pelle verde, con un viso granitico. “Sì” aveva considerato Iusta, prima di continuare: “Anche mia madre aveva questi bislacchi pensieri” aveva commentato, puntando gli occhi su di lui in quel momento, con le braccia alla vita, interessata, accorgendosi della sua presenza. “Ma con mio fratello ha ottenuto lo stesso effetto che ho avuto io quando ho provato ad insegnare gli scacchi ad una gallina” aveva ridacchiato con una punta di cattiveria, tornando a guardare nuovamente verso Ragnor.
C’era qualcosa di predatorio in lei.
E di potente.
Fratello Zabulon aveva detto loro che gli stregoni potevano percepirne altri, la loro potenza, in base alla loro genealogia.
Iusta era sicuramente una stregona, una davvero potente, nonostante il suo aspetto.
“Non ho particolare amore per i figli degli Angeli, ma i fratelli Silenti di Toledo e di Madrid si sono dimostrati visionari” aveva concesso Ragnor, aveva rivolto un’occhiata verso di lui, che era stato raccolto da quella branchia dei cacciatori ed era stato educato da loro.
Ragnor aveva cominciato con lui e poi con i bambini nephilim, affinché non temessero e diffidassero dei nascosti, come loro.
Non lo so” aveva confidato Iusta, “Non riesco ancora ad abituarmi a loro” aveva ammesso cupa.
“Lei esisteva prima degli Shadowhunters?” aveva domandato confuso e sconvolto lui, allora Iusta aveva rivolto lo sguardo verso di lui, “Si, gattino” aveva detto solamente, dandoli un buffetto con un dito sul naso.
Era più bassa di lui, aveva delle spalle larghe e nonostante avesse un viso giovane, senza una ruga, immortale, forse una giovane donna nella metà della ventina, i suoi occhi erano quelli di una vecchia e non aveva dubbi, dopo quell’ultima notizia che Iusta fosse antica.
“L’ultima volta che sei stato qui, Ragnor hai guadagnato il perpetuo odio della verdula Hurrem” aveva ghignato Iusta, “Ha offerto il proprio peso in scaglie di drakon a chiunque gli avesse portato la tua testa” aveva raccontato, con un sorriso maligno che le serpeggiava il viso. “Ma tu non hai bisogno di scaglie di drakon” aveva risposto con estrema calma Ragnor, dal tono non pareva minimamente turbato dal commento di Iusta.
“No, hai ragione non mi servono ma non mi dispiacerebbero, però, ammetto di preferire avere il tuo faccino intorno” aveva ghignato divertita, “Ed io adoro esserti intorno” aveva risposto Ragnor, c’era una certa sincerità nelle sue parole.
Iusta aveva non aveva perso il sorriso maligno, ma aveva continuato: “Eppure, per quanto io sia sicura di me, e lo sono, abbastanza da scatenare una guerra per vendicarmi di un solo uomo; so per certo che non è della mia compagnia che sei venuto in cerca” aveva sussurrato dedicando un famelico bacio a Ragnor, che ne era rimasto incantato per un istante, poi la donna aveva voltato lo sguardo verso di lui, con occhi neri e brillanti.

