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Autore: Shadow writer    16/01/2021    3 recensioni
In una metropoli urbana dominata da corruzione e giochi di potere, una giovane donna cerca di farsi spazio attraverso strade poco lecite.
Dopo gli ultimi eventi, la duchessa si trova alle strette e la posta in gioco si fa sempre più alta: il potere e le persone che ama.
Quello che non sa, è che qualcuno le sta alle calcagna, impaziente di vederla crollare. Ma come può combattere un nemico invisibile?
Dalla storia:
“Sentì un fermento nel suo stomaco e una sensazione di ebbrezza che le andò alla testa.
«Sei fortunata» replicò e si passò la lingua sulle labbra, come assaporando quel momento. «Si dà il caso che concedere favori sia la mia specialità».”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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EPILOGO
 
Sei mesi dopo
 
Era quasi il tramonto. Il sole sfiorava appena l’orizzonte, rischiarando le spighe dorate che coprivano i campi a perdita d’occhio. Il cielo era di un blu intenso e l’aria era così calda che non si udiva nessun rumore nella campagna, ad eccezione delle cicale che frinivano instancabili. 
Il loro canto di gruppo era interrotto solamente dal rombo dell’auto che percorreva l’unica strada tra i campi, sollevando un gran nuvolone di polvere dal terreno non asfaltato. La berlina nera, che probabilmente era partita con una carrozzeria lucida come il petrolio, appariva in quel momento di un grigio spento tendente al giallognolo. L’autista imprecava mentalmente per le buche che mettevano a dura prova le sospensioni dell’auto, sballottandolo su e giù nell’abitacolo.
Ondeggiando a sua volta per la strada dissestata, Roman guardava la distesa bionda attraverso il vetro del finestrino oscurato. Si stava chiedendo se, viste le premesse, avesse portato degli abiti adeguati all’ambiente. Forse dei sandali sarebbero stati più adatti.
Finalmente la strada si fece più larga, fino a terminare davanti ad un grande casolare in pietra chiara. L’auto si fermò e l’autista si affrettò ad aprire la portiera al passeggero, per poi spostarsi ad estrarre il suo borsone dal baule.
Roman gli disse che non era necessario aiutarlo a portarlo dentro e lo congedò, accordandosi per farsi tornare a prendere due giorni più tardi.
L’uomo eseguì rapidamente e in un attimo aveva fatto retromarcia per imboccare di nuovo la stradina polverosa da cui erano venuti.
Roman osservò l’auto sparire tra il grano giallo e, quando tornò a guardare il casolare, notò che qualcosa era cambiato. Qualcuno era uscito dall’edificio e stava di fronte a lui, a guardarlo con una mano sulla fronte per fare ombra sugli occhi. Lui avanzò, trascinando il borsone e la figura si fece più chiara.
Si trattava di una donna con addosso un abito a fiori lungo fino al ginocchio. Intorno alla vita era stretto un grembiule chiaro che copriva la parte davanti del vestito. I piedi erano infilati in un paio di ciabatte color cuoio, mentre sul petto le ricadeva, scomposta, una lunga treccia morbida.
Quando Roman fu abbastanza vicino, lei lasciò ricadere la mano con un cui si faceva ombra e allargò le braccia.
Lui sorrise. «Quel grembiule è per farmi credere che cucini?»
Anche l’altra ricambiò il sorriso. «Tentar non nuoce».
Roman avanzò ancora e lei lo imitò, quasi correndo e poi si tuffò verso di lui, stringendolo in un abbraccio. Lui lasciò cadere a terra il borsone e la strinse a sua volta, affondando il capo nei suoi capelli. Odoravano di sole e fiori di prato.
«Mi sei mancato» disse la ragazza, scostandosi leggermente dall’abbraccio per poter scrutare il suo volto.
«Anche tu, Em».
Emily lo prese per una mano e lo condusse all’interno della casa. Passarono attraverso una porta sulla parete rivestita di pietre chiare e si trovarono in una stanza piccola e scura, rispetto alla luce dell’esterno. 
Guidato da una stanza all’altra, Roman si accorse che la maggior parte di esse si affacciavano su un ampio cortile interno, da cui proveniva gran parte della luce naturale mediante finestre che occupavano un’intera parete. Raggiunsero delle scale di legno strette e scricchiolanti e, una volta arrivati al piano superiore, Emily gli mostrò camera sua.
Era una stanza piccola e arredata con la semplice eleganza delle case di campagna. Il copriletto, sebbene vecchio stile, profumava di sapone e del vento che lo aveva fatto asciugare. L’unica finestra, piuttosto ampia, affacciava sull’esterno, restituendo la vista delle colline che si spandevano a vista d’occhio sempre più dorate sotto la luce del sole.
Roman lasciò il borsone su una robusta scrivania di legno e tornò con Emily al piano inferiore.
Questa volta, entrarono in quella che doveva essere la cucina. Una parete era occupata da una grande porta-finestra che conduceva al cortile interno e lasciava entrare una gran quantità di luce calda. Sebbene un poco antiquati, i mobili avevano un’aria fresca, forse grazie alla vernice bianca che aveva ricoperto l’originale color legno. Sui fornelli, c’erano due grosse pentole e una di queste emetteva vapore fischiando.
