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Autore: tilia    21/01/2021    1 recensioni
Se sei un Bowserotto, e non vedi quasi mai tuo padre per tutto l'anno, vorresti passare con lui la notte di Natale...
Ma quando anche in quella festività egli si porta il "lavoro" a casa, un po' ti irriti.
Inoltre, magare, non è l'idea più brillante del mondo tenere prigionieri, a causa di una bufera di neve, Mario e Bowser nello stesso castello.
Il tutto condito con una (povera) principessa Peach, che vorrebbe con ogni probabilità essere altrove, la neve, che scende senza sosta, e perchè no? Un incidente con il dirigibile, e quanta più sfortuna si riesca ad immaginare.
In una situazione del genere è facile che tutto finisca in tragedia, ma è pur sempre la Vigilia di Natale, potrebbe avvenire un miracolo. In questa magica sera la famiglia Koopa si potrebbe ritrovare un po' più unita, un po' più...famiglia.
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Curiosi?
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bowser, Bowserotti, Ludwig Von Koopa, Peach
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Esistiamo-Cap.9 (ancora in prova)
9 - Naufragar


Una famiglia “disfunzionale” è una famiglia con più di una persona.
(Mary Karr)

Peach si guardò attorno e sorrise. I Bowserotti la fissarono curiosi, tutti tranne Ludwig e suo padre. Più osservava le loro interazioni, più le sembravano simili: due teste calde, seppur in modi diversi, fieri, arroganti nella loro sicurezza di essere nel giusto, ma anche gentili e premurosi con chi decidevano essere i loro protetti. Se solo avessero fatto uno sforzo per superare la loro natura rissosa, avessero fatto un respiro profondo e  iniziato a comunicare, si sarebbero risolti molteplici problemi.

Erano finiti tutti nel letto di Bowser Jr, o meglio, dopo aver sentito tutta la spiegazione da parte dei Bowserotti, aveva realizzato fosse la stanza del maggiore, che non aveva avuto alcuna voce in capitolo. Il più giovane della famiglia russava rumorosamente avvinghiato al fianco della principessa, che era seduta e appoggiata ai cuscini, in contemplazione di quello che era accaduto nelle ultime ore. Il rapimento, il salvataggio finito male, il Natale, certo insolito, ma non il peggiore che avesse mai passato e, ora, era circondata dalla progenie di Bowser. Erano più giovani di quanto non volessero ammettere a se stessi.

Larry era dall'altro lato del materasso, accucciato protettivo dietro il guscio del minore, Roy sonnecchiava sulla sedia e i piedi appoggiati alla scrivania, probabilmente con i talloni sopra alcuni spartiti importanti. Wendy era ancora sveglia, ma quieta si fissava le unghie appena fatte. Era seduta in fondo al letto, appoggiata alla spalliera e attorno alle sue gambe molteplici boccettine di smalto, la sua coda si muoveva di tanto in tanto, ma per il resto rimaneva immobile e concentrata. Nessuno sembrava intenzionato a fare conversazione, alcuni di loro avevano alzato lo sguardo, quando era entrata guidata da Lemmy. Aveva trovato il giocoliere per le scale e gli aveva chiesto di aiutarla a controllare il più giovane, con una risata non le aveva permesso di chiedere due volte, perché era rotolato sul suo pallone gigante facendo cenno di seguirlo.

"Mama Peach?" Borbottò, improvvisamente, Larry aprendo un occhi e rivelandosi sveglio. "Perché sei ancora qui?"

La principessa lo fissò sorpresa, ma non seppe cosa rispondere. "Voi perché siete qui?"

"Aspettiamo Iggy e Morton." Scrollò le spalle Lemmy dondolandosi avanti e indietro in un ritmo costante. "Dovrebbero essere qui a momenti."

"Come ha detto il pazzo." Annuì Wendy soffiando sulle unghie. "Non avremmo certo lasciato nostro fratello da solo e indifeso con quell'idraulico baffuto a piede libero nel palazzo."
 
"Tu perché sei qui?" Domandò di nuovo il Bowserotto dai capelli azzurri. "Non hai bisogno di essere qui."

"Volevo essere sicura che stesse bene."

