Una
notte plumbea è quella che
segue le ore successive alla morte del Comandante SOLDIER Genesis
Rhapsodos. Il
cielo totalmente nero e nebuloso del Nord ci accoglie con una coltre
pesante e
spietata di nuvole cariche di neve, pronta a calare sui morti declivi
di quella
terra desolata. La figura eterea di Sephiroth è seduta sul
pavimento di fronte
a me ad osservare in accorato silenzio l’esterno della bolla
di vetro di cui la
sala d’osservazione panoramica della Freedom
è costituita. Ho appreso che ora che è libero
dell’influenza di Jenova, può
palesarsi nel mondo reale, ma soltanto come spirito incorporeo e solo
se io
glielo concedo. Ne ha subito approfittato per tormentarmi con le sue
insistenti
richieste di venire in un luogo dove potesse vedere il cielo.
Io
volevo solo dormire…
Sbadiglio
sonoramente e faccio
scivolare fluidamente la schiena alla paratia, fino ad adagiare il
fianco
destro sulla panchina dell’osservatorio. Mugugnando, incrocio
le braccia sul
petto e rialzo lo sguardo verso il Generale, il quale non si
è mosso dalla sua
posizione meditabonda da quando è uscito dal mio corpo. Ha
lo sguardo fisso
verso il culmine della cupola, perso verso chissà in quali
contorte
elucubrazioni.
-
Temo che non potrai vedere il
cielo stanotte. Torniamo a letto? –, chiedo con la voce
impastata, cercando di
reprimere l’ennesimo sbadiglio.
Sephiroth
sembra non calcolarmi
nemmeno e permane immobile. Credendo di non ricevere risposta alcuna,
sospiro
frustrato, arrendendomi all’idea di passare la nottata
–ennesima- in bianco.
-
Già… Crudele ironia. -, commenta
improvvisamente il Generale con tono distratto e mesto.
La
sua voce mi allarma, quindi
alzo il busto e mi puntello col braccio, indirizzando tutta la mia
attenzione
su di lui. Lo osservo mentre attira le sue gambe al petto e si stringe
ad esse,
poggiando il mento sulle ginocchia, nascondendolo tra gli avambracci.
Non mi
sfugge, inoltre, il teso singulto delle dita, strette attorno ai
bicipiti,
unico guizzo emotivo evaso dalla sua fortezza di apparente freddezza.
Fortezza
che Genesis ha tentato di espugnare per anni, invano.
Almeno
così credeva.
Sephiroth
era cambiato molto più di quanto il banoriano potesse
immaginare e di quanto il
Generale stesso avesse voluto ammettere. Dev’essere stata una
sorpresa anche
per il Comandante apprendere che il suo freddo, apatico, indifferente
amico
fosse diventato un così amorevole padre, un così
fedele marito e un così
veemente giustiziere.
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Siamo
in viaggio da ore, accomodati -per così dire- su questo
pullman scassato, che, sobbalzante,
s’inerpica su scoscese strade di montagna. Ogni scossone
è un inferno per la
mia pelle degradata, poiché esplosioni di dolore si diramano
da questa parte o
da quell’altra. Mi maledico per non aver optato per un
inseguimento aereo, ma
conoscendo il soggetto, probabilmente sarei stato identificato
all’istante.
Apro
gli occhi, dopo aver trattenuto l’ennesimo gemito di dolore,
e appunto il mio
sguardo verso di lui. Dalla mia posizione, riesco a scorgere il suo
inconfondibile profilo, sebbene buona parte sia ben nascosto dal
colletto del
giaccone e dal cappello con visiera. Gli occhi brillanti di mako sono
convenientemente celati da un paio di occhiali da sole, anche se dalla
mia
posizione laterale riesco a scorgere il loro esiguo e caratteristico
bagliore
verde giada. La signora accanto a lui sembra troppo impegnata a
intrecciare il
suo uncinetto per accorgersene, tutt’al più che la
sua peculiarità più evidente
– i capelli- sono stati ben nascosti all’interno
della fodera del cappello. Mi
scappa uno sbuffo divertito. Nemmeno per un motivo così
importante, riesce a
rinunciare alla sua ingombrante chioma. E poi il vanitoso sarei io.
Lo
vedo alzare la testa ed osservare le montagne che incombono su di noi e
le sue
labbra s’increspano appena. Deve aver sentito
l’odore di casa…
////
Il
paese è minuscolo e caratteristico, come il lago che lo
abbraccia. Sembra che
la guerra non abbia mai intaccato queste tranquille sponde, anzi, molti
turisti, soprattutto wutaniani, sembrano appunto ricercare questi
luoghi, al
fine di scappare per un momento nell’illusione che nessuna
guerra e nessun
opprimente dominio stiano sfregiando queste terre. Ma non ho tempo per
perdermi
in questi pensieri, poiché il mio obiettivo si sta guardando
intorno per
l’ennesima volta. È davvero cauto, peccato che io
lo conosca fin troppo bene.
Inoltre, il degrado ha fatto sì che ben poco del mio
originale fascino sia
rimasto. Fingendo di recuperare il mio bagaglio, incontro il mio
aspetto,
rispecchiato nella lamiera opaca del pullmino. Distolgo subito lo
sguardo con
gesto secco e ricerco quello di Sephiroth. Lui ha già
recuperato il suo zaino e
si sta avviando giù per l’unica via che attraversa
il paesino. Lo seguo a
debita distanza, fingendomi, di tanto in tanto, interessato a scrutare
questo o
quello. Appena allontanatosi abbastanza dalla folla, si leva cappello e
occhiali, lasciando che la sua lunga chioma esploda in una cascata
argentata,
ondeggiando lievemente alla brezza leggera della primavera. Incontra
dei
paesani. Alcuni lo salutano con un cenno della mano, altri gli
rivolgono un
paio di parole in un dialetto incomprensibile, a cui lui risponde senza
problemi, sorridendo… sorridendo!