Emily imprecò e si lanciò verso di essa. Abbassò il fuoco e scostò il coperchio.
Quando si voltò a guardare Roman, lui le rivolse un sorriso beffardo.
Lei alzò gli occhi al cielo. «Hai ragione, di solito non cucino mai, ma questa volta ho fatto le prove e mi sono attenuta alle precise istruzioni che mi sono state date, quindi credo che sarà commestibile».
«Non saprei» ridacchiò lui, «non sei mai stata una che si attiene alle regole».
Emily sbuffò in modo troppo teatrale per non essere divertita. Si diresse verso la porta finestra e la aprì litigando qualche istante con essa, che pareva incastrata, poi fece cenno a Roman di seguirla.
Il cortile interno si componeva di diverse zone. Vicino alla cucina, sotto ad un pergolato, era sistemato un grande tavolo già apparecchiato. Su di una tovaglia a quadri rossi e bianchi, spiccavano i piatti di ceramica candida. Sopra ad esso, era appesa una striscia di lampadine ancora spente.
Davanti al tavolo, c’era un rettangolo d’erba e poco più in là, scavata nel terreno, una piccola piscina piena d’acqua. In un angolo, invece, era sistemata della legna per un falò e intorno ad esso c’erano diverse poltroncine dall’aspetto confortevole.
«Siediti pure qui» gli disse Emily tirando una sedia del tavolo. Lui ubbidì e la ragazza sparì nuovamente in cucina. La sentì armeggiare – e imprecare – ai fornelli. Ci fu poi un rumore di pentole che venivano mosse e sbattevano tra di loro e quando tutto tornò silenzioso, Emily ricomparve con una grossa zuppiera tra le mani. La posò maldestramente sul tavolo e tirò un sospiro di sollievo.
«Vedo che te la cavi bene anche senza aiutanti» commentò ironico Roman e lei lo fulminò con lo sguardo.
«Non credevo fosse possibile disabituarsi a vivere senza cuochi e camerieri» sbuffò e si lasciò cadere sulla sedia al fianco dell’ospite.
«Dobbiamo aspettare per cenare» gli disse poi e diresse lo sguardo verso un’apertura ad arco dall’altro lato del cortile. Il grosso portone in legno che normalmente avrebbe dovuto chiudere l’arco era spalancato, lasciando intravedere al di là i campi infuocati dal tramonto.
«Il nuovo passatempo è dipingere paesaggi» spiegò Emily tenendo sempre lo sguardo fisso sull’arco.
Presto, all’interno di esso, comparvero le sagome scure di due persone, illuminate da dietro dalla luce del sole.
Una era alta e dalle spalle larghe e portava sotto un braccio quello che sembrava un cavalletto e sotto l’altro due tele. La figura più piccola che trotterellava al suo fianco teneva tra le braccia una borsa di stoffa. Quando entrarono nel cortile e smisero di essere colpiti dalla luce rossa, le loro figure si fecero visibili.
Noah indossava una maglietta macchiata d’erba e dei pantaloncini corti, mentre ai piedi portava delle scarpe di tela sporche di terra. Al suo fianco, Alexander, pareva un divo anche con quella camicia di lino impolverata e i pantaloni di stoffa morbidi.
Lasciarono ciò che ingombrava loro le braccia in un armadietto di legno e si diressero verso il tavolo.
«Fermi dove siete!» gridò Emily scattando in piedi. «Andate almeno a lavarvi le mani».
Noah non riuscì a trattenersi e corse verso Roman per saltargli al collo, mentre Alexander, dopo aver salutato l’ospite, si diresse verso una fontana poco distante per lavarsi le mani e sciacquarsi il volto impolverato.
Dopo che si furono lavati, Emily concesse loro di sedersi a tavola e cominciò a servire il contenuto della zuppiera.
«Hai fatto un buon viaggio?» domandò Alexander a Roman. L’altro annuì. «Sì, anche se avete preso alla lettera l’idea di allontanarvi da Tridell».
«Be’, ne vale la pena per assaggiare la famosa zuppa di Em» fu la replica ironica di Alexander che rischiò di ricevere un mestolo in testa dalla giovane.
«In realtà, è il papà quello bravo a cucinare» mormorò Noah sottovoce a Roman, bisbigliando per eludere le minacce di Emily.
Quando tutti furono serviti, cominciarono a mangiare. 
Durante la cena parlarono della nuova vita di campagna iniziata sei mesi prima, con il loro trasferimento in quel casolare in mezzo ai campi. Alexander raccontò di quando aveva portato a casa due galline dal villaggio più vicino - «A dieci minuti di bicicletta» disse indicando vagamente con il braccio la direzione da prendere per raggiungerlo – ed Emily aveva minacciato di farlo dormire in cortile se non le avesse riportate indietro. Alla fine, le avevano tenute e anche lei si era affezionata a loro, soprattutto grazie alle uova che trovava ogni mattina.
Noah parlò in tono entusiasta dei bambini che aveva conosciuto, in particolare due fratelli che vivevano in una fattoria poco distante. Disse che aveva munto le mucche insieme a loro e poi avevano potuto bere il latte tutti insieme. Parlarono dei colori del paesaggio, l’oro del grano, il cielo turchino, la terra di un marrone caldo e il verde degli stagni. 
«Io e il papà li dipingiamo sempre!» concluse Noah, mostrando una macchia di tempera che gli era rimasta sul braccio.
«Dopo facciamo il bagnetto» si inserì subito Emily.
 
