Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    18/01/2021    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

LA VIA DA PERCORRERE

 

 

 

Dopo una lunga cavalcata, scortato da uomini con la mela rossa ricamata sulle vesti, il principe Daniel di Cowain raggiunse infine una radura che tutto il resto della compagnia disse di poter considerare sicura: si erano allontanati abbastanza dal castello grigio di Forte Terrore, da poter affermare che difficilmente gli sgherri dell'orso del nord, o quelli della dama Baratheon che reggeva il Forte, avrebbero potuto raggiungerli. Non bisognava tuttavia abbassare la guardia: si trovavano ancora, e per lungo tempo ci si sarebbero trovati, nelle terre della giurisdizione di Bolton/Worchester. E su Daniel campeggiava di sicuro, già in quel momento, una taglia grossa come un montone: doveva essere così. Qualunque lurido sceriffetto di campagna, se lo avesse riconosciuto, avrebbe potuto farsi venire in testa l'idea di consegnare il principe di Lannister al nuovo sovrano del nord. Bisognava dunque stare molto attenti. Anzi: era meglio se Daniel rimanesse imbacuccato quanto più possibile, in ogni dove, pure in quel desolato scorcio di foresta, apparentemente disabitato.

«Bisogna comportarci come se avessimo costantemente sguardi addosso, anche se magari non sempre sembrerà così. Questo almeno fino a quando non avremo attraversato il rudere dell'antica Barriera» così constatò il vecchio Terwyn Lannister, l'ometto magico che non si sapeva quanti anni avesse. Era proprio di quello che in effetti si stava parlando nella compagnia. Elthon Applegate, figlio del Lord di Alberocasa, replicò: «Questo... a meno che non prendessimo il mare»

«Il mare?» chiese Daniel, confuso.

«Certamente. Se facessimo l'intero tragitto via mare, eviteremmo di incappare in qualsiasi inopportuno incontro. I pesci possiamo incontrare»

«Tu dimentichi, mio Sir» replicò a sua volta Terwyn «che prima di arrivare al mare, bisognerebbe prendere un porto, e lì accordarsi con qualcuno con un'imbarcazione»

«Ho danari con me: non sarebbe un problema»

«Ma, razza di asino, il problema sarebbero i danari secondo te? Chiunque ci sia al porto, sarebbero comunque persone, magari interessate a un guadagno superiore rispetto a quello che tu gli daresti per una traghettata verso nord. Magari becchiamo un porto bazzicato da un ufficiale del luogo, o da un cavaliere errante: è tutto troppo rischioso»

«È così? O forse il tuo problema è sempre lo stesso, vecchio?»

«Certo: c'è anche quello. Ed è importantissimo!» dicendo questo, il vecchio accese una fiammella dal palmo della propria mano, mentre il Sir allungò la sua, di mano, verso l'elsa della propria spada. Che diavolo di discussione precedente avevano avuto i due, che Daniel non conosceva? Il principe Piromante decise di mettersi in mezzo, e di insistere per farsi spiegare. Fu presto fatto: alla disperata ricerca dell'amico e “suo signore” (così diceva) Daniel, Elthon Applegate – che se l'era visto scivolare oltre un crinale, per poi sparire completamente – a un certo punto di una certa zona di quello che formalmente considerava il suo regno, vicino ad un'immensa quercia gigante, si sentì chiamare. A farlo era stato il vecchio Terwyn che, a suo dire, aveva magicamente percepito che qualcuno lì nelle vicinanze stesse invocando – almeno con il cuore – il nome di Daniel di Cowain, e dunque si era interessato. L'incontro fatale era alfine accaduto, e i due avevano capito di conoscere la stessa persona. In particolare Terwyn scoprì da Elthon tutta una parte della storia del giovane principe di Lannister che gli era mancata. Si era dunque messo a disposizione di quella compagnia, perché insieme si rintracciasse e liberasse Daniel da qualsiasi guaio gli fosse capitato. Ma a un certo punto del loro comune viaggio, i due – Terwyn ed Elthon – avevano capito di avere un interesse diverso: l'anziano piccolo mago, una volta addetto alla custodia della dimora del drago Nidhogg, aveva tutta l'intenzione di riportare Daniel sul suo cammino di apprendista Piromante, e nella fattispecie inserirlo in quella dimensione altra dove l'entità energetica Phira aveva qualcosa di urgente da comunicargli. Sir Elthon voleva invece che Daniel mantenesse la propria promessa, e che dunque si recasse ad Alberocasa per combattere contro i Willoughby della stella del nord e di conseguenza liberare l'importante centro strategico, soglio storico della Casa Applegate.