"Sta benone, lascialo dormire fino a domani e ricomincerà a rompere le scatole con tutta la storia del predestinato, come se nulla sia accaduto." Rise Roy, la voce rauca dal sonno. Gli occhiali rendevano difficile capire, se i suoi occhi fossero ancora chiusi o meno. "Non finiremo mai di sentire le sue lamentele sul fatto che non abbia mangiato al cenone di Natale, quel piccolo nano."

"E, poi, ci accuserà di aver passato più tempo con Mama Peach senza averlo svegliato." Annuì Larry, ma non si spostò dalla sua posizione accanto al minore. Un suo braccio era avvolto attorno al suo guscio e lo stringeva a se, quanto più possibile con gli aculei aguzzi in mezzo a loro. "Lui e Lud inizieranno a litigare e addio pace."

"A proposito di pace-"

"Roy! Non provare a nominar-"

"Ragazzi!" Urlò Iggy spalancando la porta della stanza senza mostrare alcun remore. Lo scienziato aveva ancora dei guanti in lattice alle mani e dei copri occhiali da laboratorio appesi al collo. Sul naso aveva quella che sembrava fuliggine scura. "Nobel della scienza per me!"

"Non potevi proprio stare zitto, vero?" Sibilò Wendy lanciando un'occhiataccia al fratello, che alzò le spalle in una strana scusa.

"Ammirate!" Gridò ancora euforico lo scienziato, saltellando e ignorando i tentativi vani di Peach e Larry di fargli abbassare la voce. "Silenzio!" Eruppe indicando alle sue spalle. 
Dalla porta in silenzio entrò un Morton mogio e scontento. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Wendy spalancò gli occhi, mentre Roy si raddrizzava sulla sedia.

"Che diavolo-"

"Prima che possiate attaccare l'eticità del mio lavoro: è  -sfortunatamente- temporaneo." Sbuffò annoiato e irritato Iggy, scuotendo una mano. "Dura solo un'ora."
Morton fece una smorfia e incrociò le braccia al petto, ancora triste per il suo mutismo forzato. Si guardò intorno e si arrampicò sul letto accucciandosi contro Wendy in un lamento silenzioso.

"Smalto?" Domandò la ragazza alzando una boccetta nera.

Il fratello sbuffò e allungò comunque una mano.

Peach sospirò scuotendo la testa, per un secondo, aveva temuto fosse accaduto qualcosa di irrimediabile e orribile, ma dalle reazioni sembrava che quella situazione non fosse così eccezionale in quel castello.
Rimasero in silenzio, insieme, nessuno aveva più voglia di comunicare, solo della presenza reciproca. C'era una strana calma nell'aria, forse, era davvero la magia del Natale.


***

Lemmy sgattaiolò fuori dalla stanza silenziosamente dopo un'oretta. Erano tutti, ormai, assopiti, alcuni di loro russavano rumorosi, altri silenziosi. 
Aveva bisogno di stare un po' da solo. Gli piaceva quel clima così sereno, nulla da dire,  fare o pensare, era quello in cui avrebbe sempre voluto vivere. Chi non vorrebbe quel tipo di ambiente?

Una famiglia felice, dei fratelli normali, non in un'assurda competizione a chi appariva di più sotto i riflettori. Gli piaceva pensare di essere uscito da quel circolo tossico di pensieri ossessivi, aveva chiuso, non era un fenomeno da circo, che si esibiva in una serie sempre più pericolosa di acrobazie per riuscire ad ottenere l'attenzione del pubblico o di un genitore sempre distante. Aveva smesso di correre, di cercare disperatamente di essere parte di quella vita.

Lo credevano davvero pazzo e probabilmente per i motivi sbagliati. Era facile dimenticarsi che fosse quasi adulto come Ludwig. Mentre il maggiore era cresciuto e aveva deciso di assumere il ruolo di genitore, lui era maturato e aveva scelto di gettare suddetta maturità nell'antro più oscuro della sua coscienza, dimenticarsi della sua esistenza. Non avrebbe certo permesso alla situazione di rubargli la giovinezza, c'erano tante persone che potevano prendere il suo ruolo d'autorità, lui non serviva. Aveva deciso molto tempo prima che non sarebbe stato un clown, non quel genere almeno.

Le parole nella sua testa fiorivano più velocemente di quanto Morton potesse parlare, rapidi arrivavano e con altrettanta prontezza venivano sepolti, li lasciava diventare mausolei di sabbia. Non importava quando, prima o poi, il vento li avrebbe spazzati via, lasciando nella sua mente un piacevole vuoto.

