Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Persefone26998    19/01/2021    4 recensioni
"Perdonami se solo con te tutto diventa musica"
Questa OneShot la chiamerei "quella storia nata totalmente a caso, ma che mi piace quindi la pubblico". Rispetto al mio standard è davvero corta, ha poco meno di duemila parole (e chi legge i miei capitoloni da 10k e passa parole sa di cosa parlo). ma credo che meriti di vivere e di essere condivisa.
A voi
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa OneShot non era programmata, l’ho scritta questa notte di getto, andando a braccio libero, mentre ascoltavo “Experience” di Einaudi ed è davvero corta rispetto ai miei standard
Ha un senso? Forse no, ma sento che meritava di nascere
 
Eren, dimmi te l’hanno mai detto che il tempo è come l’archetto di un violoncello? Non che sia davvero dritto, anzi forse è la cosa più arcuata e frammentata che esista – sarà per questo che gli esseri umani finiscono a dimenticarlo nel giro di poche generazioni, come se sbandare e finire giù da un dirupo fosse necessario per ricordarsi che in quel punto c’è la curva – e forse pizzica troppo forte le corde, però quando le note scivolano fuori pare quasi avercelo un senso; forse è che sono vecchio anche se ho solo trent’anni, ma il mio tempo con te pizzica da morire e deve produrre davvero un bel suono quando ridi.
Vorrei poterla sentire la tua voce, sai? Vorrei ascoltare la tua risata che sembra sempre fare a pezzi il cosmo, tutta denti bianchi scoperti e petto che ti trema; vorrei ascoltare il modo in cui ti batte il cuore mentre quelle inutili orecchie sono così vicine al tuo petto, o i tuoi gemiti quando facciamo l’amore e tutto sembra andare a fuoco e io sento Eren, eccome se sento; vorrei ascoltare il modo in cui la tua voce si intacca quando mi dici di amarmi, perché sono sicuro che si spezzi almeno un po’, perché tu sei un maledetto ragazzino che i sentimenti non è mai stato in grado di gestirli.
Perché mi ami davvero troppo e io ti amo davvero troppo, tanto che darei i miei occhi per poterti ascoltare. Non guardarmi in quel modo, le mie mani sono stupide e dovrebbero imparare a stare in silenzio, come la mia bocca; e non distogliere lo sguardo, ti supplico, che se mi guardi con quegli occhi così verdi riesco a sentire anche che suono fanno le tue dita sul pianoforte.
Ti ricordi quando tuo cugino fece quella battutaccia assurda al nostro matrimonio? Il silenzio di quel giorno credo di averlo udito anch’io; e Floch è un coglione galattico, ma non che quell’ubriacone avesse tutti i torti, quale pianista è tanto matto da sposare un sordomuto? Forse tu sei davvero il re dei folli e mi ami troppo, forse il tempo è un archetto storto e ti piace sentire come pizzica sulla pelle; a te in fondo è sempre piaciuto quando racconto tutte queste stupidaggini e mi stai a sentire davvero, anche se la mia gola è un deserto sterile e le mie orecchie sono ignobili.
E sai, Eren, forse dovrei dirtelo più spesso che quando suoni io ci sento, che sulla poltroncina purpurea del West End io torno a respirare; perché le tue dita sono sempre state l’archetto che mi punzecchia l’anima, tu per me sei il tempo Eren, tempo che voglio avere e mordere affamato, sei il tempo che non riuscirei mai a sprecare, sei il tempo che mi è stato concesso di vivere su questa Terra, sei il tempo che mi stritola il cuore, sei il tempo che si frammenta, si curva e pizzica da morire. E forse dovrei davvero dirtelo più spesso che ti amo.
Ma io sono un fottuto vigliacco e tu sei un ragazzino, nessuno di noi sa gestire questi sentimenti e, davvero, bruciano da morire  i tuoi occhi che mi guardano mentre ti dico che abbiamo sbagliato a sposarci, che forse dovremmo tornare indietro e andare ognuno per la sua strada; perché cazzo quanto ha fatto male la lettera dei servizi sociali, me l’ha fatta a pezzi l’anima in un modo che non riuscirò mai e poi mai a ricomporre. E ha fatto a pezzi te, che a differenza mia hai avuto un padre meraviglioso – un padre che è diventato anche il mio, perché Grisha è davvero una persona fantastica e sono grato che abbia cresciuto qualcuno come te – e che saresti un padre meraviglioso; nessuno dovrebbe privartene, neanche io.