Fino a quel momento, la compagnia di amici a Daniel era non poco dispiaciuta. Lo avevano liberato dalle grinfie dell'orso del nord, e non solo andandolo a scovare presso Forte Terrore, ma anche partecipando a quel momento – pure simbolico – di rottura di ogni catenaccio che teneva Daniel legato a pezzi di quel materiale misterioso chiamato Pietra di Luna che ne inibiva il potere magico. Terwyn ed Elthon quest'ultimo coi suoi uomini, avevano letteralmente spaccato ogni suo ceppo, e poi lo avevano accompagnato davanti al laghetto mezzo innevato nel quale Daniel aveva lanciato ogni coccio di Pietra di Luna che lo aveva tenuto sotto scacco. Era stato un momento solenne, e a Daniel era piaciuto trascorrerlo con quei sinceri amici, perché – al di là di qualsiasi interesse che avessero potuto avere – che Terwyn ed Elthon fossero sinceri con lui ormai Daniel avrebbe pure potuto giurarlo dinanzi agli dèi in cui non credeva granché. Il vecchio Terwyn poi, aveva avuto delle favelle nel suo comportamento che a Daniel per un momento fecero venire una sorta di strana inquietudine. Certe cose che diceva, e il come le diceva, e il come si comportava, rammentavano a Daniel più il suo antico e defunto maestro drago, che non il vecchio scorbutico e francamente poco sfaccettato che per la prima volta aveva accolto il principe di Cowain e il suo vecchio e carissimo amico Sir Cordell (scomparso purtroppo pure lui) nella sua piccola capanna, salvando il giovane da un attentato di ghiaccio compiuto da uno di quei demoni al comando del drago Requiem. Terwyn ora era diverso: nella sua corporatura sempre da vecchissimo uomo quasi nano, Daniel lo avrebbe giudicato molto più... “vivace” di prima.

Fu dunque con una certa amarezza nel cuore che dovette sorprendere i due, con una terza indiscutibile opzione: «Spiacente, amici. Ma prima di ogni altra decisione, io ritornerò a Forte Terrore»

«Diavolo» rispose subito il vecchio Terwyn «E io che credevo che con l'ultima affermazione di Elthon si fosse raschiato il fondo dell'idiozia. Invece ce n'è ancora!»

«Daniel, spiegaci: ti prego» disse invece Elthon «Cosa devi fare e perché. Ti daremo una mano, se possiamo. Ma... tu però tieni a mente, per favore, che per Alberocasa invece il tempo sta stringendo maledettamente»

«Sì?» intervenne ancora Terwyn «E per Phira ancora di più. La sua energia si sta estinguendo: da quando Nidhogg è morto, anche il suo soffio vitale è destinato a sparire con lui. Ma ha una missione da compiere con te, Daniel, e – mi dispiace – ma non ammetto ragioni!». Concludendo ciò, Terwyn iniziò a spintonare e strascinare il principe Piromante verso chissà quale direzione avesse deciso. Il monito era chiaramente indirizzato sia allo stesso Daniel, che a Elthon, il quale ordinò a un paio dei suoi di mettersi di traverso. A questo punto fu Daniel a replicare: «No! Ho detto: NO. Sono il vostro principe, e farete come vi dico. C'è una ragazza prigioniera a Forte Terrore, come lo ero io. E va liberata e ricondotta alla mia presenza perché senza di lei... non ci sono nemmeno io». Daniel stesso si riscoprì molto indeciso nel pronunciare queste parole. Gli uscirono fuori dal petto con indomito istinto, ma... forse non erano adatte per il momento. Forse avrebbe dovuto pronunciarle alla presenza di Licyane stessa, anziché per convincere quei due a lasciarlo andare.

«Oh no» fece Elthon deluso «se c'è una ragazza di mezzo siamo fregati. Non farà niente finché non avrà ottenuto ciò che vuole. È così, io ne so qualcosa: l'infatuazione è forse la più potente delle forze che muovono l'animo umano. Non importa quanti rischi correrà, non importa che cosa diremo... o lo portiamo con noi con la forza – cosa che non accadrà mai – o possiamo solo aiutarlo»

