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Autore: GaginamSeisagon    24/01/2021    0 recensioni
La storia tratta di un ragazzo all'apparenza normale, un giovane studente Italiano trasferitosi in una piccola cittadina olandese per il suo Master. Ad ogni modo, dal suo arrivo, il giovane comincia a fare degli incubi, incubi di cui non si ricorderà il giorno dopo al risveglio, incubi che rimontano ad un passato che lui non avrebbe mai immaginato di avere, un passato molto antico. La prima sezione in particolare tratterà l'inizio del suo processo di risveglio, un processo difficile con un inizio difficile e turbolento, il quale in gran parte ruoterà attorno ad una misteriosa figura apparsa nella vita del protagonista come un fantasma e che sarà destinata a cambiargliela per sempre.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I Sei Astri Di Saggezza 

Volume 1: I ricordi riaffiorano 

 

In un mondo parallelo dove non siamo stati colpiti dal Coronavirus. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Giulia, Cassie, Noora, Suzé, Vivy e ad una mia vecchia compagna delle superiori e a tutti coloro che mi hanno sostenuto e spronato ad andare avanti e a finire questa storia. Senza di voi questo libro non esisterebbe. Grazie ragazzi! 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premessa 

Questo libro è il risultato di esperienze personali, conoscenze e rielaborazioni fantasiose tratte da libri, serie tv ed anime. Il realismo magico è un elemento essenziale che permea questa storia. Il mio intento, attraverso riferimenti magico-religiosi, spirituali ed esoterici, nonché descrizioni molto dettagliate, è di creare un’atmosfera immersiva dove realtà e fantasia s’incontrano e s’intersecano in modo inestricabile, al punto che diventano un tutt’uno organico e coerente. È mio desiderio ed auspicio che tramite questi espedienti, il lettore possa sentirsi trascinato dentro la storia e partecipe delle vicende dei personaggi così come lo sono stato Io.  

 

Mercoledì 13 Maggio 2020. Ore 20.04 

 Se fino alla mattina di cinque giorni prima mi avessero detto quello che mi avrebbe aspettato nei giorni precedenti, non gli avrei creduto. Tutto mi sembrava così terribilmente importante. Sempre in affanno, sempre di corsa a rincorrere un futuro che nemmeno volevo, conducendo una vita che odiavo, facendo cose che mi disgustavano ed il solo pensiero mi angosciava facendomi passare notti insonni, solo perché non sopportavo più di vivere a casa con i miei genitori. Ora invece la mia vita in cinque giorni era stata totalmente stravolta. Niente di ciò che inseguivo come una bandiera aveva più senso. È incredibile come le tue priorità si ridefiniscono a seguito di eventi traumatici. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prologo 

 

Questa è una storia che risale a tempi molto antichi. Ai tempi delle grandi conquiste spaziali da parte di civiltà avanzate, della conquista della Terra e della creazione dell’uomo. Un’era in cui varie razze ormai perdute vivano sul nostro Pianeta. Tra queste vi erano gli Elohim, esseri dotati di grande potere, saggezza (almeno in principio), longevità e progresso tecnologico incredibilmente avanzato, nonché i creatori dell’umanità. Ognuno di questi esseri aveva capacità e conoscenze al di là di ogni comprensione umana. I figli degli Elohim, I Nephilim tra i loro molteplici poteri avevano ognuno un’abilità specifica ricevuta alla nascita, tale potere era definito abilità innata. Gli Elohim purtroppo come gli umani di loro creazione anch’essi erano volubili di fronte ai vizi, alla brama e al desiderio di potere. La responsabilità della crescente corruzione delle creature del cosmo, era dovuta agli influssi della Zona Oscura. La Zona Oscura era una “parte” se così si può definire della Fonte stessa che nel momento/non momento della Creazione, per volontà di quest’ultima si era “staccata” dal suo “luogo” di origine e aveva dimenticato la sua natura intrinseca trasformandosi in oscurità. Un'energia con proprietà affini alla Fonte, ma che, privata della Saggezza intrinseca della sua Essenza originaria, aveva cominciato a espandersi automaticamente e incontrollatamente per colmare il vuoto di sé stessa. In questo modo era discesa nelle dimensioni inferiori corrompendo pian piano le energie delle varie forme di vita che stavano popolando gli Universi e da tale corruzione da allora in poi luce e tenebre avrebbero a intervalli alterni caratterizzato la vita di ogni creatura. Tuttavia, più si espandeva più la sua influenza sembrava aumentare, fino al punto che Tutto il Creato avrebbe rischiato di venirne inghiottito divenendo un luogo tetro e sterile. 

 

Per far fronte a ciò, la Fonte Suprema, la scintilla creatrice della Vita stessa nel nostro e negli altri Universi scinse la sua stessa essenza in sei principi, Creazione, Mutamento, Assorbimento, Distorsione, Accrescimento e Inversione. Ogni principio sarebbe stato dato a un Nephilim meritevole al momento della nascita come abilità innata. Questi sei Individui grazie alle loro abilità diventarono i guardiani di tutte le creature senzienti su Terra con il compito di mantenere l’equilibrio sul Pianeta Terra e l’Universo intero facendo sì che questo continuasse su vibrazioni elevate al fine di favorire la loro evoluzione e continua crescita.   

 

Tali Principi, dati i loro incommensurabili poteri avrebbero reso I Nephilim portatori superiori ai loro stessi simili. Pertanto, per mantenere l’equilibrio prima della conclusione del ciclo vitale dei loro padroni o quando questi avevano completato la loro missione, i Sei Principi avrebbero selezionato altre sei individui in cui manifestarsi al momento della loro nascita.  

Tuttavia, nell’infinità di Creazione della Fonte Suprema vi erano delle zone d’ombra, caos, ciò che i fisici avrebbero chiamato Materia ed Energia Oscura. Tali zone assorbirono energia e col tempo divennero autocoscienti al punto che crearono un nuovo principio nel quadro della creazione “Distruzione”. Tale principio per svariati milioni di anni non trovò mai un ospite in cui manifestarsi come abilità innata, almeno fino all’ultima era d’oro dell’umanità e delle altre razze che abitavano il pianeta 5000 anni fa. Per di più Creazione, il più potente tra i principi ed anche quello più affine all’essenza della Fonte Suprema stessa, si riteneva non essersi mai manifestato in tutto il suo potere in un ospite prima di allora e, a differenza degli altri, sempre si manifestava tardivo. Cinquemila anni fa fu l’era in cui i Sei Principi si incarnarono tra i Sei guerrieri Nephilim, i più potenti che l’Universo intero avesse mai visto fino a quel momento e che avrebbe visto in futuro.  Quei valorosi guerrieri che vissero e lottarono in uno dei periodi più oscuri del nostro Pianeta quando il Settimo Principio Distruzione iniziò a manifestarsi in un ambizioso Nephilim, presero il nome di “Xflhk hjk ch§vlh &hver (Sei Astri di Saggezza).” 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sezione1: Non puoi immaginare che giornata ho avuto. 

 

Una vasta pianura bruciata si distendeva a perdita d’occhio, intorno a me solo cenere e fumo, a parte cinque sagome indistinte che non riconobbi, ma che mi sembrano così familiari ed un’altra di fronte ancor più familiare ed al contempo sinistra. Ad un certo punto percepii di essere accasciato a terra, mentre una delle cinque figure mi stava sorreggendo la testa. Da quelle fessure che erano ormai i miei occhi semichiusi intravedevo i suoi brillando di un azzurro acquamarina così intenso che pensavo potesse accecarmi con dei puntini chiari nell’iride che ricordavano delle stelle. Non compresi immediatamente cosa stesse succedendo, ma nonostante i miei occhi si fossero quasi del tutto chiusi, sentii uno strano odore, un odore metallico, ed in un attimo mi resi conto del sangue sulla mia veste e di uno squarcio enorme sul mio petto. In un istante realizzai di stare morendo, prima che i sensi mi abbandonassero del tutto la figura mi disse qualcosa in una lingua che non conoscevo ma che stranamente comprendevo. “Rewt xft trnqr ltsvq. Werdt §qmn£rdvlm wretgnt stngklm werdt xshq£rdvlm wret xb£qptlgry! (Non ti preoccupare. Ti vendicheremo ed un giorno ci vedremo di nuovo)”. Prima che potessi replicare, sentii le ultime forze che abbandonarono il mio corpo, un senso di espansione e di pace poi... 

 

1.1 Una giornata all’apparenza normale 

 

Tititititititti 

 

Cinque giorni prima: Venerdì 8 Maggio 2020. 

 

La sveglia suonava all’impazzata. Mi svegliai di soprassalto in un bagno di sudore, i già vaghi ricordi del sogno iniziavano a svanire mentre la mente conscia si preparava ad affrontare un’altra giornata. 

Mi alzai per disattivare quella che avrei scoperto essere la quinta sveglia di quella mattina. Una volta silenziata la mia quotidiana tormentatrice, guardai l’ora sul telefono con sguardo ancora assonnato ed assente e per poco non mi prese un colpo. Erano le 12.30 e alle 13.15 avrei avuto lezione all’università, distante 25 minuti di bicicletta nella casa a Voorschoten dove vivevo in affitto. Dovevo assolutamente sbrigarmi. Prima di precipitarmi giù in cucina per fare una colazione veloce con il poco di latte d’avena che mi era rimasto, un po’ di miele e una confezione di cereali quasi finita, diedi un’occhiata ad i messaggi su WhatsApp e notai dei messaggi di Giulia, una mia amica conosciuta in università, che mi chiedeva se più tardi potevamo incontrarci per studiare in biblioteca e se avevo visto le ultime clip dei giorni passati di Skam France, una serie che entrambi seguiamo, che esce a spezzoni o clip di pochi minuti ciascuna quasi tutti i giorni e che io e Giulia commentiamo con piacere ogni volta che ne esce una.  