 

Alexander insistette per occuparsi lui di far fare il bagnetto a Noah e metterlo a dormire, così Emily e Roman si spostarono sulle poltroncine intorno al falò che era stato acceso. Le fiamme rosse del fuoco si perdevano nell’aria e gettavano un chiarore caldo intorno. Il sole era ormai tramontato da un pezzo e, nel cortile, l’unica fonte di illuminazione artificiale erano le lampadine appese sopra alla tavola.
Emily e Roman si erano sistemati uno di fianco all’altra, ciascuno con un calice di vino rosso da sorseggiare guardando la danza del fuoco. 
«Mi sembra che tu ti sia sistemata bene qui» commentò Roman guardandola di sottecchi. 
Lei sorrise. «Sì, è un luogo felice».
«Com’è stato tornare a. vivere con Alexander?»
Emily gli rivolse un’espressione maliziosa. «Sapevo che me lo avresti chiesto. All’inizio ero preoccupata. Tutti gli anni che abbiamo vissuto distanti, tutto ciò che ci siamo fatti a vicenda, avrebbero potuto pesare su di noi e sul nostro rapporto, ma la verità è che è bastato guardarci negli occhi per ricordarci quanto ci amavamo e quanto di quell’amore ancora ci fosse in noi».
Prese un sorso di vino, poi continuò: «Ovviamente non sono mancate le discussioni, ma sempre su faccende futili. La nostra voglia di far funzionare questo» le sue mani fecero un vago gesto nell’aria e, nel calice, il vino ondeggiò, «ci ha permesso di superare tutto».
Roman allungò una mano e la posò su quella di Emily. 
«Ti brillano gli occhi» le sussurrò e lei li roteò.
Bevve ancora del vino e le sue guance, forse per effetto delle fiamme, presero un colorito scarlatto. Si voltò verso di lui, appoggiando la schiena ad un bracciolo e il calice sull’altro. «E tu come stai?»
Roman si strinse nelle spalle. «Non c’è male. Il palazzo è un poco silenzioso senza di te, ma sempre magnifico».
Emily rise, ma presto il suo volto tornò serio e i suoi occhi si fecero penetranti. Si piegò in avanti, così che non ebbe necessità di alzare troppo la voce per chiedere: «Ora vuoi dirmi cosa provoca quella ruga tra i tuoi begli occhi bruni?»
Lui sbuffò. Credere di celare qualcosa a chi ha vissuto con lui per anni era un autoinganno, soprattutto se si trattava di Emily. Roman aveva sempre sospettato che quella ragazza avesse almeno dieci sensi.
«Come avevi previsto, dopo la tua partenza c’è stato un vuoto di potere che molti hanno cercato occupare».
Lei sollevò le sopracciglia, incentivandolo a continuare. Aveva già sentito questa parte per telefono. «Per questo eravamo preparati e la situazione è stata gestibile». Fece una pausa e prese un respiro profondo. La fiamma che si rifletteva nelle sue iridi scure ondeggiò mentre spostava gli occhi in quelli di Emily.
«È sorto un nuovo problema» annunciò.
Lei sfilò la mano da sotto la sua e gliela posò sopra in atteggiamento che voleva essere confortante.
«Ma tu sei il mio erede e sei sempre stato al mio fianco. Non dubiterei mai di te».
Roman scosse il capo e un guizzo nella mascella tradì il suo nervosismo.
«Ero la tua ombra, Emily, ma tu sei sempre stata il volto di quello che facevamo. Le nostre parole avevano potere solo quando uscivano dalla tua bocca, non mentre le decidevamo dietro le quinte».
Lei strinse gli occhi. «Cosa mi stai dicendo?»
«Che questo non lo posso fare da solo. Ho bisogno della duchessa».
Emily lo fissò per qualche istante in silenzio e l’unico rumore intorno a loro fu il crepitio dolce del fuoco e il frinire lontano e ormai stanco delle cicale. Poi gettò il capo indietro e rise di gusto. La sua risata riecheggiò per il cortile, coprendo gli altri suoni. Quando tornò a guardare Roman, c’era un che di ferino nelle sue iridi infuocate. Il suo volto era raggiante e le labbra a stento trattenevano un sorrisetto di soddisfazione.
«Insomma» cominciò, sporgendosi ancora verso di lui, «dopotutto non sono tagliata per la vita di campagna».
 
