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Autore: Tenar80    23/01/2021    2 recensioni
Ardal è nato con piume nere a ricoprigli la schiena. Questo fa di lui un impuro, né angelo né uomo, condannato a una vita da schiavo. Ma Ardal è riuscito a fuggire al suo destino. Con una nuova identità ora è un giornalista che sogna di cambiare il mondo. Fino a che non viene riaperto il caso della morte del suo vecchio proprietario e proprio a lui viene chiesto di indagare sull'omicidio che ha commesso.
Questa fic è indipendente, ma fa parte della serie steampunk "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Sarebbe rientrato, si disse Ardal, mentre gli veniva servito lo spezzatino. Di sicuro non aveva deciso di prendere la strada che dalla villa portava alla miniera. Perché avrebbe dovuto? 

    Con la pioggia la parete della montagna franava facilmente. Il sadismo di Griwald lo aveva portato a mandare un paio di volte il suo schiavo a riferire notizie urgenti durante dei temporali. Una volta le pietre lo avevano quasi investito. Aveva evitato per un soffio un masso che lo avrebbe di certo schiacciato, ma era caduto, colpito dal pietrisco e questo gli era valso una frustata per aver rovinato gli abiti. Ma sicuramente il detective non aveva preso quella strada. Perché poi? Graham non aveva la vista dei piumati, adatta alla penombra, forse preferiva restare tutta la notte nella villa e scendere in paese con la luce. Al freddo. Senza cibo. 

    Ardal si costrinse a temporeggiare fino alla fine del pasto. Era assurdo uscire sotto la pioggia solo per sbattere contro al detective di ritorno dalla villa con le prove della sua colpevolezza in mano. Non avrebbe dovuto anzi sperare che gli fosse successo qualcosa? E invece la sensazione che potesse aver bisogno d’aiuto si faceva di minuto in minuto più forte e insostenibile.

    Alla fine l’unica scelta possibile fu prendere la propria mantella impermeabile, chiedere una lampada in prestito e uscire alla sua ricerca.

 

    La notte era ancora più fredda di quanto di aspettasse. Brumaio era un mese che lo odiava, forse perché lo aveva visto nascere.

    Arrivò alla villa dopo una ventina di minuti di cammino, completamente fradicio. Chissà come l’acqua era riuscita a insinuarsi sotto la mantella con malvagia tenacia, scendendogli lungo il collo, risalendo dalle scarpe, scivolando dai polsi. 

    L’edificio era sbarrato, senza neppure un filo di luce che filtrava dalle finestre. Forse, pensò Ardal, la sua era stata una fatica inutile. Graham aveva di certo le chiavi. Forse era entrato e davvero aveva deciso di passarvi la notte. Mentre lui tremava, tutto zuppo, il detective già dormiva nel grande letto a baldacchino del vecchio… Rabbrividì. Non poteva rimanere lì, schiacciato dai ricordi che minacciavano di investirlo. Era venuto per niente… Sempre che Graham non avesse deciso invece di raggiungere la miniera. 

    Non erano sicuramente il freddo o la pioggia a interrompere i turni di lavoro. Se aveva parlato con la cuoca, Graham sapeva che Scriba, nelle sere libere, giocava con i giovani schiavi della miniera. Anche dopo cinque anni, qualcuno era di certo ancora lì. Se il detective avesse voluto farsi un’idea di come fosse stato il comportamento di Scriba, forse sarebbe andato verso la miniera. Chiunque in paese poteva avergli spiegato dove partiva la strada. Ricordarsi di avvertirlo delle frane, però, era un’altra cosa… Ardal alzò lo sguardo al cielo, gesto inutile, nel buio della notte. Stava ancora piovendo. Nulla garantiva che non sarebbero giunti altri scrosci violenti. La sua inutile missione notturna rischiava di finire con lui stesso travolto da una frana. 

    Meglio della forca o delle bastonate dei secondini. 

    Imboccò la strada della miniera.

 

    Alla seconda svolta iniziò a vedere del pietrisco sulla strada.

