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Autore: _Bri_    26/01/2021    10 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - Iscrizioni chiuse]
2197
Dalla caduta di lord Voldemort sono passati molti anni e la pace tanto agognata, purtroppo, ha avuto vita breve. Una guerra terribile ha coinvolto maghi e babbani, portando le parti coinvolte a decimarsi vicendevolmente. Ma nel momento di massimo buio, dalle macerie fumanti, si è sollevata una voce di donna, che ha promesso la pace per chiunque l’avesse seguita. Ma a quale prezzo?
Dopo 60 anni di regime in cui la magia è stata soppressa, non tutti hanno messo a tacere il loro pensiero e piccoli ma battaglieri gruppi di dissidenti, sono pronti a dare battaglia contro il regime di Nadia e della sua Corte.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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CAPITOLO IV
“Come on baby light my fire”
 
 

“Dún do shúil, a rún mo chroí
A chuid den tsaol, ‘s a ghrá liom
Dún do shúil, a rún mo chroí
Agus gheobhair feirín amárach.”(1)

 
La voce di sua made, dolce e cristallina, arrivava alle sue orecchie mentre sentiva il tocco gentile delle dita di lei fra i riccioli scuri. Non c’era occasione che non venisse addormentato così, ogni volta che i genitori tornavano dalle loro missioni. La mente del piccolo Lir, che passava le giornate in loro attesa in compagnia del nonno, credeva che Saoirse e Liam Gillian fossero agenti segreti in missione; troppo piccolo per comprendere le dinamiche reali in cui i due ribelli erano implicati, non gli era mai stato specificato quale fosse davvero il loro ruolo all’interno del sistema. Ma di una cosa Lir era sicuro: che i genitori fossero grandi persone e che lottavano per sconfiggere il male.
Tornavano sempre e da ogni missione, Lir riceveva in regalo qualcosa ritrovato nelle Terre di nessuno, anche se il gioco che preferiva al mondo risiedeva in un bastoncino che lui stesso aveva provato a intagliare, che utilizzava come bacchetta.
Quando Saoirse e Liam non fecero più ritorno a casa, il piccolo sentì una crepa allargarsi al centro del petto. Suo nonno Aidan fece il possibile per consolarlo, anche se non aveva tempo a disposizione per spiegare al nipote cosa fosse accaduto davvero ai suoi genitori; quelli erano morti da ribelli e lui e Lir non erano più al sicuro in quella casa. Fu così che iniziò il loro peregrinaggio. Aidan faceva in modo di lasciare il piccolo da solo il minor tempo possibile, ma aveva anche bisogno di racimolare qualcosa per non morire di fame.
Fu così che l’uomo iniziò a spacciare finta metropolvere, assai rara ai tempi in cui il regime di Nadia brillava in tutto il suo splendore. Certo, il mestiere del truffatore era pericoloso e di pane in tavola ne riusciva a portare ben poco.
Lir, a soli sei anni, fu costretto a mettere da parte il dolore per la perdita dei suoi genitori e a sostituirlo con i crampi lancinanti che la fame comportava.
Ogni cosa, per il piccino, si trasformava in sostentamento; d’inverno si era trovato in più di un’occasione a raccogliere la neve sporca e immaginare di assaporare frullati di frutta esotica e quando non aveva null’altro, scavava i terreni aridi alla ricerca di radici.
Arrivò al punto, uno sfortunato giorno, di arrivare quasi a inghiottire sassolini, immaginando che quelli fossero caramelle colorate. Venne distratto giusto in tempo dall’arrivo di quattro uomini dall’aspetto minaccioso, che ignorarono lui e le sue grida: erano venuti per sistemare dei conti con Aidan, al quale strapparono via la vita a forza di calci e pugni.
 
“Lasciatelo stare!”
 
La disperazione prese il sopravvento, nel piccolo Lir; fu quella a muoverlo ad afferrare la bacchetta fasulla e ad agitarla contro gli assassini di suo nonno, che dapprima rimasero immobili, ma appena si resero conto che quello non fosse che un legnetto qualunque, non esitarono a tirarlo via dalle mani di Lir e a malmenarlo come avevano fatto pocanzi con Aidan.
 
“ So io un bel posto per questa bacchetta, ragazzino.” Ghignò uno dei quattro, mentre gli tirava giù i calzoncini consumati. Privato di ogni tipo di forza dalla fame, Lir non riuscì a fare nulla, se non tentare di lanciare qualche morso, poi tutto si fece buio.
 