Sono
basito.
Sembra
un’altra persona.
Avverto
rabbia misto invidia prorompere dai recessi più infimi del
mio animo.
Come osa?!
Come osa fingere che tutto vada bene?!
COME OSA IGNORARMI?!
Per
il
bene della missione, m’impegno a rimangiarmi la rabbia, dal
momento che il suo
interlocutore ha solo brevemente interrotto il suo andare. A Sephiroth,
infatti,
sembra che anche questo piccolo rallentamento sia un allungamento
inaccettabile
alla già intollerabile lontananza;
tant’è che ha già velocizzato il passo.
Quando
una piccola casetta spunta alla fine della via, dando su un ameno
boschetto,
quel passo impaziente quasi si trasforma in una corsa. Riesco a
nascondermi in
una viuzza laterale, stretta da due casine, dirimpetto al mio
obiettivo. Non
potevo chiedere palcoscenico migliore…
Schiamazzi
giungono dalla casa, appena lui apre il cancelletto di legno che
delimita quel
piccolo mondo da fiaba. La porta d’ingresso si apre e una
donna bellissima ed
elegante con lunghi capelli neri spunta dall’uscio,
sfoggiando un sorriso
magnifico.
Sorrido
malevolo, riconoscendola immediatamente…
Sakura…
Lo sapevo!
Un
moto di fastidio sconquassa il mio corpo…
Con
tutte
le donne che potevi avere, Sephiroth… A quanto pare hai
deciso di rendermi la
vita davvero semplice…
Proprio
nell’istante in cui il mio piano si stava srotolando davanti
a me, quella
maledetta fa un altro passo fuori casa, rivelando un ostacolo
inaspettato.
Tanto
piccolo, quanto insormontabile.
Una
bambina…
Sento
le gambe cedere e lo stomaco accartocciarsi.
No…
non
può essere sua—
Ma
quel bagliore verde mako non mente…
Le
gambe cedono e scivolo verso il terreno.
Sakura
mette la bambina a terra e quella inizia a trottare incerta verso
Sephiroth, il
quale si è accucciato immediatamente, allargando le braccia
con fare
accogliente. Ride, incoraggiando la mocciosa a raggiungerlo, con
un’inflessione
smielata della voce.
Un’inflessione
capace di instillarmi il senso di colpa dritto nel cuore, come una
stoccata.
Anche
le braccia cedono e finiscono tra la polvere.
La
bambina, alla fine, lo raggiunge e lui, di rimando, si alza e la
stringe forte
a sé. Disperatamente, come se non avesse desiderato altro
nella vita.
-Non
posso… -
-Se vuoi sopravvivere, dobbiamo
impadronirci delle cellule di Sephiroth. La variante S
rallenterà la
degradazione. Forse la fermerà, addirittura. –
Le
parole di Hollander prorompono prepotentemente nella mia mente,
dilaniandomi.
Alzo lo sguardo verso quel quadretto famigliare così
inaspettato. Un fortissimo
senso di nausea per poco non mi sconvolge lo stomaco.
Lacrime
amare sgorgano dai miei occhi, ancora sgranati.
Non rinuncerà mai a ciò
che ha sempre
desiderato…
Il
piano si è appena macchiato di rosso.
Sopraffatto,
calo il capo verso il petto.
Lo so…
Alzo
lo sguardo e riesco ad adocchiare il suo viso…
Stringo
i denti tanto forte da sentirli scricchiolare.
Non
l’ho mai visto sorridere così…
La mia vita vale davvero così
tanto?
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Da
quando
si è intrufolato nella mia mente, non faccio altro che
vedere e rivedere
stralci di ricordi appartenenti al Comandante. Sospetto che sia Genesis
stesso
dall’aldilà a riproporceli. Forse, per dimostrarci
la genuinità del suo
pentimento.
Sconsolato,
mi ributto supino sulla panchina, giungendo le mani dietro alla testa.
Ora sono
io ad osservare insistentemente il cielo piombato.
-Anche
a
Takara piaceva svegliarsi nel cuore della notte a guardare il cielo. O
sbaglio?
Lo hai scritto nel tuo diario. -, affermo con fare colloquiale.
La
testa
di Sephiroth s’inclina appena verso sinistra, per poi venire
girata nella mia
direzione quel tanto da poter adocchiare parte del suo viso. Attraverso
le
ciocche argentate, intravedo i lati delle labbra, rivolti fievolmente
verso
l’alto, in un triste e malinconico sorriso.
-
Non
sbagli. -, risponde a tono basso, annuendo debolmente, mentre il
sorriso si allarga
al pensiero della sua bambina in piedi nella culla a guardare il cielo
stellato
di Wutai. Un ricordo che, inevitabilmente, affolla anche la mia di
mente.
-Nel
diario scrivevi che osservava il cielo perché avvertiva il
richiamo delle
stelle… -, ragiono - Anche tu lo senti? –,
domando, alla fine distogliendo lo
sguardo dalla sommità della cupola.
Egli
emette un lugubre sospiro e si alza, passeggiando con eleganza infinita
fino
alla parete di vetro. I lunghi capelli ondeggiano ammalianti ad ogni
passo compiuto
con una leggerezza e garbatezza da risultare umanamente impossibili da
imitare.
Sembra quasi volteggiare, accarezzare malizioso il pavimento come se
stesse
percorrendo un sentiero di cristalli fragilissimi. Ho sempre invidiato
quella
grazia ultraterrena. Quella meravigliosa, incantatrice, velenosa grazia.
La
testa
del Generale è ancora una volta alzata verso
l’incombente nero sopra di noi.
