Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |      
Autore: JulKat_5384    15/01/2021    2 recensioni
[Rencarnation!AU] ||Mini-Long||
Sequel di Finding my Future
La storia è un ciclo che è destinato a ripetersi.
Chiunque si fosse inventato questa frase, poteva marcire nelle fiamme dell’inferno. Perché aveva dannatamente ragione.
È così che aveva sempre funzionato per Levi. È così che girava la ruota del destino, del suo destino. Indifferente sia a qualsiasi sua supplica o preghiera, sia al tempo stesso.
Non importava quante volte avesse provato a fermarla o a tentare di far invertire quel moto perché alla fine tutto tornava come prima e immancabilmente la storia si ripeteva. Come un orologio le cui batterie sono il destino stesso: non lo puoi fermare e non può tornare indietro.
Si incontravano... Si innamoravano e...
[dal testo]
Era la seconda volta che vedeva Eren incatenato, ma era in assoluto la prima in cui aveva puntati addosso una decina di fucili, pronti a fare fuoco.
Levi avrebbe voluto, dovuto fermarli, dirgli che erano tutte bugie, ma lo sguardo del castano lo convinse a tacere.
“Ci rivedremo presto” sembravano dire i suoi occhi.
No. Quello doveva essere un incubo da cui doveva svegliarsi. Chiuse gli occhi con forza.
Svegliati Levi! Svegliati maledizione!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Across Time'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Surviving-my-Past
 

A broken heart is all that’s left


 
L’odore del mare; il vento salmastro che pungeva le narici ad ogni respiro; il rumore delle onde infrante dallo scafo del suo galeone che dava il ritmo ai canti marinareschi.
E poi due occhi verdi e fieri che lo osservavano per niente intimoriti; il calore della sua pelle scura interrotto solo da quelle pesanti catene che gli serravano i polsi; il silenzio della sua cabina, rotto solo dai gemiti di piacere a stento trattenuti; il posto accanto al suo ormai freddo al risveglio, le manette aperte e poche righe – scarabocchiate in una grafia disordinata e incerta – su un pezzo di carta, unica prova della sua esistenza.
 
 
Levi si svegliò in un groviglio di lenzuola, il respiro affannato e madido di sudore. Si passò una mano sul volto, scostando le ciocche di capelli appiccicate alla fronte, mentre il battito accelerato del cuore gli rimbombava nelle orecchie, silenziando qualsiasi altro rumore circostante.
Il corvino si liberò delle coperte, alzandosi e dirigendosi verso il bagno; i brividi gli percorsero la schiena nuda e sudata, mentre le mani e le gambe gli tremavano, ma non certo per il freddo.
Erano anni che non sognava il loro primo incontro – avvenuto ormai in un’altra vita –, e se non fosse stato per quello sfortunato incidente del giorno prima, avrebbe di certo preferito continuare a non sognarlo.
Invece, eccolo lì, paralizzato da quei ricordi che lui stesso aveva relegato volontariamente nell’angolo più remoto della sua mente – e del suo cuore – perché troppo dolorosi, e travolto da una valanga di emozioni contrastanti che gli impedivano di pensare lucidamente.
Si guardò allo specchio e l’oggetto restituì l’immagine di un uomo sconfitto. I capelli – sempre maniacalmente perfetti – erano disordinati e arruffati, la pelle più pallida del solito e gli occhi arrossati facevano risaltare le sue iridi metalliche.
Levi si aggrappò al lavandino, stringendo il bordo in ceramica così tanto da far sbiancare le nocche, mentre altri brividi gli percorrevano le braccia tese; era arrabbiato con se stesso perché quello che aveva difronte – lo sapeva – era il suo riflesso.
Chiuse gli occhi, un mero tentativo di allontanarsi dalla sua immagine e dai suoi pensieri, ma così facendo la mente si aggrappò più saldamente al quel ricordo, producendo l’effetto opposto.
Un susseguirsi di eventi legati a quel periodo, bombardarono la testa dell’uomo; frammenti di memoria che come i lampi durante una tempesta, apparivano per poi scomparire, brevi, ma intensi abbastanza da accecare gli occhi per qualche istante. Poi uno di questi prevalse sugli altri: il se stesso del passato, capitano di una nave – con tanto di tricorno e sciabola legata in vita – appoggiato ad un albero mentre osservava lui, un ragazzo dallo sguardo smeraldo perso sull’orizzonte, sorridente e per niente infastidito dal vento salmastro, che gli scompigliava i capelli e sollevava le vesti, scoprendo una piccola porzione di pelle della sua schiena liscia.
 