Furono due Sentinelle a ritrovare il piccolo Lir, accucciato a pancia in giù, con ancora i calzoncini abbassati e un legnetto abbandonato al suo lato. Cosa fosse successo, nessuno fu in grado di capirlo, tantomeno il piccolo che venne svegliato da una Sentinella dalla voce gentile, che gli disse che lo avrebbe portato in un posto dove si sarebbero presi cura di lui.
Lir aveva sentito parlare degli orfanotrofi, luoghi che dai racconti non avevano fatto che fargli venire la pelle d’oca. Eppure l’ultima persona a cui voleva bene e che si prendeva cura di lui, giaceva a terra esanime; cos’altro avrebbe potuto fare?
Fu così che acconsentì a seguirli, troppo stanco e affamato per scegliere diversamente, troppo arrabbiato e sconsolato, avviluppato da una tristezza fastidiosa e violenta.
Capì ben presto che l’orfanotrofio Strong poteva fornirgli lo stretto necessario per sopravvivere, ma che nulla era regalato lì dentro. Sarebbe dovuto diventare forte, avrebbe stretto i denti e preteso una vita migliore per sé.
E avrebbe arraffato qualsiasi cosa gli avesse permesso di non morire di stenti.
 
 
28 Marzo
La Corte
 
Tre rintocchi sulla porta, di eguale intensità, non fecero dubitare Lir nemmeno per un momento su colui che si trovava al di là dell’uscio. Poteva infatti affermare di conoscere Jude come le sue tasche al punto da riconoscere il suono del suo pugno chiuso contro la porta.
 
- Sapevo fossi tu. – Così lo accolse Lir, accennando un sorriso che in un’occasione diversa sarebbe stato di certo più caldo, eppure la preoccupazione per Alida lo frenò dall’accogliere il suo amico con il solito fare entusiasta. Il capo delle Sentinelle passò le mani sul bordo della sua giacca: - Sta dormendo?-
 
Lir scosse la testa, così gli fece cenno di entrare: - Sono passato qualche minuto fa, è sveglia, anche se non se la passa troppo bene. –
 
I due salirono le scale e giunsero davanti alla porta della camera di Alida, per l’occasione lasciata socchiusa in modo che se avesse avuto bisogno di Lir, il ragazzo non avrebbe avuto difficoltà a sentirla. Fu Jude a mettere piede dentro la stanza per primo; il suo sguardo chiaro si soffermò immediatamente sul bozzolo avvolto dalle coperte pesanti. Soprassedette rispetto il caos che ingombrava la camera della ragazza: - Posso? –
 
Un fruscio di coperte, seguito da un lieve mugugno, lasciarono intendere ai due che era concesso loro farsi avanti. Lir rimase distante qualche passo dal letto, mentre Jude si avvicinò al lato sotto il quale, sospettava, fosse raggomitolata Alida.
 
- Ciao… - Mormorò lei, prima di far sbucare la testa bionda e fissare gli occhi cerchiati da occhiaie rosse, in quelli decisamente più riposati di Jude.
 
- Come ti senti? – l’uomo sedette al suo fianco senza chiedere il permesso, così Alida si tirò a sedere con non poca fatica, per poi tornare a guardarlo con sospetto: - Che vuoi? Sei venuto per conto di tua nonna? -
 
- Ma guarda tu che stronza. – soffiò Jude, per poi scambiarsi un’occhiata con Lir il quale scosse la testa e alzò le spalle: - Sai che quando sta così diventa particolarmente fastidiosa e insolente. -
 
- Ovviamente no, sono venuto a vedere come ti senti; non trattarmi come se non lo avessi mai fatto prima. -
 
Alida fece una smorfia, un misto di dolore e stizza: - Cosa vuoi che ne sappia, magari questa volta hai solo premura di avere altre informazioni, forse sei stato mandato qui per costringermi ad avere altre visioni! –
 
Jude riempì i polmoni e trattenne il fiato, con la volontà di controllarsi, dopodiché espirò molto lentamente e tornò a fissarla: - Pensi davvero farei una cosa del genere? –
 
D’istinto, Jude allungò una mano per ricacciare dietro il suo orecchio una ciocca bionda, ma si paralizzò e si apprestò a ritrarre la mano; nel compiere quel gesto provò una fitta particolarmente acuta alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto essere premuroso e di conforto, d’altro canto Alida avrebbe potuto pensare che quello non fosse che un subdolo escamotage per esercitare il proprio potere su di lei. Ma rimase stupito quando la strega fece scivolare una mano oltre la coperta, per andare a trattenere la sua. Lo guardò per qualche secondo prima di mormorare semplici parole di scuse; Jude fece cadere l’occhio sulla piccola mano di lei che stringeva appena la sua, così il suo sguardo salì di nuovo a scontrarsi con gli occhi di Alida e un mezzo sorriso gli sfuggì dal volto.
 
