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Autore: platinum_rail    20/01/2021    3 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'imperfezione di un Eroe


Più tempo passava nel Tartaro, più Percy si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere.
Persino con il dono dell’invincibilità sapeva che la sua vita era appesa ad un filo pronto a spezzarsi.
Bob li aveva guidati attraverso gli stretti passaggi che serpeggiavano tra le montagne, in mezzo alle frane di roccia nera e lungo i letti prosciugati dei fiumi. Ma nonostante i torrenti lì sembrassero scomparsi, Percy percepiva la terra pulsare d’acqua sotto ai suoi piedi come se lì scorresse sangue vivo.
Più avanzava, più quell’idea gli dava alla testa.
Annabeth lo aveva guardato di sottecchi, e doveva aver notato la sua espressione.
-Tutto a posto? – gli aveva chiesto.
Percy l’aveva osservata per un’istante, prima di rispondere.
-Sento dell’acqua scorrere sotto alla terra, la sento pulsare ritmicamente. È come se fosse…–
Bob si era girato a guardarli, e aveva annuito al ragazzo con occhi indecifrabili.
-Sangue. – concluse al suo posto il Titano. -Questo posto è la manifestazione di Tartaro. L’abisso è la sua incarnazione, la terra è la sua carne e i fiumi sono il suo sangue.–
Percy rabbrividì al pensiero, e l’ansia gli attanagliò improvvisamente le membra.
Significava che loro stavano avanzando su un corpo vivo che era in grado di percepirli, erano come una malattia che stava tentando di sopravvivere nel corpo febbricitante di un uomo.
Continuarono a camminare, e a Percy sembrarono passare giorni.
Ma come poteva dirlo.
Laggiù il sole non c’era, non esistevano il giorno o la notte e le stelle non brillavano.
C’era solo la penombra costante creata dalla sinistra e tenue luce sanguigna che delineava i contorni affilati del paesaggio.
-Siamo quasi arrivati. – disse poi Bob, spezzando il silenzio.
Annabeth aggrottò le sopracciglia: -Alle Porte della Morte? –
-No, no. – rispose il Titano. -Arriviamo in un posto sicuro. I semidei devono riposare. –
Percy ed Annabeth si scambiarono uno sguardo speranzoso seppur incerto, ma continuarono ad avanzare.
E poi, davanti a loro, a poco a poco si stagliarono i contorni di un tempio.
Un tempio caduto e dimenticato, che sulla facciata riportava però scolpito nella pietra un caduceo. Il simbolo di Ermes.
-Un tempio di Ermes?! – chiese Percy bloccandosi sul posto dall’incredulità.
Bob sorrise: -È caduto qui quando… no non me lo ricordo. Ma qui i mostri non si avvicinano, saremo al sicuro. –
Percy era così sorpreso che ci mise un attimo a riscuotersi e a seguire Annabeth e Bob all’interno.
Quando entrarono, Percy si ritrovò in una piccola sala dai muri crepati e le piastrelle divelte, ma il suo sguardo venne immediatamente catturato dall’altare che si stagliava in mezzo al pavimento.
Il figlio di Poseidone sentì lo stomaco stringerglisi in una morsa alla vista del cibo.
-Quello è cibo. – sibilò con un filo di voce, e quando guardò Annabeth vide che anche lei aveva gli occhi spalancati e dilatati fissi sull’altare.
Percy era estasiato.
Le offerte che giacevano sul piedistallo di pietra, un piccolo ma invitante assortimento di pietanze, emanavano un profumo così forte da fargli venire le vertigini.
Non mangiava da solo gli dei sapevano quando.
-Questo è cibo vero. – mormorò di nuovo, esaltato dalla fame.
I suoi occhi brillarono, un sorriso famelico gli attraversò il volto.
Annabeth annuì al suo fianco, avvicinandosi all’altare senza mai distogliere gli occhi dal cibo. -Queste sono le offerte per Ermes. Forse… -
Percy raggiunse in poche falcate il mucchietto di offerte, e le analizzò con crescente stupore.
C’era un pacchetto di M&M’s alle arachidi, un intero piatto di roastbeef, un grappolo d’uva e del formaggio morbido, una fetta di torta al cioccolato e due fette di pizza con l’ananas.
