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Autore: _Lightning_    12/01/2021    3 recensioni
Una parte di lui è ancora, ferocemente, Mandaloriana [...] È custodita in una mano tesa verso qualcuno che non ha più nulla al mondo, per fargli capire che esiste ancora una Via. E non sa se stia pensando a se stesso da bambino, a Grogu, a Cara, o a ciò che è diventato lui adesso. Sa solo che quelle fiammelle tremolano ancora nella sua armatura, riuscendo a non renderla un involucro vuoto, e che la sua mano è ora stretta attorno a una pallina argentata che è riuscita a racchiudere tutto il suo mondo.
[The Mandalorian // What if? (post-S2) // Avventura // Introspettivo // Din&Cara // Din&Grogu // Mand'alor!Din]
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Luke Skywalker, Yoda
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
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©Lightning
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Capitolo 2

Storie e vuoti



 

Il forte rollio si stabilizza una volta superata l’atmosfera, quando il giroscopio di bordo si riassesta sull’orientamento della nave e fa finalmente ritrovare a Din il pavimento sotto ai piedi. Allenta la stretta delle caviglie dall’elmo, che non rischia più di rotolare via, e appunta lo sguardo sul sistema di piccoli argani e guide metalliche che raddrizza silenzioso il piano della stiva, permettendo loro di non finire a testa in giù mentre la Slave è in posizione verticale.

Gli sembra uninutile complicazione, quella nave, e sente una fitta acuta di rimpianto per la Crest. Nel suo essere un ammasso di ferraglia obsoleto, manteneva comunque una fidata, semplice linearità, a dispetto del proprio rifiuto di qualunque droide ad assistere le manovre. Di certo non tentava di mandarlo a gambe allaria ad ogni decollo.

Sono pensieri futili, che tracciano scie evanescenti nella sua mente sobbarcata da incombenze ben più cupe e nuvolose, ma è comunque unoccupazione più interessante di dare adito allo sguardo pungente di Bo-Katan. La Mandaloriana, ancora con lelmo indosso, sembra volerlo inchiodare alla paratia alle sue spalle a forza di fissarlo.

Din la ignora, aspettando che sia lei ad aprire il confronto, se davvero ne vuole uno. Stringe le braccia al petto comprimendo la corazza, un movimento che gli fa percepire di nuovo la pallina argentea tra le costole. Non cambia postura, concentrandosi su quella lieve asperità nemmeno così spiacevole. È il segno tangibile che ha portato a termine la sua missione nel migliore dei modi. Le stilettate che prova in mezzo alle costole sono semplice dolore collaterale, a rammentargli che, dovunque andrà, ci sarà anche Grogu.

Con un sussulto, la Slave balza nelliperspazio. Striature bianco-bluastre vanno a graffiare gli oblò, con un sibilo basso ad accompagnarle. Din le fissa fino a intravederle in lieve sovrimpressione sulle retine.

«Tu non hai la minima idea di cosa porti al fianco, vero?»

La voce filtrata di Bo-Katan lo riscuote riverberando nella stiva vuota, quasi confondendosi con le frequenze più alte del motore. Riporta lo sguardo su di lei con deliberata lentezza, paradossalmente più a suo agio di fronte a quellelmo di quanto lo sarebbe con un volto in carne ed ossa. Non ritiene comunque quella domanda retorica degna di risposta.

È cresciuto alloscuro di buona parte della storia e delle tradizioni di Mandalore, ne ha ormai lamara consapevolezza. Non capisce però che senso abbia sottolinearlo ad ogni occasione; soprattutto da parte di qualcuno che, con ogni evidenza, non si è mai nemmeno preoccupato di seguire la Via. Non è più nella posizione di rimproverarla, adesso, né è così certo di poter ancora affermare che esista una sola Via, dopo ciò che ha fatto – dovrebbe esistere, è quello il concetto stesso di Via. È un pensiero che si annoda così tante volte su se stesso da fargli perdere fine e inizio ogni volta che cerca di seguirlo.