- Bene bravi, avete fatto la pace! – Li scimmiottò Lir: - Doveva venire occhioni dolci qui, per farti uscire dalla tana. - 
 
Alida ignorò deliberatamente Lir; senza lasciare la mano di Jude, poggiò la schiena alla testiera del letto e prese a parlare: - Comunque questa volta è stata… brutta. Colpa del fuoco, temo. –
 
- Mia nonna mi ha accennato qualcosa, pare che domani potrebbe andare a fuoco qualcosa di grande nella Corte. Non hai visto altro? -
 
La ragazza scosse appena la testa: - Non so nulla, mi sono ritrovata in mezzo a quel fottuto incendio e non ci ho capito granché, sinceramente non sono nemmeno sicura che fosse il silo. -
 
- Credi possa essere doloso? – Si aggiunse Lir, così Alida alzò le spalle: - Ho già detto tutto quello che so. Solo un grande incendio, spaventoso… ma non ho idea su chi o cosa lo abbia provocato.  -
 
Jude perse momentaneamente lo sguardo oltre le spalle di Alida e la ragazza, sfiancata ma abbastanza lucida da riconoscere il suo piglio meditabondo, gli strattonò appena la mano: - Basterà controllare il perimetro, non c’è da preoccuparsi. –
 
Lir, a braccia conserte, si rivolse a Jude: - Se fosse doloso, vorrebbe dire che qualcuno vuole creare un danno enorme. Pensi ci sia qualcuno nella Corte che tanto imbestialito per fare una cosa così? –
 
- Non lo so. – Rispose laconico il capo delle Sentinelle, prima di tornare a concentrarsi su Alida: - Comunque Nadia mi ha chiesto di dirti di riposare, ci penserà Lir a stare con i miei nonni, anche se nessuno dei due crede ci sia motivo di stare in allerta. -
 
- Forse dovrei aiutarti a organizzare dei turni di sorveglianza. -
 
Alla frase di Lir, Jude scosse il capo e subito dopo si alzò, lasciando che Alida scivolasse di nuovo sotto le coperte: - Non c’è bisogno, ho tutto sotto controllo. Ma a questo punto credo che dovrò parlare con Nadia, meglio che vada. Tu riposati. –
 
- Agli ordini. – Pigolò Alida, esponendosi poi in un grande sbadiglio. Lir seguì Jude fuori dalla stanza e lo accompagnò alla porta; prima che andasse via, Lir gli poggiò una mano sulla spalla: - Non hai ancora detto nulla del prigioniero… è questo che vuoi andare a fare? -
 
Jude annuì: - Credo sia giunto il momento; questa visione di Alida mi insospettisce e non voglio escludere nulla. Quando sentirai la terra tremare, capirai che mia nonna ha saputo di Stafford. –
 
- Sai che farei di tutto per te, mia dolce metà, ma sinceramente questa volta non ti invidio per niente. -
 
- Solo un pazzo lo farebbe. – Rispose Jude, per poi uscire di casa mostrando una tranquillità che Lir invidiava non poco.
 
 
28 Marzo
Quartier Generale
 
- E quindi a questo punto posso calare le carte, giusto?-
 
Mångata era seduta davanti a Roxana; la donna a guardia di una delle entrate del Quartier generale le stava insegnando uno dei giochi con le carte che tanto amava. La più piccola era ben felice di passare un po’ di tempo con coloro che l’avevano accolta quando non era che una ragazzina e Roxana non faceva eccezione anche se di carte, Sophie, non ci aveva mai capito niente.
 
- Fammi un po’ vedere… ma no! Non vedi che quelle sono tutte di semi diversi? Signore, voi giovani non prestate mai ascolto a quello che vi diciamo, chissà dove avete la testa. -
 
La giovane strega avrebbe voluto dirle che la sua, di testa, era impegnata a concentrarsi sulla missione che l’avrebbe vista coinvolta il giorno a seguire, ma evitò di controbattere perché sapeva bene quanto Roxana talvolta risultava petulante e prolissa.
 
