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Autore: MoonBlack    22/01/2021    2 recensioni
Raffaele è sempre stato un ragazzo timido e introverso, spaventato da tutto, in particolar modo dalle aspettative che la sua famiglia e la società sembrano nutrire nei suoi confronti.
Un evento traumatico e inaspettato porta all'estremo queste sue paure, spingendolo all'isolamento sociale e a tagliare completamente i ponti con familiari e amici.
Il ragazzo si convince che la società sia completamente marcia, piena di persone ipocrite, corrotte e pronte a pugnalarlo alle spalle.
Ma sarà davvero così?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Rotten Society

Raffaele deglutì, osservando i tre scalini che lo separavano dalla sua commissione d’esame come se si stesse apprestando a compiere la scalata dell’Everest.
«Avrei fatto meglio a rimanere a casa.» si ritrovò a pensare, per l’ennesima volta quel giorno, mentre il suo cuore prendeva nuovamente a battere all’impazzata e le sue mani a imperlarsi di sudore.
La sensazione di malessere peggiorò quando uno dei professori appuntò lo sguardo su di lui, tanto che avvertì la bile risalirgli in gola e, per un istante, temette di svenire.
In quel momento Mirea, seduta accanto a lui nei posti destinati agli studenti, gli sfiorò appena una spalla, distogliendolo dall’intricata matassa dei propri pensieri.
I suoi capelli color rosa pastello si mossero appena mentre volgeva lo sguardo in sua direzione, incurvando le labbra in un sorriso incoraggiante. Non sembrava preoccupata, ma doveva aver percepito il suo disagio, perché gli si fece più vicina e intrecciò la propria mano alla sua.
Raffaele conosceva perfettamente il significato di quello sguardo, che voleva trasmettergli tutto il suo calore e supporto e, al tempo stesso, ricordargli che, qualunque cosa fosse successa, lei ci sarebbe sempre stata, pronta a supportarlo in ogni occasione.
«Non pensare agli altri,» gli sussurrò, infatti «pensa a tutta la strada che hai fatto per arrivare fin qui, a tutti gli ostacoli che hai superato.»
Il giovane ricambiò timidamente il suo sorriso, ritrovandosi a ripercorrere con la mente gli avvenimenti salienti che lo avevano condotto a quell’istante. Era vero, aveva affrontato molti ostacoli, soprattutto nel corso degli ultimi mesi, ma una parte di lui era ancora estremamente convinta che non sarebbe mai uscito vincitore dalla battaglia contro il suo peggior nemico, la paura del giudizio.
 
In generale, poteva dire che la paura fosse stata una sua affezionata compagna di vita fin dalla più tenera età. Da che ne aveva memoria infatti, aveva sempre avuto timore di un sacco di cose, dalle più comuni alle più strane.
Forse anche a causa della sua fervida immaginazione, aveva vissuto tutta la sua infanzia in preda al terrore che qualunque oggetto, ombra o creatura, fosse pronto a fargli del male: perfino i caloriferi e la lavatrice lo inquietavano, per quanto si rendesse conto, con il senno di poi, che era altamente improbabile che due oggetti di uso quotidiano si scomodassero addirittura a prendere vita, solamente per rendere la sua un inferno.
Crescendo, la sua ansia costante verso gli oggetti e gli ambienti casalinghi era man mano scemata, fino a svanire completamente. In compenso, con il passare degli anni e il conseguente aumento di doveri e responsabilità, se ne era fatta strada un’altra, ben più infida e paralizzante, ovvero la paura di non riuscire a soddisfare le aspettative che i suoi genitori e, più in generale, la società nutrivano nei suoi confronti.
Era un disagio dalle radici profonde, che aveva trovato terreno fertile a causa della sua natura profondamente introversa, che lo portava a chiudersi in se stesso, piuttosto che ad affrontare i problemi e le sfide che la vita gli poneva davanti. Non riusciva a ricordare un momento in cui si fosse sentito completamente a proprio agio tra la gente, nemmeno da bambino, quando trascorreva i pomeriggi dalla nonna a giocare con i suoi cugini. Sebbene non ne fosse consapevole, anche allora aveva avvertito quella leggera spinta all’isolamento, quel bisogno di protezione e serenità che potevano dargli solamente le mura sicure della propria cameretta e le pagine ingiallite dei libri che ogni giorno divorava.