Noto che una coltre intricata di ghiaccio sta iniziando a disegnare
composti
cristalli di neve sulla superficie esterna della cupola, diminuendo
ulteriormente la visibilità.
-
A volte
rimanevo sveglio con lei e le scrutavamo insieme. -, racconta con tono
malinconico, - L’avvolgevo in una coperta e la portavo sul
tetto di casa
nostra. Di nascosto da mia moglie, ovviamente. -, emette una mezza
risata, - E
lì stavamo, sdraiati. Lei addossata al mio petto e stretta
nel mio abbraccio,
ad immaginare nuovi mondi, le avventure che avremmo potuto
fronteggiare, la
gente che avremmo incontrato… -, un’altra
interruzione, in cui sospira mesto, le
dita che accarezzano il vetro gelido si chiudono nervosamente in pugno,
- Le
avevo promesso che un giorno avremmo vissuto davvero quelle
avventure… -
Sospira
e
lo vedo calare la testa, fino a che la sua fronte non si appoggia al
gelido vetro.
-
Non
sono mai stato bravo a mantenere le promesse… -
Proprio
in quel momento, la Freedom sbuca
nell’occhio della tempesta. L’oscurità
dell’universo profondo si staglia
innanzi a noi in tutta la terribile e meravigliosa immensità
dell’ignoto.
Stelle lontane e aliene brillano fulgide, sfidando di buon grado il
buio;
mentre esplosioni galattiche gareggiano, invece, con la loro
catastrofica
potenza, contro il rimbombante silenzio che, crudele, le avvolge. Morte
e vita,
pietà ed oppressione sorreggono il perfetto equilibrio
dell’Universo creando,
distruggendo, trasformando ogni singolo componente di questo ribollente
calderone di atomi informi. Ogni avvenimento accade in seguito a una
precisa
sequenza di eventi, di cui la maggior parte è ancora al di
là della
comprensione umana. Eppure, è meravigliosa nella sua
misteriosa perfezione. Un
mistero che apre la mente, permettendole di spaziare in un luogo
infinto; dove
finalmente i cupi pensieri che si agitano nel minuscolo spazio del
cranio
possono espandersi liberi al di là di ogni confine.
Affascinato, abbandono la
panchina ed inizio a guardarmi intorno, passeggiando e carpendo ogni
dettaglio
dello spettacolo che si staglia di fronte a me, a bocca aperta. Una
piacevole
sensazione di libertà mi assale, sentendomi improvvisamente
leggero. Mai come ora ho desirato avere le
ali.
-
È
bellissimo… -, commento trasognato, poi appunto il mio
sguardo su Sephiroth.
Come
me,
anche lui sta contemplando il tanto desiderato cielo notturno, ma
ciò a cui sto
assistendo è qualcosa che va oltre la bellezza
dell’Universo. L’espressione di
pura estasi ha completamente disteso gli androgeni tratti del suo viso
– il
quale, ora che lo guardo veramente, non avevo mai concepito quanto
fosse
dannatamente perfetto -, donandogli un’aura di limpida pace
così trascinante da
avvolgere perfino me. Il mio sguardo indugia un attimo non troppo breve
sulle
labbra semi-dischiuse, scure come il cielo notturno, in pieno contrasto
con la
pelle d’alabastro che le circonda. A renderle ancora
più magnetiche, il
flebile, genuino sorriso che ne arcua maliziosamente i lati sottili.
Riscossami
da quegli strani pensieri, risalgo la scabra linea del naso, lungo gli
zigomi
vezzeggiati dal gentile dondolio di ciocche argentee, per alfine
raggiungere
gli occhi. Perdo un battito appena apprezzo la preziosità di
quelle iridi,
dentro cui il brillio dell’Universo si rispecchia, come in
una polla di acqua
cristallina; al cui centro, come un profondo e misterioso abisso,
svetta la
pupilla. Quest’ultima non è serpentina, tagliente,
pericolosa; ma, essendo
dilatata, è tondeggiante, leggermente affusolata ai poli, ma
è un dettaglio
quasi trascurabile.
È così umano…
Ora
capisco, perché voleva venire quassù…
In
confronto all’alienità dell’Universo, la
sua umanità diventa lampante,
evidente, cristallina… Bellissima.
Così
perso nel contemplarlo, non mi ero reso conto che lui stava ricambiando
il mio
sguardo da qualche minuto. Appena me ne rendo conto, mi riscuoto e
volgo
l’attenzione altrove, imbarazzato.
Con
la
coda nell’occhio, lo vedo sorridere compiaciuto sotto i
baffi, mentre ritira il
suo sguardo verso altri obiettivi.
Ho
sempre
invidiato la consapevolezza che ha di sé, ma forse diventa
quasi un meccanismo
di difesa quando sai di essere uno degli uomini più
desiderati del Pianeta.
Dopo
qualche istante di silenzio e contemplazione, durante il quale ripenso
alle
parole proferite poco prima dal Generale.
“Non sono mai stato bravo
nel mantenere
le promesse.”
-
Io non
lo credo. -, esordisco, ritornando a puntarlo.
Lui
rivolge
lo sguardo interrogativo nella mia direzione.
-
Io non
credo che tu non sappia mantenere le promesse. -, sottolineo, senza
smettere di
fissarlo.
L’albino
inclina la testa di lato, gli occhi si assottigliano, donandogli
un’aria
concentrata, e raddrizza la schiena. Riconosco immediatamente il suo
silenzioso
modo di dimostrarsi interessato, senza però manifestarlo
apertamente. Evelyn
aveva ragione: Sephiroth ha davvero un modo tutto suo di comunicare.
Solo pochi
sono in grado di capirlo.