- Ho capito, ho capito… ehi! Dove stai andando? -
 
Vulkan spuntò dall’inizio del lungo tunnel che culminava proprio con il passaggio segreto davanti al quale erano sedute Roxana e Mångata; quest’ultima appena lo vide scattò in piedi, guadagnandosi le lamentele di Roxana che ci tenne a informarla che le partite non potevano essere abbandonate a metà.
Vulkan dedicò solo un fugace sguardo alla giovane, prima di mettersi ad armeggiare con i mattoni della parete: - Sto uscendo a perlustrare la zona, come mio solito. –
 
- Ma Sonne ha detto che non dovremmo uscire oggi, è importante essere riposati per domani e… -
 
- Non mi risulta che Sonne sia stato eletto capo, ragazzina. Roxana, tornerò al solito orario. -
 
La donna, ancora stizzita dal comportamento di Mångata, sembrò addolcirsi un po’ davanti al bell’aspetto dell’uomo che l’aveva sempre affascinata, nonostante fosse decisamente più giovane di lei. – Ma certo caro, puoi fare avanti e indietro come preferisci. – Concluse con un occhiolino, mentre Mångata assisteva alla scena con un piglio decisamente perplesso. Quando Vulkan uscì dal passaggio sotterraneo, la ragazza si scusò frettolosamente con Roxana e si apprestò a seguirlo.
 
- Non ho mai detto che Sonne sia il capo, ma abbiamo votato, Vulkan! Siamo tutti d’accordo sul dargli retta e seguire il piano che ci ha proposto! -
 
L’uomo roteò gli occhi al cielo mentre saliva i pioli del vecchio pozzo con Mångata, più tenace che mai, al suo seguito.
 
- Abbiamo votato per la missione, è vero, ma sono io che decido come e quando ritengo di dovermi riposare, non di certo Sonne. Ora se non ti spiace, ho delle cose da fare. Che diavolo stai facendo? -
 
Uscito dal pozzo, Vulkan si trattenne dal dare in escandescenza, visto che la giovane aveva pensato bene di seguirlo. Spolverati i pantaloni, la ragazza pose le mani sui fianchi: - Ho deciso che verrò con te. –
 
- Grazie, ma no. Torna indietro e continua a fare quello che stavi facendo, domani ci aspetta un giorno difficile, te lo sei dimenticato? -
 
 Mångata però sorrise, portò le mani dietro la schiena e si affiancò a lui: - Come hai sottolineato poco fa, siamo gli unici capi di noi stessi, giusto? E dato che esiste il libero arbitrio, io ho appena deciso che voglio seguirti nella perlustrazione. –
 
- Non fare la ragazzina più di quanto tu già non sia. – Sussurrò lui, mentre si massaggiava l’incipit del naso.
 
- Allora? Dove si va? -
 
Bellamente ignorato, Vulkan scrollò le spalle e cominciò a camminare: - Fa un po’ come ti pare, ma se proprio vuoi venire con me vedi di darti una mossa. Non mi piace affatto perdere tempo.-
 
 
 
28 Marzo - La Corte
Residenza di Nadia
 
- Ti ha forse dato di volta il cervello?! -
 
Jude era abituato alle scenate di sua nonna, ragion per cui non sembrava minimamente preoccupato di vedere Nadia sbattere i palmi contro la sua scrivania con una tale irruenza, da far vibrare le finestre dello studio. Ryurik, prelevato dal capo delle Sentinelle poco prima, era rimasto impassibile accanto a Etienne a osservare lo scambio animato dei due.
 
- Non volevo darvi una preoccupazione inutile. Pensavo di riuscire a farlo parlare. -
 
- Tu hai un ruolo importante, Jude! Se ti ho messo a capo delle Sentinelle è perché so di potermi fidare di te come di nessun altro in tutta la Corte! Ma se inizi a nascondermi delle cose tanto importanti, forse è bene che io riveda le mie decisioni! -
 
Il volto di Nadia si era fatto paonazzo per il tanto gridare, ma Jude non aveva perso la calma nemmeno un istante. Al contrario si era seduto con assoluta compostezza, in attesa che la sfuriata avesse fine. – Fammi sapere quando posso ribattere. –
 
Nadia sgranò gli occhi chiari; suo nipote la stava apertamente sfidando, per lo più davanti al giovane Ryurik, Sentinella da poco giunta alla corte nonché figlio di una delle sue più fedeli sostenitrici. Alzò l’indice e lo puntò nella sua direzione e le parole uscirono dalla sua bocca come un sibilo intriso di veleno: -Attento a come ti rivolgi a me, ti sei forse dimenticato chi sono? –
 