Il cuore di Levi saltò un battito – forse più di uno – e sgranando gli occhi, lasciò che l’aria che aveva trattenuto senza neanche accorgersene, uscisse finalmente da polmoni.
I dettagli erano ciò di cui aveva più paura: aveva sempre sperato che con il passare del tempo, questi sfumassero o si perdessero, invece il destino gli aveva giocato l’ennesimo scherzo, donandogli una memoria così ferrea da riuscire a mantenere ognuno di essi nitido e ben fisso nella sua memoria.
Ed ogni volta doveva concentrarsi per evitare di soffermarsi troppo su ogni particolare, o non sarebbe più riuscito a tornare alla realtà.
Perse un profondo respiro nel tentativo di calmarsi. Quella lotta interiore tra cuore e testa era sfiancante: la testa voleva che quel ricordo scivolasse in fretta, che quel dolore interiore finisse presto per tornare alla sua monotona e triste vita; il cuore, invece si aggrappava a quei momenti con le unghie e con i denti, incapace di lasciarli andare, desideroso di riviverli a pieno, e di non lasciarsi sfuggire neanche la più piccola sfumatura.
E quando infine i ricordi volgevano finalmente al termine, Levi poteva chiaramente sentire i segni lasciati sulla sua anima, profonde cicatrici che mai sarebbe riuscito a risanare, almeno non da solo.
Ma anche avesse trovato quella persona capace di alleviare le sue sofferenze, non sarebbe comunque cambiato nulla, perché la verità era che ci aveva provato un’infinità di volte, senza successo. E alla fine aveva preferito darsi per vinto: restare solo, congelato in una bolla di apparente serenità, sembrava la scelta più logica, piuttosto che vedersi ripetere davanti agli occhi quella stessa, inesorabile scena che abitava i suoi incubi più oscuri.
E se all’inizio si era ritenuto fortunato – entrambi lo erano – di poter ricordare, di essere rinati con la memoria intatta, la situazione si era poi capovolta, ritrovandosi ad invidiare tutto il resto del mondo ed Eren stesso.
Le persone nascevano, si innamoravano e poi morivano. Fine.
Lui no. Levi era stato maledetto dal destino stesso.
Non importa quanto tempo passasse, la sua memoria non vacillava; non importava quanto lui avesse fatto di tutto per allontanarsi da quel dolore, in un modo o nell’altro continuava a riviverlo; non importava quante volte fosse morto, Levi tornava sempre, e con lui tutto il bagaglio di emozioni e di ricordi che si trascinava dietro, vita dopo vita.
Si era così ritrovato a sperare che almeno l’altro – senza più il peso della loro memoria a gravargli nel petto – trovasse ogni volta la felicità che il destino aveva negato loro.
Era stata una scelta difficile e anche se non la rimpiangeva, il fardello di quella decisione si faceva sentire ad ogni nuovo ciclo di vita sempre più prepotentemente.
Conviveva con quella sensazione nel petto da tanto – troppo – tempo, eppure non si era ancora abituato.
E il corvino sapeva fin troppo bene che d’ora in poi sarebbe stato ancora peggio, perché si erano rincontrati, si erano ripresentati e aveva rivisto negli occhi del giovane quella stessa luce che illuminava il volto dell’Eren dei suoi primi e unici ricordi felici.
Strinse con due dita il ponte del naso, mentre un sorriso dal sapore amaro lasciava le sue labbra, pensando a quanti proverbi e modi di dire esistessero sull’argomento, ma che in realtà lui sapeva benissimo fossero solo parole al vento: il tempo cura ogni cosa; lontano dagli occhi lontano dal cuore; la morte è una liberazione da tutti i mali.
Tutte cazzate.