Incoraggiato
dal suo fare accomodante, ammorbidisco l’espressione e il
tono.
-
La vita
non è stata per niente clemente con te. -, esordisco con
voce greve, - Eppure,
sei riuscito ad ottenere ciò che desideravi. –
-
Una
mera illusione… -, commenta Sephiroth con un soffio
malinconico, scuotendo la
testa con fare arreso.
-
No! –,
rispondo con veemenza, avvicinandomi rapidamente a lui, con passo
deciso, - Non
è vero e lo sai anche tu! -, mi avvicino minacciosamente, i
miei occhi blu
saettano dritti nei suoi, sgranati dalla sorpresa, - Evelyn e Takara
sono
reali. Sono là fuori, ad attenderti. Proprio in
virtù di quelle promesse che vi
siete impegnati a mantenere. È questo ciò che vi
unisce e che v’impedisce di
arrendervi alla crudele realtà che tanto spietatamente vi ha
diviso. –
Gli
occhi
del Generale, subito dopo queste ultime frasi, non hanno più
retto il mio
sguardo severo e, colpevoli, si sono spostati altrove. La sua
espressione è
buia e, per un rapido istante, anche sofferente. Tuttavia, le sue
labbra
rimangono serrate e la mascella irrigidirsi.
-
Certi
pesi sono impossibili da portare da soli. -, continuo, attirando la sua
attenzione nuovamente fattasi sorpresa, - Me lo hai insegnato tu.
–
Per
un
lungo istante, egli mi osserva profondamente, seriamente, per poi,
infine,
piegare le sue labbra in un largo e pacato sorriso.
-
Hai
ragione. -, conviene.
Si
allontana da me e passeggia mollemente con le mani incrociate dietro
alla
schiena, assaporando gli ultimi momenti del cielo notturno, prima di
ripiombare
di nuovo nel plumbeo regno della tempesta. Si ferma a pochi passi da
me,
sospira e si volta. Schiena dritta e portamento fiero. Sorriso sulle
labbra e
sguardo ripieno d’orgoglio.
-
Era ora
che la marionetta tagliasse i suoi fili. –
Un
fortissimo boato sconquassa il Lifestream.
Cerco
d’ignorarlo.
Il
destino degli uomini non è più affar mio.
Lei
se ne è andata.
Perduta.
Ho
fatto ciò che dovevo.
Per
il bene di tutti.
Ora
il peso di questa responsabilità è sulle spalle
di qualcun altro.
Mi
concentro.
Cerco
di ritornare al mio eterno riposo.
Ma
altre contrazioni continuano a distrarmi.
Cosa
vuole ancora da me?
Sono
stanco.
Lasciatemi
riposare…
La
notte eterna diventa giorno per un breve istante.
Qualcuno
è entrato nella cripta.
Una
figura alta e longilinea si muove nel buio, emanando una curiosa e
potente
aurea.
Un’aurea
che non percepivo da millenni.
Avverto
lo stesso profondo senso di tradimento, il quale alimenta un fuoco
indomito di
furia.
C’è
anche paura.
Paura
e smarrimento.
La
porta viene nuovamente aperta e, di nuovo, la luce squarcia il buio.
Mi
ferisce.
Non
farlo.
La
figura raggiunge la mia tomba e comincia a colpire i cristalli che
avvolgono il
mio corpo.
Posso
vederla.
Capelli
fluenti, occhi da gatta, bocca a bacio.
Assomiglia
così tanto a LEI, ma… non può essere!
Le
sue labbra si muovono e il suono della sua voce mi giunge ovattato,
lontanissimo.
Mi
sta implorando di aiutarla.
In
lacrime.
Ha
paura.
È
solo una bambina.
Due
coppie di braccia, avvolgono il suo corpo gracile.
L’ennesima
potente flessione si libera dal corpo della ragazza.
Non
così.
Ti
farai del male.
La
sua aurea si è fatto più debole,
tant’è che viene sopraffatta facilmente
dall’insulso nugolo di umani che la inseguiva.
Il
Lifestream continua a flettersi e reagire, ma, mano a mano che la
coscienza
della ragazza crolla verso l’oblio, la quiete torna a
governare incontrastata.
La
fanciulla chiude gli occhi, mentre l’ultima oncia di
volontà lascia il suo
viso.
Altri
umani sopraggiungono e osservano la giovane dormire.
Uno
di loro, visibilmente malato, si abbassa con difficoltà e le
accarezza il viso.
Poco
dopo se ne vanno tutti.
Il
silenzio e il buio eterni sono finalmente tornati.
Posso
tornare a dormire.
Il destino di quella fanciulla
è affar di
qualcun altro.
Cloud…
SVEGLIATI!
Mi
sollevo di scatto. Il petto di
alza e si abbassa, incamerando profonde boccate d’aria. Sono
senza fiato. Mi
rendo conto, dal gelo che mi si sta appoggiando sulla pelle, di essere
anche
sudato fradicio. I muscoli, tesi all’inverosimile, mi dolgono
tremendamente. I
miei occhi sbarrati ripercorrono il sogno appena compiuto, facendomi
rendere
conto che non si trattava affatto di un sogno.
Era
l’uomo nella cripta sotto alla
magione che stava comunicando con me. I suoi pensieri. Le sue
percezioni. Tutte
nella mia testa.
Alzo
lo sguardo di scatto verso i
piedi nel letto e incrocio la figura di Sephiroth, il quale indossa la
stessa
espressione stravolta.
All’istante,
capiamo subito che
non c’è tempo da perdere.
Esco
dal letto con un salto e mi
butto nello stretto corridoio, percorrendolo a perdifiato fino alla
sala
controllo. Lì, irrompo nella stanza quasi senza fiato, dando
il triste
annuncio.
