Salve
benvenuti qui, o
lettori impavidi, che avete avuto coraggio di aprire questa storia
sgangherata,
che spero potrete apprezzare in qualche oscuro modo.
Prima però, cono un paio di fastidiosissime premesse
(verrà il giorno in cui
inizierò una storia senza premesse, ma quel giorno non
è oggi). La prima: a
dispetto del titolo (parecchio pretenzioso), questa storia vuole essere
una
storia divertente, non comica, ma divertente (con qualche momento di
riflessione qua e là, sfortunatamente per me ho la
profondità emotiva di una pozzanghera).
Seconda: La storia è piena di OC, so che a molte persone
potrebbero non
piacere, però ci sono (per lo più Shadowhunter e
Stregoni, perché mi piacciono
tanto) ed in realtà questa storia è nata
dall’idea di avere una Ragnor/OC.
Terza(Riguarda spoiler): tecnicamente la storia si
svolge tempo dopo La
Regina dell’Aria e delle Tenebre (che confesso, shame on me,
non ho letto) quindi
potrebbe contenere spoiler di questo libro (mi sono
documentata un po’),
però contiene sfacciati spoiler de Il Libro Perduto del
Bianco (e tecnicamente
ho deciso di ignorare ogni sorta di ipotesi futura su il Libro Nero dei
Morti).
Quarta (sono pessima): con Magnus mi sono presa un paio di
libertà con la sua
storia passata (incluso il suo nome) e con la timeline degli
shadowhunter (un
po’), infondo è una fanfiction.
Okay, fine premesse, oltre ciò, sì la storia ha
una certa componente Malec(principalmente perchè sono una
ship B E L L A), ma io non so scrivere
robe romantiche e questa non è una storia molto romantica,
tutto sommato. Insomma, è un'avventura.
Buona Lettura,
RLandH
Ps
– Il titolo vuol dire
letteralmente: Dall’Uovo, che
è una locuzione latina per intendere “Dalle
più remote origini”
Giustizia
mosse il mio alto fattore
Ab
Ovo
“Eri
mai stato qui?”
aveva domandato il giovane, mentre osservava il suo amico ed il suo
maestro nascondere
il viso sotto un cappuccio scuro, “No” aveva
confessato onesta mentre si destreggiava
tra le vie intricate della città.
Costantinopoli.
Istanbul.
Antica e potente.
Era bastato che si avvicinassero appena alla Capitale de facto
dell’impero ottomano perché lui, che era ancora
ignorante di tutto, potesse
riconoscerne il vibrante potere; da esserne investito. Ogni mattone,
ogni
ciottolo, ogni cosa di quella città risultava intriso di
magia. Una antica e
potente.
Fratello Zebulon gli aveva raccontato che il Mercato delle Ombre di
Parigi
fosse il più antico – e lui non vedeva
l’ora di vederlo – ma
quello di Istanbul era sicuramente il più
grande e il più spettacolare.
L’altro aveva detto di non essere mai
stato lì, né nella città,
né
all’interno del mercato, ma dalla sicurezza che aveva
mostrato nel seguire nel percorso,
senza dover chiedere informazioni o un minimo di esitazione,
così come la
certezza dei suoi movimenti, pareva evidente, a lui, che il suo amico
gli
avesse mentito.
A quella stessa maniera, era ovvio che non volesse farsi riconoscere;
questo
però non lo stupiva affatto, si era accorto che il suo
maestro era una persona
a volte troppo sospetta e, giustamente, paranoica.
Nel corso del tempo aveva visto il suo mentore spesso ricorrere al
glamour o
alle maschere per nascondere il viso verdissimo agli occhi dei mondani,
era
ovvio che non fosse quello scopo, il mercato delle ombre di Istambul
pullulava
a destra e manca di ogni creatura. Però il suo amico aveva
il cappuccio scuro
sceso sul viso ed un foulard legato sul volto, che ne copriva la punta
del naso
e le labbra, dandoli l’aspetto di uno spettro avviluppato nel
nero, lasciando visibile
solo una porzione di verde della pelle, da cui spiccavano gli occhi
scuri.