 
***
 
Dopo una doccia più lunga del solito e un caffè a stento bevuto, il corvino decise che nonostante la notte insonne, sarebbe comunque andato a lavorare.
Tenere la mente impegnata con calcoli e progetti di riqualificazione era l’unico modo che conosceva per evitare di ricadere nei ricordi. E così – come ogni giorno – si ritrovò in macchina, diretto verso una delle sedi della S. Corps, dove al momento lavorava.
 
«Guarda chi è tornato dall’oltretomba!» trillò una voce alle sue spalle appena varcata la porta del suo ufficio.
Levi tirò dritto verso la sua scrivania senza rispondere o voltarsi, nella vana speranza che la donna lo lasciasse in pace.
«Forza Levi po’ di vita! Oggi dobbiamo andare dai miei ragazzi per la presentazione del progetto e l’ultima cosa di cui ho bisogno è di un fantasma come te che me li spaventi!»
«Dottoressa Zoe, le ricordo che lei che insegna – ed io mi chiedo ancora come – in un’università. I suoi “ragazzi” sono tutti adulti.» rispose incolore, l’attenzione rivolta totalmente alla pagina d’agenda di quel venerdì, praticamente bianca, dove spiccava  - scritto in una calligrafia elegante – solo quel dannato appuntamento all’università.
«Ed io ti ricordo che il mio nome è Hanji. Han-ji!» disse lei, comodamente seduta sulla scrivania del corvino.
L’uomo, assai infastidito da quel comportamento invadente, la degnò finalmente di uno sguardo, pentendosene subito dopo: i capelli della professoressa – tenuti in una coda alta – erano più disordinati del solito, mentre gli occhiali erano coperti da un sottile strato di polvere legnosa che fece storcere il naso all’architetto.
«Da quando in qua, nelle università insegnano il bricolage?»
«Un buon architetto deve saper fare un buon plastico.»
«Un buon architetto lavora a dei progetti importanti, non fa l’insegnante.»
Hanji scoppiò a ridere come se l’uomo avesse appena detto la battuta dell’anno e non un insulto – neanche troppo velato – rivolto nei suoi confronti.
«E scendi dalla mia scrivania che mi sporchi tutti i documenti!»
«Levi oggi sei più scorbutico del solito» affermò la castana, ignorandolo e restando comodamente seduta su dei fascicoli. Improvvisamente, si fece seria, avvicinando il volto a quello del corvino e fissandolo, tanto che l’architetto penso  fosse impazzita sul serio.
«Ora che ti guardo bene, effettivamente hai il muso più lungo del solito… avanti racconta.»
Nonostante quella donna fosse una squinternata capace di entusiasmarsi per tre pezzi di legno incollati insieme, dai modi forse troppo grezzi per il gentil sesso e totalmente inopportuna, aveva anche un lato estremamente materno.
Levi l’aveva osservata più volte, intenta ad aiutare i suoi studenti e non solo in ambito accademico, tanto che i suoi ricevimenti erano diventati famosi in tutto l’ateneo per essere molto più simili a delle vere e proprie sedute di terapia.
E sebbene l’uomo conoscesse questo lato della sua collega, non poteva di certo raccontarle cosa realmente lo affliggesse senza risultare un pazzo. Tuttavia Levi, se voleva evitare quel discorso, avrebbe dovuto necessariamente dire qualcosa di abbastanza convincente da tranquillizzare la castana.
«Non ho dormito molto stanotte, dottoressa Zoe» si ritrovò a rispondere, sospirando.
«Oh… OH! Hai passato una notte di passion-»
«HANJI!» ringhiò l’architetto adirato, mentre la donna rideva a crepapelle, per niente intimorita dello sguardo assassino del corvino.
«Hai visto? Non è così difficile il mio nome!»
Levi grugnì frustrato: quella pazza aveva la capacità di fargli venire il mal di testa usando solo tre parole, non importava quali. L’uomo stava per rispondere a quella provocazione, quando l’attenzione della donna fu totalmente attirata dallo squillo del telefono nell’altra stanza, e si precipitò a rispondere, lasciandolo finalmente da solo.
 