«Le parole, caro Sir Elthon, possono essere molto più efficaci di quanto una “mentalità d'azione” come la tua possa comprendere» aggiunse ancora il vecchio Terwyn, irritando vistosamente non poco il giovane cavaliere di Alberocasa. Dopodiché quella sorta di stregone si rivolse direttamente al principe di Cowain: «Daniel: se il legame con questa ragazza è, come tu dici, così forte, e se Uryon ne è consapevole... allora non la ucciderà. Sa che tornerai da lei. Potrà soffrire forse, e certo: glielo dovrai spiegare quando vi rivedrete; avrete un bel po' di che discutere. Ma sono sicuro che non la ucciderà. D'altro canto, cosa che da settimane provo a spiegare a questo bietolone» e qui fece cenno ad Elthon «Un Daniel finalmente completo nella sua formazione di Piromante, potrà essere utile in mille circostanze. Potrà essere di maggior ausilio ad Alberocasa, se deciderai di salire a nord. E potrà essere estremamente più forte di come è ora, stanco e indebolito da giorni e giorni di Pietre di Luna, se deciderà di ridiscendere a sud a Forte Terrore. Che tutti insieme ancora una volta, potremo infilarci dentro il castello e liberare un ennesimo prigioniero dopo che già avranno prese le loro precauzioni visto che abbiamo sottratto te... beh, è improbabile. Io sono stanco, tu sei stanco, Elthon e i loro uomini sono stanchi. Ma se ritorni a nord da Phira, che da lunghissimo tempo ti attende, forse ti darà il modo per essere infine quello per cui anni fa eri stato designato: il più grande Piromante sulla faccia del mondo». Non c'era che dire: il vecchio sapeva cosa diceva, quando affermava quella roba della forza delle parole. Era stato calzante in tutto, e aveva ragione su tutta la linea. Era così che un uomo saggio al posto di Daniel avrebbe fatto: sarebbe salito alla Grande Quercia, avrebbe completato il suo addestramento, e solo poi avrebbe scelto se andar prima a combattere la guerra degli Applegate alla piana di Alberocasa, oppure se liberare Licyane dagli artigli dell'orso deforme del nord. Ma la nuova domanda che ora compariva all'orizzonte mentale di Daniel di Cowain era la seguente: lui era un uomo abbastanza saggio?

 

 

 

Nord o sud? Le uniche due possibilità da percorrere per Gino Barron erano chiare ormai da diverse settimane, da quando Lord Braff gli aveva comunicato dello stato ancora in vita della ribelle Saestrya Martell e di quello di strisciante tradimento da parte di chi sovrintendeva alle Terre dell'Ovest: il Leone Nero, Pylgrim Lannister. Re Gabryaerys, di cui Lord Braff continuava ad essere il Maestro dei Sussurri, e Gino un indiretto alleato, reclamava da parte del Protettore dell'Altipiano un segno di fedeltà. Non si erano ancora incontrati dai tempi dell'incoronazione del nuovo re, e già questo a quanto pareva non aveva fatto bene ai rapporti tra il re e il suo sottoposto: il Targaryen era a quanto pareva un tipo che ci teneva a quel genere di cose. Ma non era solo per il re che Gino ora doveva scegliere: entrambi i nemici si trovavano a confine con il territorio sotto la sua giurisdizione. Certo, a un primo giudizio, la Martell sarebbe potuta sembrare più urgente: tesseva trame da anni e praticamente nessuno ne conosceva bene l'aspetto. Aveva disseminato la penisola di Dorne di sue “sosia” pronte a morire per lei e che bene ne nascondevano l'identità. Gino era già andato a sud, e aveva visto una delle Saestrya Martell morire. Ma non era bastato e francamente ritornare in quell'afoso covo di serpi, dal caldo appiccicoso e il deserto infinito, era una cosa che sul momento non si era sentito di fare. Meglio era concentrare le proprie attenzioni verso un nemico forse meno pressante (i Lannister non avevano intenzione di invadere l'Altopiano, nascondevano solo il traditore Constant, che era un problema più del re che di Gino), ma con il quale almeno la strategia poteva essere più semplice: un assedio, un'invasione, una ricerca e tanti saluti. Prima di tutto, avendo deciso di occuparsi di quello, Gino aveva iniziato una corrispondenza con il Lord sovrintendente Pylgrim. Non era riuscito a cavarci granché: il Leone Nero sosteneva che Constant non si trovasse nelle Terre dell'Ovest, punto e basta. Ma Braff, per conto di Gabryaerys, insisteva: bisognava forzare la mano. Gino avvertì dunque Pylgrim che un esercito bordato di volpi rosse e rose dorate avrebbe presto varcato i suoi confini. E Pylgrim gli fece notare una cosa: prima di Castel Granito, i cavalieri dell'Altopiano avrebbero dovuto prendere Lannisport, perché di lì solo si poteva passare e quindi l'azione, da rapida che Gino l'aveva immaginata, poteva prolungarsi. Questo significava: guerra vera e propria, che a sua volta voleva dire più uomini, più tempo, più energie e più danari. Gino sapeva che le casse di Altogiardino erano ancora, come da tradizione, belle piene ma... insomma non voleva essere lui il Lord ricordato per un mezzo tracollo finanziario.