Solamente parecchi anni dopo aveva capito che cosa lo riempisse veramente di disagio, ovvero la sensazione di essere costantemente giudicato dalle persone che lo circondavano. Appena metteva piede fuori di casa, gli sembrava che ogni suo gesto e ogni suo passo fossero attentamente valutati e, solitamente, disapprovati dal resto del mondo.
Eppure il suo aspetto fisico alquanto banale avrebbe dovuto aiutarlo a passare inosservato: era il classico ragazzo magro e dinoccolato, piuttosto basso rispetto alla media, con un viso pallido e dai tratti affilati, su cui svettavano degli anonimi occhi color cioccolato e degli altrettanto anonimi capelli neri. Nulla di straordinario, insomma, tanto più se si considerava che i capi d’abbigliamento che indossava ogni giorno sembravano appositamente studiati per permettergli di confondersi perfettamente tra la folla.
Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di essere valutato e giudicato costantemente dal prossimo.
Di certo l’ambiente familiare in cui aveva vissuto fino ai primi anni dell’università non aveva contribuito a placare questo suo timore, dato che tutti i suoi parenti, in particolare quelli del ramo paterno, sembravano essere particolarmente attenti ad apparire impeccabili agli occhi della gente: qualunque tipo di stranezza o comportamento leggermente fuori dai canoni suscitava sguardi di riprovazione da parte loro e, in casi estremi, perfino qualche cupo borbottio.
Anche la libertà di esprimersi emotivamente non era vista di buon occhio, soprattutto nel caso in cui a sfogarsi fosse Raffaele. Probabilmente perché era un ragazzo, e i ragazzi, secondo la loro concezione, non dovevano lasciarsi sopraffare dalle emozioni in nessun caso. Gli stati emotivi come la paura e la rabbia, in particolare, dovevano essere espresse pochissimo se non completamente represse.
E per uno come lui che, soprattutto da bambino, aveva provato timore verso molte cose, l’atteggiamento dei suoi parenti più prossimi aveva contribuito a suscitare un perenne senso di inadeguatezza.
Con sua madre la situazione non era stata molto diversa considerando che, nonostante dimostrasse una minor rigidità mentale rispetto al marito, ne era completamente succube, e aveva dunque finito con il piegarsi a ogni sua pretesa senza mai prendere le difese del figlio. Raffaele era riuscito a comunicare efficacemente con lei solamente quando si erano ritrovati da soli, il che, fortunatamente, era accaduto piuttosto di frequente, dato che il lavoro da ingegnere del padre lo aveva spesso costretto a fare lunghe trasferte di lavoro.
Nonostante tutte queste difficoltà familiari e la sua costante paura di essere giudicato dal prossimo, poteva dire di essere riuscito a portare avanti una vita sociale piuttosto normale, fino alla fine delle superiori: a scuola se l’era cavata bene, soprattutto nelle materie linguistico-letterarie, ed era perfino riuscito a creare un bel rapporto di amicizia con alcuni suoi coetanei, i quali, con suo sommo sollievo, avevano condiviso la maggior parte dei suoi interessi e non erano parsi in alcun modo disturbati dalla sua indole introversa e riservata.
La situazione era precipitata improvvisamente durante il suo primo anno di università, a causa di una concomitanza di fattori: non solo aveva dovuto inghiottire il rospo e frequentare la facoltà che gli era stata imposta dal padre, nonostante non fosse minimamente affascinato dalle materie scientifiche, aveva anche dovuto fare i conti con la scoperta che tutte le amicizie che aveva creduto profonde e sincere in realtà non lo fossero affatto, dato che era stata sufficiente la lontananza a farle svaporare come neve al sole.