- Ci tieni così tanto a ricordarmelo, nonna, che darei mostra di estrema stupidità se dicessi di averlo dimenticato. -
 
- Basta! – Gridò lei. Fu a quel punto che Etienne decise di intromettersi, avvicinandosi al nipote e mettendo le mani sulle sue spalle: - Chérie... calmati. Ho già parlato con Jude e sono sicuro che abbia agito solo per tutelarci. Sei così immersa nell’organizzazione della festa del raccolto, che non voleva crearti una preoccupazione inutile. Almeno non di certo per un uomo qualunque che si è fatto catturare nel bel mezzo delle Terre di nessuno. Nel momento in cui abbiamo riposto la nostra fiducia in lui, abbiamo accettato i suoi metodi e se Jude ha scelto di non rivelarci prima la presenza di Stafford beh, avrà avuto i suoi motivi. -
 
La donna abbassò lentamente l’indice, cercando di recuperare l’autocontrollo; Etienne era l’unica persona al mondo a cui prestava davvero attenzione. A quel punto prese un grande sospiro e affondò sulla sua poltrona: - E va bene, ma che sia l’ultima volta che mi tieni nascosto qualcosa. Questo comportamento non va bene, tesoro. – Concluse, addolcendo appena le parole in direzione del nipote.
 
- Mi dispiace, ma ho ritenuto fosse la cosa migliore da fare. Comunque è esattamente come ricordavo: Stafford non ha subito l’effetto di nessuno dei nostri poteri, ciò nonostante è successa una cosa particolare, che ritengo dobbiate sapere quanto prima. -
 
 - Dio del cielo, sono proprio curiosa a questo punto. -
 
Jude accennò un sorriso, così chiese a Ryurik di farsi avanti; il ragazzo, ben consapevole del motivo per cui era stato portato lì, liberò qualche parola in russo mentre  faceva quanto gli era stato chiesto, così arrivato al suo fianco, si rivolse a Jude: - Mi tratti come cane da circo. –
 
Nel sentire quelle parole unite in un’affermazione piuttosto bislacca, i due coniugi si lanciarono uno sguardo interrogativo, così Jude iniziò a spiegare quanto era successo due giorni prima. A racconto concluso, Nadia portò una mano alla bocca e si rivolse a Ryurik con aria rammaricata: - Oh, caro! Mi dispiace così tanto… spero che tu ora stia bene! Vuoi che informi tua madre di quanto successo? –
 
- Non è la prima volta che succede questa cosa, sto abbastanza buono, però credo che tuo nipote deve fare un corso per gestire tutta quella rabbia. -
 
Jude accennò un sorriso amaro, quando percepì le mani di suo nonno, ancora sulle sue spalle, stringere la morsa. Conosceva Etienne e sapeva benissimo di aver fatto scattare in lui una scintilla, spiegando come il potere di Ryurik si era manifestato in una forma evolutiva davvero particolare. Una forma che si sarebbe potuta rivelare molto utile, invero. Difatti Etienne non ci mise molto per interrompere la moglie, che si stava spendendo in moine per il giovane Ryurik.
 
- Mon garçon,  se mi permetti di aiutarti, vorrei capire con te se esiste un modo per… tutelarti dal tuo potere e contemporaneamente per estrarne tutte le potenzialità. – L’uomo puntò gli occhi in quelli della moglie, che tentò di capire dove volesse arrivare; sorrise, di una sfumatura violenta e maligna che solo Nadia conosceva tanto bene: - Potrebbe essere molto utile per tutti noi, potrebbe essere utile per Alida. -
 
Lo sguardo di Nadia si illuminò e il sorriso si allargò. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
L’unico a non capirci nulla fu Ryurik, che si limitò ad alzare le spalle e dire che si trovava alla Corte per prestare servizio a Nadia, sebbene avrebbe gradito non stancarsi più del necessario.