 

Prima di continuare con la mia storia mi presento. Mi chiamo Yuri sono un ragazzo italiano di 23 anni nato a Roma, mi sono trasferito qualche mese prima in Olanda per studiare all’Università di Leiden, Master di un anno in Economia Politica e Società dell’Asia. Mi sono trasferito perché avevo bisogno di un po’ di spazio dai miei genitori e volevo iniziare a costruire la mia indipendenza. La mia vita fino a quella mattina di Venerdì 8 Maggio 2020 era stata relativamente normale, per quanto possa esserlo per un ragazzo autistico con la sindrome di Asperger. È in Olanda che la mia vita è iniziata, è in Olanda che la mia vita è finita, proprio nel pomeriggio di quell’8 Maggio.  

Ma tornando a noi, digitai un breve messaggio di risposta a Giulia dicendole di incontrarci dopo le tre, una volta finita lezione davanti la biblioteca centrale dell’università di Leida dietro l’edificio chiamato Lipsius in cui tutti gli studenti che facevano un qualsiasi studio relativo alla sfera umanistica ogni tanto si ritrovavano a far lezione lì, inclusi me e Giulia. In più, le risposi che avevo visto le ultime clip commentando come sempre la bravura recitativa degli attori.   

Fatto ciò, mi cambiai in fretta e furia, una t-shirt bianca con la scritta Sao Paolo Brasil, una felpa grigia con cappuccio sopra, un paio di jeans grigio chiaro e uno di calzini neri con motivi rossi ricamati e mi preparai a scendere per divorare la mia magra colazione prima della biciclettata verso Leida che per precisare si trova accanto alla cittadina dove risiedevo allora. Finito il mio pasto guardai un'ultima volta l’ora sul telefono.

 

 

Ore 12.50. 

 

Ok... Dovevo partire immediatamente se non volevo rischiare di far tardi a lezione. Mi infilai a forza le mie scarpe sportive un po’ consumate di un colore rosso acceso con quello sembrerebbe essere un simbolo della Nike, mi metto il mio zaino verde con motivi militari in spalla con dentro il computer e tutti i miei quaderni per appunti, monto in sella alla mia bicicletta Margareth (nome di un personaggio di un anime chiamato Nanatsu no Taizai ) e mi precipitai fuori casa con pedalata sostenuta.  

 

Il tragitto per arrivare alla biblioteca quel giorno mi sembrò più breve del solito, tant’è che, senza essermene accorto, avevo raggiunto la mia destinazione in modo totalmente automatico preso com’ero dall’ansia di fronte alla prospettiva di fare tardi a lezione. Infatti, non appena arrivai al parcheggio delle biciclette la mia attenzione in modo repentino, quasi violento si proiettò all’esterno della mia testa, facendomi provare per un attimo una sensazione di una singolarità indescrivibile, come se tutti i miei sensi fossero esplosi di colpo. Ad ogni modo, con la stessa modalità con cui era apparsa erano svanita come neve al sole facendomi dubitare sulla veridicità stessa di tale esperienza. Dopo aver scosso la testa e strabuzzato gli occhi, mi convinsi che lo stato di dormiveglia in cui ancora mi trovavo mi stesse giocando brutti scherzi e lasciando la bicicletta nella fila davanti al bar della biblioteca, la assicurai per bene ad un palo della luce con la mia spessa catena d’acciaio, mentre con la mente cercai di trovare una possibile scusa per giustificare il mio supposto ritardo. Prima di entrare in aula situata nel labirintico edificio in mattoni al lato della biblioteca,    

come ultima cosa presi la torcetta legata al manubrio e me la infilai in tasca, ed ormai convinto del mio ritardo pensai che indugiare un secondo di più giusto per prendere il telefono dalla tasca non avrebbe fatto grande differenza ormai. Tuttavia non appena l’ora sullo schermo apparve davanti la mia visuale, non potei fare a meno di tirai un sospiro di sollievo. Erano Le 13.13! Due minuti prima dell’inizio della lezione. Anche questa volta ero riuscito ad arrivare in orario per un soffio, ma almeno ce l’avevo fatta.  

 

Pur essendo maggio, faceva particolarmente caldo quel giorno per le medie stagionali olandesi e dopo la mia pedalata la mia felpa leggera era già umida di sudore. Accompagnato da pensieri di preoccupazione in merito al mio odore mi diressi a passo sostenuto verso l’edificio dove avevo lezione. Arrivato di fronte alla porta dell’aula intravedo dentro la sagoma del professore che si accinge a spiegare. Feci per impugnare la maniglia, ma mi trovai colto da un momento di esitazione, una sensazione che non riuscii a spiegare e che mi percorse la schiena come un brivido, una potente scarica elettrica per essere più precisi.  Esitai un momento con la mano attorno alla maniglia percependo la fredda sensazione del metallo a contatto con la pelle del palmo della mia mano. Prendo un profondo respiro distensivo, feci spallucce come per scacciare la sensazione di un attimo prima, e abbassando la maniglia, tirai la porta verso di me ed entrai.  

Ora erano le 13.15 in punto e davanti a me il professore in piedi pronto a cominciare la sua spiegazione, mi lanciò uno sguardo che mi incitava a prendere posto il più in fretta possibile. “Please take a seat. We have started right now”, mi disse con sguardo impenetrabile, ma con un tono di voce che lasciava trasparire una leggera impazienza. Ancora abituato ad anni di esperienze nell’Istruzione italiana, dopo mesi all’estero ancora restavo stupito della precisione svizzera che gli Olandesi avevano quando si trattava di orari. Meno male che tutti i miei corsi erano insegnati in Inglese. Altrimenti avrei avuto non poche difficoltà a comprendere la loro lingua. Dopo quasi 9 mesi tutto quello che potevo dire erano espressioni semplici come “Grazie Mille” e “Prego” (“ Dank je wel” e “Alstublieft”) e poche altre cose.   

 

Comunque, tornando a noi, chinai la testa in segno di assenso ed al contempo di imbarazzo e passai velocemente in rassegna con lo sguardo i posti dove erano seduti i miei compagni. Immediatamente col mio sguardo raggiunsi Viviana, detta Vivy, e notai che mi aveva tenuto il posto libero vicino a lei.  Cercando di fare il meno rumore possibile, mi feci spazio tra le file di sedie occupate dai miei compagni e raggiunsi il posto lasciato libero vicino alla mia amica.  

 

Appena seduto, Vivy con voce bassa ed un’occhiata stanca, dovute al poco sonno e ad una potenziale serata di festeggiamenti probabilmente con alcool, mi chiese come stessi. Anch’io avevo le palpebre ancora pesanti e delle leggere borse agli occhi dato che ormai da mesi avevo incubi che non riuscivo a ricordare e che non mi facevano dormire bene. Istintivamente risposi alla domanda con un “Bene”, ma dal mio aspetto e dal tono della mia voce si percepiva tutta la mia stanchezza ed il mio stress. Ne ero ben consapevole ed ero certo se ne fosse accorta anche lei, anche se, non volendo probabilmente forzarmi a parlare, si limitò a rispondere con un “Ok”.  

 

Vivy era una ragazza forte, indipendente e che si buttava sempre nelle cose a capofitto e a testa alta. Una vera femmina Alfa. Era una delle cose che adoravo di lei, probabilmente perché in me tali qualità erano scarse se non assenti.  Alta un buon metro e ottanta, occhi castani, capelli ricci, in questo momento scuri per la tinta, ma credo castani in origine, era un concentrato effervescente ed esplosivo. Era il tipo di ragazza molto disponibile e gentile con chiunque, che non si faceva problemi ad aiutarti, anche se eri un estraneo e che si faceva in quattro per i suoi amici. Ma una cosa che non dovevi fare era approfittartene, altrimenti stanne certo gliel’avresti pagata e a caro prezzo. Da quel che ricordo avevo sempre ammirato la sua determinazione e ne ero rimasto colpito il giorno stesso in cui l’avevo incontrata 4 anni prima durante la Triennale a La Sapienza a Roma insieme ad un’altra sua amica con cui avrei legato anch’io in seguito. 

 

Il nostro breve scambio si interruppe subito, dato che il professore aveva iniziato la sua dissertazione solita richiamando l’attenzione di tutti i presenti con un lieve colpo di tosse.  La mia attenzione, tra tutti quei termini e descrizioni di corpi di polizia, leggi, funzioni e quant’altro, si perse immediatamente e la mia mente prese il sopravvento estraniandomi e proiettandomi in altri luoghi ed in altri tempi. Destatomi un attimo dal mio chiacchiericcio mentale lanciai uno sguardo annoiato allo schermo del mio telefono posato sul banco di fronte a me. Le 13.25. La lezione non sarebbe finita prima delle 15. Mi aspettava una giornata lunga, MOLTO lunga. Dopo una mezz'ora di spiegazioni ed un paio di gruppi che facevano le loro presentazioni power point in merito alle funzioni dei corpi di polizia sud coreani, guardo di nuovo con aria al limite dell’esasperazione l’ora.  

 

Ore 14:59. 

 

Con mio sollievo, non appena il secondo gruppo aveva finito di illustrare la loro ricerca tramite presentazione Power Point, i miei compagni avevano subito iniziato a riporre i loro computer ed effetti personali vari nei loro zaini e borse. P.S: Quasi tutti i corsi all’università di Leida prevedevano delle presentazioni individuali o di gruppo, su una o più tematiche trattate a lezione da una certa settima dall’inizio del corso in poi. A questi al termine del corso sarebbe seguito un paper da dover scrivere di lunghezza variabile dalle 3-4000 fino alle 7000 parole, a seconda dei CFU che un corso forniva e a discrezione dell’insegnante.  

 

 

Ore 15:00. 