Un bambino cresciuto da un sordomuto, un sordomuto disoccupato e inconcludente tra l’altro? Andiamo Eren, perché ci avevamo sperato? Non avremmo mai dovuto presentarla quella domanda, non avremmo dovuto inoltrarci in questo tifone con la nostra misera zattera di speranze, non avremmo dovuto fare tutte quelle visite e parlarne continuamente con la nostra famiglia, non avrei dovuto consumarmi le mani a furia di dirti quanto fossi felice, non avremmo dovuto sposarci perché ora tu staresti con un uomo completo e potreste avere quella famiglia che hai sempre desiderato. E i tuoi occhi sembrano due tizzoni ardenti quando lo dico, mi si piantano addosso e mi levano il respiro lasciandomi a rantolare.
Lo so, Eren, lo so che odi sentire come mi auto-denigro, provando a farti vedere il mondo che ti stai perdendo insistendo a stare con me; lo so che ogni volta che cerco di convincerti che non ti merito, l’anima ti va in fiamme dalla rabbia e vorresti farle a pezzi con le tue mani queste insicurezze.
Ma so anche che senza di te il mondo è vuoto e silenzioso, perché cazzo io sento solo quando sto con te e percepisco la tua risata, il tuo cuore che batte, i tuoi gemiti, il modo in cui la tua voce si spezza quando dici di amarmi; riesco a sentire la musica, Eren, la tua musica, il suono che produce il pianoforte quando le tue dita scivolano in quell’alternanza di bianco e nero, la melodia della tua anima che punge come un archetto e mi scioglie il cuore.
E io non ce la faccio a lasciarti, Eren, non ne sono mai stato in grado, perché il mondo è così silenzioso senza di te, perché io sono solo un fottuto disabile che neanche respira se non ci sei tu a puntarmi quelle galassie caleidoscopiche addosso; io non sono forte Eren, non lo sono mai stato anche se tu mi vedi perfetto, perché ho talmente tanto bisogno di te che non mi reggono le ginocchia mentre aspetto che tu salga le scale per fare le valigie. Ti prego Eren, comportati da adulto almeno tu, lasciami a morire qui da solo e sii felice con qualcun altro.
Oppure dammi quello schiaffo che mi sono sempre meritato, urlami contro che sono solo un povero inetto, fa qualcosa che non sia guardarmi con quegli occhi troppo grandi e troppo lucidi, dami una scusa per andarmene da mia madre e lasciarti vivere; dammi un scusa per aprire la porta di casa senza mandarmi ancora più in pezzi.
Non abbracciarmi in questo modo, ti prego; smettila di asciugarmi le lacrime con le tue labbra, perché fa troppo male e io sono troppo inutile e deleterio per te, una cellula cancerosa che sta rosicchiando le corde del tuo tempo; e no Eren, non andrà niente bene perché io un figlio con te lo voglio, lo voglio terribilmente e voglio anche sentirlo chiamarci papà, ascoltarlo ridere, sentire la sua voce quando ci racconterà i suoi dubbi e le sue belle giornate, voglio sentirlo provare mentre gli insegni a suonare il pianoforte, voglio raccontargli le fiabe per farlo dormire.
Ma non sono in grado di farlo, le mie orecchie e la mia bocca sono inutili e la gente dovrebbe smetterla di dirmi che almeno sono vivo, che posso camminare, che posso vedere, che sono coraggioso e mi chiamano eroe; io non sono un eroe Eren.
Tu lo sei, sei il mio eroe, la mia speranza, la mia anima, la mia voce, il mio udito, la mia musica. Sei la parte completa e perfetta che a me manca e io sono un fottuto vigliacco che non ci riesce a vivere senza di te, anche se ti sto consumando a furia di sfregare sulle corde di titanio di cui sono composto; anche se dovrei comportarmi da eroe almeno una volta nella vita, preparare quella dannata valigia e andarmene, lasciandoti finalmente libero.