    Dalla scarpata erano rotolati massi e terra. Persino un paio d’alberi erano stati sradicati e giacevano crollati sul pendio. Sulla strada doveva essersi riversata una vera cascata di detriti. Doveva essere accaduto nel momento di massima forza del temporale. Nessuno dotato di buon senso si sarebbe avventurato in un bosco montano in un momento simile… Graham, tuttavia, doveva essere dell’ovest, dove vi erano al massimo lievi colline. Era del tutto inesperto. D’altro canto, si disse Ardal, non c’era alcuna prova che fosse passato di lì. Solo per scrupolo fece ancora un paio di passi avanti.

    Persino per i suoi occhi era difficile distinguere i contorni della frana. La lampada gettava una luce asfittica che illuminava a mala pena qualche palmo oltre i suoi piedi. 

    Un riflesso metallico attrasse la sua attenzione.

    Incastrato tra due sassi, c’era un paio di occhiali. 

    Ardal li raccolse. Non c’era dubbio che fossero gli occhiali di Graham, una lente era scheggiata, l’altra integra. Quindi il loro proprietario era stato davvero così idiota da mettersi in cammino nonostante il maltempo. Ma ora dov’era?

    – Graham! – gridò Ardal, mentre cercava di scendere la scarpata.

    Gli mancava solo di scivolare e rompersi una gamba.

    Con cautela, trovò un punto in cui era possibile tentare di ridiscendere la frana, aiutandosi con i tronchi degli abeti rimasti in piedi.

    – Graham! – gridò di nuovo.

    Procedere alla cieca era inutile. Poteva trovarsi a un passo dal corpo e non vederlo. La cosa migliore era tornare al paese e cercare aiuto. Con una vera spedizione di soccorso ci sarebbero state di certo più possibilità di trovarlo. Certo, ci sarebbe voluto del tempo per organizzarla. Magari quello che serviva per farlo passare da ferito a morto.

    – Ian! – provò ancora.

    Un mugolio indistinto gli rispose ta il ticchettare della pioggia.

    – Ian! – gridò ancora, cercando di capirne la provenienza.

    Con quel maledetto buio, sul pendio dal terreno cedevole, rischiava di non trovarlo.

    – Sono qui – rispose la voce del detective, flebile ma chiara.

    Rispondere «Qui dove?», si rese conto Ardal, avrebbe solo frustrato entrambi.

    A tentoni, cercò di dirigervi verso la voce.

    – Arrivo – disse, sperando che fosse vero.

    – Sono bloccato contro un grosso masso, qui in basso!

    Il giornalista annuì tra sé. A volte, nella stagione dei funghi, aveva gironzolato per il bosco. La cuoca era disposta a cucinare qualcosa in più, se veniva rifornita e la provenienza non era illegale. Non era stata golosità, la sua, una volta era persino riuscito a catturare un coniglio a mani nude. In quelle rare scorribande, che spesso dovevano aver coinciso con i momenti di piacere del vecchio, aveva notato un masso erratico, un poco più a valle del sentiero. Era abbastanza grande da bloccare i detriti della frana, e un eventuale corpo trascinato con essi.

    A tentoni, con il rischio costante di scivolare e dover essere soccorso a sua volta, Ardal discese il pendio, cercando di ricordare i punti di riferimento.

    Finalmente, la luce della lampada illuminò il masso ricoperto di muschio.

    – Ian! – gridò di nuovo.

    – Sono qui, sono bloccato!

    Graham era bloccato alla base della pietra da un tronco divelto. Aveva liberato un braccio, ma gli risultava impossibile togliere il peso che lo tratteneva.

    – È solo? – chiese il detective, quando Ardal riuscì ad inginocchiarsi al suo fianco.

    La lampada illuminò un livido scuro alla fronte e un taglio sottile sulla guancia pallida.

    – La credevo dotata del buon senso di rimanere rintanato alla villa – sbuffò Ardal.

    Cercò nella tasca gli occhiali del detective e lo vide trasalire.

    – Una lente è scheggiata – disse al giornalista, illuminandoli con la lampada. – Ce la fa a metterli o devo fare io?