“Hai degli occhi splendidi” aveva valutato, “Come i cancelli dell’averno – fidati: ci ho dato un occhio lungo” aveva considerato, allungando una mano verso di lui per portarla sulla sua guancia.
Lui era rimasto fermo, immobile, per quel commento.
Come i cancelli dell’inferno, anche sua madre un giorno lo aveva detto.
“Sei venuto qui per lui, vero?” aveva domandato retorica Iusta, lo aveva detto guardando lui, ma la domanda era chiaramente rivolta per Ragnor, “Si” aveva risposto l’altro, anche se sembrava in quel momento inutile.
“Come ti chiami?” aveva chiesto questa volta Iusta, con un tono caldo ed accomodante, “Nicolao Diostelevante[2]” aveva risposto lui.
“Questo è un nome da orfano” aveva considerato la stregona, “Il genere che ti danno in un brefotrofio” aveva aggiunto, “Quindi: come ti chiami veramente?” aveva domandato nuovamente la stregona.
Doveva riconoscere che era così, erano stati i Fratelli Silenti a chiamarlo così, era un nome momentaneo, perché potesse allontanarsi da quel nome che sua madre gli aveva dato e che non sentiva più suo, dopo il fuoco.
Harta Dijikastra[3]” aveva pronunciato quel nome come se fosse stato ardente sulla sua lingua, Tesoro, come sua madre ed il suo patrigno lo avevano considerato all’inizio, prima che i suoi occhi e le sue dita scintillassero.
Era un nome ormai dimenticato e perduto, che faceva male sulla sua lingua, così come nel suo cuore.
“Questo immagino sia il nome che tua madre ti ha dato” aveva valutato Iusta, “Ma non è il tuo nome” aveva considerato, “Il nome di uno stregone” aveva aggiunto, lasciando la sua guancia, aveva la mano fredda e umida, come quella di un corpo in ammollo, “Ragnor Fell, Anubis Syme, Hypathia Vyx” aveva ripetuto quei titoli con calma, “Un nome che puoi … anzi devi sceglierti” aveva rivelato, aveva una voce profonda, oscura.
Iusta aveva preso la sua mano e lo aveva guidato a sedersi sull’ottomana e lui l’aveva seguita senza resistenza “Quanti anni hai, Nicolao?” aveva domandato poi, pronunciando quel nome con denti strettissimi, “Molti” aveva risposto lui, recuperando coscienza, “Una buona risposta” aveva riso Iusta, “Non sei poi un insegnante così mediocre, allora, Ragnor” aveva valutato.
Anche il suo amico si era accomodato, su una canapè che aveva fatto apparire dal nulla, “Allora perché siete qui?” aveva domandato, mentre faceva volteggiare di nuovo il piatto con l’uva sotto i loro nasi, lui l’aveva evitata, mentre lo stregone più maturo non aveva avuto reticenze.
“Voglio sapere di chi sono figlio” aveva sussurrato Harta.
“Ah” aveva mormorato Iusta, “Di un demone, no?” aveva proposto, ma il silenzio dei due era quanto mai stato eloquente, “Un giorno capirò perché tutti sono così ossessionati da voler conoscere quale essere gli ha messi in questo mondo” aveva mormorato affranta Iusta, “Io non ci tenevo molto” aveva soppesato, “Neanche a me importa” aveva ammesso candido Ragnor, “Ma a lui si, conta questo” aveva valutato, “Sei una delle stregone più antiche che conosco e probabilmente la più talentuosa” aveva aggiunto.
“Tu vizi il mio ego, Ragnor, ti prego non smettere mai” aveva riso, voltando nuovamente il viso verso Harta, “Non troverai le risposte che cerchi in quella scoperta, voglio che tu ne sia consapevole” lo aveva avvertito, c’era un che di materno nella sua voce.
Voglio” aveva insistito Harta.
Iusta aveva scosso il volta sconsolato, prima di  posare l’indice sotto il mento del ragazzo, per studiarlo appena, “Occhi gialli come quelli di un felino” aveva sussurrato, “Bellissimi” aveva mormorato, “Di tratti demoniaci ne ho visti, ma sono rari così belli ed eleganti” aveva rivelato.
E discreti.
Questo non lo aveva detto, ma Harta lo aveva letto nella sua voce.
Eppure tanto erano bastati per condannarlo la sua fragile fanciullezza al marcire.
“Tu non ne hai” aveva commentato alla fine, “Non si chiedono mai i tratti demoniaci ad una signora” lo aveva rimproverato, prima di voltarsi verso Ragnor, “Questo è colpa tua, pistacchio” lo aveva rimproverato.