Tutto questo ragionare, gli fece perdere ancor più tempo. Gabryaerys perse la pazienza, e per l'ennesima volta fece scrivere da Braff a Gino che non doveva più avere ulteriori remore, che comunque a tutto avrebbe pensato la Corona, e che dunque l'importante era che si partisse. “A tutto pensava la Corona” era una frase che poteva avere talmente tanti significati, da contenerne alcuni in contraddizione, e quindi non significava niente. Però dalla parte di Approdo del Re parevano piuttosto convinti che Gino avrebbe vinto quella battaglia, per ragioni che loro davano per assodate ma sulle quali Gino non riusciva a capacitarsi molto bene. Non gliele dicevano, facevano i vaghi, e questo non gli piaceva. Era stato chiaro con Braff l'ultima volta: niente più segreti, niente più sotterfugi, altrimenti né il politico della Capitale né il suo re avrebbero più ottenuto nulla da lui.

Ma le settimane continuarono a passare. E a Gino continuarono ad arrivare voci, stavolta dal suo personale apparato spionistico da uomo più potente dell'Altopiano, che il tempo per non perdere definitivamente Dorne stava quasi per scadere. E via Dorne, significa via una buona parte di quella ricchezza che Altogiardino aveva nei secoli accumulato. Oltretutto, Gino cominciava ad annoiarsi. Mise incinta Shanty, la giovane Tyrell che era stato costretto a sposare per accaparrarsi il soglio che una volta era stato di Lorthan e Shane Tyrell, i fratelli che per il potere avevano ucciso il proprio padre. Ora Lorthan era morto e Shane pure, e quello che la ricca e influente famiglia dell'Altopiano aveva pensato per mantenersi in sella era far sposare una delle loro più spigliate figliole al nuovo “uomo forte” di Altogiardino, messo lì dal nuovo re per il tramite del Maestro dei Sussurri. Comunque la questione era che adesso c'era un piccolo Barron/Tyrell che cresceva nella pancia di Lady Shanty, la signora dell'Altopiano. E quindi... anche a quel dovere Gino aveva infine assolto.

Decise così di prepararsi alla guerra verso nord. Mandò una comunicazione a tutti i soldati del suo territorio, riunì uomini, armi e cavalli e alla fine venne anche il giorno della partenza. Shanty era da sempre stata contraria a queste decisioni e anche nel giorno prima che tutto cominciasse, andò a visitare il marito per chiedergli di ripensare la sua partenza. Disse: «Gino, una guerra mentre aspetto in grembo il tuo bambino, il tuo primogenito, è qualcosa di senza senso»

«La guerra non ha senso quasi per definizione. Eppure la si fa. Se non muoverò io l'Altopiano contro Pylgrim, molto presto potrebbe essere lui a muoversi verso di noi. Oppure potrebbe essere il re a muoverci guerra, scontento del fatto che noi a nostra volta non l'abbiamo mossa al Leone Nero. La politica è tutto un affare complicato Shanty, ti prego: non costringermi a spiegartela. Ci ho messo anni anche io»

«Ma è di tuo figlio che stiamo parlando. Non avrai un altro primogenito»

«Quindi secondo te chiunque abbia ingravidato sua moglie non parte per la guerra? Oppure poi il problema sarà un secondo figlio, o un terzo, e poi il compleanno del primo, e il battesimo del quarto, e il compleanno del secondo, e la maggiore età del primo. La vita è così, Shanty. A un certo momento, si parte. Piaccia o meno»