“È qui che si trova il Sommo Stregone di
Istanbul?” aveva domandato lui poi,
sapeva che fossero andati lì per incontrare tale soggetto.
“No” aveva risposto
Ragnor senza fermare la sua camminata scivolando, attento tra la gente,
mentre
lui di rimando cercava di evitare la spallate degli abitanti che
popolavano la
strada del mercato e gli occhi intriganti rivolti verso di loro.
“Ragazzino” aveva sussurrato una voce, si era
voltato, sentendosi chiamare,
“Vuoi provare degli ottimi falafel?” aveva chiesto
una giovane fata con la
pelle scura come le foglie di tek, gli occhi blu intensi che coprivano
l’intera
sclera e capelli d’oro, vestita di foglie d’edera e
tralci. Bellissima.
Aveva voltato il capo per cercare il suo compagno, “No,
giovane Fey” aveva risposto
proprio quest’ultimo, posando una mano sulla sua spalla, per
trascinarlo
nuovamente verso la sua rotta. “Cosa ti ha insegnato Fratello
Juan?” aveva
domandato retorico il suo maestro, guardandolo con uno sguardo di
disappunto.
“Compra dalla fate non accettare le loro offerte”
aveva ripetuto placido, “Non
sei più un ragazzino, devi cominciare a fare
attenzione” lo aveva rimproverato,
prima di infilarsi in un vicolo, dove altra gente ancora più
discutibile aveva
cercato di vederle l’oro oggetti, ma la loro camminata non
aveva avuto
ulteriori interruzioni.
Dopo una serie di svolte a sinistra, di cui non aveva tenuto il conto,
intervallate
da due a destra ed un licantropo assolutamente certo di aver creato il
filtro
del vero amore, il suo compagno aveva arrestato la sua frettolosa
camminata.
“Ho mentito a Fratello Zebulon” aveva confidato
guardandolo di sottecchi, “Non
siamo venuti ad Istanbul per conoscere Solyman Ibn” aveva
ammesso colpevole,
bussando poi contro la porta.
Questa era di un legno nero lucido, massiccio, con i cardini in ferro, sulla sommità di
essa era stata appesa una
maschera, con un sorriso raccapricciante e largo. Le aveva studiate,
sapeva servissero
per scacciare il male da quella soglia.
L’uomo a cui aveva fatto riferimento il suo maestro, Solyman
Ibn, era il Sommo
Stregone della città di Istambul, la persona che erano
venuti a trovare, o
almeno così avrebbe dovuto essere. “Siamo qui per
incontrare Iusta” aveva spiegato
pratico il suo mentore. Uno spioncino tondo che scavava la porta, si
era aperto;
era di un metallo dorato ed un occhio aveva fatto capolino. Ci aveva
impiegato qualche
momento, ma aveva realizzato che la frase pronunciata dal suo
accompagnatore
non era per lui, ma per l’occhio. Dopo un secondo di
esitazione da dietro la
porta, l’altro aveva ceduto ed aveva abbassato il fazzolo che
ne oscurava la
faccia, rivelando la parte inferiore del suo viso.
“Ragnor Fell” era stata la bassa risposta che
avevano ricevuto, poi la porta si
era aperta, così quello definitivamente aveva fatto
scivolare fuori anche il
cappuccio, lasciando liberi i capelli bianchissimi e le corna.
Dietro la porta c’era semplicemente un uomo, sembrava
mondano, se non fosse
stato per gli occhi curiosi e scintillanti.
“Non
accettare nulla da
qui” si era raccomandato poi Ragnor, “Altre
fate?” aveva chiesto sogghignante
lui, “Anche” aveva confidato
secco, “Ma per lo più non voglio occuparmi
di uno stregone ragazzino in estasi” lo aveva rimproverato.
Ecco, sì, quello sembrava sinceramente
divertente – e da fare, doveva
appuntarselo da qualche parte.
Ragnor lo aveva guidato all’interno del giardino di un
cortile porticato. Il palazzo
moresco riverberava di colori vibranti, così come i fiori
che adornavano il
giardino.