 

Allo scoccare del cambio dell’ora il professore smise di spiegare, e trattenendoci giusto un paio di minuti oltre l’orario, diede delle brevi indicazioni per la lezione della prossima settimana per poi congedarsi con il suo augurio di buon week-end. Finalmente potevo riposarmi un attimo. Sebbene dovessi comunque andare in Biblioteca a studiare, avevo comunque la possibilità di prendermela con comodo approfittando dei giorni del week-end per recuperare ciò che, molto probabilmente già sapevo, non sarei riuscito a finire quel giorno.  Distrattamente rimisi nello zaino il computer, che alla fine nemmeno avevo acceso per prendere appunti, tanto era stato basso il mio livello di attenzione e partecipazione alla lezione. La classe si era ormai già svuotata, e mentre attendevo che Vivy finisse di mettere nel suo zaino le ultime cose contemplavo con meraviglia il silenzio dell’aula vuota e la luce del sole penetrando dalle grandi finestre dietro di noi che si affacciavano su un percorso pedonale mattonato.  

 

Usciti dall’aula scambiai qualche commento veloce con Vivy sulla lezione appena terminata e arrivati al parcheggio di biciclette davanti la biblioteca poche decine di metri più avanti prima di salutarci rimaniamo d’accordo di sentirci questo week-end per uscire a bere qualcosa o vederci un film al cinema. Detto ciò, Vivy tolse la catena alla sua bicicletta e partì in direzione del suo appartamento al centro della città a 2-3 minuti di bici. 

 

Appena congedatomi dalla mia amica mandai un messaggio a Giulia, proponendole di Incontrarci all’ultimo piano della Biblioteca Centrale Universitaria, dove c’era una sezione speciale con accesso ristretto chiamata “Asian Library”, dedicata esclusivamente agli studenti del programma di studio Asian Studies, anche se alla fine chiunque poteva entrarci.  Infatti, il semplice fatto di essere in possesso di una tessera della biblioteca, indipendentemente dal tuo corso e programma di studi, ti permetteva di accedere alla sezione Asiatica.  

 

Bastava solo passare la tessera sopra un sensore magnetico al lato dell’entrata principale, attendere che la spia verde si accendesse, passarla sul lettore della porta d’ingresso, tirare la maniglia e il gioco era fatto.  Arrivato in Asian Library mi sistemai nello spazio insonorizzato al lato dell’entrata, pieno di piante esotiche di tutti i tipi. Un bel colore bianco marmoreo donava un’atmosfera di serenità e concentrazione, infine il tutto era ben combinato con una fievole luce proveniente da delle lampade al neon che scendevano dal soffitto per oltre un metro. Ma la cosa che adoravo di più, oltra al fatto ovviamente di poter parlare e fare chiamate liberamente, erano le grandi vetrate che si affacciavano sul corridoio delimitante il lato interno della sezione asiatica. Era come un rifugio per me. Un piccolo angolo di paradiso. Nel mentre che aspettavo Giulia, decisi di tirare il computer fuori dal mio zaino e collocarlo su una sedia. Un pretesto per illudermi che avrei concluso qualcos’altro in termini di studio quel venerdì pomeriggio. Conscio di questa prospettiva, gettai uno sguardo al mio telefono notando con grande stupore che erano già le 15.30. 

 

Un messaggio di Giulia arrivò in quel momento dicendomi che sarebbe arrivata lì in 5 minuti aggiungendo alla fine la sua tipica emoticon dei doppi palmi tesi, come era solita fare alla fine di ogni messaggio ogni volta che dovevamo incontrarci.  Non avevo mai veramente compreso il significato di quell’emoticon, magari era un segno di assenso? Credo di averglielo anche chiesto una volta, ma ammetto che non mi ricordo la sua risposta. Dopo aver letto il messaggio decisi di approfittare di quei minuti di attesa per fare un salto al bagno. Al terzo piano dell’edificio dove era situata l’Asian Library vi erano due bagni, ognuno in una delle due grandi sale situate ai due lati, destro e sinistro della sala centrale dove era situata la sezione asiatica, con corridoi, scale a chiocciola per scendere e salire da un piano all’altro e dei giganteschi tetti a cupola in vetro che durante le belle giornate ( che per inciso, dato il meteo olandese solito, erano molto rare) illuminavano queste ampie sezioni dandogli un’atmosfera, a mio dire, molto più viva. Ancora dopo molto tempo, facevo fatica a trovare i bagni. Già di mio avevo problemi di orientamento, in più l’architettura dell’edificio era a dir poco labirintica e non facilitava certamente l’impresa. 

 

 Le ampie sezioni erano tutto costituite di muri di mattoni rossi con finte colonne portanti, il perimetro era circondato da un corridoio quadrangolare rosso, tutte le scale erano a chiocciola e in marmo circondate ai lati da due strati di cemento grigio e sopra recavano dei manici di metallo a cui appoggiarsi. Per di più, le porte dei bagni erano pressoché identiche a quelle delle varie entrate delle sezioni di studio disposte sui vari piani. Per dirla in breve non era esattamente il massimo per orientarsi. Fortunatamente, dei cartelli appesi al soffitto indicavano le varie zone. Giunto alla mia meta e conclusa la mia “missione”, mi lavai le mani, e dopo averle velocemente asciugate strofinandole sui miei jeans mi diressi verso l’uscita del bagno.  

 

 

1.2 Un incontro insolito 

 

 Appena avevo iniziato a percorrere il corridoio, il mio sguardo si fissò ad osservare ciò che stavano facendo gli studenti ai tavoli dei piani di sotto. Per un attimo la mia attenzione fu così catturata da ciò che stava avvenendo lì in basso, che avanzai in modo automatico verso la porta che collegava la sezione dove mi trovavo ora a quella dell’Asian Library. Quasi arrivato in prossimità della porta, non mi accorsi che qualcun’altro stesse venendo dalla direzione opposta.  Fu un istante. Le nostre spalle si scontrarono non piacevolmente dato che il ragazzo stava procedendo a passo sostenuto. In quel momento mi voltai invaso da una rabbia improvvisa, e senza curarmi se potesse capirmi o meno gli inveisco contro in Italiano: “Ma insomma! Vuoi stare att..”. Tuttavia, nel momento che stavo per concludere la frase i miei occhi focalizzarono i suoi ed il suo volto. In quel momento le parole mi morirono in gola. La mia bocca si spalancò all’inverosimile osservando quegli occhi azzurro intenso del colore dell’acquamarina e quei capelli biondi, di un biondo così luminoso e vivo come non l’avevo mai visto in nessun altro ragazzo. 

 

(Immagine presa da https://www.tgcom24.mediaset.it/tgtech/foto/-questi-volti-non-esistono-diventa-virale-il-sito-che-crea-immagini-di-persone-attraverso-l-intelligenza-artificiale_3095607-2019.shtml e modificata tramite Pixlr E, software per la modifica d’immagini) 

 

E vivo in Olanda! Parliamone! Di ragazzi biondi con gli occhi azzurri ne avevo visti a bizzeffe.  Ma questo ragazzo che in questo momento stava di fronte a me aveva una bellezza a dir poco mozzafiato, come ben poche altre avevo visto nella mia vita. Sarà stato alto almeno due metri. Spalle larghe, fisico tonico ed asciutto e una pelle chiara così tanto luminosa da sembrare cesellata. Le labbra sottili e di un access sfumatura rossa, zigomi e mascelle in rilievo ma non troppo, gambe lunghe e toniche, petto, ampio, braccia robuste. La cosa che immediatamente catturò la mia attenzione fu sicuramente la sua t-shirt bianca semplice, ben aderente che lasciava intravedere una serie di sei addominali scolpiti. Credo che in quel momento stessi decisamente sbavando dentro di me. Comunque sì. Se ve lo state chiedendo mi piacciono i ragazzi ed anche le ragazze. Per semplificare possiamo dire che sono Bisex, anche se non ho mai molto amato le etichette. 

Ammetto di aver provato in quel momento anche un po’ di complesso di inferiorità. Sono sincero. Non mi ritengo brutto. Sono anch’io molto alto, fisico asciutto e sodo, ben piazzato, spalle larghe, mascella definita, naso ben proporzionato, occhi marroni e capelli nero corvino. Eppure, di fronte a quel ragazzo e alla sua bellezza senza tempo, quasi innaturale, i miei punti forti, esteticamente parlando, impallidivano totalmente. 

 

Tuttavia, al di là del suo aspetto simile a quello di una statua di un Dio greco del Partenone che aveva preso vita, la sensazione più travolgente si manifestò in me nel momento in cui i miei occhi avevano incrociato i suoi e, sebbene fossi sicuro che non l’avevo mai visto prima, avevo questa fortissima sensazione di conoscerlo profondamente ed intimamente. In un istante mi ricordai dell’incubo di quella notte, e di quegli occhi che mi guardavano mentre stavo morendo. Sebbene quelli del ragazzo non avessero, ovviamente, quella sorta di stelle nell’iride e non brillassero come delle luci stroboscopiche, erano della stessa tonalità ed intensità espressiva di quelli che avevo sognato Io. Non potevo crederci. Dentro di me percepii immediatamente come una certezza che fosse la stessa persona. Eppure, la mia mente razionale si mise in moto dicendomi che si trattava solo di sciocchezze, che la stanchezza e la mancanza di un buon sonno ristoratore da qualche mese a questa parte stava giocando brutti scherzi alla mia psiche.  

 

Credo di essere rimasto incantato a bocca aperta per qualche secondo, anche se a me allora era parso un tempo interminabile. Anzi, era proprio come se il tempo si fosse fermato. Il ragazzo continuava a fissarmi di rimando ed ebbi la chiara sensazione che anche lui avesse avvertito la stessa cosa. A riprova di ciò, lo sconosciuto mi lanciò uno sguardo strano, non il solito sguardo di nervosismo e disagio che ci si aspetterebbe da qualcuno fissato insistentemente da uno estraneo. In quello sguardo c’era una quantità di emozioni e stati d’animo immensa, tanti, quante erano le sfumature dei colori. Fastidio, rabbia, felicità, gioia, amore e apprensione? Non so perché, ma captai da una delle tante sfumature nei suoi occhi che, per qualche ragione, quel ragazzo fosse preoccupato per me, per la mia incolumità. Percepii anche una tristezza, una tristezza profonda, antica, tipica delle persone molto in là con gli anni che hanno visto passare a miglior vita molte persone care, ma che era decisamente inusuale per un ragazzo così giovane che avrebbe avuto più o meno la mia età. Anno più, anno meno.  

