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Autore: Fuuma    18/01/2021    6 recensioni
Prima di lui erano spuntati curiosi occhioni azzurri e un musetto dal pelo bianco spruzzato di macchioline scure. Il cucciolo aveva spalancato fauci feline, allungato zampotte dagli artigli spianati e, con le orecchie tese verso l’alto, aveva emesso un ruggito infantile che di minaccioso non ne aveva avuto nemmeno l’eco. Infine, era rotolato giù, in un concitato agitare di zampe e coda, sparendo sotto il davanzale della finestra.
Infagottato in una vecchia trapunta sdrucita, Steve non aveva osato muovere un muscolo.
{ stucky ; raccolta di fic dæmon!au scritta per il Writober 2019 & la Stucky Bingo 2019 }
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dæmon — part II: Non ricordo quanto fosse normale nei libri, ma in questo au, il contatto fisico tra due dæmon viene trasmesso come eco ai loro padroni, perlopiù trasformato in una sensazione che può essere di benessere o malessere a seconda dell’intensità e del tipo di contatto.

 

I personaggi appartengono alla Marvel, alla Disney e a chiunque ne abbia diritto.


 

 

  Beautiful Souls

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02 | Princes and Knights

Bucky teneva una mano stretta in quella di Steve e una sollevata accanto a lui, pronta ad afferrarlo e a salvarlo dalla caduta. Sapeva di avere abbastanza forza da poterlo caricare in braccio se solo avesse voluto, quel bambino era così piccolo e così magro che non avrebbe fatto il minimo sforzo, ma c’erano imprese che era giusto un uomo compisse da solo. Non era per il davanzale – era per il senso di invincibilità che si provava a scavalcarlo, era l’essersi erti sulle proprie gambe quando il mondo intero ti diceva che sarebbero state troppo deboli per sostenerti. Bucky non avrebbe mai privato Steve di quella sensazione.

Se gli stava accanto, era solo per aiutarlo e assicurarsi che non si facesse male nel processo – quello sempre.

«Tieni forte la mia mano, ok?» disse, incastrando la lingua tra i denti. Gambe larghe e ginocchia piegate, si assicurò di essere ben piantato sul piccolo balconcino che dava accesso alla scala antincendio.

Steve sbuffò: un metro e poco più di sfinente cocciutaggine e una spruzzata di imbarazzo che la zazzera di capelli biondi era troppo corta per nascondere. «Non c’è bisogno che mi aiuti, posso farcela da solo.»

«Lo so, ma non mi costa niente farlo.»

«E poi ci rende felici aiutarvi~» Il trillo della vocetta allegra di Moony giunse insieme all’onda.

Steve si bloccò sul posto, una gamba sollevata e l’altra a sfiorare il pavimento della stanza con la punta di un paio di vecchi calzettoni arricciati su una caviglia troppo sottile perfino per un bambino della sua età. L’ovale pallido del volto si colorò di rosso.

L’onda si infranse alle sue caviglie, alle sue ginocchia, montò una risacca asciutta e senza odore che andava e veniva e a ogni suo ritorno l’onda era più alta e schiumosa: era una carezza di dolcezza devastante, che metteva le vertigini e avrebbe potuto ingoiarlo. La marea si alzò, come se la luna si fosse fatta di colpo più vicina alla terra e Steve sentì le onde arrivare all’altezza del petto – strinse la mano di Bucky e trattenne il fiato. A breve sarebbe rimasto sommerso. Chiuse gli occhi per un momento e quando li riaprì, l’onda aveva superato i suoi capelli e il mare era ovunque, un mare tiepido e gentile che gli scorreva intorno, che gli fluiva dentro.  

Bucky incassò la testa tra le spalle – anche lui si era ritrovato sommerso, circondato da qualcosa che non era acqua e non poteva essere toccata, vista o sentita, ma che sapeva apparteneva a lui tanto quanto a Steve.

Gonfiò le guance d’aria e la buttò fuori in un’unica boccata: «Moony!»

