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Autore: coopercroft    26/01/2021    0 recensioni
I Cooper sono ufficiali dell'esercito da generazioni. Edward, il primogenito, alla tragica morte dei genitori ha avuto il dovere ingrato di mantenere unita la famiglia. Comanda con autorevolezza un distaccamento militare nella periferia di Londra, dove collaborano anche i suoi fratelli.
Ma le difficoltà personali, l'incapacità di gestire i rapporti affettivi, innescano una serie d'incomprensioni che finiranno per allontanarli.
Solo l'amicizia con il nuovo medico, John Roberts, lo porterà a prendere coscienza che la famiglia Cooper ha un passato oscuro e doloroso rimasto sepolto per troppo tempo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Edward si rinfrescò la faccia nel piccolo bagno del suo studio, cercando di togliersi di dosso la stanchezza.

Sistemò la camicia e la cravatta scura, avvertì la sua solerte segretaria della sua uscita.  Nora, che aveva raccolto i lunghi capelli castani in un delicato chignon, era seduta alla scrivania e lavorava rapida al computer, sollevò la testa.  “Generale, dovrebbe prendersi una pausa. Non ha mangiato nulla.” 

 Edward le concesse un sorriso divertito. “Hai visto Nora, chi si è scomodato oggi?  Quindi cosa altro avrei potuto fare?  Ora vado a pranzare, ma avvisami se ci sono problemi.”  Nora annuì, lo lasciò andare senza gravarlo di altre preoccupazioni.

Cooper camminò   verso la mensa, sapeva che era tardi, ma sperava che il fratello lo avesse aspettato, infatti lo trovò che chiacchierava con un sergente. Gli fece un cenno col capo, poi andò verso i vassoi per servirsi alla tavola calda.

 Si accontentò di un piatto veloce, non indugiò nella scelta del pranzo, irritato dalla mattinata pesante e dall’incontro sgradevole con Collins.  Doveva capire bene cosa fare, niente collimava e si chiese se la sua decisione fosse stata giusta.

Si sistemò in un angolo della mensa, ingoiò un boccone dietro l’altro in attesa che Steve si avvicinasse.

 Il Maggiore era rimasto a parlottare, ma intanto studiava il fratello.

Lo vide innervosito, non assaporava nulla, buttava giù tutto in fretta.

Lasciò il suo sottoposto e si diresse verso Edward.   

“Come è andata? Collins cosa voleva?”  Lo rimproverò.   “Mangia piano fratellone, ti stai strozzando.”   Cercò di essere   gentile, anche se vibrava dentro per la situazione in cui si erano trovati.

 Edward rallentò, prese fiato, buttò giù un bicchiere d’acqua. “Prova ad immaginarlo, era per Norbury. Visto che Turner e Malcom hanno probabilmente rifiutato Reginald, ha voluto capire perché. Ha avocato a sé tutte le cartelle, sia mediche che di valutazione.” Si pulì la bocca con il tovagliolo, esitava, cercando di leggere il volto del fratello.

Steve prese in malo modo la sedia, si sedette.

“Ma ha potuto farlo?  Alla fine ti ha scavalcato, glielo hai permesso?”  Come al solito cominciava   già a perdere la pazienza, Edward cercò di contenerlo, parlò senza inflessione.

“Steve, è il mio superiore. Credi che avrei potuto rifiutarmi?  È il Generale Maggiore, lui comanda e io devo obbedire.” Posò la forchetta, allungò la mano stringendo il polso del fratello. “Volevi che mi prendessi una nota di insubordinazione?  Lo comprendi che ho degli obblighi o no, fratellino testardo?”  Si sottrasse alla sua stretta seccato, sapeva che era vero. Vedendo il volto contratto di Edward, smorzò i toni.

“Come farai con John?  Anche lui capirà dopo quello che gli hanno fatto?”   Inclinò il capo senza distogliere lo sguardo, le responsabilità del fratello erano evidenti.

 Edward socchiuse gli occhi, si sentì debole senza difese, respirò un paio di volte impacciato.

“Ha deciso di non denunciare, molto probabilmente avrebbe solo ottenuto di essere trasferito. Collins è un osso duro ed è dalla parte di Norbury.”  Mise fine al pranzo, spinse frettoloso il piatto.

 Ora doveva dirgli dello zio, già si sentiva stringere lo stomaco.

“Le cartelle saranno consegnate in presenza di John. Inoltre vorrei incontrarlo in un posto sicuro, che non ammetta nel tempo smentite.”

 Steve corrugò la fronte. “E dove, fratello?”  Edward tentennò.