-La
ShinRa… La Shinra ha preso
Takara! –
Tutti,
nella sala, interrompono
ogni mansione stessero svolgendo in quel momento per osservandomi con
gli occhi
sgranati. Passa qualche istante di attonito silenzio, mentre gli
astanti
elaborano la notizia. Soltanto Weiss, tuttavia, dà fiato ai
dubbi di molti.
-
Come lo sai? –, domanda
sospettoso.
-
L’ho visto. -, rispondo di
slancio, ostentando una decisione che non mi appartiene; poi, appena
noto,
l’espressione poco convinta del platinato, mi affretto ad
aggiungere, - So che
sembra assurdo, ma dovete credermi. So di non essere un Cetra, ma, in
qualche
modo, il Pianeta sembra riuscire a comunicare con me. E mi sta dicendo
che la
sua unica speranza di finire la guerra è appena caduta nelle
peggiori mani
possibili. –
Un
mormorio confuso attraversa la
sala e un tremendo senso d’inadeguatezza s’insinua
direttamente sottopelle,
mentre tutti mi giudicano.
È
una situazione che non mi sono
mai ritrovato ad affrontare. Normalmente, io sono considerato
l’eroe, quello a
cui credere e seguire verso la vittoria certa, ma… queste
persone … non mi
conoscono. Hanno vissuto in una bolla costruita su misura per
proteggerli dal
terribile mondo esterno. Un mondo che li disprezza e allontana. Vedove,
orfani,
cavie, veterani, malati. Nessuno li ha voluti, se non una giovane Dea
benevolente e gentile e il suo entourage di rivoluzionari.
Tuttavia,
da quando un totale
estraneo è giunto, parlando di guerra, mostri e Jenova;
tutte le fondamenta del
loro mondo sono svanite come nebbia soffiata via dal vento. Una nebbia
che gli
schermava da quel mondo che non li voleva, da cui stavano cercando
disperatamente riparo. Svanita, dissolta, scomparsa. Sono
pericolosamente
esposti.
Alcuni
iniziano a piangere. C’è
chi si lascia cadere a terra, annichilito. Altri vanno nel panico e
iniziano a
inveire contro qualunque persona loro ritengano responsabile. Certuni,
iniziano
a maledire addirittura Takara stessa, Genesis o loro stessi per essersi
fidati,
di essersi illusi per l’ennesima volta. Il mormorio si
trasforma rapidamente in
una baraonda di persone spaventate ed arrabbiate.
Reeve
cerca di calmarli, ma, a
quanto pare, non è mai stato ben visto da quella gente,
tant’è che alcuni gli
iniziano a lanciare oggetti addosso, inveendo contro di lui e i suoi
trascorsi
con la Shinra.
Dall’altro
canto, Weiss mi sta
letteralmente uccidendo con lo sguardo.
-
Stavamo bene nella nostra fortezza.
-, esordisce l’albino a denti stretti per frenare la rabbia,
- Takara si
prendeva cura di noi. Ci ha aiutato a riabilitare le nostre menti
devastate da
anni di soprusi. Avevamo un posto da chiamare
‘casÁ. –.
L’ex-Comandante
degli Tsviet si
avvicina minacciosamente verso di me, le mani chiuse così
strettamente in pugno
da ferirsi i palmi. Istintivamente, il mio corpo si prepara a scattare.
-
Maledetti SOLDIER… -, bisbiglia
tra i denti, furioso, - Maledetti voi e il vostro dannatissimo egoismo!
–
Come
preannunciato dal mio
istinto, l’albino scatta in avanti, estraendo una delle sue
spade. Io mi scosto
di lato, schivando l’affondo diretto verso il mio stomaco; ma
Weiss, con una
rapida ripresa, sferra un ridoppio velocissimo diretto verso le gambe,
che evito
con un salto. Lo Tsviet non demorde e continua ad assalirmi, nel vano
tentativo
di colpirmi. Per quanto veloce, mi riesce incredibilmente facile
leggere i suoi
movimenti e pianificare una concatenazione di schivate atte a mettermi
sempre
in una posizione di vantaggio. Un modo di combattere molto diverso dal
mio,
molto più istintivo, esplosivo, sporco. Questo è
pulito, pianificato, preciso.
Lo sforzo fisico è ridotto al minimo, il margine di errore
è millimetrico e
ogni mossa avversaria è prevista ad almeno tre movimenti di
distanza. È una
percezione incredibile, inumana. Capisco che Sephiroth sta manipolando
il mio
corpo, unendo la mia mente alla sua.
Mi
rendo conto di non aver mai
compreso la portata della sua maestria. E di quanto piano ci andasse
con me.
Realizzo
che, se avesse davvero
voluto, mi avrebbe ucciso migliaia di volte, senza troppe cerimonie.
Weiss
comincia a stancarsi,
notiamo.
È
ora di mettere fine a questo
teatrino.
Stronchiamo
la catena di attacchi
che l’albino aveva intenzione di vomitarci addosso,
penetrando la sua difesa
con un saettante avanzamento e un fulmineo colpo al pomo
d’Adamo. Deciso, ma
non fatale. Il respiro di Weiss viene a meno e rimane stordito per un
fatale
attimo. Attimo in cui gli leviamo la katana dalla mano e, con un
volteggio, ci
spostiamo dietro di lui ed estraiamo l’altra. Lo Tsviet cerca
di seguire i
nostri movimenti, ma non può altro che ritrovarsi due lame
taglienti minacciare
i lati del collo.
Di
nuovo, il silenzio cala nella
sala, sbigottito.
-
Noi non vogliamo combattere. –,
dichiaro, ignorando il significato di quel ‘noÍ.