Iusta era tornata a guardare Harta poi, “Ho solo un glamour incredibilmente raffinato; l’età da molte conoscenze” aveva risposto Iusta, tirando le mani via dal viso del ragazzo per portarle al suo stesso collo e sfilare la lunga collana arrotolata di perle, per liberare il collo nudo aggraziato da cigno.
Improvvisamente la carnagione olivastra di Iusta aveva assunto una gradazione diversa, un grigiolino lucido, con dei riflessi azzurri, era come guardare il viso d’una statua. Marmoreo, letteralmente.  
Il corvino dei capelli aveva perso lucentezza, si era fatto più opaco, però erano ancora capelli. Tutto quello che non era cambiato per nulla di lei, erano gli occhi carbone.
“Oh” aveva commentato Harta, “Questa è la prima volta che ti vedo senza protezione nella tua magia” aveva considerato Ragnor, “Sembri una statua …” aveva provato Harta, “Si, ho fatto valutare la mia pelle, marmor carystium[4]” aveva confidato frettolosamente Iusta, “Conosco qualche collezionista che mi vorrebbe immobile nell’androne del suo palazzo” aveva ridacchiato con un certo nervosismo.
Probabilmente, nonostante i lunghi secoli sulle sue spalle, Iusta per prima non si sentiva ancora a suo agio con il suo medesimo viso.
Harta si chiese se un giorno almeno lui si sarebbe abituato.
Iusta  aveva allungato nuovamente la mano verso il viso di Nicolao per toccarlo ancora, non era cambiato al tatto, la sua pelle era sempre fredda, “Nonostante la mia pelle sembri fatta di marmo, non sono una statua, sono ancora una cosa viva, sotto” aveva confermato la sua impressione.
“Quando ero più giovane … avevo forse cinquecento anni o giù di lì” aveva parlato Iusta, “Conobbi uno stregone a Rus’ di Kiev” aveva confessato, “I suoi occhi erano come i tuoi, felini e feraci” aveva confidato, “Diceva di essere una Antica Maledizione” aveva aggiunto poi.
“Iusta” era stato il muto rimprovero di Ragnor, “Solo che non visse a lungo per dimostrarlo, aveva un potere tale che lo condusse all’oblio” aveva mormorato, “Sapere cosa fosse lo aveva guidato ad un eterno stato di dolore e questo lo ha consumato” aveva commentato.
“Cos’è una Antica Maledizione?” aveva domandato Harta, “Sono i figli dei Principi Infernali, degli Angeli Caduti” aveva confidato, “I più potenti e pericolosi tra noi, anche e soprattutto per loro stessi” aveva confidato.
“Mio padre è un Principe Infernale?” aveva domandato confuso Harta, “Uno di quegli angeli caduti nella perdizione per seguire la stella del mattino, sì, Nicolao” aveva confermato Iusta.
Nel suo tono, nel suo viso, c’era più consapevolezza e dolore di quanto fosse stato fino a quel momento, tutto quel divertimento e gioco che era esistito fino a quel momento s’era completamente assopito, lasciando una cruda consapevolezza.
“Anche tu” era stato l’unico sussurro di Ragnor, “Non cercare tuo padre, Nicolao” aveva sussurrato Iusta, “Incontrare il proprio demoniaco padre è orribile” aveva raccontato, “I demoni sono creature di solo male, non possano che istillare dubbi in te, nella tua vita, nelle tue scelte” aveva confidato, “Perché essere buono, se la mia stessa natura non me lo permette?” aveva chiesto retorica.
“Ma incontrare un principe dell’inferno è peggio. Un demone nasce maligno, ma un angelo caduto è una creatura di sommo bene che ha scelto il male” aveva aggiunto, “Un male inesplicabile in lingua mortale” aveva aggiunto, c’era dolore nelle sue parole, descriveva un sentimento che doveva esserle rimasto bruciante nel petto.
“Hai incontrato tuo padre?” aveva domandato Harta, “Una volta” aveva confidato Iusta, “Una creatura splendida, come io non lo ero, quasi abbagliate, che non poté far altro che istigarmi un unico dubbio” aveva confidato.
“Quale?” aveva chiesto Harta.
“Come sarebbe stato se non avesse scelto di seguire Lucifero?” aveva domandato retorica, “E come sarei stata io?” aveva chiesto, spostando le mani fredde dal viso di Harta per guardarsele. Una pelle dura rigida, sfumata, come quella di una scultura.
“Nicolao, non cercare di scoprire chi è tuo padre, te lo dice una vecchia signora che ha rubato molti anni a questa vita” aveva aggiunto.
Ma sia Harta sia Iusta erano consapevoli di quanto quella preghiera sarebbe rimasta inascoltata.

