Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Imperfectworld01    13/01/2021    0 recensioni
Megan è ormai fuori pericolo, non è più indagata per l'omicidio di Emily Walsh, ha ripreso in mano la sua vita e ha ritrovato se stessa, sebbene tutti la vedano diversa e la accusino di essere cambiata. Ciò che non vedono, è che quella è la vera lei: forte, sicura, determinata.
Ma i suoi problemi non sono finiti.
Si era posta un obiettivo: scovare il vero colpevole e ottenere giustizia per la sua amica, ed è ciò che ha intenzione di fare. Non si fermerà finché non ci sarà riuscita, costi quel che costi.
Ma desiderare una cosa con tutta se stessi e combattere per averla, è sempre la cosa giusta da fare?
//SEQUEL DI CAUSE IT'S RIGHT. PER CAPIRE QUESTA STORIA È NECESSARIO AVER LETTO IL PREQUEL//
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Epilogo

Quell'uragano di emozioni e misteri di Megan Sinclair se n'era andata da casa mia da appena quarto d'ora, quando il telefono di casa prese a squillare. Non c'era mai pace in quella casa.

Dal momento che mio padre era in tribunale per un'udienza, decisi di farmi carico della telefonata io stesso. «Studio penalista Finnston, come posso aiutarla?»

Mi sentii uno stupido stagista il cui unico compito è quello di rispondere alle telefonate, e pregai che non sarebbe stata quella la mia fine al secondo anno di università, quando avrei dovuto fare il tirocinio. Mi conveniva superare con il massimo dei voti gli esami di quell'anno, così da attirare l'attenzione dei migliori studi legali della città.

«Salve, chiamo dal reparto di medicina legale del Teche Regional Medical Center di Morgan City, sono arrivati i risultati dell'autopsia» disse la voce rauca dall'altra parte del telefono, che non seppi capire se appartenesse a un uomo oppure a una donna. Tossì in modo così rumoroso che mi parve quasi di avere quella persona proprio affianco.

Mi fece particolare senso ricevere quell'informazione. Da quando avevo iniziato ad aiutare mio padre con i suoi casi giudiziari, vi erano stati pochi casi di omicidi, del resto Morgan City non aveva un alto tasso di criminalità, e sentire in prima persona una notizia del genere mi scosse un poco, considerando poi che si trattava del corpo di una sedicenne.

«C'è bisogno di prendere un appuntamento per essere ricevuti dal medico forense per prendere i fascicoli, oppure...»

Fui interrotto dalla voce profonda e poco aggraziata del mio interlocutore: «Macché, avvocato, nessun appuntamento! Se vuole può venire anche adesso».

Avvocato.

Suonava bene, no? Tempo tre anni e lo sarei diventato per davvero, alla faccia di mio padre. E di Kylie. Non sarei stato un fallito per sempre. Sarei diventato l'avvocato più in gamba di tutta la Louisiana, capace di far tremare anche i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America.

«Grazie. Mi dia mezz'ora di tempo e sarò lì» dissi, prima di mettere giù. A mio padre non dispiacerà se andrò io al posto suo, pensai. Anzi, almeno avrebbe avuto un peso in meno. 
Così, senza ulteriori indugi, presi il cellulare, le chiavi di casa e quelle dell'auto e, dopo aver chiuso la porta di casa, mi avviai verso il Teche Regional Medical Center.

Dopo aver trovato parcheggio, mi avviai dentro l'edificio a grandi falcate. Ero impaziente di avere delle risposte. Andai davanti ad un bancone per chiedere delle indicazioni: «Buongiorno, mi avete chiamato poco fa, in merito all'autopsia di Emily Walsh. Sono l'avvocato dell'indiziata principale, Megan Sinclair, sono venuto qui per prendere i fascicoli del medico legale».

Una delle due signore presenti si grattò il capo e poi annuì: «Ah, sì sì, certo, ha parlato con me al telefono. Prego, mi segua».

Annuii a mia volta e poi la seguii lungo un interminabile corridoio, mentre l'ansia cominciava a crescere dentro di me. Iniziai seriamente a temere per le risposte che mi sarebbero state fornite dal medico forense incaricato dell'autopsia. 
Mi tornò in mente la conversazione avuta con Megan poco più di un'ora prima.