“Da zio William, al Dipartimento di sicurezza nazionale.”

“Cristo Santo! Alla sede del MI6!”  Steve sbottò acido, “credi che accetterà?  E soprattutto, ti sosterrà?” Si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia. Non era mai stato felice di rivedere lo zio, gli ricordava con dolore la perdita della famiglia.

Edward si fece serio. “Sir William è autorevole, ricopre una carica importante, ed è nostro zio.  È bene che Collins si renda conto che voglio coprirmi le spalle.”  Portò la mano al mento, appoggiando il peso sul gomito piantato sul tavolo.   “Lo zio mi appoggerà, lo sai quanto non gli piacciano certe prevaricazioni, certi giochetti di potere. Accetterà Steve, perché lo zio William non gliela perdonerebbe, se qualcuno toccasse il figlio del suo amato fratello Anthony, nostro padre.” Edward quasi non respirò, studiando la sua reazione.

Steve scosse la testa, rilassò le braccia e si avvicinò al tavolo, riducendo lo spazio tra di loro.

“Avrei preferito che non ci fosse bisogno di scomodarlo, ma se non c’è altro da fare, va bene. Tiriamo fuori i pezzi da novanta, Eddy.”  Il modo familiare con cui lo aveva chiamato lo tranquillizzò, aveva il suo appoggio.

 “Bene, vedo di contattarlo, cerchiamo di finire questa storia.”  Era dispiaciuto, leggeva la delusione del minore.  

“Lo so cosa pensi, ma non posso risolvere tutto da solo, mi dai troppo credito. Non ho così tanti poteri.”  Steve rimase silenzioso, sembrava vagliare la situazione, ma non replicò, si alzò rimettendo in ordine il tavolo.   “Vado ai campi di addestramento, mi trovi lì se hai bisogno!” Lo vide uscire con il berretto stretto fra le mani.    

Il Generale sapeva di uscirne in ogni caso sconfitto, sia per la faccenda di Norbury, che per quel testardo del fratello che non gli perdonava nessuna debolezza.  

Sentì il suo cuore rallentare, si sentì spossato, tra antidolorifici e la ferita, stava tirando troppo la corda.

 Si alzò svogliatamente, si diresse a passo lento verso il suo ufficio per chiamare lo zio William.

E i ricordi tornarono dolorosi, devastanti.

 Non lo vedeva da tempo, il fratello maggiore di suo padre. Sir William Zackary Cooper, ricopriva un incarico prestigioso presso il dipartimento di sicurezza nazionale.

Nemmeno Edward sapeva in verità dove potesse arrivare con il suo potere occulto, di sicuro era temuto da tutti.  Lo zio non gli aveva mai nascosto il desiderio di vederlo lavorare al suo fianco.  Alla morte di Anthony si era occupato di loro per un paio di mesi, rimanendo vicino ad Edward che si era ritrovato suo malgrado capofamiglia.

Lui, giovane e impreparato, con tre fratelli al seguito, una dimora storica da gestire fu travolto dal dolore.  Sir Anthony aveva sempre amato quella casa immersa nel verde dove aveva cresciuto i figli, e aveva svolto il suo lavoro di ambasciatore. Edward aveva passato la sua infanzia felice, correndo nel roseto e venendo regolarmente sgridato per i danni che combinava con Steve.

Poi erano arrivati i gemelli Daniel ed Ellen, aveva dovuto comportarsi da fratello maggiore, visto che aveva otto anni e Steve più piccolo, cinque. Edward se ne assunse tutta la responsabilità, benché Steve sentisse l’oppressione di essere il secondo genito, e penò parecchio anche con il suo aiuto.

 Mai si sarebbero aspettati l’arrivo di un altro fratello, Benjamin, piccolo, coccolato ultimo Cooper.  Lui aveva quindici anni ed era un adolescente a cui già cresceva la barba.

 Ben fu una ventata di allegria e felicità, era molto affezionato ad Edward. Quando tornava dal college se lo portava sulle spalle al roseto. A venti anni era già da tempo all’accademia, ma quando tornava era sempre una gioia trovarlo con quelle sue gambette magre che gli correva incontro, storpiandogli il nome in “Edard”.  Steve   era impegnato con i primi amori adolescenziali, ma amava molto il piccolo Ben. Ellen e Daniel lo sopportavano, ma gli dedicavano il loro tempo quando lo vedevano annoiarsi.

E Ben ripagava tutti con quella sua dolcezza da bambino amato e protetto.

 

Edward rallentò il passo, avvolto dall’angoscia.