Il corridoio porticato, composto da pilastri rossi, si affacciava su
stanze, i
cui usci erano nascosti da tende chiare.
Dalle ombre proiettate dalle tende e dai rumori che udiva, specie
quando si
erano lasciati alle spalle il giardino per entrare in un corridoio
riccamente
decorato, avrebbe immaginato quello fosse un bordello – i
fratelli avrebbero
potuto risentirsi molto – ma poi era passato davanti una
sala, dove aveva osservato
tre figure mano nella mano attorno ad un cerchio. Praticavano
incantesimi.
Così alla fine aveva chiesto: “Chi è
Iusta? Che posto è questo?”
“La stregona che siamo venuti ad incontrare” aveva
raccontato poi il mentore, “Che
non è la Somma Stregona di Istanbul” aveva
considerato il più giovane, tra sé e
sé, ma sapeva che Ragnor lo aveva sentito ugualmente,
“Solamente per sua
volontà” aveva risposto di fatti, fermandosi
davanti una tenda da un intenso
colore rosso.
Aveva rivolto verso di lui uno sguardo piuttosto teso,
“Questa è una Domus
Magicae[1],
un luogo che dovrai evitare di raccontare ai Fratelli di aver
visitato” lo aveva
avvertito. Lui aveva annuito, mentre osservava Ragnor scostare una
tenda di
raso rosso, per entrare in una stanza.
“Due
giovani stregoni”
aveva cinguettato una voce in greco, allora lui
l’aveva vista, su un’ottomana
c’era una donna, stesa, indossava una lunga veste crema,
sopra un peplo
porpora, non
mancavano attorno ai polsi
sottili ed il collo di cigno collane tempestate di gemme lucenti e file
di
perle bianche.
Però sembrava mondana, in tutto, l’incarnato
olivastro, gli occhi scuri ed i
capelli corvini raccolti in una treccia spessa che scivolava da una
spalla sul
petto florido.
Mangiava dell’uva con un certo gusto.
“Ragnor Fell, sei diventato un uomo mentre ero
distratta” aveva commentato lei,
tirandosi su, facendo inavvertitamente cadere la ciotola dal suo
ventre, ma
invece che crollare rovinosamente a terra, essa si era posata
delicatamente.
“Sono passati molti anni, Iusta” aveva sussurrato
lui, chinandosi su un
ginocchio e baciando le
dita della mano
sinistra della donna, con un tono amorevole.
Si era accorto come Ragnor fosse sempre cedevole al gentil sesso, ma
che la
voce stucchevole che aveva utilizzato con la donna non sembrava
rispettare la
sua usuale verve romantica, non riusciva a capire se fosse
più sincero o meno,
era come se la sua voce fosse tinta di
un’intensità diversa.
“Ho sentito che ora sei in terra iberica,
che insegni ai nephilim” aveva
valutato, “Londinium ti è
venuta a noia?” aveva indagato Iusta tirandosi
su.
Ragnor aveva riportato fosse una stregona, però non lo
sembrava affatto, forse
aveva un ottimo glamour. “Insegna ai bambini,
insegnerai agli uomini”
aveva detto lo stregone dalla pelle verde, con un viso granitico.
“Sì” aveva
considerato Iusta, prima di continuare: “Anche mia madre
aveva questi bislacchi
pensieri” aveva commentato, puntando gli occhi su di lui in
quel momento, con
le braccia alla vita, interessata, accorgendosi della sua presenza.
“Ma con mio
fratello ha ottenuto lo stesso effetto che ho avuto io quando ho
provato ad
insegnare gli scacchi ad una gallina” aveva ridacchiato con
una punta di
cattiveria, tornando a guardare nuovamente verso Ragnor.
C’era qualcosa di predatorio in lei.
E di potente.
Fratello Zabulon aveva detto loro che gli stregoni potevano percepirne
altri,
la loro potenza, in base alla loro genealogia.
Iusta era sicuramente una stregona, una davvero potente, nonostante il
suo
aspetto.