Camminò nel castello, nel cuore della notte, in silenzio. Non aveva il suo pallone, solo le sue gambe corte e inutili che lo portavano di corridoio in corridoio, alla ricerca di sollievo dai pensieri. Gli sarebbe piaciuto andare da Ludwig, il maggiore lo ascoltava spesso, non importava davvero l'argomento e non proferiva parola di quello che si dicevano. Era un po' il loro segreto, lui si dimenticava dei suoi doveri e lasciava cadere le maschera dell'essere perfetto, restando solo Ludwig, mentre Lemmy raccontava, le parole scorrevano e recuperava velocemente i suoi anni, la sua vera età. Troppo giovane e troppo vecchio al tempo stesso.

Si chiese se fosse giusto continuare a desiderare un futuro migliore a disilludersi che qualcosa potesse cambiare. Non era abbastanza pazzo da credere davvero nel lieto fine.

Era così ingiusto che gli altri potessero dormire sogni tranquilli, mentre lui era costretto a camminare, e camminare, e camminare...

Il freddo della notte era pungente e decise che sarebbe tornato nella stanza, fingendo che sarebbe andato tutto bene, sopprimendo un'altra volta la sensazione che sarebbero finiti devastati e soli, ognuno rinchiuso nei propri problemi, forse qualcuno morto. Avrebbe sorriso ancora, lasciato che la maschera gli scivolasse di nuovo addosso, meglio ancora, sarebbe diventato un tutt'uno con essa stessa, cancellando quei pensieri vorticosi e oscuri. Realisti.

Rise nel corridoio vuoto e fece una capriola, camminando per qualche passo sulle sue mani.

Non sarebbe affogato in quel naufragio, sarebbe rimasto a galla.

***

Bowser tornò nella sua stanza, con tutta la delicatezza di cui disponeva appoggiò il figlio sul letto e gli rimboccò le coperte, in un goffo istinto genitoriale. Non sapeva perché lo avesse portato proprio lì, erano anni che nessuno aveva più occupato quel letto, se non il suo legittimo proprietario. La voglia di portare il suo primogenito al sicuro, in un luogo che potesse controllare e monitorare era stata dirompente, aveva cancellato ogni altra obiezione che la sua mente poteva fornirgli.

Voleva farlo disperatamente stare meglio.

Per quanto lui e Ludwig potessero avere le loro differenze, era stato il suo primo figlio. Lo aveva visto camminare, sorridere, parlare, rimanere sempre attaccato alla sua coda. Poi, era cresciuto. Si erano aggiunti gli altri, ognuno diverso dall'altro, trovavano sempre il modo per stupirlo. Presto si era trovato sommerso, sovraccarico di piccoletti che cercavano la sua attenzione, la sua guida di genitore. Volevano essere lodati, essere riconosciuti, amati. Ludwig, però, era sempre più distante, irraggiungibile. Parole, azioni, si schiantavano su un muro che il giovane si era costruito intorno. Guardava ognuno dall'alto della sua arroganza, pensando davvero di essere abbastanza adulto per capire tutto ciò che accadeva intorno a lui.

Jr era il suo favorito, avevano molto in comune. L'aspetto fisico, la forza bruta, la cattiveria e l'astuzia. Lo aveva, forse, viziato troppo, ma non preso la sua rabbia. Bowser avrebbe preferito morire che fargli ereditare la sua temperamento, il fuoco che bruciava nelle sue vene che riduceva tutto in cenere, lasciando la distruzione al suo passaggio.

Ludwig aveva tutta la sua rabbia. La vedeva nei suoi occhi, quando parlava pacato e freddo, in ogni suo riflesso. Nel suo modo di combattere, quando scagliava incantesimi, più rari, ma mirati ad infliggere il massimo del dolore, persino quando suonava. Lo guardava e si preoccupava per il suo futuro, il loro e della loro famiglia. Un giorno sarebbe stato messo davanti a tutti i suoi errori e avrebbe dovuto trovare una soluzione a tutta quella furia. 