Ma, di certo, il tono di sufficienza con cui Bo-Katan gli si è rivolta anche durante il loro primo incontro e il modo in cui ha quasi deriso il suo Credo gli pungolano affilati la mente, inviando scintille irritate a scoppiettargli in testa. Miccia corta, memoria lunga: in questo è ancora molto Mandaloriano, almeno, anche se dubiti conti qualcosa. Rimane quindi in silenziosa osservazione, i sensi ancora allerta.

Prende nota del modo in cui l
altra sieda in modo teso, la schiena staccata dal sedile come se fosse pronta ad alzarsi di scatto, ora che il pavimento è di nuovo dove dovrebbe essere. Non sembra però così ostile come poco fa. Lelmo è leggermente piegato da un lato; non lo guarda in modo del tutto frontale. È come se lo stesse a sua volta studiando, più che sfidando. Le mani guantate serrate ritmicamente sulle ginocchia tradiscono frustrazione, e può intuire con chiarezza i suoi occhi che guizzano verso la Darksaber.

Ne ha conferma quando lei si toglie dun tratto lelmo – un gesto privo desitazioni che ancora gli invia una scarica di sconcerto e disagio lungo la schiena – tradendo uno sguardo sfuggente verso larma. Din sente una forza fisica premergli sulla pelle non appena si ritrova davvero faccia a faccia con lei, e cerca frenetico di focalizzarsi sulla presenza del piccolo agglomerato metallico e rotondo che è ormai sul punto di entrargli nel petto. Serra con tanta forza le braccia che si farà venire un livido, ma non riesce a imporsi di non rendere schivo lo sguardo di fronte a quello felino di Bo-Katan. Le sue pupille deviano e vanno a inseguire la parata di stelle in fuga oltre il permaglass.

Bo-Katan si posa lelmo in grembo, il visore ancora rivolto verso di lui. Sul suo volto si agitano ombre aguzze, accentuate dalla luce bluastra e intermittente delliperspazio.

«Cosa sai della Darksaber?» spezza di nuovo il silenzio lei, in tono stranamente conciliante e non intriso di quella vena di saccente superiorità.

Paziente, quasi, come se stesse parlando con un bambino ignaro col quale è futile alterarsi. Din serra di riflesso la mascella, pur consapevole di quanto quel fatto si avvicini alla verità.

«So solo che non la voglio,» ribatte secco, intercettando il suo sguardo per un istante aguzzo. «La legge vuole che tu mi batta in duello. Sfidami, allora, e risolviamo la questione.»

Bo-Katan sorride, con quel suo fare pungente e al contempo disincantato che non porta allegria nei suoi occhi. «Vorrei anchio che fosse così semplice. Ma se mi lasci vincere la Darksaber, non ha senso che io ti sfidi.»

«Non ho detto che ti lascerò vincere,» ribatte lui, prima di poter considerare le implicazioni di ciò che ha appena pronunciato.

Non ha alcuna intenzione di attaccarsi a quel titolo che gli hanno appuntato sulle spalle – ma non sarebbe nemmeno incline a farsi gettare nella polvere al primo fendente ben assestato. È ancora un guerriero, dopotutto, e una parte di lui non riesce a smettere di pensare che sarebbe liberatorio scontrarsi con lei. Anche solo per il fatto di aver anteposto la Darksaber alla salvezza di Grogu. Un velo caustico gli brucia lo stomaco a quel pensiero, ed è grato, in fondo, di essersi trovato lui stesso faccia a faccia con Gideon.

«Non la voglio,» ripete quindi, con più enfasi, e non può evitare di accigliarsi. «Ma se devo rendere il tutto “credibile”,
 so combattere,» afferma, anche se non è certo di saper maneggiare con destrezza una spada laser.