 
 
 
Sporco, caos, talvolta freddo, talvolta un caldo insopportabile. La casa del signor Turner e la signora Le Blanc era tessuta in queste poche parole. Lì, fra la sporcizia e la precarietà, mosse i primi passi Liv.
I due ragazzi non avevano mai avuto accesso a nessuna comune, troppo sbagliati per farne parte, così avevano vissuto la propria vita a fare ciò che era nelle loro facoltà, affinché riuscissero a sopravvivere: derubavano quanto riuscivano a trovare nelle desolanti Terre di nessuno, per poi rivendere la paccottiglia ai Mercati illegali.
Erano maghi, o almeno questo è quanto sapevano, ma non avevano mai avuto la possibilità di usare la magia e sotto un certo punto di vista, non si erano mai nemmeno sforzati per recuperare delle bacchette.
Liv era stata nient’altro che un errore di sistema. Si erano accorti troppo tardi della gravidanza, troppo presi a girare in lungo e in largo i piccoli agglomerati di baracche che sorgevano ai margini della civiltà. Avevano anche pensato, in un raro momento di lucidità, che forse sarebbe stato meglio rintracciare qualche medico pronto a porre fine a quella gravidanza indesiderata ma, novità delle novità, non avevano nulla con cui scambiare un intervento del genere. In un mondo in cui l’essere umano faticava a riprodursi, chi praticava gli aborti lo faceva solo e soltanto per mezzo di laute ricompense.
Così nacque Liv, che imparò ben presto a non fare un fiato, perché le urla, i pianti e i capricci non erano cosa gradita nella casa del signor Turner e la signora Le Blanc: avevano faticato per conquistarsi quella piccola tana sicura e non avrebbero permesso all’errore di sistema di attirare l’attenzione delle Sentinelle.
In un modo tutt’altro che comprensibile, la coppia si era affezionata alla piccolina, nonostante fosse di continuo intralcio al loro lavoro di tossici taccheggiatori, pronti a tutto pur di avere qualche polvere da sniffare: troppo piccola per essere portata in giro, avevano passato i primi anni di vita di Liv ad alternarsi, affinché uno dei due rimanesse con lei mentre l’altro partiva per portare a casa la giornata.
Ciò che Liv ricorda non sono i volti dei suoi genitori, ma l’accumulo di oggetti, ai suoi occhi di bambina giocattoli meravigliosi, che ingombravano lo spazio; così ben presto la piccola iniziò a costruirsi il suo mondo, mettendo in piedi le istallazioni all’interno delle quali dava sfogo alla sua più fervida fantasia. Mentre attendeva che qualcuno si occupasse di lei, portandole qualcosa da mangiare e cambiandola se necessario, Liv si chiudeva nei suoi fortini e riproduceva, con la mente, le poche immagini che avevano composto le sue tristi giornate, passate a sgattaiolare fuori dalla baracca nella speranza di poter giocare con qualche altro bambino. Di bambini, però, nel povero agglomerato di abitazioni in cui erano ubicati non ce n’erano: Liv era l’unica piccola della zona, per quanto ne sapevano i suoi genitori. Ma a lei non importava mica, perché aveva i suoi giochi, le sue costruzioni, i suoi fortini e di tanto in tanto il sorriso di suo padre, meno dipendente dalle droghe di sua madre e quindi meno egoista nell’occuparsi di lei.
 
L’ultimo ricordo dei suoi genitori non è affatto felice.
Boati roboanti e metallici, vetri infranti e la porta di casa loro che veniva abbattuta. Forse il signor Turner urlò di lasciarla stare, che se li avessero ammazzati nessuno si sarebbe potuto occupare di lei.
Ma forse, quelli non erano che ricordi distorti, ricostruzioni mendaci della sua mente di bambina.
Quando un uomo e una donna arrivarono da lei, la trovarono chiusa all’interno di una grande scatola di cartone, la cui apertura era celata da un pezzo di stoffa lurido e consumato. L’uomo trattenne il fiato per qualche istante, poi usò con Liv una voce gentile e la prese in braccio. Odorava di sangue e sudore.
Liv non oppose resistenza; chiese solo di poter prendere alcuni dei suoi giochi, ma non gli fu permesso. Quando uscì da quella che era stata la sua casa per tutti i suoi quattro anni di vita, dagli occhi della piccola non uscì una sola lacrima e nemmeno una volta cercò con lo sguardo i suoi genitori.
Lo sapeva fin dalla nascita, che in quel mondo lì era meglio non fare domande e non farsi vedere tristi, se si voleva sopravvivere.
 
 
“Benvenuta piccina, questa è la tua nuova casa. Qui ci sono tanti bambini come te che diventeranno i tuoi amici. “
 
Gli occhioni di Liv, ancora aggrappata al collo di quell’uomo che l’aveva portata via da casa sua, salirono a osservare la grande targa al di sopra del portone d’ingresso dell’edificio; le pupille si incastrarono fra le linee dure delle lettere che componevano la parola Strong, senza però essere in grado di leggerle.
Da quel preciso momento tutti i ricordi legati  alla sua vita prima dell’orfanotrofio, iniziarono a farsi confusi e ben presto, nella mente di Liv, non rimasero quel caos sporco e familiare, i suoi giochi e il sorriso di suo padre.
 