 










 







 
ANGOLO AUTRICE


Ciao a tutti!
Devo ammettere che l'idea di concludere questo secondo atto un poco mi emoziona (è passato quasi un anno dall'inizio della pubblicazione della prima parte), ma non sono riuscita a resistere e al posto di una conclusione definitiva ho preferito lasciare un finale aperto.
Questo perché mi sono accorta che il II atto doveva concludersi qui, ma ci sono ancora molti elementi che non ho avuto spazio di affrontare in modo esaustivo.


 
TERZO ATTO?
 
Forse vi state chiedendo quale sia stata la sorte di Gabriel? Oppure se Roman sarà mai felice? E cosa ci sia nel suo misterioso passato? O magari qualcuno (molto molto attento e perspicace) si è domandato quale fosse il senso della presenza di Tristan, l'amico d'infanzia di Camille?
In ogni caso, le vostre domande avranno risposta... una volta che avrò finito di scrivere il terzo (e presumo ultimo) atto!
Vorrei poter fornire con esattezza una data di pubblicazione, ma essendo ancora un work in progress non ne ho proprio idea.
Come avevo fatto per questa seconda parte, ho deciso di ripubblicare l'epilogo che avete appena letto come primo capitolo di La duchessa - Atto III, in modo che chi sia interessato possa aggiungere la storia tra le seguite/da ricordare.
Non so se questo sia il metodo più efficace, quindi se avete consigli su come rendere la cosa più piacevole e pratica, sarò felicissima di sentirlo.


 
E RINGRAZIAMENTI!
 
Voglio ringraziare ancora tutti quelli che sono arrivati fino a qui, sia silenziosamente sia facendomi sapere le loro opinioni.
Grazie di cuore a tutti!
Sapere che qualcuno apprezza il frutto di fatica e ore di lavoro, oppure che è disposto a fornire un consiglio per migliorarlo, fornisce una grandissima forza e motivazione. 
Scrivere questa storia mi è piaciuto moltissimo e spero che sia stato altrettanto piacevole per tutti quelli che l'hanno seguita.

Mi avvio a concludere questo spazio autrice che sta diventando forse troppo lungo. Ci tenevo a dire tutto il necessario dato che non so tra quanto ci risentiremo su questa storia T-T
Mi sono affezionata molto alle vicende di Emily, Alexander e tutti gli altri, quindi non sono pronta a lasciarli tanto presto. Spero di ritrovarvi prossimamente in La duchessa - Atto III.

Grazie a tutti e a presto!

M.

 
Potete trovarmi anche su instagram e wattpad!
   
 
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