Abbasso
lentamente le lame dal
collo di Weiss e le getto a terra. Il clangore dell’acciaio
taglia la pesante
cortina di silenzio in cui versiamo, facendo trasalire qualche persona.
-
SOLDIER. –, esordisco, indicando
me stesso.
Avanzo
verso Weiss, accostandomi a
lui, guardandolo severo.
-
Deepground. -, lo apostrofo,
sorpassandolo. M’insinuo tra la folla e, man mano che
proseguo, la gente si
discosta, aprendo un passaggio.
-
Umani. –, dico studiandoli con
lo sguardo uno ad uno.
Raggiungo
la vetrata e alzo il
viso verso la sommità, osservando il cielo plumbeo.
-
Cetra. -, sospiro con
malinconia.
Mi
volto e faccio scorrere il mio
sguardo lungo la folla attonita.
-
Jenova. -, appunto la mia
attenzione verso un angolo dismesso della stanza, da cui Sephiroth mi
sta
osservando.
Ci
fissiamo per un significativo
istante.
-
Queste etichette ci stanno
distruggendo… -, affermo affranto, - Io per primo mi sono
lasciato illudere da
esse. Per anni. -, faccio una pausa, alzando lo sguardo di nuovo verso
il
Generale –L’ho odiato così tanto,
Sephiroth. -, mi fermo per un istante e
l’Angelo dalla Sola Ala risponde alzando un lato della bocca,
in un sorriso
sghembo. Azione che mi trattengo dall’ imitare. Raddrizzo,
invece, la schiena,
e continuo il discorso con più enfasi, rivolgendomi a coloro
che sono veramente
qui.
-
Mi ha portato via tutto. La mia
famiglia, la mia casa, le mie radici. Mi ha elevato a un ruolo che non
ho mai
sentito come mio. -, mi passo la mano tra i capelli e sospiro afflitto,
- Io
non sono un eroe… -, dichiaro, infine, tra lo gli sguardi
perplessi e confusi
degli astanti. La mia attenzione viene automaticamente indirizzata
verso Tifa.
La mia amata mi rivolge uno sguardo afflitto, sofferente. Lo ignoro e
continuo,
- Volevo solo prendermi la mia vendetta. Per il resto, il Pianeta
poteva anche
bruciare per me. -, sospiro, - Ho sacrificato tutto per riuscire a
raggiungere
il mio scopo. Finché Lui era vivo, io avvertivo
l’impellente bisogno di
inseguirlo. Non volevo che rimanesse niente di Lui… NIENTE!
-, grido con
rabbia, stringendo i pugni così forte da quasi ferirmi.
L’impeto di furia mi
lascia senza fiato, mentre il senso di colpa diviene così
pesante da non
permettermi più di guardare la gente in faccia.
– Ma, io non avevo
capito niente. -, riprendo,
la voce ridotta a un soffio flebile, - Non avevo capito che
quell’uomo che
tanto odiavo, in realtà stava già soffrendo le
più terribili pene mai inflitte
ad un essere umano. -, mi mordo il labbro per trattenere un gemito,
mentre i
ricordi di Sephiroth mi passano davanti agli occhi. Non posso fare a
meno di
notare che il simbolo della Shinra insozza ogni singola memoria del
Generale.
-
Le mani luride di quella
Compagnia hanno macchiato ogni singolo aspetto della nostra vita. -,
proferisco, infine, alzando finalmente la testa con rinnovato vigore, -
Sephiroth
non era altro che uno dei tanti capri espiatori, dietro cui quei
bastardi si
sono nascosti per coprire i loro crimini. -, alzo il pugno ed inizio a
tenere
il conto di tutti coloro che nomino, - Deepground -, e indico Weiss, -
AVALANCHE. -, e sposto l’indice verso i miei compagni, -
SOLDIER. -, ed indico
alcuni commilitoni tra la folla, riconoscibili dal bagliore mako nei
loro
occhi, - Wutai. – ed alzo il dito verso Yuffie, - North
Corel. -, e segno
Barret, - Madri e padri che vorrebbero solo riavere i propri figli. -,
dichiaro, infine, abbassando il braccio e lasciandolo dondolare al mio
fianco,
mentre fisso Vincent con eloquenza. Il viso del pistolero viene
deformato per
un momento in un’espressione addolorata, mentre nella mia
testa riecheggia lontana
la voce disperata della dottoressa Crescent.
Give
him back! Give my son back!
[Restituiscimelo!
Restituiscimi mio figlio! Lucrecia Crescent [FFVII: DoC]
Stringo
i denti, ricacciando
indietro quel ricordo, e concludo: - Questa sofferenza deve finire e
finché
continueremo a combatterci a vicenda, la Shinra farà sempre
ciò che vorrà con
le nostre vite e con il NOSTRO Pianeta. –, prendo una pausa e
lascio che le mie
parole abbiano effetto, - Non importa come siamo ci siamo
arrivati… Noi siamo
nati in questo mondo. E la Shinra pagherà per averci portato
via i doni che il
Pianeta ci aveva destinato. –
Le
ultime parole sono uscite
cariche di rabbia e determinazione, lasciando gli astanti a corto di
fiato. Li
vedo guardarsi tra di loro con occhi furenti. Le parole sommesse
raggiungono il
mio udito potenziato e mi fanno capire che la loro sopportazione ha
raggiunto
un pericoloso limite.
Sì,
è arrivato il momento di
dire basta.
Da
mormorio, il disappunto si
trasforma piano piano in un boato di acclamazione.
Cerco
Sephiroth e lo vedo
sorridere compiaciuto.
Con
la coda nell’occhio, mi rendo
conto che Weiss mi sta raggiungendo. Ha recuperato le sue spade e spero
con
tutto il cuore che non abbia intenzione di vanificare tutto lo sforzo
fatto finora.