“Non ho particolare amore per i figli degli Angeli, ma i
fratelli Silenti di
Toledo e di Madrid si sono dimostrati visionari” aveva
concesso Ragnor, aveva
rivolto un’occhiata verso di lui, che era stato raccolto da
quella branchia dei
cacciatori ed era stato educato da loro.
Ragnor aveva cominciato con lui e poi con i bambini nephilim,
affinché non
temessero e diffidassero dei nascosti, come loro.
“Non lo so” aveva confidato
Iusta, “Non riesco ancora ad
abituarmi a loro” aveva ammesso cupa.
“Lei esisteva prima degli Shadowhunters?” aveva
domandato confuso e sconvolto
lui, allora Iusta aveva rivolto lo sguardo verso di lui, “Si,
gattino” aveva
detto solamente, dandoli un buffetto con un dito sul naso.
Era più bassa di lui, aveva delle spalle larghe e nonostante
avesse un viso
giovane, senza una ruga, immortale, forse una giovane donna nella
metà della
ventina, i suoi occhi erano quelli di una vecchia e non aveva dubbi,
dopo
quell’ultima notizia che Iusta fosse antica.
“L’ultima volta che sei stato qui, Ragnor hai
guadagnato il perpetuo odio della
verdula Hurrem” aveva ghignato Iusta, “Ha offerto
il proprio peso in scaglie di
drakon a chiunque gli avesse portato la tua
testa” aveva raccontato, con
un sorriso maligno che le serpeggiava il viso. “Ma tu non hai
bisogno di
scaglie di drakon” aveva risposto con estrema calma Ragnor,
dal tono non pareva
minimamente turbato dal commento di Iusta.
“No, hai ragione non mi servono ma non mi dispiacerebbero,
però, ammetto di
preferire avere il tuo faccino intorno” aveva ghignato
divertita, “Ed io adoro esserti
intorno” aveva risposto Ragnor, c’era una certa
sincerità nelle sue parole.
Iusta aveva non aveva perso il sorriso maligno, ma aveva continuato:
“Eppure,
per quanto io sia sicura di me, e lo sono, abbastanza da scatenare una
guerra
per vendicarmi di un solo uomo; so per certo che non è della
mia compagnia che sei
venuto in cerca” aveva sussurrato dedicando un famelico bacio
a Ragnor, che ne
era rimasto incantato per un istante, poi la donna aveva voltato lo
sguardo verso
di lui, con occhi neri e brillanti.
“Hai
degli occhi
splendidi” aveva valutato, “Come i
cancelli dell’averno – fidati: ci ho
dato un occhio lungo” aveva considerato, allungando una mano
verso di lui per
portarla sulla sua guancia.
Lui era rimasto fermo, immobile, per quel commento.
Come i cancelli dell’inferno, anche sua
madre un giorno lo aveva detto.
“Sei venuto qui per lui, vero?” aveva domandato
retorica Iusta, lo aveva detto
guardando lui, ma la domanda era chiaramente rivolta per Ragnor,
“Si” aveva
risposto l’altro, anche se sembrava in quel momento inutile.
“Come ti chiami?” aveva chiesto questa volta Iusta,
con un tono caldo ed
accomodante, “Nicolao Diostelevante[2]”
aveva risposto lui.
“Questo è un nome da orfano” aveva
considerato la stregona, “Il genere che ti
danno in un brefotrofio” aveva aggiunto, “Quindi:
come ti chiami veramente?”
aveva domandato nuovamente la stregona.
Doveva riconoscere che era così, erano stati i Fratelli
Silenti a chiamarlo
così, era un nome momentaneo, perché potesse
allontanarsi da quel nome che sua
madre gli aveva dato e che non sentiva più suo, dopo il
fuoco.
“Harta Dijikastra[3]”
aveva pronunciato quel nome come se fosse stato ardente sulla sua
lingua, Tesoro,
come sua madre ed il suo patrigno lo avevano considerato
all’inizio, prima che
i suoi occhi e le sue dita scintillassero.
