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Autore: LadyPalma    16/01/2021    10 recensioni
Prima classificata al contest "4... crack pairing!" indetto da matiscrivo sul forum di EFP.
Barty si era preso una cotta per lei durante il loro sesto anno perché non aveva niente di meglio da fare.
Niente di meglio che guardarla ridacchiare al tavolo dei Corvonero, o sentirla cianciare sugli astri quando si incontravano faccia a faccia. Niente di meglio che seguirla sulla Torre di Astronomia e chiederle col suo sorriso più innocente di aiutarlo con il tema perché lei, si sapeva, era la migliore. Niente di meglio, anche se delle stelle non gliene fregava proprio niente e avrebbe voluto volentieri collezionare una sfilza di Troll in tutte le materie solamente per fare dispetto a suo padre.

Aurora e Barty si avvicinano durante il loro sesto anno a Hogwarts e poi si perdono di vista. Ma, si sa, certi amori non finiscono, specialmente quelli mai iniziati; fanno dei giri immensi e poi ritornano, talvolta nelle forme più inaspettate.
Aurora e Barty all'epoca dei Malandrini e di nuovo durante gli eventi del Calice di Fuoco, legati dal debole filo della promessa di un ballo rimasta in sospeso.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Aurora Sinistra, Bartemius Crouch junior
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Malocchio Moody era impegnato in un goffo two-step con la professoressa Sinistra, che evitava nervosamente la sua gamba di legno.
[Harry Potter e il Calice di Fuoco, “Il Ballo del Ceppo”]
 
 




Niente di meglio da fare
 
 




 
Barty si era preso una cotta per lei durante il loro sesto anno perché non aveva niente di meglio da fare.
Niente di meglio che guardarla ridacchiare al tavolo dei Corvonero, o sentirla cianciare sugli astri quando si incontravano faccia a faccia. Niente di meglio che seguirla sulla Torre di Astronomia e chiederle col suo sorriso più innocente di aiutarlo con il tema perché lei, si sapeva, era la migliore. Niente di meglio, anche se delle stelle non gliene fregava proprio niente e avrebbe voluto volentieri collezionare una sfilza di Troll in tutte le materie solamente per fare dispetto a suo padre. Niente di meglio, perché il riflesso della luce sulla sua pelle scura, la sua risata lievemente nasale e il suo strano modo di gesticolare (facendo tintinnare i suoi stupidi braccialetti) erano l’unica cosa che riuscisse in qualche modo a sospendere la costante agitazione che provava nel non sentirsi mai a casa – né a casa né altrove.
Che importava non sapere dove mettere i piedi se si potevano guardare le stelle, giusto?
“Saresti una brava insegnante” mormorò uno di quei pomeriggi ormai diventati casualmente loro, con un sorriso che sperava essere malizioso. Anche se Barty era malizioso in tante cose, ma poco in quel campo. “Che c’è? Perché ridi? Dico sul serio, sarebbe bello essere pagati per spiegare le stelle, sarebbe bello seguire una propria passione ed essere… speciali”. Era pur sempre qualcosa, meglio di niente, si ritrovò a pensare senza dirlo.
Aurora ridacchiava ancora: sembrava autenticamente divertita, anche se lui non aveva fatto nessuna battuta. “Tu non mi paghi però, Crouch. E ti aiuto con i temi da due mesi”. Esitò, portandosi la mano tra i capelli, facendo tintinnare come sempre i bracciali. “Voglio qualcosa in cambio”.
Barty spalancò gli occhi e sorrise – stavolta maliziosamente per davvero.
“Menomale che sono io il Serpeverde, Sinistra. Sentiamo, cos’è che vuoi?”
Per una frazione di secondo (o forse anche di più) Barty osò immaginare che lei potesse volere da lui un bacio. Tuttavia, per quanto quella romanticheria fosse una completa scemenza, Aurora disse qualcosa che riuscì a imbarazzarlo perfino di più.
“Voglio un ballo”.
“U-un ballo?” Barty le fece eco balbettando. Pensò a suo padre che lo aveva costretto a imparare a ballare perché era quello che ci si aspettava da ogni ragazzo di buona famiglia, e poi pensò a sua madre che aveva volteggiato nel salotto di casa con lui, facendoglielo trovare vagamente piacevole. E infine indugiò per un attimo sull’immagine mentale di Aurora muoversi al suo stesso ritmo tra le sue braccia.
“Sì, un ballo. Fai parte del LumaClub, no?” replicò lei, senza scomporsi. “Ecco, io non sono mai stata a un ballo qui a Hogwarts e mi piacerebbe ballare una volta”.
“Quindi, cosa? Vuoi che ti porti al Ballo di Natale del LumaClub con me?” Strinse gli occhi come per scrutarla più di quanto mai avesse farlo prima, quasi per soppesarla come persona. Purosangue, intelligente, carina: suo padre l’avrebbe approvata. Per fortuna o che peccato? “Siamo a marzo, dovrai aspettare praticamente un anno”.
Lei si strinse nelle spalle e lo guardò quasi con aria di sfida. “Sono brava ad aspettare”.
Lui annuì e non disse nulla. Anche lui era bravo ad aspettare, del resto, anche se non sapeva cosa.
Era bravo ad aspettare, quando non c’era niente di meglio da fare.
 