 
29 Marzo
Quartier Generale
 
- Questa va bene? -
 
Jabal rigirava fra le mani una beretta da poco risistemata da Chion per poi mostrarla a Sonne; quest’ultimo alzò le spalle, quindi lanciò un’occhiata a Yuki che scrollò il capo e sbuffò: - Vorrei solo le mie glock, non ci so fare con quella! –
 
- Lo capisco, ma sono ancora in revisione e questa missione non era affatto programmata. – Jabal mostrò estrema pazienza nel rispondere alla strega: - Credo dovrai accontentarti di questa. -
 
- Andrò da Chion a chiedere se ha finito il lavoro. Ieri sera gli ho messo un po’ di pressione addosso, magari si è deciso a darsi una mossa… oh, ciao cara! -
 
Nell’uscire dalla sala d’armi, Yuki si scontrò con Ame; la biondina era già in tenuta da attacco, non le restava che indossare la sua maschera antigas.
 
- Ciao a te, perfettamente splendida come sempre, vedo! -
 
Yuki cinguettò un ringraziamento prima di scivolare oltre la porta, così Ame si avvicinò a Sonne: - Devo prendere un po’ di cose, credi sia meglio che porti il mitra o la balestra? – La ragazza si fece pensierosa, sottolineando il suo rimuginare con uno sfregamento di mento: - O entrambe? Anche se forse dovrei preparare delle molotov per l’occasione… si, vada per le molotov! E poi Ollie avrà le granate, quindi dovremmo… -
 
Sonne afferrò Ame per le spalle e si chinò per poterla fissare: - Oppure potresti non pensare a cosa andrai a fare, che ne dici? –
 
- Ma io mi devo organizzare in qualche modo, gli incendi non sono una cosa per tutti! -
 
- Lo so mia giovane amica, lo so… proprio per questo ho pensato che solo te saresti stata in grado di ricoprire questo ruolo, complice la tua imprevedibilità che io tanto amo. -
 
Nel sentire quel complimento Ame incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio, mentre Sonne le cingeva le spalle con un braccio: - Continua. –
 
- Ebbene… - I due presero a camminare per la stanza, ignorati da Jabal che nel mentre continuava a smistare e selezionare armi.
 
- Sei la numero uno, quando si tratta di generare caos, ragion per cui vorrei che tu agisca nella maniera più imprevedibile che la tua testolina bionda e brillante riesca a fare. Pensi di esserne in grado? -
 
- Va bene, smolla questa manfrina bello, ho capito! Zero piani, pura anarchia. Posso farcela, certo che si. – Ame svicolò dalla stretta di Sonne e prese a recuperare una gran quantità di armi e oggetti più disparati, di cui cominciò a riempire la tracolla e le tasche. Proprio mentre Jabal stava per dirle che forse si stava portando dietro troppe cose, dalla porta entrò Mawja; l’anziana signora dette un bacio sulla guancia di Micah, per poi rivolgersi a Jabal: - Cucciolo, dovresti venire con me; ho parlato con Herb poco fa, dannata me e quando mi è venuto in mente di farlo! Ora esige di parlarti… sai come è fatto, meglio non farlo aspettare troppo. -
 
Nel sentir nominare Herb, Jabal fece un grande sospiro e poggiò le armi con delicatezza, così lanciò un’occhiata a Sonne: - Amico, pensaci tu, io vado a prendermi la mia ramanzina. –
 
- In bocca al lupo! – Gli augurò Sonne, mentre continuava a sfilare cose dalla borsa di Ame, sgridandola perché avrebbe gradito riaverla indietro tutta intera, la qual cosa non sarebbe accaduta se si fosse appesantita al punto di non riuscire a filarsela nel momento giusto.
 