Era un nome ormai dimenticato e perduto, che faceva male sulla sua
lingua, così
come nel suo cuore.
“Questo immagino sia il nome che tua madre ti ha
dato” aveva valutato Iusta, “Ma
non è il tuo nome” aveva considerato,
“Il nome di uno stregone” aveva
aggiunto, lasciando la sua guancia, aveva la mano fredda e umida, come
quella
di un corpo in ammollo, “Ragnor Fell, Anubis Syme, Hypathia
Vyx” aveva ripetuto
quei titoli con calma, “Un nome che puoi … anzi
devi sceglierti” aveva
rivelato, aveva una voce profonda, oscura.
Iusta aveva preso la sua mano e lo aveva guidato a sedersi
sull’ottomana e lui
l’aveva seguita senza resistenza “Quanti anni hai,
Nicolao?” aveva domandato
poi, pronunciando quel nome con denti strettissimi, “Molti”
aveva
risposto lui, recuperando coscienza, “Una buona
risposta” aveva riso Iusta,
“Non sei poi un insegnante così mediocre, allora,
Ragnor” aveva valutato.
Anche il suo amico si era accomodato, su una canapè che
aveva fatto apparire
dal nulla, “Allora perché siete qui?”
aveva domandato, mentre faceva
volteggiare di nuovo il piatto con l’uva sotto i loro nasi,
lui l’aveva
evitata, mentre lo stregone più maturo non aveva avuto
reticenze.
“Voglio sapere di chi sono figlio” aveva sussurrato
Harta.
“Ah” aveva mormorato Iusta, “Di
un demone, no?” aveva proposto, ma il
silenzio dei due era quanto mai stato eloquente, “Un giorno
capirò perché tutti
sono così ossessionati da voler conoscere quale essere gli
ha messi in questo
mondo” aveva mormorato affranta Iusta, “Io non ci
tenevo molto” aveva
soppesato, “Neanche a me importa” aveva ammesso
candido Ragnor, “Ma a lui si,
conta questo” aveva valutato, “Sei una delle
stregone più antiche che conosco e
probabilmente la più talentuosa” aveva aggiunto.
“Tu vizi il mio ego, Ragnor, ti prego non smettere
mai” aveva riso, voltando
nuovamente il viso verso Harta, “Non troverai le risposte che
cerchi in quella
scoperta, voglio che tu ne sia consapevole” lo aveva
avvertito, c’era un che di
materno nella sua voce.
“Voglio” aveva insistito Harta.
Iusta aveva scosso il volta sconsolato, prima di
posare l’indice sotto il mento del ragazzo,
per studiarlo appena, “Occhi gialli come quelli di un
felino” aveva sussurrato,
“Bellissimi” aveva mormorato, “Di tratti
demoniaci ne ho visti, ma sono rari
così belli ed eleganti” aveva rivelato.
E discreti.
Questo non lo aveva detto, ma Harta lo aveva letto nella sua voce.
Eppure tanto erano bastati per condannarlo la sua fragile fanciullezza
al
marcire.
“Tu non ne hai” aveva commentato alla fine,
“Non si chiedono mai i tratti
demoniaci ad una signora” lo aveva rimproverato, prima di
voltarsi verso
Ragnor, “Questo è colpa tua, pistacchio”
lo aveva rimproverato.
Iusta era tornata a guardare Harta poi, “Ho solo un glamour
incredibilmente
raffinato; l’età da molte conoscenze”
aveva risposto Iusta, tirando le mani via
dal viso del ragazzo per portarle al suo stesso collo e sfilare la
lunga
collana arrotolata di perle, per liberare il collo nudo aggraziato da
cigno.
Improvvisamente la carnagione olivastra di Iusta aveva assunto una
gradazione diversa,
un grigiolino lucido, con dei riflessi azzurri, era come guardare il
viso d’una
statua. Marmoreo, letteralmente.
Il corvino dei capelli aveva perso lucentezza, si era fatto
più opaco, però
erano ancora capelli. Tutto quello che non era cambiato per nulla di
lei, erano
gli occhi carbone.