«La mia famiglia non è contenta». Quando sentiva quel, genere di frasi, Gino la odiava davvero. Era più forte di lui: perdeva il lume della ragione. I Tyrell rimasti ormai contavano meno di niente, erano l'ultima cosa al mondo che poteva destargli paura. Ma questa frase era quasi automatica per Shanty, che fin da piccola era stata abituata come se lei, i suoi genitori e zii e altri parenti fossero i padroni del mondo. Gino, che era pure nobile di famiglia, ma non di quel rango, era stato cresciuto con l'idea che verso gli altri bisognasse incutere rispetto, non timore. Era un modo malsano di interpretare le cose della vita e, ora che la famiglia Tyrell era in malora dopo secoli di dominio, risultava pure tutto un po' goffo e triste. Non voleva che suo figlio crescesse con quel tipo di frasi per la testa, che venisse educato come un pomposo principino senza spina dorsale. Uno pronto a utilizzare l'escamotage dialettico del “chiamo mio padre”, o peggio “chiamo la mamma”, al benché minimo problema che nella vita – come tutti purtroppo – avrebbe incontrato. Bisognava che Shanty se lo mettesse subito in testa questo, che fosse ben chiaro, prima che Gino partisse. Così la prese, la sbatté al più vicino muro, e le inveì: «Ascoltami bene, razza di oca giuliva. Quello che ti porti lì dentro è mio figlio. Avrà anche parte del sangue di quei vigliacchi dei tuoi parenti, ma il suo cognome sarà Barron. E finché lo porterà, i suoi affari non riguarderanno gli affari della tua famiglia. Non li riguarda mio figlio, non li riguarda la mia politica, e non li riguarda il mio territorio. Perciò non azzardarti mai più, cosa che pure fai spesso, a usare “la tua famiglia” come velata minaccia di non si capisce cosa, nel tentativo di manipolarmi e convincermi a fare qualcosa che tu vuoi che io faccia. Qui si fa a modo mio. Non le vedi le volpi che hanno sostituito le rose sugli stendardi e gli arazzi di ciascun corridoi del castello? È Barron il nome della famiglia reggente. E pure tu, volente o nolente, ora sei una Barron, visto che sei mia. Farai meglio a non scordarlo la prossima volta che intendi pronunciare il nome della tua famiglia in mia presenza. La tua famiglia è morta, ora. Ti resto solo io e il nostro piccolo. E in mia assenza tu vedrai di amministrare bene ogni aspetto della vita di tutto ciò che mi riguarda. Non succederà, ma se il bambino dovesse venire al mondo prima del mio ritorno, tu lo crescerai come un Barron. E prenderai da te le decisioni per il castello e per i territori, senza domandare alcunché alla tua famiglia. Se lo farai, io lo saprò. E se lo saprò, prenderai finalmente un po' di quelle legnate che purtroppo non hai mai ricevuto nella tua comica, ridicola, vita da viziatella. Non tradirmi Shanty, sono stato chiaro? Non tradirmi o io lo saprò».

Gino era cambiato. Il ragazzino un po' confuso che aveva scalato con l'aiuto di Braff il vertice del potere, che aveva amato donne (Daessenya), combattuto battaglie (Cowain) e sconfitto nemici (i Tyrell), non era più lo stesso: era cresciuto. Era divenuto un giovane uomo disilluso, uno che comprendeva che nella vita spesso non si otteneva ciò che si voleva. Che a volte si facevano cose perché bisognava farle, e non per il piacere di farle. Aveva visto tanta morte e tanto dispiacere. E aveva capito che in soli due modi avrebbe potuto reagire alla durezza della vita: soccombendo o combattendo. Soccombere significava morire, oppure accettare tutto quello che arrivava con la passività di uno che è morto. Combattere significava fare qualcosa, anche qualcosa di brutto, triste, o sbagliato di tanto in tanto, ma mai rimanere fermi ad aspettare che qualcuno o qualcosa migliorasse la situazione. Gino Barron aveva capito che ciascuno è artefice unico del proprio destino. E lui aveva deciso che il suo destino ora era la guerra a Castel Granito.

Gino abbandonò così la sua consorte, e madre del suo futuro frugoletto, convinto di averla terrorizzata abbastanza da che lei avesse recepito il messaggio. Shanty avrebbe governato lealmente Altogiardino in sua vece, e forse lo avrebbe fatto anche bene, o almeno sufficientemente. Il Lord Protettore sapeva di averla trattata apparentemente male, e che Shanty lo avrebbe odiato per questo. Ma sapeva anche che sul lungo periodo questo avrebbe fatto bene: al regno, a Shanty stessa, e di conseguenza al piccolo che lei aveva in grembo. Con questa convinzione, alla prima alba, Gino si mise in marcia con il proprio esercito, alla ricerca del Lannister traditore.

 

 

 

Castel Granito: in una fredda nottata di pioggia le navi di re Constant Lannister raggiunsero infine la loro più naturale capitale. Insieme al sovrano, un nugolo di agguerriti uomini-drago mandati dal grande Kyrios in persona a partecipare a quello scontro di re del Westeros. E poi: Sir Bastian dell'oriente, il signor Jorando Pashamanyna, Xenya l'esploratrice, Daessenya di Cowain e il principe Marcus della Casa Lannister, fratello dell'ultimo re prima di quello che adesso occupava la Capitale del Regno. E ancora: un buon numero di giovani e aitanti soldati Kowacz, e anche di Sayun-sama di supporto.