 
Aurora si era presa una cotta per lui durante l’estate, quando aveva smesso di vedere quel ragazzino praticamente tutti i giorni. È che ci pensava spesso, troppo spesso, annotava il suo nome troppe volte nel diario dei sogni, e quando guardava le stelle dal giardino di casa immaginava di starle guardando con lui. Pensava spesso a lui, sì, e pensava principalmente che era proprio strano – un po’ troppo triste per essere ricco, no? Un po’ troppo dolce per essere un Serpeverde, no?
A settembre, però, di tutto quel pensare non le rimase altro che polvere di stelle soffiata chissà dove. Perché Barty sembrava meno triste e parallelamente anche meno dolce. Passavano ancora del tempo insieme e lui voleva ancora il suo aiuto per i temi di Astronomia, ma non con la stessa frequenza e neanche con lo stesso interesse. Sembrava scostante, distaccato, come se avesse la mente altrove e altro di meglio da fare. E lei, che improvvisamente non sembrava trovare neanche così tanto interessanti le stelle, finiva per pensare a lui il doppio.
“Allora, siamo quasi a metà dicembre ormai. Non hai intenzione di invitarmi al Ballo?” Si era svegliata un’ora prima del solito quel giorno per lisciarsi i capelli e truccarsi un po’, ma sembrava tutto fuorché impacciata mentre si avvicinava al tavolo dei Serpeverde con quella schietta domanda tra i denti.
Alcuni Serpeverde sghignazzarono fissandola, ma Barty no. Barty spostò lo sguardo dal ragazzo con cui stava parlando e sembrò per un attimo quasi imbarazzato.
“Non andrò al Ballo di Lumacorno, Sinistra” disse, e nel suo tono piatto c’era tuttavia un accenno di rammarico.
Aurora rimase a guardarlo e basta, poi si portò nervosamente una mano tra i capelli facendo scuotere inavvertitamente i bracciali. “Perché no?” si decise a chiedere in tono inquisitorio, invece di battere in ritirata.
Barty smise di guardarla – e dunque smise di essere triste e dolce come lo conosceva lei.
“Perché ho altro di meglio da fare”.
“Ma me lo avevi promesso. Mi avevi promesso un Ballo”.
“E tu continua ad aspettare, se proprio ci tieni”. Rise anche lui finalmente insieme agli altri Serpeverde, mentre a lei non restò altro che dargli le spalle, non piena di vergogna ma di un vago senso di rammarico.
Se ne andò e non gli rivolse più la parola fino alla fine della scuola, tuttavia continuò inconsciamente ad aspettare.
Smise di farlo solo tempo dopo leggendo il suo nome accanto alla parola deceduto sulla Gazzetta del Profeta. Perché una parte di lei aveva continuato mentalmente a ballare con lui perfino sapendolo ad Azkaban. Assassino, mangiamorte, mostro… ma nella sua mente pur sempre primo amore, no? Pur sempre potenziale ballerino, pur sempre dolce e triste. Non si poteva ballare con un morto, però.
Per anni, anche da insegnante, anche da donna adulta, guardando le stelle le veniva in mente Barty e le sfuggiva perfino qualche lacrima – non per lui e le incognite che aveva lasciato, ma stupidamente per se stessa e il ballo che non aveva mai avuto.
Non ci pensava spesso però, solo nei momenti in cui non aveva niente di meglio da fare, e grazie al suo lavoro erano pochi.
 