Bolle d’aria scoppiarono nella testa dei due bambini, mentre la marea si ritirava e le onde scivolavano più in basso, di nuovo ai loro piedi, lasciando nel petto un tepore dolciastro che di solito significava un’unica cosa: la sua dæmon aveva toccato quella di Steve, o più precisamente, ci si era spalmata sopra.

Si voltò. La scena era perfino più ridicola di quanto non avesse temuto: Moony non era spalmata su Sun, peggio! Nelle vesti di un’orsetta dal morbido pelo bruno aveva sollevato tra le zampotte la piccola leoncina spelacchiata e la conduceva sul balconcino, come una regina sulla lettiga.

Le due dæmon si accorsero di essere guardate.

Moony spiegazzò un sorriso che uscì grottesco sul musetto da orso. «Cosa?»

Lo sguardo di Bucky si tradusse in un rimprovero muto, ma la dæmon rispose con una linguaccia dispettosa e strinse più forte le zampe intorno al cucciolo di leone. «Non sto facendo niente di male: Sun è una leonessa, un’anima regale e merita di essere trattata come tale.»

Sun ruggì una risata gonfia di fusa e le lappò il muso. «Hai sentito Stevie? Moony dice che sono una regina.»

«Non è quello che ha detto…» la corresse il padrone della piccola anima leonina.

«Sì, sì, è proprio quello che ho detto. Sun è una regina e tu sei il nostro principe. Anche Buchy lo dice sempre.»

«Ah…» Steve guardò Bucky e il bambino arrossì, si batté un palmo al volto e borbottò qualcosa che rimase tra lui e la dæmon.

Amava parlare Moony, e a differenza di molti adulti, non aveva ancora imparato a tacere o a mentire – era ancora giovane e innocente, e il più delle volte capitava dicesse la cosa sbagliata nel momento sbagliato.

«Diglielo Buchy, diglielo!»

Il bimbo si grattò una guancia con la punta dell’indice. Stringeva ancora una mano in quella di Steve, e col passare dei secondi, le sentiva entrambe più calde.

Si morse il labbro inferiore, puntando occhi azzurri in quelli altrettanto chiari di Steve. «Beh, sì… cioè… non nostro-nostro. Però, sai quando ti dicevo che con gli altri alle volte giochiamo a conquistare il campetto? Ecco, io il faccio il capo dei cavalieri e anche Dum Dum è un cavaliere. Nat invece, anche se è femmina, non vuole mai fare la principessa e a me sta bene, perché lei è forte e bella come un drago. Ma… uhm… alle volte penso che se venissi anche tu a giocare, potresti farlo il principe. Insomma, io ci combatterei per un principe come te e ti darei la metà di tutto quello che conquisto.»

Steve lo guardò a occhi sgranati. Infilato in un vecchio maglione infeltrito per tenersi al caldo, con maniche troppo lunghe e punti di maglia saltati quando, chissà quanto tempo prima, si era incastrato in un chiodo, era ben lontano dall’essere il ritratto di un principe. Al di qua della finestrella, la camera era grande quanto una scatola di scarpe, le pareti scrostate erano ricoperte di tempera e disegni a nascondere il grigiore delle mura, e la sgangherata scaletta antincendio era così arrugginita che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di usarla.

Eppure, quando Bucky gli sorrise, rosso come una ciliegia matura, con lo sguardo adombrato da una frangia ribelle e castana su cui alitò con forza, Steve si sentì il bambino più ricco e fortunato di Brooklyn.

Annuì. «Posso provarci.»

Bucky si illuminò.

Moony ragliò un suono che seppe di gioia, gettò in alto la piccola Sun e la riprese al volo.

Steve sentì il vuoto nel petto, e subito dopo lo sentì riempirsi dell’abbraccio protettivo e affettuoso di un cavaliere che era un po’ orso, un po’ leopardo e un po’, forse, suo.

Finì di scavalcare il davanzale e, mano nella mano con Bucky, tenne il visetto più in alto che poteva, per quanto gli mancava almeno una spanna per raggiungere l’altezza dell’altro. «Però se lo faccio voglio combattere al tuo fianco.»