Osservando il cibo, realizzò una cosa che gli fece mancare un battito al cuore.
-Annabeth, questa è la pizza che Connor mangia tutti i venerdì. E la torta, la mangia Clarisse prima delle partite di Caccia alla Bandiera. – fu la prima cosa che riuscì a dire.
La ragazza annuì a bocca aperta: -E questi M&M’s sono i preferiti di Travis. –
E Percy sentì la malinconia stringergli dolorosamente le viscere.
-Questo cibo viene da casa. – concluse la figlia di Atena con un filo di voce.
Bob si sporse alle loro spalle, e Percy giurò di non averlo mai visto sorridere così tanto.
- M&M’s per Bob! – strepitò con gli occhi che brillavano, e Percy non riuscì a non ridere.
Il Titano lo guardò per un secondo con incertezza: -Ehm… va bene per voi? –
Percy sorrise, porgendogli il pacchetto: -Certo ragazzone. -
Annabeth ridacchiò: -A te invece Percy tocca la pizza all’ananas. Credi che sopravvivrai? –
Il ragazzo la guardò di sottecchi quasi con ammonimento, ma stava sorridendo.
-Questa è la prima e ultima volta che la mangerò. E non cambierò idea, quella pizza è un abominio. –
La ragazza rise prima che si gettassero sul cibo, e Percy si sentì felice per pochi istanti.
E quando Annabeth aveva ipotizzato di poter mandare un messaggio al Campo attraverso quell’altare, si sentì animato da un’euforia improvvisa.
Aveva raccattato un tovagliolo, e usando Vortice in formato penna aveva scritto insieme ad Annabeth un breve messaggio per Rachel.
Le stavano chiedendo molto, lo sapevano entrambi. Ma lei era forse l’unica a poter parlare con i romani ed evitare una catastrofe.
Il ragazzo ghignò, concludendo il messaggio:
 
Datelo a Rachel. Connor, smettila di mangiare quella porcheria di pizza all’ananas.
Con affetto,
Percy e Annabeth.

 
Percy disse poi alla ragazza di dormire ora che avevano qualche ora di sosta.
Annabeth lo pregò di svegliarla per il suo turno di guardia.
Ovviamente, Percy non lo fece. Da un lato perché voleva che la ragazza riposasse ora che poteva farlo. Ma dall’altro, era perché anche se avesse voluto non sarebbe riuscito a dormire.
Nel silenzio del tempio, nell’improvvisa calma tra di loro, realizzò quanto il suo corpo fosse in sovraccarico.
Percepiva costantemente il pericolo intorno a sé e non riusciva ad ignorarlo.
Ormai, era entrato in uno stato di ipervigilanza che impediva al suo corpo di rilassarsi.
Lui non avrebbe mai abbassato la guardia, e non avrebbe mai chiuso gli occhi, perché sapeva che dietro ad ogni ombra si celava un mostro pronto a saltare fuori per ucciderli.
Per questo rimase per tutto il tempo al fianco di Annabeth, senza mai allentare la presa sulla spada, mantenendo ogni fibra del suo corpo in tensione, pronto a scattare come una molla.
Rimase così per ore, con gli occhi perennemente spalancati nella penombra dell'abisso, sobbalzando al minimo rumore.
E si rese conto di una cosa.
Nemmeno l’invincibilità lo avrebbe salvato.
 
Quando Annabeth si sentì scuotere delicatamente la spalla si svegliò con un sussulto.
I suoi occhi ci misero qualche istante ad abituarsi alla penombra, ma riuscì a distinguere il viso di Percy, chinato su di lei con un debole sorriso dipinto sulle labbra.
Lei sorrise di rimando, sbattendo le ciglia più volte nel tentativo di mettere a fuoco il viso del ragazzo.
E quando lo fece, scattò a sedere con la bocca spalancata.
-Percy?! – fu tutto ciò che riuscì ad esclamare mentre lo osservava inorridita.
Il figlio di Poseidone era in condizioni pietose.
La mano con cui l’aveva gentilmente svegliata tremava sulla sua spalla, mentre l’altra era stretta intorno all’elsa di Vortice in una morsa d’acciaio tale da sbiancargli le nocche. Aveva gli occhi iniettati di sangue, le occhiaie gonfie e arrossate, ed era pallido come un cadavere.