 

 La sua famiglia, volata via in un attimo. Un incidente stradale mentre stavano tornando a casa dalla rappresentazione scolastica del suo piccolo fratello. Papà non aveva voluto l’autista, perché quella maledetta sera era in ritardo.  Una fatalità, l’asfalto scivoloso e una curva troppo stretta mentre sopraggiungeva un furgone non gli aveva lasciato scampo.

.

Sentì salire un dolore cupo, sordo, che non era mai passato, rallentò, si dovette fermare mentre percorreva la poca strada che mancava per raggiungere il suo ufficio.  Aveva il fiato corto, si tolse la giacca, slacciò il primo bottone della camicia, allentò la cravatta che sembrava soffocarlo.  Si portò sulla panchina che costeggiava il viale, rimase appoggiato, la schiena rilassata, lasciò il dolore sciogliersi e i ricordi percorrerlo.

 

 

 Aveva compiuto da poco venticinque anni, ricordava ogni minuto di quella notte.  Era stato chiamato dal suo superiore in accademia che l’aveva messo al corrente dell’incidente. Non si rese conto di come raggiunse l’ospedale. Entrò quasi correndo nella piccola sala d’aspetto.

Zio William era già lì con la faccia che diceva tutto.  E zia Costance, la sorella più giovane del padre piangeva sommessamente in un angolo. Edward sentì cedergli le gambe, ma lo zio lo afferrò forte e lo spinse da parte, contro il freddo della parete a cui dovette appoggiarsi.

 Poche parole dello zio che gli ordinavano di essere forte per amore dei suoi fratelli. I genitori erano morti subito, ma Ben era vivo, e la speranza gli aprì il cuore, asciugò le lacrime in fretta per nascondere un dolore devastante.

Quando entrò nella sala d’aspetto fredda e impersonale, fu terrorizzato nel vedere Steve, stretto ad Ellen e Daniel, pallido e tremante, che prese a fissarlo smarrito, non distogliendo mai lo sguardo. Cercava la sua forza e una risposta che non riusciva a dargli, aggrappato alla speranza che Ben, in coma, ma vivo, si salvasse. 

 Ma Benjamin volò via una settimana dopo, senza mai riprendere conoscenza, mentre erano tutti presenti, stretti in un dolore disperato.

E la sua vita non fu più la stessa.  I funerali, prima dei genitori poi del piccolo Ben, furono pesanti per tutti.

Oppressi da gente che veniva a Roses House per fare le condoglianze, non ebbero pace per le due settimane successive.  Nei due mesi che vennero dopo, aiutò lo zio a sbrigare le pratiche del padre, mentre Steve divenne la sua ombra, dimenticando le sue fidanzatine.

Daniel ed Ellen stavano con zia Constance, ma lo spiavano preoccupati, temevano di andare in adozione, e finivano per chiudersi in camera a piangere. E lui reggeva per loro, nel rispetto del nome della famiglia.  Ma la responsabilità e la perdita, lo spezzavano giorno dopo giorno, Edward pensava di non farcela, e smise di mangiare.

Steve fu il primo ad accorgersene. Lo assalì disperato, temendo di perdere anche lui, lo minacciò e   informò lo zio che Edward spesso saltava il pranzo o la cena, oppure faceva tardi apposta.  

Così iniziarono a sorvegliarlo, Steve coinvolse i gemelli, che divennero   responsabili e attenti. Mai durante i pasti, fu lasciato solo, spingendolo lentamente a prendersi cura di sé. Solo allora si accorsero di essere una famiglia, di avere una speranza, così piano e faticosamente ne uscì, anche se ancora adesso quando è troppo stressato, ricade nello stesso problema, portandosi dietro il dispiacere di Steve.

 

Respirò profondamente, ricacciò indietro con rabbia ogni ricordo, afferrò la giacca, la buttò sul braccio.  Edward cercava continuamente di rimuovere quei ricordi dolorosi, elaborando un lutto che non passava mai. Si alzò, senza che nessuno si fosse insospettito, si diresse verso la dirigenza. Chiese a Nora di contattare il numero privato dello zio.

 Lei lo squadrò preoccupata, in camicia, e con la giacca nel braccio, probabilmente si era allarmata. Lo conosceva bene e sapeva che non girava per la Cittadella in disordine. Lui alzò la mano per tranquillizzarla.

“Sta serena Nora ho pranzato.  Immagino di non aver un bel aspetto, da come mi guardi, ma dopo me ne vado a casa, promesso.”  Lo sgridò benevolmente   e gli allungò il pass.

 

 

   
 
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