    – Ce la faccio – sospirò Graham.

    – Cosa crede di essersi rotto? – chiese Ardal.

    A volte a spostare un uomo ferito si faceva più danno che altro.

    – Sono tutto ammaccato. Mezzo assiderato. Sono stato svenuto… Non so quanto. Ma non credo di avere niente di rotto.

    – È stato fortunato, allora – constatò Ardal. – Preferisce che chiami qualcun altro o proviamo a cavarcela da soli?

    Graham soppesò la questione.

    – Proviamo. Rimanere quaggiù da solo non è la mia idea di divertimento.

    Il tronco, maledetto lui, era pesante e fradicio d’acqua. Inoltre Ardal aveva il terrore che un movimento maldestro lo avrebbe fatto ricadere sul detective. Come tutti i piumati, poi, Ardal ci vedeva bene nella penombra e aveva un’ottima coordinazione, cosa che lo aveva salvato in un paio di risse, ma la sua forza era dovuta solo agli esercizi a cui aveva cercato di sottoporsi negli ultimi anni. Meglio di niente, ma nulla di eccezionale.

    Dopo parecchi minuti, e una decina di bestemmie, riuscì a spostare il tronco quel tanto che bastava perché Graham riuscisse a strisciare fuori. Il solo fatto che riuscisse a muoversi, nonostante il freddo, l’immobilità e i colpi ricevuti rassicurarono Ardal sul fatto che non avesse subito lesioni troppo gravi.

    Che idiota che sono, pensò, dovrei esserne terrorizzato.

    – Danni? – chiese.

    – Vestiti da buttare – constatò il detective. – E una caviglia gonfia.

    Ardal le diede un’occhiata.

    – A passo normale ci metteremmo mezzora a rientrare… Vediamo di farcela in due ore.

    Porse una mano a Graham, che l’afferrò con un sorriso che si trasformò in una smorfia quando cercò di usare il piede destro.

    – Si appoggi a me. In qualche modo ce la faremo – disse Ardal.

    Per fortuna il detective era magro. Aveva persino una certa abilità nel saltellare sul piede sinistro, tutto considerato. Ma pesava lo stesso.

    – Dovremo parlare dei documenti dell’impuro – disse Graham, quando finalmente raggiunsero la strada e poterono riprendere fiato.

    – Adesso? – chiese Ardal.

    Sperò che il fiatone bastasse a simulare noncuranza.

    – No, non adesso – concesse il detective. 

    – E mi ha addossato un debito che non so come ripagare – aggiunse.

    Ardal sbuffò.

    – L’avrebbero trovata domani. Al massimo le ho risparmiato una notte all’addiaccio.

    – E una polmonite.

    – È giovane, se la sarebbe cavata in un mese.

    Il detective emise una risata che era quasi un latrato.

    – Certo che lei è un tipo ben strano.

    – Le cose comuni annoiano – replicò Ardal.

    Questa volta risero entrambi.

 

    Il giorno seguente Ardal scese nella sala comune che era già mezzogiorno. Il rientro dei due uomini era stato l’evento che avrebbe fatto parlare gli avventori del pub, quindi la quasi totalità degli uomini di Terra Nera, per i mesi seguenti. Il gestore aveva insistito per svegliare il medico, che aveva confermato una brutta distorsione alla caviglia destra del detective e una serie quasi infinita di abrasioni e contusioni. Nel mentre gli altri avventori avevano insistito per festeggiare l’avvenuto salvataggio con una serie di giri di whisky che, alla fin fine, erano esattamente ciò che serviva ad Ardal per affrontare il resto della nottata e farsi traghettare nell’incoscienza fino al giorno successivo.

    Non fu troppo stupito, quindi, nel vedere che Graham già lo attendeva seduto a un tavolo, ripulito, nonostante la lente ancora ammaccata, e con la caviglia sostenuta da una pila di cuscini. Era probabile che avesse meno mal di testa di lui. Anche se, a giudicare dalle occhiaia sotto i suoi begli occhi blu, aveva dormito meno.