«Non l'ho uccisa io. Dopo la nostra litigata, avevo tentato di chiamarla per scusarmi, così come ho dichiarato alla polizia. Lei non rispose, ma in compenso riuscii a seguire la suoneria del suo cellulare che squillava, fino a trovarla, poco distante dalla casa di Dylan.»

«Il linguaggio è piuttosto tecnico, ha bisogno di prendersi qualche appunto mentre le riassumo il tutto?» domandò il dottor Kane, distogliendomi dai miei pensieri e passandomi il fascicolo della sua analisi forense, oltre a dei fogli bianchi e una penna.

Mi aveva forse preso per un ritardato? Credeva che solo perché ero giovane allora non sarei stato in grado di comprendere un linguaggio medico più complesso?

Diedi una veloce occhiata alla prima pagina e storsi immediatamente il naso, dal momento che non era solo la calligrafia del medico ad essere incomprensibile, ma anche il contenuto che era scritto. «Sì, ehm, grazie, un sommario non mi dispiacerebbe, in effetti. Abbiamo molti casi allo studio ultimamente, ma questo ha la precedenza, pertanto più in fretta facciamo e meglio è» mi inventai, per non dover stare a spiegargli che non avevo idea di come avrei decifrato ciò che era scritto in quei fogli. «Mi basterebbe solo che mi delineasse in breve la situazione, non voglio rubarle molto tempo» aggiunsi.

«Il decesso è avvenuto quattro giorni fa, venerdì 28 settembre, fra le 23:10 e le 23:25 circa» iniziò a dire.

Corrugai in maniera quasi impercettibile la fronte. Quel venerdì, l'ultima telefonata di Megan al cellulare di Emily risaliva alle 23:09.

«... diverse lesioni in vari punti del capo, ma nessuno che le abbia causato un qualche trauma cranico. Sotto le unghia delle mani, invece, ho ritrovato delle tracce di DNA non corrispondenti al suo. Sembrerebbe essersi aggrappata a qualcuno con così tanta forza da imprimere le sue unghie nella pelle, non saprei se per difendersi da un'aggressione o se per aggredire a sua volta» continuò a spiegare il medico.

«Non si sa a chi corrispondano?» chiesi, sentendo l'ansia morirmi in gola.

«Purtroppo sono ancora in attesa dei campioni di DNA prelevati dai ragazzi interrogati ieri dallo sceriffo» rispose.

Poi tornai con la mente alla conversazione con Megan. «Era distesa a terra, in una pozza di sangue, con un coltello conficcato sul collo. Cercai di rianimarla effettuando un massaggio cardiaco, ma si rivelò tutto inutile, dal momento che era già morta.»

«Mi sta seguendo?» richiamò la mia attenzione il dottor Kane.

«Sì, mi scusi» dissi, prima di asciugarmi un rivolo di sudore dalla fronte.

«Dicevo, è stata la recisione sul collo a causare i maggiori problemi. Penso di non aver mai visto un taglio così preciso, sembrava calcolato nei minimi dettagli.»

Aggrottai allora le sopracciglia. «In che senso? Intende dire che è stata una ferita intenzionale, pensata da una mente lucida e non alterata?»

Il dottore sogghignò. «Altroché se era intenzionale! La persona che ha procurato questa ferita alla vittima non sembra essere affatto una novellina nel campo, sapeva perfettamente quello che stava facendo. Del resto, una persona inesperta avrebbe attaccato altri punti piuttosto che il collo: che ne so, l'addome, o il torace, nella speranza magari di perforare il cuore. Il fatto che sia stato inferto un unico taglio, invece che molteplici, la dice lunga su chiunque abbia commesso tale orrore.»

Sospirai di sollievo. Allora non era stata lei. Megan non aveva l'aria di un'esperta assassina. Certo, non avrei dovuto basarmi solo sull'apparenza, ma del resto era pur sempre della sua migliore amica che si trattava.

Eppure quell'enorme senso di colpa che le avevo letto in faccia la prima volta che l'avevo vista... a cosa era dovuto?