-Percy… - ripetè, stavolta in un mormorio. -Dovresti davvero… -
-Dobbiamo andare Annabeth. – rispose lui.
Lei sgranò gli occhi, i suoi occhi d’argento scintillarono rabbiosi.
-Non mi hai svegliata per il turno di guardia?! –
E tutto ciò che Percy fece fu sorridere lievemente, abbassando lo sguardo.
Non aveva ancora allentato la presa sulla spada.
-Volevo che riposassi. Io sto… -
-Percy ma ti sei visto in faccia in questo momento?! – lo interruppe. -Guarda che la gente muore per queste… -
-Sto bene Sapientona. – la fermò Percy, alzandosi in piedi. -Ma ora dobbiamo andarcene. Non è più sicuro restare qui. -
Le tese una mano, che Annabeth occhieggiò con aria torva.
Ma per quanto fosse furiosa con il suo ragazzo, sapeva che aveva ragione.
Per questo afferrò la mano di Percy, lasciando che la aiutasse ad alzarsi prima di raggiungere Bob.
E il loro viaggio continuò.
Il Titano li guidò attraverso una stretta vallata che sorgeva tra due montagne, e dopo quelle che ad Annabeth parvero ore si ritrovarono ad avanzare in mezzo ad una fitta coltre di nebbia rossa come sangue, tanto che Annabeth fece fatica a riconoscere la sagoma di Bob ad appena un metro davanti a loro.
-Sai quanto manca? – gli chiese ad un certo punto la ragazza.
Bob sembrò corrucciato: -Dobbiamo camminare finché non diventa più buio. Poi dovremo girare di lato. –
Annabeth lo guardò in silenzio per qualche secondo sperando che aggiungesse qualcosa, prima di rassegnarsi e annuire.
-Ah… ok. – rispose, il fiato corto.
Nonostante stessero solamente camminando, le sembrava di star correndo una maratona da quanto le mancava il fiato.
Ma non era quella la cosa più preoccupante.
Percy, che avanzava al suo fianco nella nebbia stringendole la mano, continuava a guardarsi intorno e specialmente alle spalle, con gli occhi che analizzavano maniacalmente ogni particolare intorno a loro.
-Ehi, Percy. – lo chiamò, e lui mantenne l’attenzione su di lei per una frazione di secondo, prima che il suo sguardo scattasse di nuovo a destra, a sinistra, davanti a loro, oltre la sua spalla.
Annabeth sentì l’ansia attanagliarle il cuore.
Perché anche se Percy era sempre stato più iperattivo di molti altri semidei, in quel momento la sua agitazione non era normale. Un sospetto si fece strada nella mente della ragazza, ma lei non disse nulla.
-Percy è tutto a posto. – cercò di rassicurarlo Annabeth.
Il ragazzo in risposta annuì, ma non si fermò nemmeno a guardarla. Continuava ad avanzare meccanicamente, lo sguardo che saettava da una parte all’altra senza tregua.
La ragazza strinse quindi la presa sulla sua mano.
-Ehi. – lo richiamò. -Ti ricordi quella volta che tu e Grover avete cercato di rubare il furgone di Argo? –
Fu come un incantesimo.
Gli occhi del figlio di Poseidone si bloccarono improvvisamente e le sue pupille si dilatarono, prima che lui puntasse lo sguardo su di lei. Annabeth si sentì sciogliere alla vista del sorriso fantasma che si estese sulle labbra del ragazzo.
-Non avevamo le chiavi. Abbiamo rischiato di farlo esplodere.  –
Annabeth rise: -Vi siete messi a correre per il Campo con i capelli sparati da tutte le parti, Grover aveva i peli delle zampe bruciacchiati. – lo prese in giro.
Percy mantenne il suo sguardo sempre più divertito su di lei.
-Non prenderci in giro Sapientona, che tu pur di vincere la gara a chi arrivava per primo all’Arena mi hai spinto giù dalle scale della mensa. –
Annabeth spalancò gli occhi dall’indignazione, nonostante stesse ridendo.
-Avevamo nove anni! E tu non mi hai parlato per una settimana! –
-Me lo ricordo benissimo Annie. – le rispose il ragazzo. -Eri una tale bulla. –
E lei lo guardò con finta rabbia e le guance lievemente gonfie nel tentativo di trattenere le risate.