 

Ad ogni modo, cercai di riprendermi da quella sorta di trance in cui erano caduti i miei sensi e provai a biascicare qualcosa per tirarmi fuori dal crescente imbarazzo che stavo provando. Ma prima che potessi riuscirci, il ragazzo si voltò riprendendo la sua rapida andatura solo per dirigendosi anche lui in direzione del bagno. Senza volgere lo sguardo nemmeno una volta verso di me, lo sconosciuto mi lasciò lì in mezzo al corridoio come un idiota. Confuso e perplesso, cercai di allontanare quelle sensazioni e di spingerle nuovamente in profondità nel mio inconscio. Un attimo ancora di immobilità e mi voltai in direzione della porta per tornare all’Asian Library. Entrato nella sezione centrale sentii una vibrazione nella tasca. Prendo il telefono e sullo schermo vedo il messaggio di Giulia arrivato in quel momento. Ore 15:36: “Ehi. Sono arrivata in Asian” recitava il messaggio, sempre seguito da un emoticon con i doppi palmi tesi.  Ancora sovrappensiero mandai a Giulia un messaggio distratto in cui le comunicavo che sarei arrivato tra un attimo, solo per poi aggiungere in un secondo messaggio subito dopo: “Ho lasciato le mie cose nell’area insonorizzata”.  

 

Appena inviato il messaggio tirai fuori la mia tessera studentesca di accesso per poi passarla sul lettore della porta al secondo ingresso in fondo alla stanza, tirare la maniglia ed entrare. Sebbene ci stessimo avviando al periodo degli esami, con paper finali e tesi da scrivere e sebbene non fossero nemmeno le quattro di pomeriggio, questo insolitamente caldo giorno di maggio aveva fatto desistere anche gli studenti più diligenti. Ammetto che in occasioni decisamente rare avevo visto la Biblioteca Asiatica con così poche persone dentro. “Meglio così!” mi dissi tra me e me mentre facevo spallucce. Il silenzio era quasi spettrale ancora più del solito per una biblioteca. Comunque, per evitare di disturbare i pochi studenti che ancora erano lì a studiare decisi di dirigermi senza troppi indugi alla mia postazione nell’area insonorizzata. Appena aperta la porta notai subito una figura seduta su una sedia accanto alle mie cose. Tale sagoma era alta circa un metro e sessanta, con occhi marroni, capelli ricci crespi castani, pelle chiara e sebbene fosse di spalle, sapevo con certezza che aveva dei leggeri arrossamenti in volto, infatti avevo capito subito che si trattava di Giulia.  

 Mi avvicinai senza che lei se ne accorgesse mentre era ancora intenta a inviare dei messaggi. 

 

Arrivatole accanto le dissi: “Ciao”. Lei che non si era accorta del mio arrivo alle sue spalle, si voltò di scatto con gli occhi spalancati, bocca leggermente aperta, facendo un piccolo balzo sulla sedia come chi viene preso alla sprovvista mentre è intento a svolgere una qualsiasi attività, o nel caso di Giulia, come se le avessi posizionato una banana davanti alla faccia in un momento di distrazione. Sì...Giulia ha un problema con le banane, come io con i serpenti. Ma, ehi! Nessuno è perfetto! Abbiamo tutti le nostre fobie o manie! Le ci volle un attimo per riprendersi dalla sorpresa improvvisa, dopo essersi messa una mano sul petto all’altezza del cuore come a chi accelera improvvisamente il battito cardiaco a seguito di uno spavento improvviso come nelle scene con musica da suspence in crescendo nei film horror. “Ehi. Ciao”; mi disse con ancora qualche residuo di fiatone nella voce. “Dammi un secondo che sto finendo di scrivere una cosa a Rick”. Rick è il ragazzo di Giulia. Lui è olandese, infatti si sono conosciuti qui a Leida, credo che fosse ad una festa, anche se le circostanze non mi sono tuttora chiarissime. Comunque, finito di digitare il messaggio lei mi chiese come stessi e io non sapendo bene come risponderle, mi mantenni sul vago. “Come al solito. Ho sempre problemi a dormire”; risposi con voce stanca.  

 

Non so perché non parlai subito di quello strano incontro di qualche minuto primo nel corridoio che portava al bagno, dato che ero solito raccontare tutto a Giulia senza farmi troppi problemi, tuttavia non sapevo cosa dire e non sapevo se mi avrebbe creduto. Ricacciai indietro quei pensieri e senza rendermi conto che mi ero estraniato per un po’, non notai che Giulia aveva detto qualcosa che io non avevo sentito minimamente. Infatti, non appena tornai presente a me stesso, davanti ai miei occhi apparve la sua figura che mi guardava con uno sguardo interrogativo al limite del preoccupato. “Ci sei?”; mi chiese la ragazza preoccupata. Io risposi: “Sì. Scusa. Faccio fatica a connettere oggi in particolare. Mi stavi Dicendo?”. Lei esitò con espressione dubbia in volto che sembrava voler dire “Tanto non me la dai a bere! So che c’è sotto qualcos’altro”. Tuttavia, la sua risposta fu semplicemente: “Guarda. Ti stavo dicendo che magari potresti provare a prendere degli integratori per la vitamina D. Magari può aiutarti.” Io feci una faccia poco convinta. Nonostante nei mesi scorsi avessi attribuito lo squilibrio dei miei ritmi biologici di sonno a veglia alla minore esposizione alla luce solare, (Cioè ragazzi; in Olanda, in alcune zone piove fino a 280 giorni all’anno! Gran parte degli altri giorni se non piove è nuvoloso, e nelle rare giornate di sole che di solito iniziano da fine marzo- inizio aprile, se durano una mezza giornata c’è da considerarsi fortunati.), ora non ne ero più molto sicuro. Non sapevo il perché, ma sentivo che la ragione fosse un’altra.  

 

Comunque, risposi con non troppo entusiasmo “Sì magari hai ragione. Forse dovrei provarci”. Vedendo che la conversazione stava giungendo ad un punto morto Giulia allora decise di chiedermi la mia opinione sulle ultime clip di Skam France. Skam France è un remake della serie norvegese Skam, il cui significato è in italiano “vergogna”.  Inizialmente le prime volte che la ragazza me ne aveva parlato non ero stato troppo interessato. Tuttavia, quando avevo iniziato a vedermi i vari remake mi sono ritrovato a diventarne uno dei fan più accaniti. Tant’è che tale tematica aveva finito per coprire una buona percentuale delle nostre conversazioni 

 

Così, senza rendercene conto, quasi un’ora e mezza era passata nella nullafacenza più assoluta. Quando i miei occhi caddero sull’orario, ancora una volta non potevo credere che tutto quel tempo fosse passato e che fossero già le 17:03. Compreso ormai l’andamento di quella giornata, proposi a Giulia, già che c’era, di vedersi con me un video sempre su YouTube che parlava di alcuni dei personaggi principali del mio manga/anime preferito, spiegandone al contempo le loro caratteristiche più importanti e la loro storia.  

 

Finiti i quindici minuti di video, io e Giulia ci accordammo per scendere al piano terra dove si trovava il bar e prenderci qualcosa da mangiare. Chiuso il computer lo lasciai sulla sedia ancora acceso. fiducioso del fatto che nessuno me lo avrebbe rubato. Comunque, prima di lasciare la stanza insonorizzata cominciai a riflettere sulla possibilità di portarmi qualcosa di più pesante appresso. Infatti, sebbene facesse ancora molto caldo, la temperatura aveva iniziato leggermente ad abbassarsi, perciò dopo un momento di esitazione decisi di prendere la mia felpa grigia e di legarmi le maniche attorno alla vita, così nel caso avessi sentito freddo al bar l’avrei indossata. Giulia nel frattempo si era presa un attimo per sistemare le sue cose nello zaino, dato che c’era la possibilità che Rick la venisse a prendere davanti la biblioteca come era solito fare. Sebbene lei non sapesse ancora di preciso l’ora in cui il suo ragazzo sarebbe passato, sospettavo intorno le 18/18.30, un orario in cui solitamente Giulia tendeva ad andarsene dalla biblioteca, in particolare il venerdì. Per di più, dato che facevamo pause al bar di durate astronomiche non mi sarei stupito se, qualora Rick fosse arrivato per quell’ora, noi fossimo rimasti ancora in pausa al bar al piano terra, ragion per cui supposi avesse senso il fatto che Giulia avesse rimesso già tutti i suoi effetti personali nel suo zainetto rosa/fucsia e che se lo fosse caricato in spalla prima che scendessimo al bar.  

 

 

Ore 17:22. 

 

Regnava una quiete incredibile anche fuori dall’Asian Library. I corridoi che conducevano da una sezione all’altra, le scale a chiocciola, le aule studio, tutto era semi-deserto i pochi studenti ancora rimasti nell’edificio avevano espressioni che tutto comunicavano fuorché la voglia di studiare. 

 

 

Ore 17:23.

 

 Sebbene il bar fosse leggermente più affollato rispetto alle varie sale studio, non era niente rispetto ai suoi standard per quell’orario. File e file di tavoli e banconi vuoti per tutta la sala.  Arrivati al bancone il barista con il suo solito sguardo svogliato tipico di chi probabilmente contava i minuti che lo separavano dalla fine del suo turno, o sarebbe meglio dire del suo supplizio, mi chiese cosa volessi prendere. Ordinai il solito, un bicchiere di latte di avena riscaldato accompagnato da una barretta di cioccolato fondente di una marca molto famosa in olanda Tony’s Chocolonely, che avevo preso accanto al registratore di cassa e infine una barretta senza zuccheri composta da un mix di frutta e frutta secca, presa da un barattolo di vetro accanto alla macchina per fare il caffè. Giulia come accadeva spesso non ordinò nulla, ma tirò fuori dal suo zaino una merendina che aveva tenuto per l’occasione, probabilmente una di quelle che mi diceva piacevano tanto ad una sua amica canadese che Giulia aveva conosciuto qui in Olanda, all'Università, dato che avevano corsi in comune.  