«Mi sta bene, vuol dire che io guarderò le tue spalle e tu le mie.»

Sun picchietto il musetto di Moony con il nasetto. «Davvero andiamo bene, anche se Steve non è per niente bravo a combattere?»

«Non è vero che non sono bravo!»

«È proooooprio pessimo. Però non ci arrendiamo mai, mai, mai.»

Bucky strattonò piano la mano del bambino e lo rassicurò: «Andate benissimo.»

Si sorrisero e, insieme, si sedettero sul piano di ferro, con le ginocchia piegate al petto e un braccio solo a circondarle. L’altro rimase disteso tra loro, le mani unite e le dita incrociate, senza sentire il bisogno di staccarsi e anzi, quando la prima pungente sfiatata di vento schiaffeggiò loro le guance, strusciarono più vicini l’uno all’altro.

«Dovevamo portarci dietro una coperta» realizzò Bucky. Allungò il collo, considerando l’ipotesi di reinfilarsi in camera e prenderne una, ma Steve scrollò le spalle e si ancorò con forza alla sua mano, per impedirgli di allontanarsi.

«Non fa così freddo.»

«Sei sicuro?»

«Sicurissimo.» Steve lo fissò a lungo. Aveva un modo buffo di strizzare lo sguardo e arricciare le labbra rosa, lo faceva quando era pronto a dimostrare quanto dura fosse quella sua testa bionda e che se diceva una cosa era così e basta.

A Bucky faceva tenerezza, perché sembrava sempre costipato, però apprezzava la forza di volontà e poi gli piaceva poter avere una scusa per continuare a tenere stretta la sua mano. Se fosse stato per lui, non l’avrebbe lasciata mai.

«Allora va bene, però copriti bene con questa.» Si spogliò della sua giacca e gliela avvolse tra le spalle ossute, senza dargli modo di ribattere. Anche lui sapeva essere ostinato quando voleva.

Quando tornò a stringergli la mano, guardò oltre la ringhiera, oltre la scala, scavalcando gli edifici più bassi dalle cui finestre si tendevano i fili per il bucato. Sollevò un braccio a indicare più in là, una delle sagome più alte, se affilava lo sguardo, poteva immaginare sua madre – i capelli gonfi di piega, il grembiule legato alla vita e l’abito alla moda – mentre si sporgeva oltre la finestra del salotto per lavare il vetro.

«Quella è casa mia, la vedi? E quello lì è il campetto in cui mi trovo con gli altri» spiegò e Steve non ebbe problemi a riconoscerla. L’aveva guardata spiccare sulla linea degli edifici ogni qual volta puntava lo sguardo fuori dalla finestra, standosene seduto sul suo letto a disegnare. Spesso aveva tirato una linea immaginaria che dalla propria finestra si allungava in quella direzione e sapeva che, se l’avesse percorsa in perfetto equilibrio senza mai cadere, sarebbe finito a casa di quelle persone e avrebbe finalmente scoperto chi la abitava.

Bucky la abitava.

Bucky che aveva iniziato a raccontargli di come si calava dalla grondaia quando suo padre lo metteva in punizione, di come odiava andare a messa la domenica, anche se non gli dispiaceva mettersi il vestito bello perché c’erano un sacco di persone che gli facevano i complimenti, di come gli piaceva stare con i suoi amici, ma quando era con lui – con Steve – era anche meglio.

Steve rimase ad ascoltarlo per tutto il tempo, affascinato da tutte le espressioni che Bucky riusciva a mostrare quando raccontava: faceva smorfie quando parlava dei compiti di matematica che considerava inutili perché a nessuno importa se Charles ha cinque o sei mele, se tanto poi se le mangia tutte lui; si incupiva ogni qual volta accennava a suo padre, ma tornava a sorridere allegro non appena prendeva a parlare dei suoi fratelli, o della bambina chiamata Nat e del suo dæmon – lei era quella di cui parlava di più.