Soprattutto, se Megan aveva trovato il corpo di Emily ancora vicino a casa di Dylan, quale fra gli adolescenti dentro quella casa era un esperto assassino?

«È strano» proseguì. «Il modo netto in cui è stata recisa la giugulare mi ricorda quasi di una tecnica che avevo letto essere usata per cacciare e dissanguare gli animali in maniera indolore, insolito che sia stato usato per un essere umano...»

«Quindi questo è quanto? È stata questa la causa del decesso?» chiesi forse in maniera troppo incalzante e frettolosa, tanto che il medico mi lanciò un'occhiataccia per via della mia impazienza.

Una parte di me aveva bisogno di sapere che quella sedicenne che tre giorni prima si era presentata a casa mia in pigiama, con i capelli arruffati e una felpa con le stelline, era innocente, e non una sociopatica assassina.

«Be', sì, una volta rimosso il coltello, come dicevo prima, il corpo ha iniziato naturalmente a dissanguarsi e...»

«U-Una volta rimosso il coltello?» lo interruppi, nel mentre la mia gola iniziava a farsi sempre più secca e la mia mente a ripercorrere la conversazione avvenuta con la Sinclair.

«E poi... be', non so cosa mi prese, ma pensai che, forse, rimuovendo il coltello dalla ferita, lei sarebbe...»

«Non dirmi che l'hai fatto davvero.» Mi passai la mano sulla fronte, scuotendo la testa. «Rimuovere l'arma da taglio da una ferita così profonda può causare una forte emorragia, quindi se ci fosse stata anche solo una possibilità secondo la quale Emily era ancora viva, tu...»

«Sì, certamente. Per via dell'indebolimento, è quasi andata in arresto cardiaco, ma non ci sono dubbi: la causa del decesso è dissanguamento. Dopo aver estratto il coltello dalla ferita, il sangue ha cominciato a uscire a fiotti, portandola al prosciugamento in pochi minuti. Insomma, in meno di dieci minuti era già morta» ultimò la spiegazione, lasciandomi senza parole.

Sbattei le palpebre più volte, finché non trovai il coraggio di alzarmi dalla sedia, stringere la mano al dottor Kane per ringraziarlo e uscire dal suo ufficio.

«Ha trascritto tutto?» chiese e io annuii, non essendo in grado di rispondere a parole. I fogli che mi aveva dato erano bianchi, la mia mente invece aveva tutto ben impresso.

«Non l'ho fatto apposta... Non lo sapevo.» Le lacrime cominciavano già ad addensarsi nei suoi occhi, ma la cosa non mi impedì di finire di spiegarle il concetto: «Già, a proposito di questo, hai mai sentito parlare di manslaughter involontario?» chiesi e lei scosse la testa. «Omicidio colposo? È un tipo di omicidio che si verifica a causa di negligenza, imperizia e imprudenza. Per esempio, quando un automobilista ubriaco investe qualcuno, oppure, nel tuo caso, quando una persona, disinformata e inesperta nel campo medico, aggrava la situazione già critica di qualcun altro, causandone la morte».

Non c'era altra spiegazione. Doveva essere andata così per forza.

Non sapevo perché mi sentissi così tanto turbato, di solito non mi lasciavo impietosire dai clienti di mio padre, che fossero ladri, assassini, stupratori, seppur innocenti in apparenza.

Non era solo pietà quella che avevo nei suoi confronti. C'era dell'altro. 
Forse un po' mi ricordava me stesso, quello che ero un tempo, quello che ero fino a circa un anno prima, quando ancora Kylie non mi aveva spezzato il cuore.

Prima di diventare una persona imperturbabile e all'apparenza privo di emozioni, infatti, ero molto simile a Megan. Ero istintivo, agivo senza riflettere, lasciandomi guidare solo dalle emozioni.

Dopo Kylie ero diventato un altro, avevo creato uno scudo emotivo. Se prima, guardandomi, era possibile capire tutto di me, ogni mio stato d'animo, ora sembrava non ne avessi. Apparivo freddo, distaccato, e anche profondamente razionale. Gli amici che mi conoscevano da tempo stentavano ancora a credere che fossi la stessa persona e spesso mi chiedevano se avessi un fratello gemello.