 

Io e Giulia eravamo seduti su uno di quei tavoli dietro al bancone del bar, i quali, nel lato che si affacciava sul muro al posto della sedia c’era un lungo e morbido schienale imbottito a mo’ di divano su cui sedersi e che occupava la lunghezza di due tavoli.  Mentre discutevamo del più e del meno, Io inzuppando la mia barretta di cioccolato prima e quella alla frutta poi nella schiuma ancora calda del mio latte di avena, e Giulia maneggiando tra le mani l’involucro di plastica della sua merendina, ad un certo punto sentii alla nostra sinistra a qualche metro di distanza una voce squillante e familiare. Era Arianna, un’altra mia amica Italiana che avevo conosciuto in Olanda durante la settimana introduttiva l’Estate prima a fine agosto. Fatto interessante del nostro rapporto era che sebbene ci fossimo incontrati più volte, solo alla terza o quarta volta in cui ci siamo ritrovati a parlare mi sono ricordato di lei. Con mio grande rammarico, allora sembrava che la memoria di nomi e faccia non fosse qualcosa che la natura avesse deciso di donarmi o almeno così credevo. 

 

Comunque, immaginai fosse scesa insieme agli altri ragazzi del suo gruppo per fare pausa, dato che anche loro scendevano più o meno al bar in quella fascia oraria.  

Infatti, in men che non si dica, vidi delle sagome con la coda dell’occhio che si avvicinavano e ancor prima di mettere a fuoco, dalle loro voci seppi subito di chi si trattasse. Umberto, Dario, Mario, Bianca, e Menenio e poco dopo li raggiunse anche Ginevra. Tutti erano amici del gruppo di Arianna, in particolare Menenio e Mario facevano parte del suo corso di studi. In quel momento il bar non mi sembrò più così tanto vuoto e ne fui felice. Feci un gesto con la mano dalla mia postazione per farmi notare da Arianna e gli altri, appena mi videro si unirono a me e a Giulia spartendosi in due gruppi tra i tavoli vicini. Arianna, Umberto, Dario e Bianca si sedettero accanto a noi. Mentre Ginevra, Mario e Menenio presero posto dietro di noi. In un attimo l’atmosfera si animò, commenti su paper appena scritti, compiti da terminare, presentazioni PowerPoint da esporre di lì a breve, bozze di tesi da consegnare riempirono le conversazioni dei nostri compagni.  

 

Tuttavia, i discorsi verterono poco dopo su altro, nei momenti in cui Dario e Umberto parlavano tra loro due, discutevano di calcio e formazioni delle squadre. Quando Ginevra e Bianca e in seguito anche Arianna, dopo che ebbe terminato la sua discussione in merito alle scalate e al boldering con Menenio all’altro tavolo, si unirono alla conversazione, allora il discorso verté più sulle ultime novità dette ed avvenute nelle ultime puntate del programma di dibattito politico in onda il venerdì sera su La7 chiamato “Propaganda Live” che i ragazzi erano solito guardare anche tutti insieme a casa di uno di loro. Confesso che pur riconoscendo l’importanza della politica non ero mai riuscito a sopportare più di qualche minuto i programmi di dibattito politico. Spesso gli ospiti si urlavano contro o si parlavano sopra facendomi desistere immediatamente dal qualsiasi mio tentativo di seguire il filo dei loro discorso. A dispetto di ciò, dato che oggi era venerdì e mancavano poche ore all’inizio della puntata, immaginai fossero entusiasti e volli provare a condividere il loro entusiasmo buttandomi nella discussione, contando sul sostegno delle mie assai povere conoscenze di attualità politica.  

 

1.3 Qualcosa non va. 

 

 

Ore 17:50.  

 

La quantità di discussioni che si alternavano già mi avevano stancato, tant’è che iniziai a provare un po’ di mal di testa. Nonostante mi sarebbe piaciuto seguirle tutte, tale impresa si era rivelata cognitivamente ed umanamente impossibile. Pertanto, dopo essermi alzato un secondo dal mio posto, mi avviai di nuovo verso il bagno giusto per cambiare aria per qualche minuto. Dopo essermi sciacquato un attimo la faccia, la mia emicrania sembrò dare cenno di diminuire, anche se di poco.  Per di più, mentre mi guardavo allo specchio, per un nanosecondo mi sembrò di notare una sfumatura strana nei miei occhi, di una tonalità inusualmente più chiara. “Sara un effetto dovuto al riflesso delle luci delle lampade del bagno.”; mi dissi troppo preso dai pensieri di quel momento per indagare ulteriormente. Ad ogni modo, tutto sembrò rallentare attorno a me come durante l’incontro con quel ragazzo qualche ora prima.  In quel momento provai un senso di alienazione, mentre guardavo la realtà come si guardava un film e a cagione di ciò cercai di nuovo di ricacciare quelle sensazioni, e con molta fatica riuscii ad attenuarle. Avevo il volto sudato e lievi tremori pervadevano il mio corpo, mentre l’immagine di quel ragazzo mi bombardava la testa. Appena riconquistai il dominio di me, presi un po’ di fogli di carta dal dispenser alla mia sinistra e mi asciugai la fronte dall’acqua e dal sudore. 

 

Una volta uscito dal bagno mi ripromisi di andare da un medico nei prossimi giorni.  Infatti, appena uscito, ebbi la sensazione come di un mancamento, forse dovuto al fatto che, al di là della merenda e della mia magra colazione, non avevo mangiato nulla di sostanzioso a pranzo. In virtù di ciò, mi diressi alle macchinette dietro al bagno al lato del bancone e presi un pacchetto di frutta secca sperando avesse potuto darmi un po’ di energie.  

 

Ore 17:57. 

 

Ancora una volta, come era accaduto qualche ora prima, sentii un brivido fortissimo, un’altra scossa questa volta molto più intensa mi percorse la colonna vertebrale dalla testa fino a i piedi. Istintivamente il mio sguardo si fissò nel vetro del distributore automatico notandovi un'immagine riflessa proprio dietro di me. Dalle sensazioni che stavo provando e soprattutto dal volto della persona che stava venendo riflesso, ancor prima di girarmi non ebbi il minimo dubbio su chi si trattasse. Data la situazione, dopo aver effettuato il mio ordine ebbi un attimo di esitazione, era come se fossi stato congelato, non riuscivo a muovermi, tanto che il mio ordine rimase qualche secondo in fondo al distributore davanti allo sportello di accesso per le mani. Un altro sguardo del ragazzo questa volta ancor più carico di impazienza rispetto a prima, mi riportò nel mio corpo e nel pieno controllo di questo, fu allora che rapidamente ma anche goffamente mi piegai per prendere la mia merendina dalla bocchetta in basso. Una volta inserita la mano e tirato fuori il pacchetto mi girai facendo per andarmene il più in fretta possibile, ma ancora una volta mi ritrovai bloccato, tradito dal mio stesso corpo. I nostri sguardi si incontrarono nuovamente ed ebbi la conferma che era proprio lui, il ragazzo del corridoio in piedi di fronte a me.  

 

Il mio imbarazzo era palpabile nell’aria come anche il mio nervosismo. Prima che potessi dire qualcosa mi ritrovai a sperimentare un altro piccolo mancamento da cui riuscii a riprendermi subito, ma purtroppo per me non abbastanza in fretta da evitare di colpirlo nuovamente. Non appena ebbi riacquisito una posizione eretta stabile insieme ad un minimo di contegno, provai a formulare qualcosa in inglese, facendo ordine tra la furia di pensieri che imperversava nella mia testa, ma prima che riuscissi nell’intento, lui mi guardò con un sorriso a metà tra il compassionevole ed il divertito e mi disse: “Dobbiamo smetterla di incontrarci così noi due!”.  

 

Di fronte alla sua osservazione non sapevo cosa dire, ero semplicemente senza parole un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché non immaginavo che anche lui fosse italiano o che almeno parlasse italiano. A prescindere da ciò, la mia mente cominciò a dirmi che in qualche modo avrei pur dovuto liberarmi di quell'impiccio e per questo motivo riuscii a raccogliere il coraggio per rispondergli, ma la mia risposta suonò più piccata di quanto avevo previsto. “Guarda che sei tu che mi sei venuto addosso prima!”. Senza batter ciglio lui rispose “Non ero io che stavo guardando da un'altra parte. Comunque sì. Hai Ragione. Andavo di fretta ed ammetto di non averti visto”. Vidi che era sincero non vi era nessuna traccia né di risentimento, né di scherno nella sua voce, pur mantenendo un’espressione, per i miei gusti, fin troppo divertita. Notai che continuava a guardarmi e sebbene il mio disagio stesse salendo alle stelle, anch’io non riuscivo a distogliere i miei occhi da lui e mi dava ancora più disagio il fatto che non sapessi perché.  

 

Prima che potessi replicare qualsiasi cosa, lui mi disse; “A questo punto restiamo qua impalati a fissarci o ci presentiamo”. Lui prese subito l’iniziativa. “Piacere. Mi chiamo Diego. Diego Torretti”. Disse tendendomi la mano. Dato che conoscevo molti Olandesi che parlavano italiano ed anche con poco accento, ancora permaneva in me il dubbio che fosse olandese, tedesco o di uno di quei paesi scandinavi. Tuttavia, appena udii il suo nome ogni dubbio scomparve in merito al fatto che anche lui fosse italiano. Senza troppa esitazione mi presentai a mia volta. “Piacere sono Yuri. Yuri Raeli”. “E’ un piacere conoscerti... Yuri”. Rispose subito lui. La pausa che fece prima di pronunciare il mio nome ed il modo in cui lo scandì fu molto strano, molto confidenziale, come se il mio nome fosse qualcosa che volesse conservare nella sua memoria come un tesoro prezioso.  Ad un certo punto prima che potessi aggiungere altro disse; “Ora devo andare, ma è stato bello rivederti”. “Rivedermi?”. Chiesi io con sguardo interrogativo. “Ci siamo già incontrati prima?”. La sua espressione si rabbuiò, ci fu un interminabile momento di silenzio e poi disse. “In effetti no. Hai ragione. Mi sono espresso male. Intendevo dire che è stato bello conoscerti”. “Ok” risposi io con aria perplessa.  