Lha impugnata per poco meno di qualche minuto, ma lha sentita completamente estranea, quasi un peso inerte più che uno strumento di offesa o difesa. E il breve scontro con Gideon gli ha dato unidea lampante della sua letalità. Non è unarma che offre clemenza allavversario. Non è sicuro di voler vivere anche col peso di aver ucciso o mutilato qualcuno per seguire tradizioni che nemmeno riconosce come proprie.

Bo-Katan però scuote la testa in risposta, tirando le labbra sottili. «La verità è che non cè una vera soluzione a breve termine. Dovresti essere consapevole del titolo che hai conquistato, per rendere legittimo il duello.»

«Sono il Mand’alor,» sbotta Din, con un gesto snervato a mezzaria che sottolinea lassurdità stessa di quel fatto. «Non posso cambiare la legge? Rendere la Darksaber cedibile?»

Laltra trattiene una risatina fredda e incredula, che le sfugge dagli angoli della bocca. «E stravolgere millenni di storia e tradizione? Gli altri clan e Mandaloriani sarebbero entusiasti di avere una Mand’alor che si è fatta regalare la Darksaber.»

Din rilascia un sospiro frustrato che gli sibila tra i denti. Gli sembra quasi di vedere davanti a sé il volto gongolante del Moff, conscio di aver stravolto le sorti di un intero popolo pur essendo stato sconfitto.

«Tutto questo è ridicolo.»


Bo-Katan inarca impercettibilmente le sopracciglia. «Anchio trovo ridicolo il tuo obbligo dellelmo, ma finora non mi sembra di avertelo mai fatto presente,» lo rimbecca con repentina asprezza.

Din incassa in silenzio quellosservazione, avvertendola come un colpo fisico assestato in pieno petto con l’intento di destabilizzarlo. Non si lascia scomporre, almeno in apparenza, e gli costa uno sforzo disumano cercare di controllare le proprie reazioni. Si limita a scoccarle uno sguardo gelido dal basso, sentendo al contempo avvampare il volto esposto – di rabbia e umiliazione e vergogna. E anche di frustrazione nel percepire delle pareti invisibili che gli si chiudono addosso, tagliandogli ogni via di fuga.

«Perché dovrei voler regnare su un popolo che non segue la mia Via?» Capta l
occhiata rapida di Bo-Katan verso lelmo posato ai suoi piedi, e si affretta a proseguire prima che possa constatare lovvio: «Non sono nemmeno più un Mandaloriano.»

Dirlo sembra imprimere un marchio a fuoco nellaria – un sigillo inamovibile, come quello che gli brucia sullo spallaccio e che forse dovrebbe rimuovere, se solo il beskar gli appartenesse ancora. Bo-Katan, con sua sorpresa, china brevemente il capo, sporgendosi un poco in avanti. Poi rialza lo sguardo vivido, ma i guizzi feroci che lo animano sembrano affievolirsi a comando.

«Non dovresti considerarti Mandaloriano solo perché hai tenuto un elmo in testa da quando non sapevi nemmeno cosa significasse esserlo davvero,» si pronuncia poi, tutto dun fiato, cercando i suoi occhi mobili e restii a farsi trovare.

A quelle parole Din serra le mani sulle braccia, con vortici dindignazione che prendono a rimestarsi dentro di lui, a malapena tenuti a bada dal suo autocontrollo che, ultimamente, sta barcollando sempre più. Eppure, non si sente scottare tanto da quella che potrebbe essere una provocazione, pronunciata però in tono fin troppo tenue per suonare tale. È la stilla di verità che percepisce subito dietro, a insinuarsi tra gli interstizi molli della sua corazza – e trova i vuoti e gli inciampi di tutto ciò che non sa.

Serra gli occhi per una frazione di secondo, recuperando un respiro mancato, e li riapre su quelli ancora imperturbabili di Bo-Katan. «Se è così, non dovrei essere Mand’alor

«È la storia, che conta,» sentenzia lei, riecheggiando Gideon in modo disturbante. «La tua è molto più orecchiabile della mia.»