Come se non bastasse, quell’anno anche il destino aveva deciso di accanirsi su di lui, portandogli via l’unica persona della famiglia con cui fosse riuscito a instaurare un minimo di comunicazione e a parlare delle angosce che lo tormentavano ogni giorno: sua madre si era ammalata gravemente a causa di un tumore maligno al colon, che se l’era portata via nel giro di un paio di mesi.
Raffaele ricordava perfettamente il giorno del funerale: la chiesa quasi vuota e l’ipocrisia delle poche persone presenti che si stringevano attorno a lui per rivolgergli le loro condoglianze, nonostante fosse chiaro che nessuno avrebbe pianto sinceramente la scomparsa della defunta. Ricordava, in particolar modo, la costruita indifferenza di suo padre, che non aveva versato neppure una lacrima, troppo impegnato a fingere integrità morale per permettere al lutto di impossessarsi di lui.
Quel giorno, qualcosa nell’animo di Raffaele si era rotto irrimediabilmente, e in un attimo gli era parso di vedere con chiarezza tutto ciò che per anni aveva solamente percepito come un’ ombra strisciante nel proprio animo: l’indifferenza, la corruzione e la superficialità della gente, che fingeva ogni giorno della propria vita di essere chi non era, soffocava le proprie emozioni, ammantandosi di ipocrisia e falsa felicità, permettendosi pure di giudicare continuamente il prossimo.
A quella rivelazione, era stato colto da un moto di disgusto talmente violento verso la società e soprattutto verso se stesso, dal momento che aveva permesso ai propri parenti di controllare totalmente la sua vita, che non era riuscito a sopportare di rimanere in chiesa per un secondo di più: senza dire una parola si era allontanato di corsa, aveva preso la macchina ed era tornato nel suo appartamento, intenzionato a tagliare tutti i ponti con i propri familiari e amici.
Con il passare dei mesi, il suo rifiuto verso la società era cresciuto in modo esponenziale, fino a causargli stati di malessere fisico ogni qualvolta dovesse mettere piede fuori di casa, che fosse per fare la spesa, recarsi all’università o altro.
Non passò molto tempo prima che decidesse di abbandonare completamente i propri studi e iniziasse a escogitare ogni stratagemma possibile per poter evitare di uscire. L’idea di doversi rapportare con le persone, infatti, suscitava ormai in lui un cieco terrore: era convinto che la società fosse piena di persone false, approfittatrici e ipocrite, disposte a ritenere una persona degna di nota solamente in caso avesse avuto successo e si fosse dimostrata forte e incrollabile davanti a ogni sfida.
Ma Raffaele non sopportava più di sentirsi costantemente messo sotto esame e, più di ogni altra cosa, odiava il fatto che per i propri parenti il suo valore dipendesse dal numero di successi che era in grado di ottenere.
Ben presto aveva finito con il chiudersi totalmente in se stesso, rifiutando ogni contatto con il mondo se non tramite i mezzi tecnologici, come il computer e i social media. A nulla erano valse le minacce di suo padre, che lo aveva chiamato ogni giorno, minacciandolo di tiralo fuori di casa con la forza e asserendo che se Raffaele non si fosse deciso a uscire, sarebbe diventato un fallito e lo zimbello della famiglia.
Dato che quel tipo di rimprovero giudicante era stato proprio ciò che aveva spinto il ragazzo a ritirarsi totalmente dalla vita sociale, ovviamente, l’unico risultato che sortì fu quello di spingerlo a ritirare definitivamente la propria iscrizione dall’università.
Furioso a causa dell’ennesimo litigio telefonico con il padre, Raffaele aveva inghiottito l’ansia e la paura che lo attanagliavano e si era precipitato fuori di casa, deciso a risolvere la questione e a ritirarsi dal corso di studi una volta per tutte.
Era stato mentre percorreva a testa bassa le vie centrali della città che aveva incontrato Mirea per la prima volta. Anche se, forse, sarebbe stato più corretto dire che si era scontrato con lei, dato che era stato talmente concentrato sulla rabbia e sull’ansia che lo attanagliavano, che aveva attraversato la strada senza prestare troppa attenzione e lei lo aveva quasi investito con la bicicletta.
