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Autore: AlessiaDettaAlex    14/01/2021    1 recensioni
[LL! Sunshine! | KanaMari, tanto per essere originali | le ragazze sono in età adulta | 1200+ parole di hyper-angst]
Kanan affronta - o subisce - il sentimento di inadeguatezza conseguente all'essere diventata compagna di vita di una CEO dal patrimonio milionario.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kanan Matsuura, Mari Ohara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei era strabiliante: il portamento nobiliare le riusciva senza alcuno sforzo, in quel particolare modo che ha solo chi è abituato da una vita a trattare con i potenti della società, da pari a pari. Le spalle piccole ma fieramente distese, coperte dal tessuto liscissimo, immacolato, di una giacca classica di Armani, rendevano una vera sfida staccarle gli occhi di dosso. A ogni suo movimento i lunghi capelli dorati, impreziositi da due fini trecce che si incontravano sulla nuca, splendevano sotto i riflettori; il mento alto, la schiena dritta: aveva la grazia di una contessa. Indossava un filo di trucco, irrisorio, perché non ne aveva realmente bisogno: chiunque poteva vedere che lei sarebbe stata bellissima anche al naturale. Condivideva sorrisi con tutti, che fossero giornalisti o semplici estimatori in cerca di un selfie; e tutti rimanevano soggiogati dal suo fascino e il suo carisma. Tra loro si scambiavano risate, strette di mani ingioiellate, condite da una morigerata ed educata gesticolazione. Lei era come un sogno proibito: l'imprenditrice intelligente e oculata che ogni giornalista avrebbe voluto in copertina, la donna affascinante e altolocata che ogni uomo avrebbe voluto nel suo letto.
Kanan la guardava dal fondo della folla, popolana tra i tanti. Un uomo, nell’avanzare, la spinse con un braccio, ma non si fermò per chiederle scusa. Lei rimase immobile, invisibile ai più. Gli ospiti, dai più abbienti ai semplici curiosi, avevano occhi solo per la donna che valeva duecento milioni di dollari: blonde, rich and powerful, recitava la lucidissima nuova prima pagina di Forbes. Kanan non aveva più la forza nemmeno di alzare la testa, stanca e affranta tra il pubblico adorante; al di là del mare di persone, oltre un cordone di sicurezza, sapeva – vedeva – che Mari parlava con le persone che contavano davvero, soci e dirigenti, negoziando accordi e rilasciando interviste esclusive.
Mari l’avrebbe voluta da quell’altra parte del cordone, come sua accompagnatrice. Ma come al solito, in nome di un certo diritto alla privacy, ma forse più di un suo non essere mai a proprio agio in queste occasioni, si era tirata indietro, relegandosi dietro le quinte. Il fatto è, realizzò afflitta, che non se n’era mai pentita così tanto. Suo malgrado dovette sopportare, per tre ore di fila, la vista della donna che amava divorata dagli sguardi di decine di ammiratori, uomini con un patrimonio a dieci cifre o più che le giravano attorno come zanzare. Uomini che valevano una fortuna, come Mari. Con abiti che costavano due mesi del suo stipendio. Ma che poteva farci? Lei, al di qua di quell’ingiusto cordone, rimaneva impassibile come una statua di cera a rimuginare sulla sua propria impotenza; sulla propria lacerante inadeguatezza a stare al fianco di una persona destinata alla grandezza. Era frustrante.
Kanan si risvegliò dal suo tormentato incanto solo quando si accorse che Mari l’aveva cercata tra la folla, dedicandole un sorriso complice; ma poté giurare di aver visto nel riflesso dei suoi occhi quanto fosse anche ferito. Sul volto le si dipinse uno sconcerto al limite del disperato, nell’accorgersi con chiarezza di quel che aveva provocato il suo rifiuto: eppure allo stesso tempo, insistente, la voce nella sua testa continuava a ripeterle il solito mantra, che era più un sospetto raggelante che l’accompagnava ormai da troppi anni: tu non sei degna di lei.
Le mille voci della gente si spensero tutte insieme, non faceva più nemmeno caso agli spintoni che riceveva. Percepiva Mari lontanissima. Lei, laggiù, una dea nel suo santuario; ma non la Mari della sua adolescenza, nemmeno quella che stringeva a sé tutte le notti, nel loro letto. Kanan aggrottò le sopracciglia, dolorosamente sofferente. Cosa c’entrava lei, circondata da tutto… questo? Non aveva niente da offrirle: non una vita in prima classe, non lussi sfrenati, non potere e tutto l’oro del mondo. Solo il suo piccolissimo, insignificante, pur incondizionato amore.
 