Si ferma a pochi passi da me e mi scruta da cima a fondo per poi
rivolgersi di
sottecchi verso l’angolo dismesso dove il Generale sta
sornionamente
appoggiato. Si rigira di nuovo verso di me, scrutandomi più
intensamente, per
poi lasciarsi andare uno sbuffo divertito.
-Il
grande Generale è con noi? –,
mi domanda.
-
Per sua figlia, sempre. -,
rispondo con decisione.
Il
Bianco annuisce, soddisfatto
della risposta, per poi girarsi verso la sua gente, alzando il pugno in
aria.
-
COMBATTEREMO!
PER TAKARA! PER IL PIANETA! –
-
Ti posso parlare? –
Tifa,
la quale se ne appoggiata
all’uscio della mia cabina, semi-nascosta dietro alla
paratia, mi osserva con
sguardo enigmatico. Io smetto di fare qualunque cosa stessi facendo
fino a poco
tempo fa e mi concentro completamente su di lei.
-
Vieni dentro. -, l’invito,
facendole un cenno con la mano, mentre mi siedo sul margine del letto,
rivolto
verso l’uscita.
La
vedo esitare, scostandosi
appena dalla paratia e lanciare occhiate spaventate verso ogni angolo
della
stanza.
-
Lui è qui? -, mi chiede con una
punta di paura nella voce.
Io
non posso fare a meno di
rivolgere la mia attenzione verso Sephiroth, appoggiato comodamente
alla
paratia dall’altra parte della cabina.
-Ovviamente.
-, rispondo con
ironia.
-
Mandalo via, per favore. -,
ribatte Tifa con decisione, osservando con aria torva
quell’angolo.
L’Angelo
da una Sola Ala sorride
sghembo e indietreggia, andando ad affondare nella paratia, scomparendo
all’esterno.
-
Se ne è andato. -, confermo.
La
pugile ancora tituba,
umettandosi le labbra, senza togliere quegli occhioni verso quel punto
vuoto.
Dopodiché, sospira, prende coraggio e fa un passo
all’interno della stanza. La
vedo nervosa, mentre si chiude la porta alle spalle. Mi aspettavo che
si venisse
a sedere accanto a me, ma noto che la sua postura è rigida e
fatica a guardarmi
negli occhi.
-
Tifa. Che succede? -, chiedo,
innocentemente, piegandomi verso di lei.
Lei
finalmente mi guarda, ma lo
sguardo che vedo è tutt’altro che rassicurante.
Sembra quasi perforami da
quanto è tagliente e furioso, quello sguardo.
-
Cloud. -, esordisce con la voce
resa roca da una sensazione che non riesco a decifrare, - Io non ci
riesco. –
Confuso,
piego la testa di lato.
-
Non riesci a fare che cosa? –,
chiedo.
Inaspettatamente,
gli occhi di
Tifa si accendono di rabbia funesta.
-DAVVERO?!
SEI COSÍ CONCETRATO AD
ASSECONDARE QUEL MOSTRO CHE NON TI RENDI NEMMENO CONTO DI QUELLO CHE
STA
SUCCEDENDO A COLORO CHE AMI?! –
Lo
sbotto della mia ragazza mi
lascia basito.
-
Credevo che voi aveste accettato
questa situazione. -, rispondo automaticamente con un filo di voce.
-
NO, CLOUD! IO NO! –
-
È un problema solo tuo, dunque?
–
-
NO! CIOÈ… SÍ… NON LO SO! -,
si
ferma un momento, visibilmente confusa, ma poi sbotta, tornando alla
carica, -
CHISSENEFREGA! IO NON POSSO VEDERTI COSÍ. NON CI RIESCO!
–
Io
continuo non capire e mi fa
male non poter comprendere cosa cerchi di dirmi la mia ragazza.
-
Vedermi come? –
-
NON SEI PIÚ TU, CLOUD! -,
afferma, infine, guardandomi finalmente negli occhi.
Apro
la bocca, stupito.
Completamente senza parole, la osservo annichilito, mentre un pianto
disperato
inizia a bagnarle il visto, spaccandomi il cuore direttamente a
metà.
-Il
mio Cloud non si espone così
al centro dell’attenzione. -, esordisce con la voce rotta, -
Non fa i grandi
discorsi motivazionali. Agisce e basta, senza coinvolgere
nessun’altro. –
Scuoto
la testa e l’abbasso,
sconsolato.
-
Quel mostro ti sta manipolando
di nuovo, Cloud! -, Tifa continua imperterrita, sempre più
disperata, - Quel
che è peggio, non te ne stai nemmeno rendendo conto.
–
-Non
è così. -, rispondo flebile.
-
AH NO?! –
- No. –, diniego con voce ferma e
perentoria.
Tutta la furia della mia ragazza si
spegne appena incrocia la mia espressione serissima e determinata. Di
contro, i
suoi occhi si sono sgranati dalla sorpresa e, con dolore ammetto, dalla
paura.
Sospiro, interrompendo il contatto visivo, col cuore sempre
più stretto. Mi
passo le mani sul viso. Queste vengono fatte scorrere tra i capelli,
fino alla
nuca. Nel frattempo, la testa continua a scendere, poco sopra la linea
delle
ginocchia, luogo dove i miei gomiti si sono appoggiati.
Sono prostrato, stanco. Questa storia
ha messo a dura prova i miei limiti di sopportazione al dolore e alla
solitudine.
Perché non capiscono?
Perché è così
difficile fidarsi degli
altri?
Perché non ci è consentito
cambiare?
Ora
capisci come mi sono sentito per tutta la vita...
Mi scuoto appena, sorpreso.
Ma non te ne eri andato?
Non puoi
scappare dalla tua mente, Cloud.