-Anche tu eri un bullo. – ribatté lei. -Ti ricordi quando a quattordici anni tu, Connor e Travis avete sabotato la biga di Clarisse pur di vincere la corsa? –
Percy stavolta rise apertamente: -Ma certo! Però alla fine ha comunque vinto Beckendorf. Me lo aspettavo, ma gli volevo troppo bene per fargli una cosa simile. –
E Annabeth non riuscì a rispondere.
Perché non appena il ragazzo aveva nominato Beckendorf, lei aveva visto i suoi occhi rabbuiarsi e il suo sorriso inasprirsi. Parlare di Beckendorf era sempre complicato.
Il figlio di Efesto era stato per Percy un carissimo amico, una persona che c’era sempre stata quando il figlio di Poseidone aveva cercato consiglio, conforto o solo compagnia.
E Annabeth sapeva che Percy si incolpava ogni giorno per la sua morte.
Ricordava perfettamente il giorno in cui Percy era arrivato al Campo dalla missione per distruggere la Principessa Andromeda, la missione dalla quale Beckendorf non era mai tornato. Il figlio di Poseidone aveva cercato di mostrarsi forte di fronte a tutti, di essere il leader di cui avevano bisogno in un periodo così difficile.
Ma Annabeth ricordava come il ragazzo si fosse spezzato nel vedere Silena corrergli incontro, nel sentirla chiedergli dove fosse Beckendorf.
Era stata una delle poche volte che lo aveva visto piangere.
-Scusa. – disse Percy, rompendo il silenzio. -Non volevo intristirti. –
Annabeth lo guardò dritto negli occhi, facendo scivolare la mano lungo il suo braccio e stringendogli delicatamente la spalla.
-Non preoccuparti. – mormorò.
Percy annuì, ricambiando il suo sguardo ma continuando a camminare.
-Mi manca casa. – aggiunse in sussurro.
Annabeth sorrise amaramente: -Anche a me. -
La figlia di Atena fece per stringergli la mano in un gesto di conforto, ma Bob si bloccò improvvisamente di fronte a loro.
Percy si tese come una corda di violino prima di estrasse la spada, e il suo sguardo tornò follemente attento.
-Che succede? – chiese Annabeth allarmata, e sentì Bob annusare l’aria.
-Non bene. – rispose il Titano, e sembrava agitato.
La ragazza fece per incoraggiarlo a rispondere, ma Percy la precedette.
-Non li senti? – esalò lui. -Siamo circondati. –
Annabeth si tese, guardandosi intorno freneticamente ma non senza riuscire a vedere nulla.
Poi, una risata riecheggiò intorno a loro.
La ragazza si voltò si scatto, e alzò lo sguardo.
La nebbia si dissipò abbastanza da rivelare dei rami contorti che si stagliavano sopra di loro, ma la foschia intorno a loro rimaneva così densa da nasconderne i tronchi.
E appollaiate sui rami neri e senza foglie, c’erano delle creature simili a Furie dagli occhi rossi e le bocce tese in ghigni che scoprivano le zanne bianche e acuminate.
“Che piacevole sorpresa” sibilarono all’unisono.
Annabeth era pietrificata.
-Cosa siete? – chiese Annabeth, tentando di mantenere la calma.
Un tentativo vano, comunque.
“Noi siamo le Arai. Gli spiriti delle maledizioni. “
Annabeth si voltò a guardare Bob, e lo vide dietro di loro con la scopa alzata pronto ad attaccare.
Il Titano le rivolse uno sguardo illeggibile.
E quando Annabeth guardò Percy al suo fianco, lo vide osservare le creature con ferocia.
-Cosa volete? – ringhiò il ragazzo.
Le arai risero ancora: “Oh, Percy Jackson. Noi serviamo gli sconfitti, coloro che sono morti esprimendo un ultimo desiderio di vendetta. E voi, avete sulle spalle tanta morte.”
Il ragazzo alzò la spada in un gesto intimidatorio, ma Annabeth gli strinse improvvisamente il braccio.
-Percy, non toccarle. – riuscì a dire.