Din inclina la testa all’indietro, fino a poggiarla contro la parete. La fissa di sottecchi, aspettando con tenue curiosità il seguito di quell’affermazione. Ha battuto Gideon, è vero, ma rimane comunque un cacciatore di taglie coinvolto in eventi di proporzioni galattiche in cui fatica a raccapezzarsi. Ha a malapena un storia – quella che ha vissuto negli ultimi tempi è stata più quella di Grogu che la propria – e fatica a credere che il resto dei Mandaloriani la considererebbe degna di un Mand’alor.

Dall’altra parte della stiva, Bo-Katan gli restituisce uno sguardo riluttante, e sembra doversi costringere a dire qualcosa di scomodo, a giudicare dai suoi lineamenti congelati in una maschera frigida.


«Sei un Figlio della Ronda che ha infranto il Credo pur di proteggere il suo Trovatello, che ha sconfitto uno dei responsabili della Grande Purga, e che ha conquistato la Darksaber senza nemmeno volerlo.» Un sorriso che le incrina le labbra come una crepa sul ghiaccio. «In tutta onestà, mi vengono in mente poche cose più puramente Mandaloriane di questa.»

Din non trattiene un secco sbuffo dincredulità che gli si impiglia in gola, assieme alle parole aguzze che la graffiano. Cosa vorrebbe essere, quella? Unassoluzione? Da parte di qualcuno che non ha nemmeno mai intravisto la Via?

«Vorrei che fosse così semplice,» le fa eco duramente, con una traccia di scherno che non è abituato a usare. «Ma non è ciò che mi hanno insegnato.»

«Davvero?» inarca un sopracciglio lei. «Nel Credo si studiano i Sei Atti?» gli chiede poi, senza dargli il tempo di rispondere.

«Certo,» sbotta Din, con un velo di piccata indignazione che dona forza alla sua risposta. Potranno mancargli dei tasselli cruciali, nel mosaico delle vicende Mandaloriane, ma non è così ignorante. «Figli, devozione, clan e armatura, Mandoa e Mand’alor...» ripete poi in un riflesso automatico, nello stesso esatto ordine e con la stessa cadenza cantilenante con cui gli sono stati insegnati decenni fa.

Tronca lultima parte della rima, che quasi gli sfugge per forza dellabitudine, ma con sua sorpresa è Bo-Katan a completarla:

«... sono la nostra cultura.» Stavolta il suo sorriso si intiepidisce, come se anche lei avesse rivangato uno sbiadito ricordo dinfanzia, con quella filastrocca. «E ci aiutano a sopravvivere. Potrai anche dire che ti parlo da profana, o eretica... ma per come la vedo io, tu hai infranto un dettame per salvaguardarne un altro. Hai protetto il tuo Trovatello, e di conseguenza hai seguito il Credo.»

Din sopprime ogni movimento che sente risalirgli strisciando al volto, conscio di riuscirvi solo in parte, e non può evitare di serrare di nuovo gli occhi. Cerca di sentire lelmo, di esserlo, in qualche modo, frapponendolo tra se stesso e il mondo. Ma l’elmo è ai suoi piedi, immobile, privo di vita, e il suo viso tradisce l’impotente confusione che gli turbina nella mente.

Dentro di sé, in un punto con radici ancor più profonde del beskar, sa che non tornerebbe 
mai indietro. Che si toglierebbe l’elmo all’infinito, avendo la certezza di garantire quest’esito per Grogu, nonostante il vuoto che gli ha lasciato nel petto. È arrivato all’ardua conclusione che il suo gesto abbia scavalcato i dettami del Credo, subordinandoli a ciò che gli sta più a cuore. La visione che gli sta offrendo Bo-Katan smuove la Via sotto di lui e non si limita a farla tremare: la sconquassa, la deforma in un modo che gli rende ancor più difficile seguirla o anche solo vederla.