 

 
Certi amori non finiscono, specialmente quelli mai iniziati.
Fanno dei giri immensi e poi ritornano, talvolta nelle forme più inaspettate.
Sono amori indivisibili, indissolubili, inseparabili, scritti dalle stelle – che, appese lì nel cielo, non hanno proprio di meglio da fare.
 
 



 
Barty (ri)cominciò a guardare Aurora per via della stessa debole scusa: non aveva stranamente niente di meglio da fare. Niente di meglio nell’ora buca tra una lezione del quinto anno e una del terzo, dopo aver ingoiato una generosa dose di Polisucco. Niente di meglio che spiarla con quell’occhio nuovo di zecca e scoprire, invece di indovinare, la sinuosa linea delle sue curve sotto i vestiti. Niente di meglio, perché il suono inconfondibile della sua voce leziosa, il suo sguardo ancora più sfrontato e quei soliti stupidi braccialetti (che nel frattempo si erano moltiplicati) erano ancora l’unica cosa che riuscisse ad acquietare quella sensazione ormai cronica di non sentirsi mai se stesso – né nella propria mente, né nel corpo di qualcun altro.
“Professoressa Sinistra, cercavo proprio lei!” esclamò, forzando un grugnito, arrancando verso di lei col suo stupido bastone. “Che ne dice di venire al ballo con me?”
Glielo aveva detto così, nella maniera schietta che impersonare Moody gli imponeva, ma trattenendo il fiato sotto tutti quegli strati di finte cicatrici. E lei lo aveva guardato a lungo, a metà tra il divertito e l’infastidito, prima di piegare leggermente la testa e accettare con un borbottio piuttosto antipatico: “Beh, il professor Piton e il preside Karkaroff non hanno intenzione di ballare, in ogni caso”.
Per quella sera, lui si sistemò con cura – pure se i capelli non erano suoi, né lo erano i vestiti – come se ballare con Aurora fosse la sua unica preoccupazione al mondo e non una sciocchezza improvvisa dettata dall’etica poco plausibile di mantenere una promessa e dal desiderio più genuino di vivere per un’ora. Suo padre e l’uomo nel baule stavano diventando sempre più resistenti all’Imperius, doveva controllare ogni passo di Silente e di Potter, e una nuova sortita tra le scorte di Piton si rivelava sempre più necessaria; eppure a lui sembrava di non avere niente di meglio da fare – non la sera del Ballo del Ceppo, perlomeno.
Lei era cresciuta: più severa, più nervosa, più scontrosa di un tempo, ma – e di questo se ne accorgeva maggiormente vedendola stretta in un elaborato vestito blu notte, con i capelli raccolti a chignon e uno strato delicato di trucco sul viso – anche più bella e seducente. Lui, però, cresciuto non lo era, non del tutto, rinchiuso per anni a casa di suo padre con la sola compagnia di Winky: la sua testa e tutto il resto – quel resto fatto di sensazioni, emozioni, pulsioni – erano rimasti ancora a diciassette anni, quando aveva troppo poco da fare e così tanto da voler dimostrare.
“Ci uniamo alle danze, professoressa?” le chiese in un tono che percepì esitante perfino filtrato nella voce ringhiosa di Moody. Senza aspettare una risposta l’aveva poi trascinata al centro della sala, in mezzo agli altri studenti e agli altri insegnanti, e l’aveva afferrata come bisognava fare – una mano attorno alla vita, una mano nella sua. Impacciato come si sentiva dentro e goffo com’era disgraziatamente fuori, aveva iniziato a guidarla in quel ballo che non era affatto come se lo era sempre figurato, eppure per qualche via traversa riuscì alla fine a rivelarsi anche meglio.
“La smetta di pestarmi i piedi, la prego” gli sibilò con una nota stizzita. “Non era così che avevo immaginato il mio primo ballo a Hogwarts”.
“Primo ballo?” le fece eco, con una sorpresa che era reale. “Vuole farmi credere che non ha mai ballato con nessuno qui dentro? Le consiglio di non raccontare stronzate a me. Io sono in grado di capire ogni cosa”.
“Beh, da studentessa avrei voluto ballare con un amico ma poi…” Si interruppe, ridacchiando leggermente. “Che sciocca, le stavo raccontando sul serio una noiosa storia come se il suo occhio magico fosse per davvero capace di decifrare il pensiero”.
Barty il suo sorriso non lo fece vedere, non ancora, perché sapere che lei stava vagamente pensando a lui, al vero lui, non gli bastava. “Oh sì, che ne è capace. È così che ho capito la colpevolezza assoluta del giovane Barty Crouch, quel verme disgustoso che è stato incastrato solo grazie a me…”
Adesso sì che sorrise apertamente, quando la sentì irrigidirsi tra le sue braccia e la vide scrutarlo con una nuova attenzione, priva di quell’aria superficiale e distratta che sempre aveva quando si rivolgeva all’uomo che lui fingeva di essere.
“Facciamo un altro giro?” propose lei, schiarendosi la voce.
E lui sorrise, ancora, sferrando il colpo finale nella miscela dei ricordi. “Certamente. Adesso non ho più altro da fare”.
Aurora lo fissò a occhi sgranati e per un momento lui fu certo di essere stato riconosciuto per chi era veramente. Per questo lui le pestò i piedi più spesso del solito quasi per cancellare quella rivelazione fugace, anche se lei continuò a voler ballare anche un terzo ballo, e un quarto, e ancora un quinto.
 