Anche se questo non spiegava come un estraneo appena incontrato e che si era solo presentato si fosse preso tutta questa confidenza. Vedendo che la mia espressione si era insospettita, prima di congedarsi il suo tono di voce divenne più freddo e disse; “Ora scusami, ma devo proprio andare. Ho molte cose da fare Io”. “Che strano tipo!” pensai. In più rimasi piccato dalla sua ultima frase come se volesse insinuare che io fossi uno scansafatiche. 

 

Ore 18:05. 

 

  Finita una delle più strane conversazioni mai avute nella mia vita mi risiedo insieme ai ragazzi. Appena seduto Giulia mi disse che Rick le aveva mandato un messaggio e che sarebbe venuto a prenderla tra un quarto d’ora circa. “Va bene” le risposi io con un’espressione assente che non passò affatto inosservata né a lei né agli altri. Prima che Giulia potesse replicare, un tintinnio mi perforò le orecchie, la testa sembrava stare per scoppiarmi e il corpo andare in fiamme. Nel frattempo, le immagini dell’incubo dell’ultima notte mi colpirono con una vividezza di dettagli e colori veramente surreale. Non potendo fare altro per contrastare quell’incontenibile ondata di immagini, di suoni, colori e sensazioni, mi misi le mani alle orecchie solo per accasciarmi a terra l’istante seguente data l’impennata estremamente dolorosa che stava portando con sé quel bombardamento sensoriale. 

 

Il mio corpo cominciò a dimenarsi mentre delle urla quasi inumane uscirono dalla mia bocca a causa di tutto il dolore che stavo provando in quel momento. Passarono momenti interminabili, momenti durante i quali i ragazzi mi guardano pietrificati non sapendo cosa fare, finché ad un certo punto Arianna e Giulia presero l’iniziativa e accorsero in mio aiuto. Una mi sostenne la testa e l’altra le gambe. Vedendo che mi dimenavo come in preda alle convulsioni i ragazzi intervennero e mi bloccarono le braccia e il petto per evitare che urtassi contro qualcosa e mi facessi male. 

 Ogni percezione era amplificata all’inverosimile, sentivo il cuore dei miei compagni che batteva all’impazzata per l’ansia quasi quanto il mio. Il sangue sembrava lava liquida nelle mie vene, non c’era muscolo che non fosse contratto o parte del mio corpo che non andasse a fuoco. Ad un certo punto, sentì delle urla: Arianna lasciò mia testa ricadere sul pavimento mentre le sue mani erano divenute di un colore rosso acceso come se fossero state ustionate. A quante pare, tutto il mio corpo era letteralmente diventato incandescente. Potevo sentire il rumore del sudore che evaporava mentre usciva dalla mia pelle.  

 

Ad ogni modo, lasciata la mia testa, Arianna chiamò subito un’ambulanza. La situazione stava velocemente degenerando. Io che ero sempre stato bradicardico, sentivo il mio cuore battere veloce come non mai. Il battito, la temperatura e gli spasmi aumentavano mentre il mio corpo mi sembrava la camera magmatica di un vulcano pronto ad esplodere. I miei occhi erano chiusi, ma a prescindere da ciò potevo avere una chiara percezione di ciò che stava succedendo attorno a me. I ragazzi avevano paura e si parlavano per capire cosa fare. In quel momento nonostante le mie urla sentivo chiaramente tutto quello che dicevano e in un momento compresi che l’ambulanza non avrebbe fatto in tempo. Mentre mi dimenavo il dolore e il calore raggiunsero livelli ancora più elevati. Il cuore accelerò ancora, sapevo che non ce l’avrebbe fatta, che avrebbe ceduto se fosse andata aventi così.  Fu allora che sentii in lontananza una figura che si avvicinava a gran velocità, e anche con gli occhi chiusi sapevo che era lui, Il ragazzo del corridoio, Diego. In un istante dal nulla il ragazzo si fiondò tra noi e mi prese tra le sue braccia, stupore ed incredulità si diffusero tra i ragazzi. Anche se i miei occhi erano chiusi, percepivo e sentivo tutto, emozioni, stati d’animo, minimi spostamenti d’aria, variazioni di temperatura e suoni che di solito un essere umano non dovrebbe riuscire a sentire. Insomma, era come se un’intera gamma di sensazioni che prima mi erano precluse ora fossero esplose come esplode una bomba atomica. Riuscivo a sentire a chilometri di distanza il suono dell’ambulanza che arrivava, sentivo le conversazioni dei due paramedici in olandese e sebbene non capissi la lingua, sapevano cosa stessero dicendo, credevano che la chiamata fosse l’ennesimo caso di uno studente troppo ansioso sopraffatto dagli attacchi di panico in periodo di esami.   

 

Man a mano che il ritmo del battito cardiaco e il dolore continuavano ad aumentare, i miei sensi esplodevano. Nuovi odori colpivano con violenza il mio naso, dall’odore dei residui di formaggio nella macchina del bar per fare i toast, a quello di latte e caffè dai piccoli residui rimasti sulla macchina della caffettiera che fa la schiuma. Sentivo i microbi sulla mia pelle e dentro al mio corpo, minuscole particelle di polvere e d’acqua nell’aria che entravano nei miei polmoni ogni qualvolta respiravo dal naso, sentivo il suono prodotto dai miei organi che cercavano di resistere a qualunque cosa stesse avvenendo, sentivo i segnali elettrici prodotti nel mio cervello e i loro percorsi in tutto il mio sistema nervoso, percepivo tutto con una sovrumana chiarezza cristallina dal più lieve cambiamento delle condizioni atmosferiche a molte migliaia di chilometri di distanza fino al suono prodotto dalle sottilissime frequenze generate dalle mie cellule.  

Percepivo le radiazioni elettromagnetiche dei dispositivi come i telefoni cellulari dei miei compagni, i distributori, insomma tutto.   

 

 

1.4 Non avrei mai immaginato che morire fosse così! 

 

Ancora un’accelerazione dei miei battiti, un ulteriore aumento di temperatura, poi il dolore si fermò. La temperatura iniziò ad abbassarsi, i miei muscoli si erano irrigiditi ed il mio cuore si era fermato. Ero morto, ma sentivo e vedevo tutto. Le emozioni di tutti in quella sala le percepivo come fossero le mie, paura, ansia, angoscia e la presa di coscienza generale, non appena Giulia aveva preso il mio braccio inerte per sentire il polso, che ormai non ci fosse più nulla da fare. Intanto, la mia coscienza si espandeva all’inverosimile portandomi a percepire ogni essere sul pianeta, su questo e su altri piani dimensionali. Sentivo l’irraggiamento del Sole, sentivo la rotazione della Terra su sé stessa e intorno al Sole. La mia coscienza si espanse fino ad abbracciare ogni cosa materiale e non. Io ero diventato parte cosciente dell’Universo stesso e di tutti gli altri Universi.  

 

Un senso di pace estatico mi pervadeva, sempre di più, sempre di più, finché non superai i limiti del Multiverso stesso e l’unica cosa che era rimasta era pura luce ed amore. Non vi erano più limiti a ciò che abbracciavo e percepivo con la mia essenza. Tutte le opposizioni, tutte le contraddizioni, tutti i paradossi, i dubbi e le indecisioni tornarono a fondersi insieme in un Tutto Armonico ed unitario. Non vi era più dualità e io non ero mai stato così felice prima. Lì percepii altri esseri incorporei, i quali provavano solo amore incondizionato nei miei confronti ed io altrettanto. Incontrai quello che ero sicuro essere mio nonno morto quando avevo tre anni che mi “parlava”, ma senza usare le parole, era una comunicazione da essenza ad essenza, semplice diretta e vera per definizione stessa. Lì, incontrai anche altri esseri di luce, percepivo tutto, ero consapevole delle zone d’ombra ma sapevo che anch’esse nella loro esistenza non erano che un aspetto della luce divenuto cosciente e che aveva scelto di staccarsi per fare un’esperienza di separazione, ma che prima o poi sarebbe ritornato alla luce.  

 

Anche il figlio ribelle prima o poi torna a casa. Superate le barriere di spazio e tempo, stavo diventando consapevole delle mie vite passate, ma mio nonno mi “disse” che non era ancora il momento e che dovevo ritornare nel mio corpo e continuando a vivere avrei trovato le risposte a i dubbi che sempre avevano affollato una parte della mia mente.  Sarebbe arrivato il momento in cui avrei ricordato ma ancora non era ora, avrei dovuto affrontare prove durissime, ma era certo che ce l’avrei fatta e se fossi riuscito a superarle niente sarebbe stato più come prime. Le sue ultime “parole” risuonarono nella mia essenza incorporea infinita ed eterna. “Qualunque sfida affronterai sappi che sarò sempre con te”. Detto queste parole percepii un’immensa forza che, come un buco nero, mi attirava di nuovo verso quell’orizzonte di realtà, di nuovo verso la Terra, di nuovo verso il mio corpo. 

 

 

1.5 Un nuovo mondo 

 

Ore 18:40. 

 

Sebbene mi fossi espanso al di là del tempo credevo di essere stato fuori dal mio corpo ben più che una mezzora. Una volta arrivati in biblioteca i paramedici mi avevano caricato in ambulanza e subito erano iniziati i tentativi di rianimazione cardiopolmonare. Prima che arrivassero in ospedale un ultimo: "Helder! (Libera!)"; e il mio cuore ripartì. Nonostante tutto il tempo in cui ero rimasto morto, il mio cervello anche ripartì subito, i polmoni ripresero a gonfiarsi e sgonfiarsi, i reni a filtrare il sangue, i muscoli a contrarsi, insomma il mio corpo si era rianimato, man mano che la temperatura corporea ritornava ai livelli normali tutte le mie funzioni si riattivavano e si stabilizzavano, quando il mio corpo raggiunse la temperatura di 36,6 gradi centigradi aprii gli occhi totalmente sveglio e cosciente l’ambulanza era appena arrivata all’ingresso dell’ospedale. Quando mi caricarono giù dall’ambulanza ero totalmente sveglio e cosciente. Ancora affaticato provai a biascicare qualche parola in inglese. “I am fine”; dissi con estrema fatica prima di riuscire ad aggiungere qualcos’altro dopo secondi di pausa. “Let me go down.”  