Tutti i gruppi di uomini che venivano dal Miriedos stavano patendo, ora che finalmente si era formato un accampamento nelle Terre Occidentali, una strana forma di freddo che non prendeva né il principe Marcus, né ad esempio il navigatore Pashamanyna, che veniva addirittura dal continente orientale. Per loro, uomini del vecchio mondo, quella era una semplice temperatura da mare in inverno: non è che stesse cadendo la neve, o che ci fosse il ghiaccio quasi perenne come a Forte Terrore o presso la Valle di Arryn. Ma gli uomini del vulcano invece tremavano, e Constant fu costretto a ordinare che tutte le coperte e trapunte più pesanti del suo antico maniero venissero consegnate agli accampamenti per essere distribuite ai guerrieri provenienti dal nuovissimo continente: non li aveva certo fatti sbarcare per vederseli morire congelati sulla costa del leone. Più o meno, tempo qualche ora, gli uomini-drago si ripresero abituandosi in maniera repentina alle nuove temperature. Un po' più di tempo ci mise il popolo guerriero dei Kowacz, ma alla fine ce la fecero anche loro; e ancora più tempo ci mise il popolo agricoltore dei Sayun, ma da ultimi ce la fecero anche loro. Le settimane iniziarono ad accavallarsi, ma Constant non poté permettersi di togliere l'accampamento, visto che sapeva che la guerra era imminente: se questo Gino, nuovo signore dell'Altopiano, avesse avuto l'audacia di attaccarlo in casa sua, lui lo avrebbe accolto per come una guerra prescriveva. Ma se non lo avesse fatto, le sue ore sarebbero comunque state contate. L'intero Westeros si sarebbe ben presto reso conto della potenza con la quale re Constant era sbarcato presso le coste della sua dimora, ivi soprattutto incluso l'usurpatore Gabryaerys Naharis Targaryen.

Al quinto giorno dal loro arrivo nella capitale dei Lannister, Marcus – il principe che era anche un Cavaliere della Chimera – si ritrovò a presenziare a un ristrettissimo, quasi intimo, consiglio di guerra con il re suo zio, che però lui aveva deciso di appoggiare temporaneamente visto che il legittimo erede al Trono era l'infante Napoleon, figlio di suo fratello Axelion, e poi con il suo prozio Pylgrim, il Leone Nero, e con quel Sir Bastian, divenuto una sorta di consigliere e ombra del suo zio re. Quando alla cena della sera prima Constant aveva riferito, sussurrandoglielo in un momento un po' di distrazione di tutti gli altri, che voleva fare una riunione da solo con lui e Pylgrim, Marcus ci era restato un po' perplesso. Sebbene in fondo una qualche gratificazione gliela poteva anche dare l'esser inserito nella cerchia di consiglieri più stretti di Sua Maestà, dall'altra stare da solo con il re un po' lo inquietava. Quando però, all'indomani mattina, il re si era portato appresso il suo scudiero Bastian, allora si sentì preso in giro: anche lui avrebbe voluto una Xenya o una Daessenya a fargli da spalla; perfino un Pashamanyna. Uno che appartenesse alla sua stessa generazione insomma, e che non fosse una vecchia volpe della politica. O un vecchio leone...

Quando per ultimo arrivò col fiato corto il troppo pesante zio Pylgrim, tutto allegro re Constant proclamò: «Allora, zio. Guidaci. Verso dove siamo diretti?»

«Di qua, Vostra Grazia» rispose ossequioso l'anziano guerriero dalla chioma grigio-scura che una volta era stata nera: così almeno narravano le molto note storie su di lui. Ora, Castel Granito era un labirinto. Tutti i castelli lo erano: e Marcus ne aveva girati tanti nella sua breve vita, ma Castel Granito aveva nella sua architettura qualcosa di assai più caotico e strano degli altri. Fin da quand'era un bimbetto, la fase della sua vita in cui per più tempo aveva risieduto nel vecchio castello della sua famiglia, ricordava che con Daniel vi si perdeva sempre. Era facilissimo scambiare una stanza mai visitata con una dove invece si pensava di esser stati mille volte. Per fare ancora un esempio della assoluta particolarità di quel luogo: differentemente da tutte le altre alte residenze dei Sette Regni, anche le più grandi, quella di Castel Granito aveva immotivatamente due diverse sale del trono. Che poi non era mai immotivato: c'erano molto spesso ragioni dovute alla sedimentazione storica ma... di fatto il castello era un luogo strano.