 

Aurora prestò sincera attenzione a Barty quando realizzò che c’era davvero lui dietro l’apparenza arcigna e malandata di Alastor Moody. Ne ebbe il primo sentore durante il Ballo del Ceppo – l’interiore conferma era tutta nella presa passionale che stonava con le mani nodose, nello sguardo eloquente che non sembrava appartenere proprio a quell’occhio di vetro –, anche se si impose di non pensarci più e il giorno dopo svegliandosi diede la colpa al vino elfico per quella che doveva essere stata per forza un’allucinazione. Non lo disse a nessuno, neanche a se stessa, e prese a evitare Barty – no, Alastor – come il vaiolo di drago. Eppure negli istanti in cui si fermava, quelli in cui non aveva niente da fare (e finivano per esserci sempre di tanto in tanto), l’immagine di loro due che ballavano era tornata dopo tanti anni a infestare la sua mente, come segnale segreto che lei in fondo era tornata a crederlo vivo. Perché non si poteva proprio ballare con un morto, neanche nella fantasia, e allora come poteva Aurora averci ballato per davvero?
Lo credeva vivo e lo credeva Barty già da dicembre, per questo la sua prima reazione non fu di shock quando lo rivide finalmente nel suo autentico viso sul finire di giugno.
“Cosa ci fai qui, Aurora?”
Lui era legato a una sedia, con l’espressione folle e l’aria sofferente, ma il primo aggettivo che le venne in mente fu semplicemente vivo. Ignorò la domanda e chiuse la porta alle sue spalle, muovendo qualche lento passo nella sua direzione. Poteva spiegargli che si era offerta di sostituire la professoressa McGranitt a guardia dell’ufficio fingendo di non sapere chi contenesse, oppure poteva semplicemente sprecare parole per accusarlo di essere quello che era: un traditore, un colpevole, il simbolo del male. Ci voleva tempo, però, e di tempo non ne avevano.
“Perché lo hai fatto?” gli chiese così con semplicità, anche se non sapeva neppure lei a cosa si riferisse. Perché ti sei unito a Voldemort? Perché lo hai riportato in vita? O la domanda più scema di tutte: perché non mi hai portato a quel maledetto Ballo, perché mi hai abbandonata?
Barty rispose comunque a tutto, nell’unico modo che conosceva. “Lo sai perché, Aurora. Non avevo niente di meglio da fare, tu mi conosci”.
Aurora lo osservò ridacchiare leggermente con le lacrime negli occhi, scrutò il suo furore sapientemente mescolato con la paura e la disperazione. Quell’uomo lei non lo conosceva, proprio no, però riconosceva il ragazzo che c’era dietro e che era stato un tempo. In quello che doveva essere il volto del male lei vedeva ancora dolcezza e tristezza, solo dolcezza e tristezza.
“Subirai il bacio del Dissennatore. Te ne rendi conto che morirai?”
“Per il mondo ero già morto, cosa cambia? Morirò seguendo la mia causa, servendo il mio signore, combattendo per un mondo libero da…”
“E noi, Barty? E io?”