L’America era piccola nelle sue mani. Aveva mangiato le più squisite prelibatezze in compagnia di dei personaggi più illustri del panorama imprenditoriale internazionale: se qualcosa era “di più”, era probabilmente anche alla sua portata. Sorrideva con una naturalezza quasi scontata, e non abbassava la testa di fronte a nessuno: gliel’avevano insegnato i suoi genitori a mantenere sempre alto il suo profilo, ad essere fiera di chi era. E lo era davvero. Ma non per le stesse ragioni per cui lo erano loro.
Nel suo lavoro, nei viaggi verso i tre continenti in cui aveva sparse le sue proprietà, portava negli occhi la luce dell’amore che aveva nutrito la sua vita. Glielo potevano leggere addosso, era inciso sulla sua pelle: era l’impronta indelebile delle persone che l’avevano amata; profonda come solo quella che una carezza può scavare dentro. L’Ohara Corporation era cresciuta parecchio negli anni: e Mari teneva alto il suo profilo con il portamento di chi sa di aver avuto successo, ma il sorriso sereno di chi sa di portarsi in grembo l’affetto di quelli che avevano incrociato il suo cammino. Per questo, lei camminava a testa alta. Tutto il resto era corollario: solo l’amore contava.
Tuttavia, Kanan da quell’altra parte del cordone le lanciava occhiate indagatrici, sperando di accorciare la distanza siderale che le divideva – ancora e ancora – e che ormai suonava come un’annosa maledizione. Per un fugace secondo si convinse che lo era davvero. A fine serata l’avrebbe trovata appoggiata all’auto a giochicchiare con la chiave elettronica, come ogni volta, e ogni volta con un sorriso un po’ meno sincero sulle labbra. Probabilmente avrebbero litigato anche quella sera.
«Mi sei mancata, Kanan»
«Ero lì, Mari»
«Non eri accanto a me»
E poi il silenzio, la ferita del cuore che si riapriva, l’amore che ne fuoriusciva come sangue. Il bicchiere di champagne secco che le inaspriva la lingua, medicina amara; l’oro del bracciale che tintinnava sul cristallo e feriva le orecchie, stridio insopportabile. Lo scintillio della ricchezza apriva le porte del successo, ma serrava quelle dell’amore. Non era necessario che fosse così: in verità, non ce n’era alcun bisogno. Eppure Kanan, ripiegata su se stessa, logorata dalle sue paure, pareva sorda al suo grido disperato: tu non sei troppo poco!
Mentre per Mari era sempre stata una vita di promesse, per Kanan, da qualche parte nella loro storia, era diventata una vita di compromessi. E sembrava che l’affetto tenero che da sempre condividevano non fosse abbastanza per rassicurarla; non era mai abbastanza.
Sorrise un’altra volta, per le telecamere: teneva il mondo sul palmo della mano. Ma in quel letto d’albergo, quella notte, lei e la sua compagna si sarebbero date le spalle, divise da un invisibile filo spinato. Divise dall’amara sensazione che, finita la primavera del loro amore, il destino feroce le avrebbe per sempre strappate l’una dalle braccia dell’altra, per riportarle ciascuna nel mondo a cui appartiene.
«Ma io, Kanan, ho scelto te. Tra tutte le opzioni possibili, tra tutti i pretendenti e le opportunità, ho scelto una vita normale con te. Perché è te che io amo»
 
Aveva l’America nelle sue mani. Di più – sempre di più – l’intero mondo moderno.
Il jet coi sedili di velluto rosso, di proprietà dell’Ohara Corp., sfrecciava da un capo all’altro del pianeta, allo stesso modo in cui molti anni prima aveva traghettato Akihito e Junko Ohara. La verità era che non se ne faceva niente, senza la certezza della presenza di Kanan. Senza strapparle la promessa che domani sarebbe stato un giorno migliore, e che sarebbero rimaste unite ancora per lunghi anni.
Senza il rinnovarsi della promessa eterna del suo piccolo, pur incondizionato, amore.




 
Note d'Autrice
Questa roba era in gestazione da agosto, mai mi sarei immaginata di descrivere una crisi interna alla mia coppia preferita: evidentemente ci sono momenti nella vita in cui è buona pratica stupire anche se stessi.
Siccome come al solito l'ispirazione sorge da una canzone e da una fanart, vi linko quest'ultima, poiché l'ho disegnata io e pretendo dei complimenti: https://www.deviantart.com/alessiadettaalex/art/Forbes-Mari-854175530
Grazie di aver letto!
Alex
   
 
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