Prima che uno dei due rompesse quel sinistro silenzio che si era venuto a creare, un fuoco brillante aveva illuminato la stanza. Nicolao sapeva cosa fossero: messaggi di fuoco, non ne aveva mai ricevuto uno, però.
Iusta aveva raccolto il foglietto con discreto interesse, schiudendolo e leggendolo attentamente. Ragnor aveva posato una mano sulla spalla di Nicolao in un gesto paterno. La strega aveva bruciato il resto del messaggio con una fiammella che aveva acceso con le sue mani, la scintilla dei poteri sprigionata dalle sue dita era di un argento sottile appena percettibili.
“Cattive notizie?” aveva chiesto Ragnor, “Non so, può darsi” aveva risposto Iusta con un sorriso cristallino sulle labbra, come se la possibilità non la toccasse per nulla, però si era chinata per raccogliere nuovamente la collana di perle che aveva fatto cadere per terra ed indossarla di nuovo.
Il glamour l’aveva avvolta di nuovo, facendola apparire nuovamente come una splendida donna mondana priva di imperfezioni. “Antonius Vir mi ha chiesto di raggiungerlo nel Labirinto Spirale e non lo ha fatto in vece privata” aveva ammesso poi con un po’ più di cupezza.  “Oh” si era lasciato sfuggire Ragnor, “Allora non ti tratterremo, ci sentiremo prossimamente, se vorrai aiutarci” aveva detto pratico il suo maestro. Gli occhi neri di Iusta non lo avevano lasciato però, “O potreste venire con me, non c’era scritto che non dovessi avere compagnia” aveva annunciato, “Il Consiglio mi rende sempre nervosa” aveva aggiunto Iusta, ma Harta era abbastanza sveglio da riconoscere che stesse mentendo sfacciatamente.
Nicolao aveva guardato Ragnor con occhi pieni d’aspettativa, non poteva vedere sé stesso, ma era certo che la sua espressione tradisse a pieno il suo interesse. Improvviso.
Prima che il suo maestro potesse rispondere Iusta aveva ripreso a parlare, “Sono sicura che tu non abbia ancora portato questo piccolo tesoretto al luogo a cui appartiene” aveva aggiunto.
“Cos’è il Labirinto a Spirale?” aveva indagato subito sfacciato Harta, “Il luogo cui ogni stregone può fare ritorno, non è proprio come avere una casa, ma ci si avvicina” aveva buttato fuori, “Ed è sicuramente un luogo più carino rispetto un istituto di nephilim o le loro tetre Città Silenti” aveva scherzato.
Nicolao aveva guardato Ragnor aspettando la sua risposta, “C’è una bella biblioteca che potrai visitare” aveva concesso.
“Oh, San Giovanni, Alberello mio, non poteremo un bambino in una biblioteca, ci sono un sacco di posti molto più stimolanti” era stato rimproverato Iusta.
Nicolao decise che quella strega gli piaceva, specie perché sembrava essere così pungente con Ragnor.



[1] Letteralmente Casa Magica (mi sono rifatta al concetto di Domus Ecclesiae) ovvero un luogo dove gli stregoni, fey e co si radunano per fare incantesimi/riti/etc non troppo legali – o almeno così le ho pensate.

[2] Nicolao da San Nicola, protettore dei bambini, Diostelevante, letteralmente: Dio-ti-allevi

[3] Dikijastra è un cognome olandese standard, mentre Harta è una parola che vuol dire Tesoro in indonesiano (secondo google translate)

[4] Marmo Carystium, traducibile in Marmo di Karystos, così veniva chiamato in epoca romana il tipo di marmo conosciuto oggi come Marmo Cipollino (verde)

   
 
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