Bo-Katan ha semplicemente espresso in parole ciò che cerca di farsi strada nella sua testa da giorni: che infrangere il Credo per proteggere Grogu sia stato in realtà un modo per seguirlo. Di non averlo davvero infranto. O di averlo infranto così tanto tempo fa da aver ormai perso ogni importanza.

Lo confermano quei gesti sui quali si è obbligato a non soffermarsi: continuare a indossare lelmo dopo che ne aveva perso ogni diritto, o toglierselo di fronte al piccolo in quello che avrebbe potuto essere lesordio del rito d’adozione – se solo avesse avuto più tempo, se solo non avesse dovuto lasciarlo andare. L’avrebbe fatto comunque, se solo fosse stato ancora Mandaloriano, in quel momento.

Una parte di lui lo è anche adesso, ferocemente, artigliata sotto al beskar che dovrà abbandonare. Si nasconde in piena vista negli anni di addestramento e devozione alla Tribù, sua famiglia per scelta. Ma si annida anche in quei legami che ha stretto da quando Grogu ha intersecato la sua Via, prendendo a camminargli accanto. In quel senso di protezione che è divampato permeando il suo intero essere, come se non avesse aspettato altro che una scintilla per attecchire e scaldare lui stesso, oltre agli altri.

È custodita, soprattutto, in una mano tesa verso qualcuno che non ha più nulla al mondo, per fargli capire che esiste ancora una Via. E non sa se stia pensando a se stesso da bambino, a Grogu, a Cara, o a ciò che è diventato lui adesso. Sa solo che quelle fiammelle tremolano ancora nella sua armatura, riuscendo a non renderla un involucro vuoto, e che la sua mano è ora stretta attorno a una pallina argentata che è riuscita a racchiudere tutto il suo mondo.

Riapre lentamente gli occhi, con un velo di spossatezza ad annebbiarli. Bo-Katan ricambia il suo sguardo con imperturbabile staticità, in quieta attesa. Non sa nemmeno lui come dovrebbe o vorrebbe reagire. Ha bisogno di riposare. Di chiudere gli occhi, di dormire davvero e lasciare che almeno una parte di quella raffica laser di pensieri gli scivoli via dalla testa. Ha bisogno di quella nave, e di una rotta che lo avvicini a riempire tutti quei vuoti che sta scoprendo di avere sotto al beskar.

Prende un lungo, lento respiro dal naso, e laria si irradia nei polmoni in un reticolo di gelo e tepore.

«Devo rintracciare la mia Tribù,» afferma infine, in un mormorio. «Loro sono gli unici a poter decretare la mia condizione. Poi potremo discutere del resto.»

Bo-Katan stringe gli occhi con fare insoddisfatto, storcendo un poco le labbra, e di nuovo indugia sullelsa della Darksaber con un anelito represso a scuotere il verde delle sue iridi.

«Formalmente, sei il legittimo Mand’alor, quindi hai potere decisionale,» constata poi, in modo pragmatico. «A parte me, Koska e Axe, non lo sa ancora nessun Mandaloriano. Ho imposto loro il silenzio. Questo ti offre del tempo per fare chiarezza.»

«Quanto tempo?»

«È difficile stimarlo con certezza,» ribatte lei, ancora in tono secco, lo stesso che le ha sentito usare per esplicare una strategia o una tattica nel modo più chiaro e conciso possibile. «Stiamo riorganizzando le forze per reclamare Manda’yaim. Stavamo procedendo a rilento, ma con Gideon fuori dai giochi immagino che sarà più facile mobilitare i clan e...»

«Parliamo di mesi? Anni?» la interrompe lui, spazientito.

Bo-Katan esita, la bocca schiusa in un moto incerto. Devessere uninformazione sensibile, ma dopotutto è il suo comandante a richiederla. La sua posizione ha dei vantaggi, realizza, anche se li sta sfruttando in modo del tutto involontario.

«Poco più di un anno, al massimo,» rivela poi con riluttanza. «Dopodiché, qualcuno dovrà brandire quella spada come legittimo Mand’alor

Quellultima affermazione suona come una minaccia, ma Din annuisce lentamente, capendo che è in realtà una tregua.