“Oh” aveva commentato Harta, “Questa
è la prima volta che ti vedo senza protezione
nella tua magia” aveva considerato Ragnor, “Sembri
una statua …” aveva provato
Harta, “Si, ho fatto valutare la mia pelle, marmor
carystium[4]”
aveva confidato frettolosamente Iusta, “Conosco qualche
collezionista che mi
vorrebbe immobile nell’androne del suo palazzo”
aveva ridacchiato con un certo
nervosismo.
Probabilmente, nonostante i lunghi secoli sulle sue spalle, Iusta per
prima non
si sentiva ancora a suo agio con il suo medesimo viso.
Harta si chiese se un giorno almeno lui si sarebbe abituato.
Iusta aveva
allungato nuovamente la mano
verso il viso di Nicolao per toccarlo ancora, non era cambiato al
tatto, la sua
pelle era sempre fredda, “Nonostante la mia pelle sembri
fatta di marmo, non
sono una statua, sono ancora una cosa viva, sotto”
aveva confermato la
sua impressione.
“Quando ero più giovane … avevo forse
cinquecento anni o giù di lì” aveva
parlato Iusta, “Conobbi uno stregone a Rus’ di
Kiev” aveva confessato, “I suoi
occhi erano come i tuoi, felini e feraci” aveva confidato,
“Diceva di essere
una Antica Maledizione” aveva aggiunto poi.
“Iusta” era stato il muto
rimprovero di Ragnor, “Solo che non visse a lungo
per dimostrarlo, aveva un potere tale che lo condusse
all’oblio” aveva
mormorato, “Sapere cosa fosse lo aveva guidato ad un eterno
stato di dolore e
questo lo ha consumato” aveva commentato.
“Cos’è una Antica
Maledizione?” aveva domandato Harta, “Sono i figli
dei
Principi Infernali, degli Angeli Caduti” aveva confidato,
“I più potenti e
pericolosi tra noi, anche e soprattutto per loro stessi”
aveva confidato.
“Mio padre è un Principe Infernale?”
aveva domandato confuso Harta, “Uno di
quegli angeli caduti nella perdizione per seguire la stella del
mattino, sì,
Nicolao” aveva confermato Iusta.
Nel suo tono, nel suo viso, c’era più
consapevolezza e dolore di quanto fosse
stato fino a quel momento, tutto quel divertimento e gioco che era
esistito
fino a quel momento s’era completamente assopito, lasciando
una cruda consapevolezza.
“Anche tu” era stato l’unico sussurro di
Ragnor, “Non cercare tuo padre,
Nicolao” aveva sussurrato Iusta, “Incontrare il
proprio demoniaco padre è
orribile” aveva raccontato, “I demoni sono creature
di solo male, non possano
che istillare dubbi in te, nella tua vita, nelle tue scelte”
aveva confidato, “Perché
essere buono, se la mia stessa natura non me lo permette?”
aveva chiesto
retorica.
“Ma incontrare un principe dell’inferno
è peggio. Un demone nasce maligno, ma
un angelo caduto è una creatura di sommo bene che ha scelto
il male” aveva
aggiunto, “Un male inesplicabile in lingua mortale”
aveva aggiunto, c’era
dolore nelle sue parole, descriveva un sentimento che doveva esserle
rimasto
bruciante nel petto.
“Hai incontrato tuo padre?” aveva domandato Harta,
“Una volta” aveva confidato
Iusta, “Una creatura splendida, come io non lo ero, quasi
abbagliate, che non poté
far altro che istigarmi un unico dubbio” aveva confidato.
“Quale?” aveva chiesto Harta.
“Come sarebbe stato se non avesse scelto di seguire
Lucifero?” aveva domandato
retorica, “E come sarei stata io?” aveva chiesto,
spostando le mani fredde dal
viso di Harta per guardarsele. Una pelle dura rigida, sfumata, come
quella di
una scultura.
“Nicolao, non cercare di scoprire chi è tuo padre,
te lo dice una vecchia
signora che ha rubato molti anni a questa vita” aveva
aggiunto.