    – Mi voleva parlare dei documenti dell’impuro – disse Ardal, sedendosi.

    Inutile tergiversare.

    Graham annuì.

    Aveva una tazza di quello che doveva essere the e ne tracannò un sorso, quasi a farsi coraggio, come se fosse un super alcolico.

    – Molte cose le sapevamo già – si decise a dire. – Il ragazzo aveva piume solo sulla schiena e le spalle. Bastava una camicia per renderlo indistinguibile dagli umani. Aveva tratti quasi jiquiniti, occhi allungati, carnagione scura, capelli neri, anche se risulta acquistato al nord. Non devono essere in molti ad avere quei tratti e l’accento nel nord.

    Ardal si strinse nelle spalle.

    – Nella famiglia di mio padre sono tutti così. Dei miei fratelli due sono rossi e lentigginosi come mia madre, mentre la mia sorella più piccola è come me.

    Graham annuì.

    Ardal si rendeva conto che non stava rendendo le cose facili. Ma perché avrebbe dovuto? Se avesse voluto incriminarlo non c’era molto che avrebbe potuto fare, a quel punto. Tutto ciò che aveva potuto fare aveva deciso di non farlo. Ma avrebbe eretto fino all’ultimo un fortino intorno alla propria dignità. Inutile per tutto salvo che per il suo amor proprio.

    – Ha con sé i propri documenti? – chiese Graham.

    – Naturalmente – rispose Ardal, estraendoli dal portafogli. 

    Glieli passò.

    Graham si prese del tempo per guardarli, passandoli in controluce. Estrasse persino una lente con cui osservò i timbri.

    – Sono autentici – disse poi, non senza una certa sorpresa. – Ma recenti.

    – Sono scappato di casa. Non ne ho avuto bisogno fino a che non sono stato assunto da Il flusso  e ho dovuto richiederli.

    E non aveva neppure faticato per ottenerli.

    I suoi genitori erano poveri fino all’indigenza, ma non avrebbero mai consegnato il proprio primogenito. Avevano tenuto nascosta la sua schiena a tutti, finché suo padre non era morto. Sua madre si era trovata con quattro bocche da sfamare e quando due di esse si erano ammalate aveva dovuto scegliere chi far vivere e chi far morire. Lo stato o i mercanti pagavano gli impuri primari. Per le famiglie più povere un figlio con le piume o gli zoccoli poteva essere un inaspettato colpo di fortuna. Ma ovviamente i bambini andavano consegnati o almeno registrati in fasce. Un impuro di sei anni era un problema da vendere come da comprare. 

    Per anni Ardal aveva odiato sua madre più di chiunque altro, prima di capire che quello era  stato l’unico modo per mantenere vivi tutti i suoi figli. E gli aveva lasciato anche un’imprevista via di fuga. Il mercante che lo avrebbe istruito per rivenderlo a peso d’oro da adolescente lo aveva pagato una miseria, ma la transazione era rimasta illegale. Nessuno aveva mai corretto il suo status all’anagrafe. Ardal aveva semplicemente dovuto richiedere una copia del proprio atto di nascita per riappropriarsi legalmente del proprio nome e della propria identità.

    Graham sospirò.

    – Meglio così. Mi hanno telegrafato dalla centrale. Non risulta che in un impuro corrispondente alla descrizione di Scriba sia mai stata fermato. Né ci sono crimini in cui i sospettati abbiano fattezze simili – disse. Poi, dopo un’esitazione, inchiodò Ardal con il cobalto del suo sguardo. – Considerate le prove raccolte, mi sento di concludere l’indagine indicando come il più probabile colpevole Scriba. Aveva quasi un anno più di Fiammetta e una muscolatura di sicuro più adatta a uccidere un uomo con un colpo. Ora sappiamo che aveva anche una motivazione plausibile, senza contare che chi lo ha incontrato lo ricorda come un ragazzo molto intelligente, capace di mantenere la calma anche quando veniva provocato. Se dovesse essere identificato, dubito gli daranno il tempo di dire qualcosa a propria discolpa.