Fortunatamente per lui, la giovane era riuscita a vederlo in tempo e a sterzare bruscamente per evitarlo, ma l’improvvisa manovra le aveva fatto perdere il controllo del mezzo di trasporto, che si era ribaltato, facendola cadere rovinosamente al suolo.
«Oddio, scusami!» aveva gridato Raffaele, precipitandosi da lei per controllare che non si fosse ferita. Era stato allora che aveva notato il suo aspetto tutt’altro che ordinario: la ciclista sfoggiava, infatti, un abbigliamento da vera amante del dark, con pantaloncini neri di pelle, calze a rete, un paio di anfibi con tanto di borchie, maglietta nera della band “My chemical romance”, unghie smaltate di nero e trucco decisamente molto pesante, soprattutto attorno agli occhi. A creare contrasto con tutto quel nero, i suoi capelli lisci, tagliati a caschetto, rilucevano di una singolare tonalità rosa pastello, come a voler spezzare qualunque stereotipo riguardante le tinte.
Mentre il ragazzo era rimasto a osservare a bocca aperta quella singolare scelta stilistica, lei si era limitata a emettere una risatina divertita, rimettendosi frettolosamente in piedi e spolverandosi i vestiti sporchi di terra. «Accidenti, per un pelo! Dimmi che almeno il mio sacrificio è servito a qualcosa e non ti sei fatto male.»
Il giovane era rimasto immobile a fissarla, decisamente sbigottito dal fatto che non solo non si fosse arrabbiata con lui per l’incidente, ma che si fosse perfino preoccupata per il suo stato di salute. A quanto pareva non era solo il suo stile a essere strano, lo era anche la sua personalità. «Io sto bene. Sei tu quella che è caduta dalla bici, dovresti andare al pronto soccorso!» aveva esclamato, indicando le sue calze a rete, le quali si erano bucate e sfilacciate in più punti a causa del contatto con l’asfalto. Lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo per accertarsi di non aver fatto ulteriori danni, non aveva potuto fare a meno di notare con costernazione che sulle sue gambe facevano bella mostra di sé numerose cicatrici dalla forma irregolare. Una parte di lui si era domandato con ammirazione come riuscisse a muoversi ogni giorno in mezzo alla gente senza vergognarsi di mostrarle, quando lui, pur non avendo nessun difetto fisico degno di nota, non faceva altro che preoccuparsi dei pensieri delle persone, al punto da non riuscire più a mettere piede fuori di casa.
La voce della giovane lo aveva riscosso da quel momento di riflessione, inducendolo a distogliere frettolosamente lo sguardo. «Il pronto soccorso per così poco? Non mi sono fatta niente, tranquillo. Non sai quante volte sono caduta dalla bicicletta, e questa è stata una delle più indolori!»
«M-ma le tue calze…» aveva borbottato lui, improvvisamente consapevole del fatto che li, fermi, sul ciglio della strada stessero attirando l’attenzione di un discreto gruppetto di passanti. Aveva deglutito, provando un improvviso e cocente desiderio di correre a rifugiarsi nuovamente tra le mura di casa.
Lei, in qualche modo, doveva essere riuscita a percepire la sua ansia, perché aveva aggiunto «Ah scusami, ti sto facendo perdere tempo, hai ragione.»
«No, no. N-non è questo. È che mi dispiace di averti rotto i vestiti e di averti rovinato la giornata. Non ne combino una giusta, ultimamente. »
Udendo quelle parole, la ragazza dai capelli rosa lo aveva squadrato con aria pensosa per alcuni secondi, per poi mettersi a frugare nella propria borsetta borchiata ed estrarre un post-it tutto stropicciato, su cui aveva scribacchiato frettolosamente qualcosa. «Se ti fa sentire meglio, ecco, questa è la mia mail.» aveva spiegato, porgendoglielo «Così possiamo accordarci per un pagamento. Ciao, ciao!»