Mentre dormiva era facile far finta che fosse ancora quel bambino. 
Non vedeva altro che il suo piccolo bowserotto, quando innocente era attaccato alla coda e piangeva, se lo provava a staccare. Si accoccolò protettivo attorno al suo primogenito, ascoltando il suo respiro rauco e congestionato, un brutto raffreddore. La febbre alta non era davvero pericolosa, voleva dire che il suo corpo stava reagendo, ma che lo rendeva comunque ansioso. 
Ludwig borbottò qualcosa nel sonno, ma non rifiutò il contatto, anzi, con estrema disinvoltura gli afferrò un braccio e costrinse ad avvolgerlo in un goffo abbraccio, riconoscendo il carapace del genitore caldo e confortante.

Bowser ridacchiò piano, facendo uscire delle leggere spirali di fumo dalle narici, come non lo faceva da un po'. Erano anni che nessuno cercava di intrufolarsi nella sua stanza per dormire insieme o venire consolati nel cuore della notte. Quando era piccolo aveva fatto l'errore di concedere al suo primogenito di dormire con lui, non lo aveva più fatto con nessun altro della sua prole, neanche Bowser Jr, i pianti isterici allo svezzamento di quell'abitudine non valevano le poche notti di pace che portava. Erano arrivati gli altri bowserotti e avevano iniziato ad agire, tuttavia, di squadra, nel tentativo di guadagnare qualche ora accoccolati insieme. Gli tendevano trappole, delle vere e proprie imboscate, una volta si erano arrampicati dalla finestra, facendo perdere sia a lui che Kamek parecchi anni di vita.

Quegli anni -purtroppo e per fortuna- erano finiti, ma ultimamente si ritrovava sempre più spesso a pensarci con una strana malinconia. Avevano tutti smesso di provare di colpo. Nessuno lo aveva più svegliato, non aveva più nessuno attorno a lui ad ogni ora del giorno e spesso non vedeva nessuno dei suoi figli per giorni. Era come se si stesse lentamente inalzando una barriera invisibile fra tutti loro e per sopperire la frustrazione cercava di dimostrare con le sue azioni quanto ancora ci tenesse a loro. Voleva far Peach sua moglie anche per renderla la loro figura genitoriale, sarebbero stati così felici come famiglia.

Ludwig si girò e borbottò di nuovo, spostando la fronte contro il cuscino più fresco, ma senza lasciare il braccio del padre. Bowser sapeva sarebbe stata una lunga notte, ma con sua sorpresa accolse di nuovo questa nozione con una certa malinconia. Era quasi tornato ai vecchi tempi, c'era uno strano calore al centro del suo petto e, per una volta, non era rabbia.

Stava bene nel ruolo di genitore, molto meglio di quanto sarebbe mai stato disposto di ammettere. Tuttavia il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di esternare quel sentimento, tanto meno in presenza di altri, ma finché rimanevano così in privato, così tranquilli, così riparati, allora andava bene. Poteva anche permettersi di accarezzare i lunghi capelli del figlio e tranquillizzarlo, nel momento in cui i suoi movimenti diventavano troppo agitati, consolarlo e coccolarlo.

 Nessuno lo avrebbe saputo.









___________
Piccolo angolo dell'Autrice:

Io scrivere di famiglie disfunzionali? Mai.
Riassunto: Bowser è un idiota, Ludwig anche. Qualcuno salvi Lemmy da se stesso.

Ho dovuto riscrivere l'intero capitolo, spero sia migliorato, ma non ho molte speranze. La trama che avevo scritto 4 anni fa - QUATTRO ANNI FA- non aveva molto più senso, ma in pratica era Lemmy con il potere dell'onniscienza e, quindi, sapere altre cose, che sarebbero dovute servire per un seguito, ma, ehi, non so neanche se riuscirò a finire questo! Ho aggiunto, inoltre, alcuni piccoli ragionamenti che avvengono nella mente dei protagonisti, per dare una parvenza che io sappia davvero che cosa stia facendo (spoiler: non è così.)

Mi piace pensare che la mia scrittura sia migliorata nel corso degli anni, ma la probabile verità è che mi sono io anestetizzata ai miei stessi orrori, quindi mi sembrano meglio di quelli che scrivevo in precedenza. Scusate l'inutile complessità del mio ultimo ragionamento, in sintesi, spero che i personaggi siano risultati un filo più profondi in questo capitolo che negli altri.

Sinceramente non so perché continuo ad aggiornare questo scempio annualmente.

Chiedo scusa profondamente ad ogni lettore.

Tilia =|=

  
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