    Ardal annuì.

    – Capisco – disse.

    Improvviso, sentì il bisogno di aggiungere qualcosa.

    Non aveva raccontato niente di sé a Donny, che pur con tutti i suoi modi bruschi lo aveva accolto in redazione quasi come un padre, né hai suoi colleghi e neppure a quegli impuri a cui si presentava come un patentato. Eppure quel silenzio gli era ora intollerabile.

    – Io…

    Graham lo fermò con un gesto.

    Si sistemò gli occhiali scheggiati, forse per prendere tempo per cercare le parole.

    – Io e lei… – esordì. – Credo che in altre circostanze avremmo potuto diventare buoni amici… Così come stanno le cose… Io ho giurato di difendere la Legge e odio l’idea di mentire, ma ciò che non conosco non posso rivelarlo. Viste le circostanze, credo che la cosa migliore sia salutarci oggi, in modo definitivo… Anche se la prego di credere che ha tutta la mia gratitudine e la mia stima.

    Per una volta, Ardal fu costretto ad abbassare lo sguardo.

    La sua libertà dipendeva anche dalla capacità di tenere tutti a distanza. Forse per la prima volta gli pesava davvero.

    – Mi sembra appropriato – disse.

    Chissà se si capiva, dal suo viso come sempre imperturbabile, quella sensazione strana, come se ancora una volta la vita avesse il sapore di un biscotto stantio? Qualcosa che avrebbe potuto essere perfetto, se non fosse stato in qualche modo corrotto o rovinato.

     Fece per alzarsi, ma Graham lo bloccò con un gesto.

    – Se permette, vorrei essere io a raccontagli una storia… Magari un suggerimento per un futuro reportage.

    Ardal si risistemò.

    – È opinione comune che gli impuri primari nascano per lo più tra i ceti più disagiati – iniziò Graham. – Anzi, gli aristocratici si vantano di aver discendenze pure, alberi genealogici che dimostrano secoli senza alcuna nascita impura. Mio padre è un figlio cadette di un ramo minore della nobiltà di campagna, una famiglia del tutto trascurabile, che pure si è sempre fatta vanto della propria purezza di sangue. Mia sorella è nata morta quando aveva sei anni. Non è stata neppure fatta vedere a mia madre, per non rattristarla troppo. Io ho un’innata curiosità e quella notte ero nascosto accanto alla camera di mia madre. Ho sentito un neonato vagire e ho visto il medico uscire con un fagottino che si agitava tra le braccia. Sono sicuro che avesse le mani nere di piume… Più avanti ho potuto appurare che nella famiglia di mio padre non si registra da tre secoli la nascita di un impuro primario, ma i casi di neonati morti alla nascita sono ricorrenti.

    – E l’infanticidio, anche di un impuro, è reato – ragionò ad alta voce Ardal, mentre un brivido gli percorreva la schiena.

    Per i poveri, le rare nascite impure erano qualcosa di visto come un’onta, qualcosa se possibile da nascondere. L’idea era che la famiglia avesse il sangue contaminato, oppure che la madre si fosse unita con un impuro. Però alla consegna del bambino veniva corrisposta una somma che per una famiglia indigente poteva essere considerata cospicua. Non lo era, considerando la fame che i mercanti avevano di impuri primari, ritenuti più intelligenti, più adatti ad essere addestrati per compiti di prestigio, oltre che indispensabili per rinforzare le linee di sangue. In ogni caso, l’incentivo economico portava la maggior parte delle famiglie povere a consegnare i figli. Era opinione comune che i ricchi non partorissero mai o quasi impuri. Anche se la risposta era ovvia, per loro era più facile disfarsene in altro modo, Ardal non aveva mai pensato a una pratica diffusa di infanticidio.

    – Di più. Le nascite di impuri primari nei ceti bassi sono comunque sporadiche – continuò Graham. – Una ogni circa duemila nati. Ho dedicato un po’ di tempo a questa mia ricerca e ho scoperto che invece i neonati nati morti nelle famiglie nobili sono piuttosto diffusi, anche togliendo una buona percentuale che può essere dovuta a cause naturali, ne restano comunque troppi. E i casi sono sempre più frequenti via via che la parentela con la famiglia imperiale aumenta.