Senza dargli il tempo di replicare, aveva inforcato nuovamente la bicicletta ed era sfrecciata via come un fulmine, lasciandolo immobile sulla strada con un’espressione interdetta e il post-it fucsia stretto tra le dita, su cui svettava il nome di Mirea Ferrari.
Quel giorno non era più riuscito a passare dalla segreteria universitaria per ritirare la sua iscrizione. Nell’esatto istante in cui la sua perplessità era scemata, infatti, il peso della realtà era piombato nuovamente su di lui, facendolo diventare acutamente consapevole del luogo in cui si trovava: in mezzo alla strada, circondato da una folla carica di aspettative che non avrebbe fatto altro che giudicarlo per aver quasi ucciso una giovane donna.
Aveva avuto un attacco di panico ed era dovuto tornare di corsa a casa e rifugiarsi tra le coperte morbide del proprio letto.
Dopo parecchi giorni trascorsi in uno stato di totale inattività e apatia, aveva trovato finalmente il coraggio di alzarsi dal letto per più di mezz’ora al giorno e di accendere il computer. Aveva adocchiato lo strano biglietto con fare sospettoso: in quel momento, anche quella singolare e gentile ragazza le era parsa essere solo una trappola posta sul suo cammino dal destino per sconvolgere i suoi programmi, ancora una volta. In preda a un moto di coraggio, si era messo a scrivergli una mail, deciso a chiudere la questione risarcimento una volta per tutte, in modo da poter tagliare ogni contatto con lei al più presto e tornare nella comfort zone che l’isolamento gli garantiva.
Tuttavia, i suoi piani furono effettivamente sconvolti nel giro di pochi minuti, quando lei gli rispose che come pagamento non desiderava denaro, ma semplicemente poter parlare con qualcuno. Si era, infatti, appena trasferita da un paesino molto piccolo per frequentare l’università, e il caos della città l’aveva fatta sentire smarrita e sola.
A quelle parole, Raffaele non aveva potuto fare a meno di provare un’istintiva simpatia verso di lei, sebbene si trovassero in situazioni opposte: lui temeva la società e anelava la solitudine, per la giovane era il contrario. E allora perché non era riuscito a fare a meno di risponderle?
Le mail di Mirea avevano avuto fin da subito un tono sincero e spigliato, ma soprattutto privo di qualunque tipo di giudizio nei suoi confronti. Gli era risultato subito chiaro come volesse semplicemente ascoltare ed essere ascoltata a sua volta e, anche se al tempo non ne era ancora consapevole, probabilmente era esattamente quello di cui avrebbe avuto bisogno anche lui.
In poche settimane, il loro rapporto telematico si era fatto sempre più frequente e profondo, tanto che Raffaele era giunto perfino a parlarle a cuore aperto del suo stato di isolamento autoimposto, del disgusto che provava verso la società e del cieco terrore che si impadroniva di lui ogni volta che doveva avere a che fare con le persone. In compenso, Mirea gli aveva raccontato che anche lei aveva avuto gli stessi problemi, in precedenza, e che per reagire alla paura del giudizio si era ritrovata a vestirsi in modo estremo e a tingere i capelli di rosa per esorcizzare la sua ansia e gridare al mondo intero “Non mi importa che cosa pensate di me, io vado avanti comunque per la mia strada.”
Per il giovane era stato un toccasana poter parlare così apertamente delle proprie angosce e dei propri fallimenti; Mirea non si era mai permessa di giudicarlo per questo, anzi, le aveva aperto il proprio cuore a sua volta, raccontandogli con estrema naturalezza dell’incidente a causa del quale si era procurata le cicatrici su buona parte del corpo. Il suo modo di fare gentile e onesto aveva fatto nascere il lui la sottile speranza che il mondo non fosse popolato solamente da persone insensibili e grette.
«Non pensavo che avrei mai più detto una cosa del genere a qualcuno, ma devo essere sincero: mi piacerebbe rivederti di persona.» le aveva confessato, un giorno «Al tempo stesso però, ho una gran paura.»