«Il suo dæmon è sempre nascosto, ma quando si arrampica tra i suoi capelli e spunta fuori, ti fa prendere un grande spavento ogni volta, perché ha l'aspetto di una vedova nera. Anche se, dato che è un maschio non dovrebbe chiamarsi tipo Scapolo d’oro?» aveva detto a un certo punto, con una serietà che Steve aveva ricambiato:

«Forse sarebbe più appropriato Marito in lutto

«Oh! Oh! Che ne dici di Triste Zitello

Si fissarono a lungo con la fronte aggrottata, finché non riuscirono più a trattenersi ed entrambi scoppiarono in una risata fragorosa, rischiando perfino di scontrare le testoline per quanto le agitavano l’una accanto all’altra.

«Buchy…»

Se non fosse stata parte di Bucky, il bambino non si sarebbe nemmeno accordo della vocina di Moony.

La dæmon agitò una zampotta in sua direzione. «Ho freddo» pigolò, a suggerirgli di rimediare.

Bucky smise di ridere all’istante e storse il naso, indispettito perché aveva dovuto dirlo davanti a Steve e perché Steve aveva lasciato di scatto la sua mano, spogliandosi della giacca per restituirla al suo legittimo proprietario, guardandolo con aria colpevole.

«Rientriamo.»

Bucky lo fermò per un braccio. «No dai, non ho così freddo.»

«Ma mica posso tenermi io la tua giacca se hai freddo.»

«Ma se stiamo più vicini va meglio, davvero.»

Steve lo studiò a lungo. Si fece più vicino e tornò a stringergli le dita – erano gelide e la punta era arrossata dal freddo. Bucky cercò una scusa, ma Steve lo fulminò con un’occhiata prima che potesse aprire bocca e con uno strattone offeso – non avrebbe dovuto lasciargli la sua giacca, proprio no! – gli sollevò le mani alla bocca, spalancò le labbra e alitò sulle loro mani.

Il fiato era caldo, Bucky lo sentì accarezzargli la pelle e dagli sollievo e, ad ogni alitata di Steve, gli sembrava che non facesse più così freddo e che l’estate fosse ormai alle porte.

«Va meglio?» borbottò l’altro.

«Sì.»

«Sarà meglio che non dici bugie, questa volta.»

Bucky scosse il capo. Seduta paciosa accanto a loro, Moony tornò a premersi contro Sun, ragliando in apprezzamento e Steve seppe che non stava mentendo. Si spinse a sua volta vicino al bambino, e guidò le sue mani verso il basso, tra le pieghe della giacca e in una delle tasche, perché potessero infilarcele tutti e due e assicurarsi di averle al caldo.

Bucky lo lasciò fare. Era una posizione scomoda e il gomito ossuto di Steve continuava a pungolargli il fianco, ma seduto accanto a lui su quel balconcino sgangherato, mentre condividevano la stessa tasca di un giubbotto troppo piccolo per entrambi e guardavano giù, tra le strade di Brooklyn, gli sembró di essere sulla cima del mondo.

 

[ 2.137w ]




Ormai si sarà capito che queste fic sono slices of life che non hanno alcuna pretesa, scritte soltanto perché Bucky e Steve mocciosi sono tesoro nazionale e trovo divertente, l'idea, vero? Non ce l'ho in testa una vera e propria storia, a parte il fatto che non sono nemmeno sicura se e quando scriverò altre os ambientate in questo verse (os, che per la seconda volta era partita con l'idea di essere una flash, ma si è allungata perché sì XD), però sono abbastanza sicura di non volerla far diventare una canon divergence. Ma lo scopriremo quando sarà il momento - anche se trovo divertente l'idea di avere i baby avengers coi loro daemon tutti sotto lo stesso cielo e nello stesso anno... oh well, chi vivrà vedrà. Per ora sono contenta di aver svelato un'altra delle forme del daemon di Bucky (FYI: la terza e ultima forma è quella di lupetta bianca) e quello di Nat che, vabbeh, non avrà stupito proprio nessuno! XD

 

   
 
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