Il dubbio che Tifa abbia ragione
s’insinua rapidamente sottopelle.
Come
volevasi dimostrare. Per quanto tu lo non dia a vedere, ancora fai
fatica a
fidarti di me. Ma lo comprendo. Anzi, diciamo pure che lo accettato da
tempo.
La mia espressione si fa più
determinata. Un moto di rabbia stringe le ciocche dei capelli con
più veemenza,
come volendomi punire per aver ceduto alla debolezza.
No. Sono stanco di combatterti
anch’io, cosa credi? Questa è la mia occasione di
eradicarti dalla mia testa
per sempre. Non me la farò di certo scappare!
Esco dalla mia fortezza e incrocio
nuovamente le iridi gradi e meravigliose di Tifa. Assumo
un’espressione
afflitta.
- Io lo capisco, Tifa. -, esordisco
con voce flebile, stanca, arresa, - Capisco che per te non sia facile
accettare
che l’uomo che ami si stia tramutando nell’uomo che
più odi sulla faccia del Pianeta.
Nemmeno per me lo è stato all’inizio. Ci ho
lottato contro con tutte le mie
forze e per poco non ci morivo. -, il mio sguardo si fa eloquente e la
mia
ragazza abbassa lo sguardo lucido, mordendosi il labbro per trattenere
il
gemito, -Ma, bisogna guardare in faccia alla realtà. Per
quanto sia
inaccettabile, Sephiroth è e sarà sempre parte di
me. È anche grazie a lui che
sono diventato la persona che sono adesso. Nel bene e nel male, lui mi
ha
aiutato a comprendere una delle più importanti
verità della mia vita.
Un’evidenza che ho sempre, testardamente dato per scontata.
-, mi alzo e la
raggiungo, posandole le mani sulle sue, lasciate pendere ai fianchi.
Al contatto, lei non reagisce, ma
nemmeno rifugge la vicinanza. La osservo in silenzio per un lungo
attimo. Lei
non osa alzare gli occhi verso i miei.
- Io non posso andare avanti senza la
mia forza. –, faccio una pausa, - Quella forza sei
tu… Lo sei sempre stata. -,
proferisco, bisbigliando.
Vedo la sua bocca, morbidamente
aprirsi, adorabilmente m’invita. Vorrei baciarla con tutte le
mie forze. Il
desiderio diventa impellente, appena lei, finalmente, mi guarda.
Avverto le mie mani venire avvolte in
una dolce, disperata stretta, mentre quegli occhi da cerbiatta
s’inumidiscono
di nuovo. Sorrido benevolo, restituendole tutto l’amore che
provo nei suoi
confronti con lo sguardo. Tifa cede e mi sorride di rimando.
Lascia andare le mie mani e avvolge le
braccia attorno al mio collo. Io la imito, fasciandola tra le mie
braccia.
Assaporiamo il calore che trapassa i nostri corpi per qualche istante,
quando,
ad un certo punto, lei mi sussurra:
- Devo ammettere che mi piace il modo
in cui Sephiroth ti abbia reso un po’ più
gentiluomo. –
Ridacchiamo e ci guardiamo nuovamente,
ricolmi di amore.
Ci baciamo.
Sì, sono
pronto.
Sephiroth sorride soddisfatto.
Si gira alle sue spalle e il grande
cancello si eleva prepotente dinnanzi a sé.
Dall’altra parte, in quell’aldilà
distopico e crudele, sua moglie lo attende.
Con determinazione, il grande Generale
osserva il suo prossimo e ultimo obiettivo.
- Questa volta sarà diverso…
Che
l’Inferno cominci a tremare… -
Salve
a tutti! Finalmente, I’m
back! Sti capitoli finali sono una sofferenza sia per me, che me li
devo
scrivere, che per voi, a causa della lentezza con cui aggiorno.
Purtroppo, il
lavoro mi porta via ogni energia e ogni volontà di scrivere.
Mi sono dovuta
praticamente imporre di andare avanti. Questo capitolo era
lì che mi guardava
da un sacco di tempo O.O. Inoltre, sono riuscita a trovare un sacco di
musiche
che mi hanno aiutato a scriverlo (grazie AoT per questo, soprattutto
per la
parte finale! XD).
Che
dire, è un capitolo di
preparazione al battaglione finale, fatto per resettare ed appianare le
ultime
divergenze tra i personaggi (quanto è anime sta cosa ^.^).
Io spero che le
immagini che ho creato nella mia mente vengano fuori dalla mia
scrittura. Mi
sono particolarmente impegnata a descrivere ogni gesto, ogni
espressione. Questo
è un capitolo che deve conferire un certo pathos, quindi
niente deve essere
lasciato al caso. Vi assicuro che il prossimo sarà un
po’ più d’azione, sempre
che non parto in bolla.
Cmq,
riguardo la storia.
Sephiroth è diventato una presenza più concreta
andando in giro come un
avvoltoio attorno a Cloud. Tuttavia, non è una presenza
malevola, anzi,
sostiene il nostro chocobino nei momenti più complessi,
aiutandolo a infondere
fiducia negli altri, prestandogli quella capacità
dialettica, quel carisma da
grande condottiero, quale il nostro amato Generale possiede in
quantità
industriali. Un rapporto di reciproco rispetto e complicità
si è creato fra i
due, portandoli inevitabilmente a realizzare di essere essenziali
l’uno per
l’altro. Come ormai è chiaro, Cloud è
l’ultimo legame che Sephiroth ha col
mondo dell’aldiqua.
Un
legame che il Generale sarà
pronto a recidere non appena la sua famiglia potrà dirsi al
sicuro.
Ma,
Cloud, dopo aver provato
l’ebrezza di essere il Grande Sephiroth…
riuscirà a lasciarlo andare?
A
presto!
Besos!