Il ragazzo la guardò incerto per un istante: -In che… -
“La ragazza è sveglia. Sa che per ognuna di noi che ucciderai…” risposero i demoni. “…una maledizione ti verrà inflitta. Vogliamo incominciare, assassini?”
Percy si voltò verso Bob per un secondo, e poi guardò Annabeth.
La ragazza gli annuì nonostante fosse terrorizzata.
E loro corsero.
 
Percy era stanco oltre ogni limite.
Ma gli era bastato scambiarsi uno sguardo con Bob ed Annabeth, per scattare seguendo il Titano.
Immediatamente sentì quelle creature demoniache sibilare con sdegno dietro di loro, e le percepì anche innalzarsi in volo.
Ma lui si costrinse a correre.
Per un attimo gli sembrò di essere di nuovo bambino, quando passava le sue giornate a correre per le strade di Manhattan con qualche creatura demoniaca alle calcagna.
La prima volta che un mostro lo aveva trovato, Percy aveva tentato disperatamente di chiedere aiuto. Era in mezzo ad un marciapiede affollato, ed era stato inseguito da un segugio infernale.
Stava piangendo, e aveva pregato una donna di aiutarlo, di salvarlo da quel mostro.
Ma Percy presto smise di supplicarla e dovette correre, perché la donna non poteva vedere il mostro e non poteva aiutarlo.
Nessuno vedeva mai quello che lui vedeva.
Per mesi aveva continuato scappare, facendosi strada a spintoni tra le persone che camminavano sui marciapiedi, sentendoli gridare dietro di lui e vedendoli voltarsi per capire da cosa fuggisse.
Ma neanche allora nessuno vide nulla. Nessuno lo aiutò.
E in quel momento, nel Tartaro, Percy si sentì di nuovo impotente, bloccato in un luogo ostile e dove nessuno li avrebbe salvati se non loro stessi.
Percy venne distratto dai suoi pensieri quando notò che più avanzava, più il calava il buio.
-Percy, Annabeth, a destra! – sentì urlare da Bob, e per qualche motivo il ragazzo sentì la voce del Titano venire da dietro di loro.
Ma comunque, il ragazzo strinse il braccio di Annabeth e la guidò a destra, senza mai smettere di correre.
Ora che avevano cambiato direzione, il buio non sembrava così assoluto.
La luce vermiglia dell’abisso incominciò di nuovo a definire i contorni delle pietre, delle montagne.
E dell’enorme faglia davanti a loro.
-Annabeth! – urlò tentando di avvertirla.
Percy si arrestò di colpo, stringendo la ragazza a sé in una stretta di acciaio bloccando bruscamente la loro corsa.
Un altro passo, e sarebbero finiti giù dal dirupo.
Percy guardò preoccupato la figlia di Atena stretta al suo petto, ma lei lo rassicurò con un cenno.
Il figlio di Poseidone volse allora il suo sguardo di fronte a sé e guardò giù, ma non vide altro se non il buio più assoluto.
Erano sul ciglio di una faglia enorme, abbastanza perché lui non ne vedesse la sponda opposta, che si estendeva a perdita d’occhio sia a destra che a sinistra.
-Per un pelo… - mormorò lui.
-Dov’è Bob? – chiese però Annabeth.
Percy fece per rispondere, ma non ne ebbe occasione.
Il suo sguardo si puntò alle loro spalle, e spalancò gli occhi dall’orrore vedendo l’orda di arai che stavano volando verso di loro.
Percy si preparò ad attaccare, spingendo Annabeth alle sue spalle.
-Morite vecchiette! –
Bob spuntò da dietro lo stormo di demoni, brandendo la scopa e colpendole con forza tale da disintegrarle sul posto.
Percy lo vide farsi facilmente strada in mezzo allo stormo, correndo verso di loro arrivando a fermarsi al loro fianco.
Aveva il fiatone, eppure stava bene.
La sua scopa aveva decimato le arai, ma da oltre la boscaglia di alberi scheletrici ne comparvero altre.
Molte altre.
-Bob stai bene? – chiese Percy rivolto al Titano.
Bob annuì sorridendo: -Niente maledizioni per Bob! –
Percy sentì le arai sibilare con sdegno.