Il corvino si passò le mani sul volto, non era certo così che voleva tenere impegnata la sua mente; si allentò la cravatta e prese a sfogliare alcuni dei documenti che contenevano le direttive del progetto universitario di Hanji e a cui lui avrebbe dovuto partecipare come supervisore esterno.
Lesse attentamente ogni parola e si meravigliò dell’ottimo lavoro svolto dalla quattrocchi: quello era un progetto decisamente interessante, ma quando i suoi occhi caddero sulle bozze di uno studente, quel poco di buon umore che aveva riacquistato svanì di nuovo.
Riqualificare un vecchio deposito nei presi del fiume e renderlo una zona verde, mantenendo la linee del paesaggio, utilizzando materiali ecosostenibili e senza intaccare la biodiversità del luogo; l’idea in sé non sarebbe stata neanche male, se non fosse per il fatto che Levi – quel giorno – di barche, acqua e del colore verde, non ne voleva proprio sapere.
Richiuse malamente il fascicolo, gettandolo poi senza troppe attenzioni dentro la sua ventiquattrore, riprese il suo cappotto e tirò fuori le chiavi della macchina.
Se doveva passare quella giornata all’insegna dei ricordi, lo avrebbe fatto nella comodità di casa sua e in compagnia di un buon bicchiere di liquore.
«Hanji me ne torno a casa» affermò aprendo la porta dell’ufficio della donna per poi richiuderla senza aspettare una risposta.

 
***
 
Levi era riuscito ad arrivare a sera, concentrandosi sui fascicoli degli allievi di Hanji e portandosi avanti su alcuni suoi progetti di riqualificazione, bevendo un bicchiere di whisky ogni qualvolta un ricordo si faceva più prepotente.
Ma dopo il quarto, si rese conto che era sempre più difficile prestare attenzione ai documenti, e sempre più facile sprofondare nei ricordi.
Dannazione.
Imprecò mentalmente, lasciandosi sprofondare sulla poltrona; una mano a sorreggere la testa mente l’altro braccio penzolava fuori dal bracciolo, tra le dita reggeva ancora il bicchiere con il ghiaccio, che tintinnava ad ogni suo movimento. I fascicoli erano ormai stati  dimenticati sul tavolino difronte a lui, così come la bottiglia di liquore.
Non seppe quanto tempo rimase in quella posizione, ma quando si decise ad alzarsi, il suo corpo reagì istintivamente, e annullando qualsiasi comando della mente, portò Levi in camera e gli fece aprire la cassaforte nascosta dietro al quadro.
Quando finalmente riprese coscienza di sé, ormai il danno era fatto: tra le mani teneva il cofanetto di raso blu contenente l’unico oggetto a lui prezioso, ma dal quale, in quel momento, voleva stare il più lontano possibile.
 
Quel fine settimana si prospettava come uno dei più difficili da trascorrere per Levi, ma se davvero avrebbe avuto a che fare con quella parte del suo passato –  che tanto si sforzava di tenere lontano dal suo cuore – allora lo avrebbe fatto senza mezze misure, lasciandosi annegare in quel ricordo che era il più felice e il più doloroso che aveva.
L’uomo si lasciò cadere sul letto, incurante dei vestiti, delle luci rimaste accese nelle altre stanze e di tutto ciò che non fosse quella scatolina che teneva stretta nel pugno della mano.
Si portò l’altro braccio a coprire gli occhi e si lasciò andare; neanche si accorse che mentre le immagini prendevano forma dietro le sue palpebre, una sola lacrima scese a rigargli il volto.






N/A
*Soonooo viiiiivaaaa!!!*  come direbbe Mushu!
Finalmente il primo capitolo vede la luce! Sono mesi che arranco nella stesura di questo chapter (cancellando intere parti e annotando su fogli che ho sparso per casa, tutti spunti per i capitoli futuri) e poi in un pomeriggio dove il mio unico intento era di rilassarmi buttando giù righe a caso, è venuto fuori questo.
Perdonatemi se ci sono degli errori, ma tanta era la gioia che ho voluto pubblicarlo subito.
Spero di rendere giustizia al personaggio di Levi in questa storia, perché per quanto lo ami in tutte le sue forme, mi resta difficile narrare dal suo punto di vista.
Al prossimo capitolo!
Julz
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: JulKat_5384