«Un anno,» ripete, a confermare quel fatto, e Bo-Katan si limita a un unico, lento cenno dassenso speculare in risposta.

Un anno. È una misura di tempo che si contrae e dilata ad ogni secondo in cui la guarda, ma è tutto ciò che ha al momento. Butta fuori un respiro nellalzarsi, dichiarando così chiusa la conversazione, con le giunture indolenzite dalla posizione scomoda sul sedile.

Getta in automatico unocchiata a terra nel muovere un passo, e gli precipita il cuore nello stomaco nel realizzare che non rischia più di schiacciare nessuno, nel muoversi sovrappensiero. Si fissa la punta dello stivale e ingoia un groppo amaro, con la pallina che trema contro il costato. Recupera lelmo, più pesante ora che non è più calcato sulla sua testa, e lo incastra sotto il braccio mentre si avvicina alla scaletta che conduce alla cabina di pilotaggio.

Sopra di lui, capta un vocio soffuso: Fennec e Cara sembrano conversare fittamente, e un brusio più basso segnala un breve intervento di Fett. Din afferra un piolo della scala, punta un piede e fa per issarsi, ma si ferma nelludire un respiro più secco e profondo da parte di Bo-Katan.

Si volta, di nuovo in tensione, ma non vede ciò che si aspetta: niente sguardi pungenti, niente sorrisini beffardi. La donna ha la fronte solcata da increspature livide, che accentuano la sottile cicatrice rosea che la intacca. Per un attimo gli sembra solo stanca, spossata da un peso invisibile che le preme addosso. Non lo guarda e si calca di nuovo in testa lelmo, in un gesto inaspettato e indecifrabile.

«Non pensare che non sia in grado di capire come ti senti.»

Din serra la stretta sul piolo, le dita che si riassestano sul metallo in una piccola onda nervosa accompagnata da uno scricchiolio di cuoio, e si umetta le labbra nel frenare la risposta che vi è affiorata. Dubita che possa davvero capirlo, e al contempo non ne ha lassoluta certezza. Non sa nulla di lei, e non è così arrogante da presumere di poterlo immaginare. Così rimane in ascolto, gli occhi fissi sul suo visore oblungo, a invitare un continuo che non tarda ad arrivare:

«È molto difficile farsi unidea di cosa sia giusto o sbagliato quando conosci solo una delle mille lune di Iego.» Inclina di poco lelmo, scrutandolo fissamente. «Non fare il mio stesso errore.»

Din si acciglia senza volerlo, distogliendo lo sguardo in un riflesso turbato cogliendo il sottinteso di quelle parole, ma non appieno. Si issa sulla scala senza rispondere, con quelle parole che si addensano in fardelli e vanno a pesargli addosso, assieme alla pallina argentata e alla Darksaber.



 



Note dell’Autrice:

Habemus capitulum! *balla di fieno*
Signori miei, è stato un parto trigemellare, perché lo considero "di passaggio", ma c’erano determinati snodi chiave che andavano posti adesso per non ritrovarmeli tra i piedi dopo (tradotto: ciao Bo, mo’ te ne puoi pure anna’ aff-- AH-EHM). Dal prossimo capitolo inizia il Din!centric da manuale, non preoccupatevi u.u

L’angolo del Mando: Le Sei Azioni (Resol’nare) sono i concetti cardine della cultura/vita dei Mandaloriani. La filastrocca citata esiste davvero in Mando’a e inglese, e io l’ho riadattata in italiano, perché ovviamente non sia mai che traducano qualcosa in terra nostrana. Più future opportunità lavorative per me, che ve devo di’ *shrug*

Grazie a chi ha votato/commentato gli scorsi capitoli ♥ Vi mando (:D) baci e abbracci e pupazzetti di Din preconfezionati con PuppyEyes e pulsante per risatina da padre scemo integrati ♥

Ret’, vode ♥

-Light-

   
 
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