Le parole le sfuggirono via con un’urgenza improvvisa, ancor prima di razionalizzarle. Rimasero a fissarsi in silenzio come guardandosi per la prima volta. Gli occhi persi di Barty sembravano dire: Poteva esserci davvero un noi, Aurora? E quelli di lei rispondevano in silenzio: Non lo so, ma io ti aspettavo ancora.
“Io… Ho mantenuto la promessa” le disse alla fine, in un soffio. “Ti ho portata a un Ballo”.
Era una frase sciocca da dire e forse fu proprio per questo che Aurroa fece per reazione la cosa più sciocca possibile. Si piegò verso di lui e lo baciò sulle labbra, con passione e con gli occhi chiusi. Non li riaprì prima di voltarsi e finse anche di non sentirlo richiamarla indietro mentre usciva dalla stanza.
Preferiva ricordarlo così, triste e dolce, e nella sua testa disse a quell’immagine solo parzialmente fittizia addio, ancor prima di incrociare alla fine del corridoio il ministro Caramell e un fatale Dissennatore.
Barty era morto, stavolta per davvero e lei tornò di nuovo a relegarlo nei momenti vuoti, nella nostalgia che solo le stelle potevano ispirare. E allora piangeva, stavolta proprio perché un ballo e un bacio li aveva avuti. Piangeva, perché non c’era proprio niente di meglio ormai che potesse fare pensando a lui.
 
 
 
 










 
 
NDA: Questa storia per me è stata letteralmente un parto da scrivere. Barty Crouch Jr non è assolutamente un mio personaggio e credo sia davvero difficile da scrivere; dall'altro lato, invece, Aurora praticamente non esiste, quindi era un po' tutta da inventare. A tal proposito, non sappiamo di lei l'età anagrafica e mi rendo conto che scrivendola coetanea di Barty la rendo praticamente giovanissima per insegnare, ma prendete per buona questa licenza. Ringrazio di cuore Severa Crouch per il preziosissimo supporto: spero di non aver distrutto il suo amato Barty!
La trama è stata ispirata dall'evento canonico che vede Aurora e Barty (sottoforma di Alastor Moody) ballare insieme al Ballo del Ceppo: mi è piaciuto prendere sul serio questo dettaglio e collocarlo in una storia ben più ampia di questi due personaggi, dove quel ballo sarebbe potuto essere in effetti la risposta a una sorta di promessa da mantenere.
Per quanto riguarda la scena finale dell'incontro faccia a faccia dei due, nel canon a fare da guardia all'ufficio dove si trova Barty è Minerva McGranitt; tuttavia, Caramell ha tutto il tempo di entrare col suo Dissennatore cogliendo Minerva di sorpresa. Per cui ho immaginato che in quel momento (per le più svariate ragioni) Minerva avesse potuto cedere per un momento la guardia a una presunta ignara Sinistra.
Il titolo della canzone – e l'idea del generale del "non avere niente di meglio da fare" – mi è stata ispirata dalla canzone "Mi sono innamorato di te" di Luigi Tenco.

Questo era il pacchetto del contest:
Prompt: X e Y non sono mai stati assieme, ma da adulti/anziani (a vostra discrezione) si rincontrano.
Citazione: Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano; amori indivisibili, indissolubili, inseparabili
   
 
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