“Certo che sta bene” dissero “Il Titano è lui stesso uno sconfitto! Tu lo hai privato dei suoi ricordi e della sua identità, perché mai dovremmo infierirgli ancora più dolore?”
Percy si paralizzò sul posto.
Si voltò a guardare Bob con lentezza estenuante, temendo lo sguardo del Titano.
E infatti, quando i suoi occhi si posarono su di lui, vide che le sue iridi argentate erano diventate fredde come ghiaccio.
-Bob… -
-Sei stato tu? – chiese il Titano, guardandolo dritto in faccia. -La mia memoria… -
“Sì!” risposero le arai “Il figlio di Poseidone non conosce pietà! Ti ha sconfitto e umiliato privandoti del tuo nome e del tuo titolo!”
Percy sentiva di poter svenire.
-Bob noi eravamo nemici. - mormorò. -E quando ti ho sconfitto, io non volevo ucciderti. Volevo darti la possibilità di vivere al sicuro. –
“Lasciandoti solo negli Inferi!” urlarono “Lasciandoti nelle mani di un dio subdolo e sciocco come Ade! La sua non era pietà!”
-Bob, ho sbagliato a lasciarti là. – disse il ragazzo. -Ma non sapevo cosa fare, prima di allora non avevo mai...-
Non riuscì a continuare. La realtà lo colpì come uno schiaffo.
Lui non aveva mai risparmiato un suo nemico.
Non aveva mai perdonato nessuno dei suoi opponenti.
Le arai risero con cattiveria, e Percy si voltò a guardarle.
Si gettarono su di lui ed Annabeth.
E Bob stavolta non le fermò.
 
Accadde tutto troppo velocemente.
Le arai attaccarono, e Percy non aveva idea di cosa fare. Per questo agì d’istinto, impulsivamente.
Quando la prima arai lo raggiunse, lui fece saettare la spada e il demone scomparve in una nuvola di polvere.
Non successe nulla.
Le altre arai sibilarono, fermandosi di fronte a lui.
“Sei già stato maledetto dallo Stige” dissero sprezzanti. “La tua ora non è ancora giunta. Non possiamo maledire qualcuno che è già stato condannato.”
Percy non fu sollevato come avrebbe voluti. Perché anche se loro non potevano maledire lui, potevano farlo con Annabeth.
E come se gli avessero letto nel pensiero, le arai risero.
“Ma c’è sempre lei, la figlia di Atena. Un’altra assassina, un’altra guerriera che ha sterminato senza scrupoli migliaia di creature.”
-Annabeth scappa. – mormorò Percy, lo sguardo puntato sulle creature.
-Tu sei pazzo, io non ti lascio. -
-Scappa Annabeth! –
Ma era troppo tardi.
Le arai si gettarono su di loro, e Percy attaccò senza frenarsi.
La sua spada disintegrava i demoni con facilità inebriante, e il ragazzo fece avanti in mezzo allo stormo di arai seminando morte e distruzione.
Ma durò pochi istanti.
Perché lui non poteva riuscire a bloccare tutte le arai, e alcune di loro si gettarono su Annabeth. Percy si voltò per cercare di fermarle, e fu allora che i suoi occhi si illuminarono dall’orrore.
-Annabeth no! – urlò, scattando verso di lei.
Aveva visto Annabeth raccogliere velocemente una scheggia di ossidiana da terra, aveva visto l’arai che si era gettata contro di lei con gli artigli d’osso sguainati, e aveva osservato la sua ragazza piantare il vetro tra le ali del demone pur di difendersi.
Percy sentì un brivido freddo come la morte attraversagli le vertebre.
E Annabeth urlò, lasciando cadere il frammento di ossidiana a terra e portandosi le mani agli occhi.
-Non ci vedo! –
Percy la raggiunse, stringendole immediatamente la mano: -Ti proteggo io. -
Annabeth alzò gli occhi su di lui, e Percy boccheggiò: le iridi della ragazza erano diventate vitree e lattiginose.
“Polifemo…” mormorarono le arai “Lo hai ingannato con la tua invisibilità. E ora, come lui, tu non vedrai chi ti attaccherà.”
La ragazza era nel panico, e gli strinse le braccia con tanta forza da fargli male guardandolo con i suoi occhi spalancati dal terrore.
E poi, un’altra arai si gettò su di lei.