Ma sia Harta sia Iusta erano consapevoli di quanto quella preghiera
sarebbe
rimasta inascoltata.
Prima
che uno dei due
rompesse quel sinistro silenzio che si era venuto a creare, un fuoco
brillante
aveva illuminato la stanza. Nicolao sapeva cosa fossero: messaggi di
fuoco, non
ne aveva mai ricevuto uno, però.
Iusta aveva raccolto il foglietto con discreto interesse, schiudendolo
e
leggendolo attentamente. Ragnor aveva posato una mano sulla spalla di
Nicolao in
un gesto paterno. La strega aveva bruciato il resto del messaggio con
una
fiammella che aveva acceso con le sue mani, la scintilla dei poteri
sprigionata
dalle sue dita era di un argento sottile appena percettibili.
“Cattive notizie?” aveva chiesto Ragnor,
“Non so, può darsi” aveva risposto Iusta
con un sorriso cristallino sulle labbra, come se la
possibilità non la toccasse
per nulla, però si era chinata per raccogliere nuovamente la
collana di perle
che aveva fatto cadere per terra ed indossarla di nuovo.
Il glamour l’aveva avvolta di nuovo, facendola apparire
nuovamente come una
splendida donna mondana priva di imperfezioni. “Antonius Vir
mi ha chiesto di
raggiungerlo nel Labirinto Spirale e non lo ha fatto in vece
privata” aveva
ammesso poi con un po’ più di cupezza. “Oh”
si era lasciato sfuggire Ragnor, “Allora non ti tratterremo,
ci sentiremo prossimamente,
se vorrai aiutarci” aveva detto pratico il suo maestro. Gli
occhi neri di Iusta
non lo avevano lasciato però, “O potreste venire
con me, non c’era scritto che non
dovessi avere compagnia” aveva annunciato, “Il
Consiglio mi rende sempre
nervosa” aveva aggiunto Iusta, ma Harta era abbastanza
sveglio da riconoscere
che stesse mentendo sfacciatamente.
Nicolao aveva guardato Ragnor con occhi pieni d’aspettativa,
non poteva vedere sé
stesso, ma era certo che la sua espressione tradisse a pieno il suo
interesse. Improvviso.
Prima che il suo maestro potesse rispondere Iusta aveva ripreso a
parlare, “Sono
sicura che tu non abbia ancora portato questo piccolo tesoretto
al luogo
a cui appartiene” aveva aggiunto.
“Cos’è il Labirinto a
Spirale?” aveva indagato subito sfacciato Harta,
“Il
luogo cui ogni stregone può fare ritorno, non è
proprio come avere una casa, ma
ci si avvicina” aveva buttato fuori, “Ed
è sicuramente un luogo più carino
rispetto un istituto di nephilim o le loro tetre Città
Silenti” aveva
scherzato.
Nicolao aveva guardato Ragnor aspettando la sua risposta,
“C’è una bella
biblioteca che potrai visitare” aveva concesso.
“Oh, San Giovanni, Alberello mio, non
poteremo un bambino in una
biblioteca, ci sono un sacco di posti molto più
stimolanti” era stato rimproverato
Iusta.
Nicolao decise che quella strega gli piaceva, specie perché
sembrava essere così
pungente con Ragnor.
[1]
Letteralmente Casa Magica (mi sono rifatta al concetto di Domus
Ecclesiae)
ovvero un luogo dove gli stregoni, fey e co si radunano per fare
incantesimi/riti/etc non troppo legali – o almeno
così le ho pensate.
[2]
Nicolao
da San Nicola, protettore dei bambini, Diostelevante, letteralmente:
Dio-ti-allevi
[3]
Dikijastra
è un cognome olandese standard, mentre Harta è
una parola che vuol dire Tesoro
in indonesiano (secondo google translate)
[4]
Marmo
Carystium, traducibile in Marmo di Karystos, così veniva
chiamato in epoca
romana il tipo di marmo conosciuto oggi come Marmo Cipollino (verde)