E vorrei anche che tu avessi abbastanza amore per te stesso, quell’amore che non hai mai avuto e che hai in assoluto eccesso per me, vorrei che bruciassi le radici questa cosa marcia dal tuo giardino, che ti volessi abbastanza bene per essere felice; ma in fondo gli esseri umani odiano la felicità, la rifuggono come il più terribile male di questo mondo, preferiscono aggrapparsi alle cose piuttosto che lasciarle andare e abbandonare quella strada irta di rimpianti.
È inutile fare questo discorso adesso, forse avrei dovuto dirtelo fin da subito che sarei stato un peso morto per te; anzi te l’ho detto fin da subito – almeno di questo non posso rimproverarmi, né posso rimproverare te di non avermi dato retta, sei una persona davvero troppo straordinaria per farti fermare da una cosa del genere. Quello che avrei dovuto assolutamente fare, invece di comportarmi come il bambino egoista troppo innamorato di te, sarebbe stato rifiutare il tuo invito al cinema quel pomeriggio nonostante fosse un anno che il petto mi tremava ogni volta che, a fine lezione, venivi da me e mi portavi nel teatro della scuola per farmi sentire il tuo pianoforte.
L’hai capito fin da subito quanto mi piacesse toccare il legno del tuo strumento, sentire le vibrazioni attraverso i polpastrelli che si propagavano fino a che non riuscivo a sentire le note; come io ho capito che non era il pianoforte, sei tu a diventare musica, a frammentarti in miliardi di pezzi e ricomporti in qualcosa di così diverso e indescrivibile ogni volta che suoni. È sempre stato il tuo modo di comunicare con me, prima ancora di imparare la mia lingua fatta di mani e di gesti.
L’addetto delle pulizie sordomuto e il virtuoso pianista della Royal Academy, che razza di coppia eravamo allora; e che razza di coppia siamo adesso, con te che suoni nei teatri più importanti di Londra e io che sono un povero sordomuto senza futuro che ti sta erodendo la vita. Mi chiedo spesso che forma di orgoglio marcio ti porti a guardarmi sempre come se fossi la cosa più preziosa di questo schifo di Universo, a dedicarmi tutti i tuoi pezzi ad ogni concerto e a tenermi per mano di fronte ai tuoi colleghi, i tuoi amici o la nostra famiglia come se meritassi di essere al tuo fianco.
Sai Eren, quando ero piccolo mia madre diceva sempre che se la gente ascoltasse meno con le orecchie, forse il nostro mondo sarebbe pieno di musica; mi erano sembrate parole così vuote o insensate, lo zuccherino da dare al povero bambino disabile per fargli credere che la sua vita non sarà piena di silenzio un giorno. Ho capito le sue parole solo quando hai provato ad insegnarmi a suonare il pianoforte, ho visto come mia madre abbia sempre avuto ragione, perché tu le orecchie non le usi mai, perché ascolti come se fossi sordo con quei tuoi occhi sentono più di quanto chiunque al mondo abbia mai fatto.
E certe volte penso che se tu mi avessi amato un po’ di meno, forse in questo momento non starei tremando tra le tue braccia pregando qualsiasi divinità mai esistita che non mi lascerai mai; forse riuscirei ad essere meno egoista, a lasciati la tua felicità e la famiglia che meriti.
E la verità, Eren, è che io valgo davvero niente senza di te; perciò, ti supplico, perdonami se sono ancora tra le tue braccia a farmi consolare dai tuoi baci, se lascio che le tue mani scorrano sul mio corpo, se mi perdo nell’odore e nel calore della tua pelle, se le mie unghie ti graffiano la schiena e la mia bocca produce quei fischi striduli che riesco a sentire anche senza l’udito, mentre ti muovi dentro di me. Perdonami se non sono in grado di lasciarti, perdonami se ti amo da voler bruciare all’Inferno pur di starti accanto.
Perdonami se solo con te tutto diventa musica.
  
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