 

 

Solo in quel momento mi accorsi che Diego era accanto a me. In quel momento compresi che era stato accanto a me tutto il tempo dal momento in cui stavo per morire fino all’arrivo dei paramedici e durante tutti i loro tentativi di rianimare il mio corpo nella corsa in ambulanza per l’ospedale. Fu allora che una domanda mi attraversò la mente: “Com’era stato in grado di convincere dei paramedici a farlo salire in ambulanza con me dato che non era un mio familiare?”. Feci appena in tempo a formulare questo pensiero nella mia testa che lui già sembrava aver capito cosa avessi pensato. A riprova di ciò, il misterioso ragazzo dagli occhi azzurri guardò i paramedici dritti negli occhi e disse loro: “U hebt uw hulp niet meer nodig. U kunt nu gaan! Dank je wel” (Non abbiamo più bisogno del vostro aiuto. Potete andare ora! Grazie Mille!).  

 

Non capii lì per lì cosa avesse detto, dovette tradurmelo lui in seguito, ma dal tono mi sembrava più un ordine che un consiglio, e fatto ancor più sorprendente era che dei paramedici avessero seguito gli ordini di un giovane studente universitario senza controbattere. Infatti, appena ebbe pronunciato quelle parole guardandoli dritti negli occhi, subito i due mi deposero, sciolsero le cinture del mio lettino e mi aiutarono a rialzarmi solo per poi andarsene senza battere ciglio. Sembrerà strano ma avevo avuto l’impressione che i suoi occhi si fossero letteralmente illuminati mentre parlava ai paramedici. “Sarà la mia impressione”; mi dissi. Anche se ormai nulla poteva sorprendermi più, o almeno così credevo. Sapevo che ero morto per un po’ e anche se momentaneamente i ricordi di quell’esperienza già stavano sbiadendo, e la mente razionale stava riprendendo il suo posto, ormai sapevo, sapevo che l’esistenza dopo la morte continuava, e non potevo più far finta di niente, d’altronde ne ero la prova. In più ora avevo la certezza che la vita aveva uno scopo e il mio era ricordare chi ero per costruire chi sarei stato un domani.  Mentre facevo le mie considerazioni tra me e me, Diego richiamò la mia attenzione per dirmi di aspettarlo fuori mentre lui andava a “parlare” anche con i medici dell’ospedale che avevano ricevuto la comunicazione da un'ambulanza che stava portando un ragazzo in arresto cardiaco.  

 

Continuavano a sembrarmi strane oltre che fuori luogo tutte le confidenze che si prendeva con me e il fatto che nonostante ci fossimo conosciuti quel giorno fosse addirittura salito in ambulanza con me e in quel momento ricordai mentre avevo avuto la mia esperienza fuori dal corpo che mi aveva tenuto la mano tutto il tempo. In quel momento di espansione di coscienza ero certo di sapere il perché del suo gesto e anche che c’era una ragione che ci legava. Tuttavia ora che ero tornato nel mio corpo, sebbene mi sentissi bene, come non mi sentivo da mesi, la mia testa ora era piena di ricordi confusi e frammentari.  

 

 

Ore 19:20. 

 

 Io e Diego ritornammo insieme in biblioteca dove i ragazzi rimasti lì ad aspettare e sperare per il meglio, ci accolsero con sguardi tra il sorpreso, il preoccupato e il sollevato.  Appena ci notarono, Arianna si precipitò verso di me e mi abbracciò in lacrime. Poi quando mi guardò ebbe un momento di esitazione. “Yuri... Non so cosa sia successo, ma sembra che tu abbia qualcosa di diverso, nei tuoi occhi c’è qualcosa di diverso.” Rimasi molto sorpreso da ciò che mi disse. Certamente non era ciò che mi sarei aspettato di sentirmi dire da qualcuno che mi aveva visto morire davanti i suoi occhi. Anche se mi venne spontaneo chiedermi se effettivamente ci fosse qualcosa di adeguato da dire a qualcuno che era morto ed era tornato in vita? Intravidi con la coda dell’occhio l’espressione di Diego accanto a me, un'espressione che trasmetteva molto più di qualsiasi parola. Oramai non avevo dubbi, quel ragazzo avvolto dal mistero sapeva MOLTO più di quanto volesse farmi intendere. Rendendomi conto della situazione che si era creata, cercai di smorzare la tensione buttandola sullo scherzo: “Ebbene sì”. “Non volevo dirtelo, ma sono diventato uno zombie.”; dissi io iniziando a fare versi stupidi e smorfie con la faccia mentre muoveva in maniera disarticolata le braccia. Poi aggiunsi: “A tutti gli zombie cambia il colore degli occhi dopo la trasformazione”. Le lacrime di tristezza e preoccupazione di lei ora si trasformarono in lacrime di chi fa fatica a trattenere le risate. Immagino che stesse facendo veramente uno sforzo immane probabilmente per non sminuire la tragicità della situazione che si era consumata poco più di un’ora prima.  

 

Tuttavia, sebbene feci del mio meglio per non darlo a vedere, non potei fare a meno di togliermi dalla testa le parole di Arianna, forse perché le sentivo essere più vere di quanto magari lei stessa si fosse resa conto nel momento in cui le aveva pronunciate. Aveva ragione, ero cambiato, mi sentivo cambiato e stavo continuando a cambiare in modi che non potevo spiegare. D’altronde, ero morto. Ero morto, ma allo stesso tempo ero rinato. Inoltre, pur non avendone la certezza, nonostante le sfide grandi e piccole che avevo affrontato fino a quel momento, avevo la sensazione che il mio viaggio fosse solo iniziato. 

 

 Non appena iniziammo a staccarci dall’abbraccio vidi le sue mani arrossate, di un rosso abbastanza acceso come chi è stato troppo tempo al sole e si è preso una bella scottatura. “Arianna. Le tue mani!”; esclamai invaso da una profonda preoccupazione mentre le prendevo tra le mie per ispezionarle. Improvvisamente alla preoccupazione si aggiunse anche il senso di colpa, a cui non riuscii a dare subito una spiegazione, almeno finché l’istante seguente non mi ritornò alla memoria il momento in cui la ragazza mi stava tenendo la testa mentre il mio corpo andava a fuoco. Avrei voluto dire qualcosa per scusarmi ma davvero non riuscivo a trovare le parole. Forse in quel momento non ce n’erano. Arianna allora presa da un improvviso disagio ritrasse le sue mani e le mise in tasca. Sembrava volesse dire qualcosa, ma data la situazione in quel momento optò per il silenzio. Quando Arianna ritornò per riunirsi agli altri iniziò a percepire che c’era qualcosa di strano. Sentiva pizzicare le mani nelle tasche come quando ti si blocca in una zona la circolazione sanguigna per un tempo e poi riparte. Il pizzicore aumento sempre di più, poi quando cominciò a diventare davvero fastidioso scomparve. Il tutto sarà durato 20/30 secondi al massimo. Con una scusa disse agli altri che andava un momento al bagno. Arrivata al bagno al piano terra, dopo un momento di esitazione decise di tirare fuori le mani dalle tasche. Fu allora il momento in cui Arianna si rese conto che un evento all’apparenza impossibile si era prodotto.  

 

La giovane strabuzzò bene gli occhi per essere certa che l’immagine che le stava apparendo in quel momento fosse quella reale e quando li riaprì non poté fare altro che constatarlo. La pelle delle sue mani era tornata assolutamente normale, non vi era più alcuna scottatura. Anzi, le sue mani erano assolutamente lisce e luminose come se avesse usato per lungo tempo la crema migliore sul mercato.   

 

Nel frattempo, ritornando alle vicende del gruppo appena fuori dal bar, dopo Arianna, Giulia che mi aveva aspettato con apprensione corse verso di me anche lei con gli occhi bagnati di lacrime per abbracciarmi. Prima di dirigersi verso di me, aveva il braccio sinistro stretto come per trovare conforto attorno a quello destro di Rick, che, a quanto pare era arrivato poco prima che arrivasse l’ambulanza. Il suo arrivo da quello che Giulia mi avrebbe detto più in là quella sera era avvenuto un’oretta prima del mio ritorno, attorno alle sei e venti, quando il mio cuore già aveva smesso di battere. Tra le varie cose che mi avrebbe detto in seguito c’era anche che Diego le aveva chiesto insistentemente di dargli il suo numero per avvisarla come se fosse stato certo che mi sarei risvegliato.  La cosa ancora una volta mi lasciò perplesso e senza parola. Nell’arco di una sola giornata quel ragazzo continuava a mostrarsi sempre più misterioso. 

 

Ad ogni modo, mentre eravamo abbracciati, Giulia con la voce ancora rotta dall'emozione mi disse: “Non provare più a farci una cosa del genere! “. Giulia, che non era il tipo né da sentimentalismi né da abbracci, mi lasciò spiazzato per un momento, ma data la situazione era comprensibile la sua inaspettata reazione. Inoltre sebbene tale modalità fosse ben lungi dalla sua natura, mi aveva detto ciò con un tono al limite tra il conforto ed un ordine militare. Perciò, non sapendo come reagire efficientemente nemmeno in quel caso, anche in quella occasione la buttai sullo scherzo: “Agli ordini capo”. A seguito di quel momento non vi furono tante altre parole. Semplicemente continuammo ad abbracciarci per quello che credo sia stato un minuto di fila. Nuovo Guinness World Record per Giulia! Poi fu il turno degli altri. Anche lì pochi scambi, più che altro domande da parte loro su come stessi in quel momento e se fossi certo di stare bene o se avessi ancora qualche sintomo “strano”. Per il resto tutti quanti mi abbracciarono stretto come un caro amico o un parente amato che non si vedeva da tanto tempo.  