Insomma, praticamente stavo diventando sempre di più la copia di mio padre, nonostante per anni mi ero ripromesso che non sarei mai e poi mai stato come lui. A volte mi chiedevo se anche lui un tempo fosse stato come me e se fosse cambiato radicalmente dopo la morte di mia madre, come a me era successo dopo la rottura con Kylie. Altre volte mi chiedevo se sarei mai tornato a essere quello di prima, oppure se il mio era un danno irreversibile.

Già. Era così che mi sentivo. Danneggiato. Un difetto di fabbrica. O, come mio padre mi ripeteva da ormai parecchi anni, un buono a nulla, un fallito.

Non potevo biasimarlo, comunque. Come si poteva avere una buona considerazione della persona che aveva portato al suicidio la donna che amava?

•••

«Pronto, Dave?»

«Papà, sono appena stato a ritirare il fascicolo dell'autopsia.»

«D'accordo, poi quando torno me ne parli, tra poco mi richiameranno in aula per il verdetto.» Stava già per mettere giù, ma lo trattenni, poiché non ce la facevo più a tenermi dentro ciò che ero venuto a sapere: «No, aspetta. Siamo ancora sicuri di voler rappresentare quella ragazza, Megan?» chiesi.

«Innanzitutto, io devo essere sicuro, non tu. Comunque non vedo quale sia il problema, pensa che ieri mi ha pure detto che crede che diventerai un ottimo avvocato un giorno, cos'ha che non va?»

«È stata lei a uccidere Emily Walsh. È stato omicidio colposo. Qualcuno l'ha ferita con un coltello, lei ha trovato il corpo e, nel tentativo di rianimarla, ha estratto il coltello, il che non ha fatto che aggravare la situazione. Emily è morta a causa sua» spiegai, prima di ripensare all'ultima cosa che mi aveva detto mio padre: «Davvero pensa questo di me?» aggiunsi. Ogni tanto mi faceva bene gonfiare un po' il mio ego.

«David, mi spieghi che differenza fa se è stata lei o no?»

Normalmente avrei risposto: nessuna differenza. Era quello il lavoro che avrei iniziato a svolgere nel giro di tre anni, avrei difeso ogni tipologia di persona da ogni tipo di accusa, sia quelle innocenti sia quelle colpevoli.

Ma in quel caso... in quel caso non lo sapevo.

Dal momento che da me non udì risposta, mio padre rispose da solo alla sua domanda: «Regola numero uno: se il cliente sia innocente o colpevole, a me non interessa. Chiunque ha diritto ad un'equa difesa».

Era ciò che avevo ripetuto io stesso a Megan poche ore prima, ma adesso non ne ero più così convinto. Mi ero fin da subito persuaso che fosse innocente, quindi scoprire che in realtà non lo era... non era facile da mandar giù.

«Quindi hai intenzione di mandare in prigione un innocente al posto della vera responsabile?» domandai.

Sapevo qual era la prassi seguita da mio padre durante i processi: screditare i testimoni, mortificarli se necessario, vanificare le prove fornite dall'accusa, far sì che non vengano considerate dalla giuria come sufficientemente valide, e infine introdurre un nuovo sospettato.

Ma se sapeva già in partenza chi era la vera colpevole, perché farlo? Rischiava seriamente di mandarla in prigione per il massimo degli anni, qualora avesse perso la causa.

«Insomma, già sai che quelli della polizia distrettuale hanno scelto lei come maggior indiziata, è la strada più semplice, quindi probabilmente si arriverà ad un processo e faranno il possibile per condannarla. Non è meglio cercare di patteggiare o trovare un accordo col procuratore per ottenere uno sconto di pena?» chiesi.

Onestamente ero così combattuto che non sapevo neanche cosa sarebbe stato meglio: che pagasse per i suoi errori e scontasse il massimo della pena o poco meno, oppure che venisse assolta?

