Perfezione per finzione

Sorridi. 

Sorridi. 

Sorridi.

Sorridi e sii cortese. Sorridi e ubbidisci. Continua a sorridere, prima o poi il tuo sorriso sarà dolce abbastanza, sottomesso abbastanza, perfetto abbastanza. Abbastanza da evitarti le percosse, l’umiliazione, il dolore.

Dolcemente. 

Mestamente. 

Falsamente.

Sorridi ogni volta che puoi. Quando ti picchia. Quando ti schernisce. Quando ordina alle sue guardie di colpirti. Di denudarti. Quando insulta tuo padre, tua madre, tuo fratello. Quando sputa sul sangue del tuo sangue. 

A bocca chiusa.

A occhi chiusi.

A cuore chiuso.

Sorridi fino a trovare il sorriso perfetto. Il sorriso che farà provare pena e compassione a chi circonda quel codardo coronato. A chi chiama Joffrey Baratheon “mio Re” e lo ama. A chi lo chiama “mio Re” e trama alle sue spalle. A chi lo chiama “mio Re” e lo vuole morto.

Adesso.

Domani.

Quando sarà il momento.

Sorridi finiché sarai stanca. Finché le guance non dorranno. Finché le labbra non si rifiuteranno. Finché gli occhi non si spegneranno. Sorridi finché dovrai sorridere. Sorridi anche quando non dovrai sorridere. Sorridere fino a trovare il sorriso perfetto ― tienilo stretto, Sansa.

Fino a quando ti verrà naturale. 

Fino a quando Joffrey morirà.

Fino a quando tornerai a ridere.

Questa storia partecipa alla Challenge delle Parole Quasi Intraducibili di Soly Dea con la parola inglese palinoia: l’ossessiva ripetizione di un atto volto a raggiungere la perfezione. 

NdR

Questa storia dovrebbe essere un flusso di pensieri di Sansa durante la sua permanenza alla corte di Joffrey. Dico “dovrebbe” perché ho scritto senza troppo pensarci, seguendo quello che la testa di mi diceva, quindi non sono certa il risultato sia effettivamente quello che era nella mia testa.