 

 

Ore 19:30.

 

 Ad un certo punto, Diego interruppe il momento di abbracci e confronti con gli altri ed annunciò che per quella sera era arrivato il momento per lui di andarsene, dato che aveva altre mansioni da sbrigare. Ironicamente pensai che l’unica mansione che uno studente fuori sede della nostra età avesse a Leiden, a quell’ora, il venerdì sera, se non era ubriacarsi in qualche bar o locale, era preparare la cena e magari vedersi un film su Netflix. Feci appena in tempo di formulare quel pensiero che Diego mi lanciò un’occhiata infastidita. Le alternative erano due: o l’espressione ebete e divertita che avevo fatto quando avevo formulato quel pensiero era stata più eloquente di quanto avessi voluto oppure un altro sospetto s’insinuò nella mia mente e date tutte le vicende avvenute in una sola giornata, non mi sembrava così assurdo da contemplare. Forse Diego aveva qualche abilità da mentalista e poteva leggere nella mente. A prescindere se fosse stata o meno la risposta, ormai era palese che nascondeva qualcosa e quel qualcosa aveva a che fare in qualche modo con me, con il mio passato. Su questo non avevo più dubbi oramai. E di un’altra cosa ero certo, di qualunque cosa si trattasse il segreto che nascondeva, avrei fatto di tutto per scoprirlo. In virtù di ciò, prima che alzasse i tacchi gli dissi: “Aspetta. Come posso ringraziarti per il tuo aiuto?”. Lui mi rivolse un’espressione incredibilmente seria e rispose: “Vedi di restare vivo”. Probabilmente avendo notato la mia reazione, ammorbidì i toni accennando un sorriso bonario e mi disse mentre mi faceva l’occhiolino “Hai capito Raeli?”. Io risposi allo stesso tono e col sorriso più ebete che riuscii a stamparmi in faccia dissi: “Vedrò quello che posso fare Signor Torretti”. 

 

Detto questo, Diego accennò un ultimo sorriso ai lati della bocca, alzò i tacchi e se ne andò. Così come era apparso solo qualche ora prima nella mia vita, così già se n’era andato. Sebbene non sapessi se l’avrei rivisto ancora, sentivo fin dentro alle viscere che non era finita lì. Ci saremmo rivisti, quella era una certezza, l’unica cosa da capire era dove e quando sarebbe ricapitato. Lasciai quei pensieri da parte per quella sera, ero troppo stanco e decisamente ben più intenzionato a passare un bel venerdì sera con i miei amici.  Intanto da lontano Diego lanciò un’ultima occhiata al gruppo di ragazzi davanti alla biblioteca ed in particolare a Yuri. Era riuscito ad intervenire in tempo, prima che fosse troppo tardi. “Spero che questa sia la volta buona. Abbiamo bisogno di te Elyos! Io ho bisogno di te! Ora più che mai!” pensò Diego tra sé e sé con un misto di speranza e rammarico, prima di dileguarsi tra le affollate vie della cittadina di Leiden. 

 

 

Ore 19:40. 

 

I ragazzi contemplarono il da farsi per la serata. Mario e Menenio decisero di andare a casa del primo a cenare per poi ricongiungersi con Arianna e gli altri al Peli (Pelican Pelibar: un famoso bar della movida studentesca di Leiden) più tardi. Io e Giulia, insieme a Rick e ad Arianna, Dario, Umberto, Ginevra e Bianca restammo al bar della biblioteca ed ordinammo col Delivery on-line delle pizze da VIP (Very Italian Pizza), uno delle pizzerie più buone di Leiden. Quella sera verso le 20 si aggiunse anche Camillo, il ragazzo di Arianna, venuto da Utrecht per passare il week-end con lei. Mangiammo, bevemmo, io mi limitai all’acqua per quella sera, i ragazzi si ordinarono anche delle birre ad eccezione di Giulia. L’atmosfera era fantastica quella sera, chiacchierammo di tutto e di più. Alle 21 e qualcosa i ragazzi si connetterono da computer al Wi-Fii della biblioteca per guardare Propaganda Live in diretta. Mentre io, Giulia facevamo speculazioni sul futuro di Skam France e dei suoi personaggi. Sì. Lo ammetto...La cosa c’è sfuggita un po’ di mano. Mi dispiacque un po’ per Rick che suo malgrado per buona parte della serata ha dovuto sentire le nostre teorie più folli e fantasiose, senza neanche capirci molto dato che con Giulia parlavo ovviamente Italiano. Con Rick provai a sforzarmi a parlare Inglese per coinvolgerlo nei nostri discorsi, ma ammetto che c’è poco da fare quando si è l’unico ad un tavolo di amici a non parlare una lingua che tutti quanti gli altri parlano. Quante volte mi era capitato quando era circondato da Olandesi ed io ero l’unico che non lo parlava. 

 

Francamente non ne faccio una colpa a loro come non ne feci una a noi. Semplicemente, per quanto si cerchi di parlare in una lingua franca come l’inglese per coinvolgere nella conversazione chi la tua lingua non la parla, appena qualcuno inizia a parlarti nella tua lingua tu automaticamente rispondi nella tua lingua. Infatti, in un attimo, da che tutti parlavano inglese per includere chi non parlava la loro lingua, si innescò una reazione a catena che fu difficile da invertire e che portò tutti noi a ricominciare a parlare nella nostra madrelingua. Nonostante ciò, la cena e la serata in generale furono davvero piacevoli e godibili per quanto avesse potuto esserlo stato un venerdì sera al bar della biblioteca universitaria. Eppure, per un momento sperai che quella scena avesse potuto durare così per sempre, ma già sapevo che mi stavo illudendo. Purtroppo solo più in là avrei scoperto fino a che punto arrivava la mia illusione. 

 

 

Ore 23.15. 

 

Il tempo era volato ed io mi sentivo veramente distrutto e con un ingente bisogno di andare di nuovo al bagno. Pertanto mi alzai e mi diressi alle Toilette, mentre i ragazzi si stavano sistemando per andare via. Una volta terminate le “mie faccende”, mi lavai le mani e guardandomi allo specchio davanti al lavandino mi ritornarono alla mente le parole di Arianna.  I miei occhi sembravano avere una luce nuova e la mia iride sembrava avere delle sfumature di colore più chiari dal classico castano scuro, per la prima volta notavo dei lievi riflessi ambrati. 

 

 

La cosa mi incuriosì, ma avevo deciso che per quella giornata ne avevo avute abbastanza di stranezze, perciò presi la poca carta rimasto dal dispenser, mi asciugai le mani ed uscii dal bagno.  

 

 

Ore 23:30:  

 

Il tempo di salutare i ragazzi, mettermi la felpa, e declinare gentilmente la proposta di Rick di riaccompagnarmi a casa con la macchina e mi ritrovai davanti al mio bolide ancora assicurato con la catena dove l’avevo lasciato all’ora di pranzo. Mi fermai un momento a riflettere: “L’ora di pranzo. Accidenti!” 

 

 Non potevo credere che fossero passate solo dieci ore e qualche minuto da quando aveva lasciato la mia bici. I fatti precedenti alla mia lezione di oggi, addirittura quelli fino al tardo pomeriggio prima del momento in cui il mio cuore smise di battere mi sembravano ormai appartenenti ad un’altra vita, ad un’altra persona, secoli orsono. Accompagnato da quei pensieri tolsi la catena, l’arrotolai attorno al sellino prima di richiuderla, accesi la dinamo, il fanalino posteriore e la torcia che avevo in quel momento riattaccato al manubrio, montai in sella e con una pedalata sostenuta iniziai i miei 25 minuti circa di viaggio di ritorno a casa in quella fresca serata di maggio. 

 

 

Ore 23:58.  

 

Arrivato davanti l’entrata di casa intravidi una luce dal salone. Appena sceso dalla bicicletta, non feci in tempo ad aprire con le chiavi la porta che qualcuno mi anticipò e l’aprì da dentro. Si trattava di Arijana una delle mie coinquiline croate che sapeva parlare italiano.  La ragazza sull’uscio della porta mi fissava con uno sguardo incredulo. Arijana era sempre stata una ragazza energica e giovanile, con una grande allegria e al contempo un carattere forte. Molti, Io incluso, facevano fatica a credere che avesse 27 anni.  Tuttavia, in quel momento aveva ben poco dell’espressione allegra che solitamente dipingeva il suo viso. Sembrava come se, da ieri sera quando l’avevo vista l’ultima volta, gli fossero piombati addosso dieci anni di vita tutti in una volta. Aveva gli occhi rossi e gonfi, segno che aveva pianto, uno sguardo stanco ed assente accompagnato da un forte odore di sigaretta sui vestiti. Aveva fumato e non poco. Probabilmente Giulia l’aveva chiamata durante l’emergenza, ma vista la sua espressione stupefatta, a metà tra il sollevato e l’incazzato, nessuno l’aveva più avvisata, me incluso, del fatto che mi fossi ripreso e che ora stavo bene.

 

 Rivolgendomi uno sguardo di chi non sapeva se abbracciami o mollarmi un ceffone, mi disse soltanto con una lieve cadenza spagnoleggiante: “Che cazzo è successo?!”. Io sfinito da quella che a ben vedere posso dire essere stata una delle giornate più lunghe della mia vita, mi limitai a rispondere quanto segue: “Non puoi immaginare che giornata ho avuto!”. Lei mi lanciò un’occhiata inquisitoria prima di lasciarmi entrare per depositare la mia bici in garage e togliermi lo zaino. Fatto ciò, già sapevo che mi aspettava qualche ora di spiegazioni. Così, appena mi fui sistemato, andai in cucina a preparare il bollitore per farci una tisana ad entrambi, dato che tutti e due eravamo soliti bere tisane e camomille prima di andare a dormire.  Una volta preparate mi sedei sul nostro lungo divano in salotto, tazza in mano con Arijana seduta accanto a me ed iniziai a raccontare. 

   
 
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