    – Che cosa intendete? – chiese Ardal.

    – Nella famiglia di mio padre abbiamo un bambino nato morto ogni trenta parti circa, ma nella famiglia imperiale arriviamo a circa uno su tre e la crescita, la assicuro, è proporzionale al rango.

    Graham stava esponendo una teoria del tutto priva di dati, eppure Ardal percepiva l’incrollabile convinzione nelle parole del detective. Quello che stava dicendo era, se non la verità, qualcosa di cui l’uomo era convinto.

    – Quindi mi state dicendo che c’è una sorta di patto segreto nella nobiltà per eliminare alla nascita i bambini impuri?

    – Non credo che sia una cosa codificata e sistemizzata – sospirò Graham. – So per certo che mia madre non ha idea che la bambina che ha partito fosse viva e una delle mie zie ricorda solo che il medico le ha detto che il figlio ha smesso di respirare dopo pochi minuti. Credo che ogni famiglia nobile ritenga che una nascita impura sia qualcosa di indicibile. I medici probabilmente pensano di evitare alle madri delle sofferenze inutili e ai padri la vergogna. Alcuni secondo me agiscono senza neppure consultare i genitori. E chi ne è consapevole vive il fatto come un disonore, non chiede di sicuro al cugino se anche lui abbia avuto un figlio con le piume o le corna. Potrebbe non essere mai stato fatto uno studio sulle dimensioni del fenomeno. Ho trovato la maggior parte dei dati in un’oscura tesi di laurea in medicina sulla mortalità infantile nelle classi agiate.

    Ardal annuì.

    Aveva senso. Ma cosa significava il fatto che gli impuri primari potessero essere addirittura più comuni tra l’alta nobiltà? Non per la prima volta, il giovane fu colto dalla sensazione che vi fosse qualche premessa sbagliata, qualcosa di fondamentale che gli sfuggiva per capire le basi stesse della società in cui viveva

    – La ringrazio – disse. – Voglio scoprire cosa lega gli impuri agli angeli, quale sia davvero la nostra origine

    Graham gli concesse un sorriso.

    – Tutti dobbiamo dare un senso alla nostra vita e alla nostra libertà. Sono sicuro che lei ci riuscirà meglio di altri..

 

    Nel pomeriggio, per la seconda volta nella propria vita, Ardal salì su un treno che da Terra Nera lo conduceva nella capitale.

    Questa volta prese possesso di un posto in seconda classe, invece che salire nella notte sul retro di uno dei vagoni carichi di carbone. 

    Cinque anni prima non aveva potuto immaginare un viaggio più bello, così denso di aspettative e paure, ma neppure nei suoi sogni più folli si era immaginato a vent’anni ancora libero, con un lavoro rispettato, proiettato nel tentativo di svelare il mistero degli impuri. Ma a quindici anni non aveva pensato neppure per un istante che la libertà che stava scegliendo era per forza anche solitudine. Non aveva pensato a quanto avrebbe potuto pesargli un giorno l’idea che nessuno stesse aspettando il suo ritorno. Che nessuno forse lo avrebbe mai aspettato.



Con quest'ultimo capitolo si chiudono i "Preludi all'assedio degli Angeli".
Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che hanno letto, seguito, ricordato e messo tra le preferite. Ringrazio infinitamente Siyla, per essermi stata accanto a tenermi la mano in questa avventura.

Spero vi siano rimaste parecchie domande irrisolte.
Al momento sto scrivendo "L'assedio degli Angeli", la vicenda inizierà più o meno da qui, con Ardal rientrato in città che cercherà di intervistare l'elusivo colonnello Soilbeir. Non mi piace pubblicare storie ancora in fieri, anche perché spesso mi rendo conto di dover tornare indietro a sistemare qualche incongruenza. Quindi, se potete, non dimenticate il mio strano mondo steampunk e le sue domande. Perché vi devo delle risposte.

 

   
 
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