L'omicidio colposo era pur sempre omicidio. Era morta una persona, un padre e una madre si erano ritrovati senza una figlia, qualcuno avrebbe dovuto pagare, no? Era questa la giustizia. 
Eppure una parte di me desiderava che le cose per lei andassero diversamente, ma era una cosa che non potevo permettermi di pensare, e mi rendevo conto da solo che era sbagliato. Solo perché era lei, secoli e secoli di leggi e verdetti avrebbero dovuto essere annullati?

«Non ho mai patteggiato in tutta la mia carriera e non inizierò da adesso solo perché sei tu a dirmelo, specie con i Sinclair! Sono miei amici da decenni, secondo te lascerei mai andare la loro figlia in prigione? 
Oggi la mia cliente sarà assolta con ogni probabilità e, indovina, era colpevole al cento per cento e io lo sapevo già prima di decidere di rappresentarla. Se penso che sia giusto? Non lo so, ma non fa parte del mio mestiere giudicarlo. Io mi occupo solo di convincere la giuria delle mie parole, poi sta a loro.»

Sbuffai, sperando, invano, che mio padre non se ne accorgesse. Invece ecco che arrivò uno dei suoi soliti pipponi: «Se vuoi davvero fare questo lavoro, devi imparare ad accettarlo, anche se non è facile. Lascia stare la tua umanità, le emozioni non devono mai subentrare in questi casi. Non devi lasciarti coinvolgere, devi rimanere sempre nel tuo ambito professionale» disse.

Temevo che fosse già troppo tardi. Ero già troppo coinvolto e già più volte ero uscito al di fuori dell'ambito professionale con Megan, senza che me ne sapessi spiegare il motivo.

«Dobbiamo dirle la verità sui risultati dell'autopsia?» chiesi poi a mio padre.

«Scegli tu. Che cosa ti sembra più opportuno?»

«Penso che lei non vorrebbe saperlo, anzi, che non ha bisogno di saperlo. Hai visto come sta, sembra già sull'orlo del baratro. È troppo fragile, se scoprisse la verità non ho idea di come reagirebbe» risposi.

E mi era bastato vederla due volte per capirlo. Speravo davvero che non avesse intenzione di fare qualche scelta stupida, come aveva fatto mia madre...
Non avevo potuto fare niente per salvare lei, ma forse avrei potuto fare qualcosa per Megan. Non potevo lasciarla abbandonata a se stessa, sola con i suoi pensieri, dovevo fare in modo di starle dietro, di supervisionarla.

«Quindi le vuoi mentire?» domandò mio padre.

«Sì, ma a fin di bene, in fondo...»

«David, non devi provare pena per i tuoi clienti» mi interruppe, serio. «Anzi, non devi provare niente in generale. Nessuna emozione. Non puoi permetterti nemmeno di non sopportarli. Soltanto pura e semplice indifferenza.»

«È così, infatti.»

Forse sarebbe stato meglio se mi avesse fatto quel discorso un po' prima, così ora non mi sarei ritrovato a mentirgli spudoratamente.

«Me lo auguro, altrimenti sei fuori dal caso e resterai fuori da qualsiasi altro caso che mi riguarda finché non ti laureerai a pieni voti.» E sapevo che l'avrebbe fatto davvero, quindi mi conveniva stare attento.

«Ho mai fatto qualcosa che andasse al di fuori della professionalità?» sbottai seccato, per via di quelle accuse insensate che mi stava porgendo.

«E spero tu non abbia voglia di incominciare proprio adesso. Ha soltanto sedici anni. Ora devo rientrare, ne riparliamo dopo a casa.»

Aggrottai la fronte. Non capivo davvero dove volesse andare a parare con quel discorso. 
Mi stavo interessando a Megan, ma non per i motivi che pensava lui. Sedici anni... diamine, era ancora una bambina!

In effetti non era neanche cambiata molto da quando giocavamo insieme da bambini, chissà se lei se lo ricordava. Era ancora la piccola Maggie, con quegli occhi grandi e vispi, il nasino all'insù, i capelli si erano un po' scuriti ma neanche tanto, erano ancora biondi.

Solo per una cosa era diversa da prima. Ma lei e nessun altro, oltre a me e mio padre, l'avrebbe mai saputo: Megan Sinclair era un'assassina.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Imperfectworld01