Al seguito di Pylgrim e di zio re Constant, e seguito a sua volta dall'invadente piccolo Sir Bastian, Marcus camminò dentro Castel Granito per un tempo che gli parve infinito. Poi, dal nulla, un immenso arredatissimo, salone che aveva tutto l'aspetto di una sala da ballo, mutò in un ballatoio esterno, rivolto verso nord, gigantesco, dove Marcus era sicuro di non essere mai stato. «Diamine» esclamò per primo il re, con stupore, «è vero: lo ricordavo molto più piccolo»

«Potrebbe entrarci un esercito» constatò l'insulso Sir Bastian. E Pylgrim: «O se non proprio un esercito, almeno un reggimento». Dicendo queste ultime parole, il vecchio leone puntò uno sguardo assai complice verso il re. I due si sorrisero. Dunque ancora Bastian: «Dovresti attendere qui, Maestà, nel malaugurato caso in cui Barron prenda il castello e...»

«Sì, sì, Bastian» lo interruppe re Constant «l'idea è quella ma... non siamo troppo pessimisti: Gino quasi sicuramente perderà sul campo. Non v'è dunque ragione perché io non mi faccia vedere durante il confronto e oltretutto... sono una discreta risorsa sul campo di battaglia. No: io presenzierò alla guerra. Qualcun altro attenderà qui per me...». Ancora una volta Pylgrim e Constant si guardarono. Era evidente che il re avesse appena sottinteso il nome del suo zio dalla criniera corvina. Dopodiché Constant congedò il vecchio zio e il Sir dell'oriente che una volta aveva servito Gabryaerys per rimanere un po' da solo con suo nipote. Gli chiese: «Sai da dove mi è venuta l'idea di questi ballatoi? I terrazzamenti di Tharyssa, si chiamano. Fatti scavare dalla regina Tharyssa per tendere un agguato armato a suo marito il re e alle sue innumerevoli amanti. Sì, e poi... per massacrare il resto della corte fedele a suo marito. Lo sai perché ci ho pensato?»

«No, zio» rispose Marcus.

«Per Mirietta. Qualche anno fa, mentre si annoiava da reggente di Lannisport, venne qui e curiosando per il castello s'imbatté in questo posto. Sembra che stiamo parlando di un'altra epoca: tuo padre era ancora il re e io il suo Primo Cavaliere. Tu dovevi essere alla Valle del Leone da poche settimane, Daniel giù a Cowain, e Axelion a corte aspettando che Abigail sgravasse. Non c'erano... nuovi continenti, o... re Targaryen, o Sir Bastian o Gino Barron o...»

«O i draghi?»

«Beh, no. Quelli in effetti c'erano. Comunque il fatto è che... eravamo ancora una famiglia»

«Non tramavi ancora contro mio padre?» a queste parole del principe, lo sguardo del re si raggelò. Marcus intuì bene che Constant ci mise un po' di fatica, prima di sorvolare e tornare al suo discorso: «Comunque, il fatto è che tua sorella non scriveva a tuo padre. Lo immaginava troppo impegnato (cosa tra l'altro falsa), così... scriveva a me e...»

«Vuoi dirmi che non scriveva ad Hana per prima, se proprio voleva confabulare con la corte centrale?»

«Sì, ad Hana. E poi a me. Fece riferimento a questo spazio che francamente nemmeno io conoscevo, pur avendo passato a Castel Granito un po' meno della metà della mia vita. Le dissi di chiedere a Pylgrim e lei lo fece e poi tornò a rifermi via lettera. Da allora li conosco, li ho anche visitati parecchie volte, sempre domandandomi come un casato moderno potesse sfruttare questo così singolare spazio»

«E ora... lo hai realizzato...»

«Marcus, c'è una ragione del perché ti ho voluto qui oggi. E... non solo oggi. Mi pare corretto tenerti al corrente anche delle più celate pratiche di governo, come per esempio una strategia di guerra. Lo capisci il perché?»

«Senti, zio...»

«Se stai per dirmi che non vuoi considerare l'ipotesi di essere re lo capisco e lo rispetto. Neanch'io ci avrei mai pensato, benché molte malelingue straparlino del contrario. È vero: a un certo punto lavorai per destituire tuo padre, perché anche a lui era seccato, nonostante non volesse ammetterlo. Ritenni l'opportunità migliore quella di sostituirlo con Lorthan Tyrell il quale era sì ambizioso, ma anche maledettamente versato nelle pratiche di governo. Continuo a credere che sarebbe stato un buon re, molto bilanciato. Per certi versi, anche migliore di me. Perché si è arrivati alla mia proclamazione, allora? È semplice: Gabryaerys non può restare. È nemico dei suoi sudditi, ancor prima che di noi. So che sto per dire qualcosa che non vuoi sentirti dire ma: Napoleon è tra le grinfie di sua madre, e comunque è troppo piccolo, e Daniel... non si sa dove sia. Hana è una donna, con tutte le complicanze che questo può manifestare davanti al consenso popolare. Dovere, Marcus. Mi sono reso conto che rimanevo solo io ed è quello che dovresti fare anche tu. Io non avrò figli. Da quando sono vedovo non ho mai più toccato una donna, e continuerò a fare così per la vita. Niente Lady Ladylynn Kastalweyrah, niente figli per Lord Constant Lannister, il che significa... che manco di un erede»

«Zio... tu sei ancora giovane...»