Mirea non aveva preteso nulla da lui, limitandosi a rispondere: «Perché non facciamo un passo alla volta? Iniziamo a sentirci per telefono o in videochiamata, poi sono sicura che ogni cosa verrà da sé.»
E così, effettivamente, era stato, prima attraverso i contatti telefonici, poi tramite le serate trascorse assieme; Raffaele aveva incominciato a nutrire una profonda fiducia in lei, e questo si era tradotto in una maggiore tranquillità anche al pensiero di dover affrontare le situazioni sociali. L’ansia e la paura non erano scomparse, ma era riuscito ad affrontarle con maggiore serenità, perché ora sapeva che esisteva almeno una persona per cui avrebbe continuato ad avere valore a prescindere dalle sue debolezze, dal suo modo di vestire o dai suoi successi.
Un pomeriggio di primavera aveva addirittura avvertito il desiderio di uscire con lei a mangiare un gelato e, passando accanto all’edificio dell’università, non aveva potuto fare a meno di chiederle: «Perché hai deciso di studiare proprio sociologia, se anche tu stai lottando contro il giudizio della gente?»
«L’ho scelta proprio per questo.» gli aveva risposto lei, come se si trattasse di un ragionamento ovvio «Voglio conoscere meglio la società, capire sue dinamiche e il suo funzionamento, in modo da non avere più paura, un giorno.»
«È una motivazione interessante. Forse dovrei provarci anche io.»
Aveva iniziato a studiare con lei quasi per gioco, ma alla fine si era ritrovato veramente a finalizzare il cambio di facoltà, iscrivendosi a sociologia. E l’aspetto più divertente della faccenda era che non solo farlo lo aveva effettivamente aiutato a capire meglio di che cosa avesse paura, ma lo aveva perfino appassionato.
Tuttavia, non aveva fatto i conti con il fatto che frequentare un corso di studi significasse anche dare degli esami ed esporsi al totale giudizio del professori.
 
E ora si trovava lì, in un’aula universitaria che puzzava di chiuso, a farsi squadrare dalla testa ai piedi dal proprio docente. Boccheggiò, stringendo le dita attorno alla sedia per impedirsi di fuggire. Era davvero masochista! Come diavolo gli era saltato in mente di buttarsi in quell’impresa? Ora sarebbe diventato lo zimbello di tutti e avrebbe deluso Mirea, che aveva riposto tutta la sua fiducia in lui.
«No, non è vero.» si ritrovò a pensare «A lei non importa che io abbia successo o meno, continuerà a starmi accanto e a essere orgogliosa di me, anche se dovessi fallire.»
Quel pensiero lo indusse a calmarsi, restituendogli la lucidità che gli mancava: era vero, non doveva più preoccuparsi di fallire, perché stava studiando per se stesso, non per volere di qualcun altro, e ora sapeva che, qualunque cosa fosse successa, anche se avesse fatto scena muta, qualcuno avrebbe continuato ad apprezzarlo lo stesso.
Sospinto da questi pensieri positivi, prese fiato e iniziò a parlare.
Quasi non riuscì a credere alle proprie orecchie quando, dopo dieci minuti di orale, il professore gli comunicò che lo aveva superato brillantemente.
Come in preda a uno stato di trance si alzò di scatto dalla sedia, dirigendosi a grandi passi verso Mirea e stringendola tra le braccia.
Non gli importò della riprovazione del professore o del fatto che in quel momento lo stessero guardando almeno quaranta persone, le prese il viso tra le mani e la baciò appassionatamente, sussurrandole «Ti amo».
Per la prima volta in vita sua si sentì veramente libero e il mondo non gli parve più un posto orribile e pieno di individui ipocriti, pronti a servirsi di lui e a pugnalarlo alle spalle, bensì un universo pieno di nuove possibilità.
Aveva capito che il vero coraggio non stava nel non avere paura di niente e nel mostrarsi forti e incrollabili in ogni occasione, ma nell’accettare le proprie debolezze, affrontandole ogni giorno, passo dopo passo.
  
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