Percy non fece in tempo a reagire.
Annabeth sentì il frusciare delle ali del demone, e per istinto, resa folle dalla cecità, la colpì col braccio cercando di scacciarla via. La creatura venne sbattuta a terra svanendo nella polvere.
E Percy lo vide succedere quasi al rallentatore.
Gli occhi vitrei della figlia di Atena si riempirono lentamente di lacrime, e l’espressione di terrore scomparve.
Incominciò a piangere incontrollabilmente.
-Percy… - mormorò lei, la voce distrutta dai singhiozzi.
Lui provò a dire qualcosa, ma aveva la gola serrata.
-Perché non riesci a vederlo? – disse la ragazza in tono accusatorio.
Il ragazzo la guardò orripilato.
-Annie cosa… -
-Perché non mi ami?! – pianse la ragazza scostandosi da lui. -Perché devi farmi soffrire così…-
Il modo in cui lo guardava gli fece male.
-Ma io ti amo Annabeth! Lo sai, Annabeth ti prego… - la implorò avvicinandosi a lei.
Ma lei lo spinse via bruscamente, arretrando piangendo.
-Stammi lontano! Perché continui a volermi stare accanto, se non potrai mai amarmi? Perché sei così pronto a fare qualunque cosa per me, ma non ad amarmi?! Non posso restare con te, non posso sopportare di vederti insieme a lei! –
Percy era pietrificato.
E le arai risero: “Tu ami lei. Ma non chi le ha lanciato questa maledizione…”
Percy guardò la ragazza, e vide nel suo sguardo la gelosia, il dolore, la frustrazione di un amore non ricambiato.
Era stata Reyna? O forse Rachel? Persino Calipso avrebbe potuto farlo.
“Ti sbagli.” dissero le donne intorno a lui con odio. “Esiste qualcuno che ti ama più di ogni altra cosa, qualcuno che per tutti questi anni è rimasto solo pur di non dover patire della vista di te con lei. Lui ha desiderato che la figlia di Atena soffrisse quanto lui ogni volta che la vedeva insieme a te, ogni volta che l’ha vista avere tutto ciò che lui avrebbe voluto.”
E lui capì di chi parlassero.
Qualcuno che lui aveva disperatamente cercato di tenere con sé, qualcuno a cui voleva bene ma che aveva sempre cercato di stargli lontano. E ora sapeva perché.
-No. No, lui non… - mormorò con gli occhi sgranati. -Nico non mi avrebbe mai maledetto. –
E le arai tornarono ad attaccare.
Percy si parò davanti ad Annabeth, e rivolse tutta la sua frustrazione contro i demoni. Le attaccò con tutta la sua disperazione e la sua rabbia, si gettò in mezzo a loro falciandole con la spada e gioendo quando ognuna di loro svaniva sotto ai suoi colpi.
Ma anche stavolta, non poteva impedire alle centinaia di arai di arrivare ad Annabeth. Erano in troppe.
Annabeth aveva cercato di non reagire, di non difendersi, ma anche così le arai le squarciavano la carne con gli artigli e con i denti. E oltre a quello, lei era cieca, e non vedere cosa la attaccasse la terrorizzava rendendola irrazionale e impulsiva.
Percy guardò oltre la sua spalla per una frazione di secondo, e si rese conto che Annabeth sarebbe morta.
-Bob! – urlò Percy senza mai smettere ad accanirsi sulle arai.
Il Titano non gli rispose, ma Percy era disperato.
-Bob so che non merito il tuo perdono! – urlò a corto di fiato. -Ma ti prego, salva Annabeth! Lei non merita di morire qui! –
Per un po’, nulla accadde. Percy ringhiò con tutta la sua disperazione, e con uno scatto repentino si inginocchiò accanto ad Annabeth, le strinse il braccio sinistro intorno alla vita e la trascinò via.
Le arai cercavano di toccarlo, ma le loro zanne e i loro artigli non potevano penetrare nella sua carne, e lui pensava solo ad avanzare, a proteggere Annabeth.
E poi, una scopa d’argento gli volò sopra la testa.
Prima che se ne rendesse conto, nel giro di pochi istanti, le arai vennero sterminate. E davanti a lui, dritto e con lo sguardo severo, si stagliò Bob.
   
 
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