«Certo, e mi riserverò di cambiare questo mio proposito. Di trovare un erede migliore, se lo desidererò. Ma adesso stiamo dentro a una guerra. E, per quanto molto probabilmente vinta, una guerra è una guerra. E io ho bisogno di sapere che il progetto non sarà mandato a monte dalla mia eventuale scomparsa»

«Zio...»

«Giuralo Marcus. Se io morirò, rivendicherai il trono per te»

«Ma N-Napoleon»

«Proclamarsi rappresentante di qualcuno che in questo momento è in mani nemiche non serve a niente. Neanche Mirietta te lo avrebbe consigliato. Vuoi che il piccolo abbia il trono? Rivendicalo per te, conquistalo e, se vorrai, poi potrai consegnarglielo. Se riuscirai a strapparlo dalle grinfie di Abigail. Ma ritengo che questa sia l'unica prospettiva, mio giovane nipote». Marcus chinò il capo. A parte il fatto che non voleva proprio considerare quella ipotesi e che avrebbe avuto una voglia matta di urlare «no!» e mettersi a scalciare come un bambino, non trovò tuttavia niente da dire. Il discorso dello zio lo aveva imbarazzato e gratificato. E poi: si basava su una ipotesi piuttosto azzardata. Anche nel caso del tutto improbabile che avessero perso, come avrebbero fatto i loro nemici ad arrestare e infine uccidere un nemico come Constant? Impossibile. Così Marcus rimase in silenzio, cosa che allo zio re apparve già buona da essere considerata come un assenso. Quindi, Sua Maestà Constant Lannister affondò: «Bene. Rimarrai qui ai ballatoi con tuo zio e la tua chimera, in caso i nemici assaltino Castel Granito»

«Cosa? Perché?»

«Perché un sovrano e il suo erede non combattono mai sullo stesso campo di battaglia. Guarda i Baelish: padri e figli non vivono neppure nelle stesse sedi»

«Capisco, ma io...». In realtà Marcus comprese che in quel momento il re aveva tutta l'intenzione di lasciargli ben poca possibilità di contesa. Sì, gli seccava l'idea che tutti quelli che stavano dalla sua parte avrebbero combattuto, mentre lui se ne sarebbe rimasto tra le ombre come un codardo, ma chiaramente questo non aveva nulla a che vedere con l'intelligente trama strategica che Constant aveva fin lì intessuto. E oltretutto il principe Cavaliere della Chimera venne ulteriormente interrotto, questa volta non dal re.

Sir Bastian venne a riferire a Constant che un importante ospite era appena giunto per conferire con il re. Un incontro da lungo programmato e che re Constant attendeva. Il re pretese che Marcus rimanesse, cosa che quest'ultimo non poté certo declinare. Anzi, Constant decise di dirlo esplicitamente al nipote: «È meglio che osservi un paio delle cose che fa un re dei regno occidentale». Marcus colse tuttavia uno strano sguardo nel volto di quel Bastian, il Sir orientale che accompagnava suo zio da prima che quest'ultimo lo raggiungesse in Miriedos, salvandolo dal Demone delle Fonti.

A questo punto, lasciati ancora una volta da Bastian, i terrazzamenti di Tharyssa vennero raggiunti da quello che a Marcus parve nient'altro che un ragazzino. Gracile, emaciato, poveramente vestito, bassino. Con la pelle molto chiara e un caschetto di capelli rossi come una carota. «Dunque» fece re Constant, anche lui vistosamente colpito, «voi siete l'Alto Septon dei Septon di Roccia del Re»

«Beh, sì, Maestà» rispose il ragazzo «l'unico confratello giurato rimasto alla Capitale»

«Lasciatemi dire, padre... Brendan, è corretto?»

«Sì, Maestà»

«Lasciatemi dire che quello che sta succedendo tra i fedeli della più importante città dell'occidente è di una gravità inaudita. Un altro esempio del caos in cui questo re straniero ci ha portati tutti»

«Beh, io non so se sia esattamente colpa di re Gabryaerys a essere onesti. Ma so che in questo momento il Credo abbisogna di tutta la protezione possibile, da chiunque possa fornirla»

«E qui la troverete sempre, Vostra Sacralità. Né culti né sovrani stranieri infangheranno mai il servizio di Constant Lannister».

   
 
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