 
La Corte
 
Il discorso che il giorno precedente aveva fatto Jude a tutte le Sentinelle della Corte, risuonava ancora nella sua testa. Izzie aveva difficoltà a inquadrare quell’uomo; se da un lato lo percepiva come autoritario e minaccioso, dall’altra talvolta era talmente criptico che avrebbe avuto voglia di scuoterlo con vigore, per chiedergli cosa cavolo volesse intendere con quelle frasi enigmatiche e avvolte da un perenne alone di mistero. Ma Izzie non era di certo stupida e aveva capito che era meglio non fare domande a Jude, qualora non fosse stato realmente necessario. Per questo quando aveva parlato di un probabile incendio nella comune, si era limitata ad ascoltare.
Come aveva fatto a sapere che ci sarebbe stato un incendio?
Per quale motivo lei e le altre Sentinelle erano state smistate in gruppi di controllo, per perlustrare tutto il perimetro della vasta Corte?
Domande alle quali Izzie non avrebbe avuto risposta, tanto valeva ignorare la vocina insistente nella sua testa e godersi la compagnia del suo gruppo: nello specifico, quella di una certa Sentinella che faceva piegare il bel visetto di Izzie in smorfiette allegre, ogni qualvolta le capitava di avere a che fare con Ajax Willow. Il ragazzo era stato uno delle prime Sentinelle con cui Izzie era entrato in contatto non appena aveva iniziato il suo addestramento; probabilmente, non fosse stato per lui, Jude l’avrebbe frullata via dal campo di addestramento al suo primo giorno, tanto si era dimostrata inadatta all’arte della guerra. Ma Ajax, con il suo portamento impettito e al contempo elegante e il suo fare tanto sicuro, si era mostrato molto comprensivo con la giovane Izzie. A lui fu affidata per il primo periodo di addestramento, molto probabilmente perché fu l’unico a non spazientirsi con lei; Ajax, al contrario di altre Sentinelle (ricordava ancora come Lir Strong, i primi mesi, scappasse a gambe levate ogni qualvolta si ritrovava Izzie vicino), non aveva mai perso la pazienza e al contrario, probabilmente perché si era reso conto di quanto impegno lei ci mettesse, l’aveva spronata a non mollare.
Con quei tiepidi ricordi a miscelarle lo stomaco, Izzie guardava Ajax mentre parlava con altre Sentinelle: a loro era toccato di perlustrare la zona adiacente la Magione di contenimento, un edificio che solo a guardarlo, le metteva i brividi. Si strinse nella sua giacca da aviatore – fortunatamente Artemisia aveva fatto in modo che i ragazzini dell’orfanotrofio non gliela portassero via- e si avvicinò ad ascoltare le parole di Ajax.
 
- Non c’è motivo di allarmarsi, mi è stato assicurato che probabilmente tutta questa faccenda è solo un falso allarme, ma è bene tenere gli occhi aperti. -
 
- Mi chiedo cosa c’entri un ipotetico incendio con tutto questo. – la voce allegra, ma anche sospettosa di Saskia, una sua collega di cui Izzie apprezzava particolarmente la compagnia, espose quella che era la sua stessa domanda.
 
- Potrebbe darsi che sia proprio la Magione di contenimento a essere a rischio incendio. – Con le mani allacciate dietro la schiena in una posa militare, Ajax rispose con fermezza. Adorabile, pensò Izzie sorridendo inebetita. – Alcuni di noi rimarranno a perlustrare il perimetro, altri verranno con me a controllare l’interno dell’edificio, per assicurarci che l’impianto elettrico sia a posto. -
 
- Mi offro volontaria! – Dichiarò Izzie alzando la mano e sorridendo entusiasta: - Ci so fare abbastanza con quelle robe, mio padre mi ha insegnato un mucchio di cose su… -
 
- Bene, tu verrai con me allora. – La stroncò Ajax, - Voi altri rimanete qui fuori. Occhi bene aperti e orecchie pronte a cogliere ogni minimo rumore; Jude ha riposto fiducia in noi e non ho alcuna intenzione di tradirla. Buon lavoro a tutti. -
 
Senza aggiungere altro, Ajax mosse velocemente i passi fino all’ingresso della Magione di contenimento e Izzie, inizialmente immobilizzata, si riebbe e affrettò il passo per poterlo seguire. Una volta al suo fianco, mentre attendevano che i cancelli venissero aperti loro, Ajax lanciò un’occhiata alla ragazza: - Ora che ci penso spero che questo incendio non sia proprio tu a provocarlo, visto il tuo strambo potere. Forse Jude avrebbe fatto meglio al non privarvi di quel collare nemmeno oggi. –
 
Fortunatamente la carnagione scura non permise a Ajax di notare il rossore che aveva avviluppato il viso di Izzie, la quale cominciò a balbettare che era perfettamente in grado di gestire il suo potere.
Stava mentendo spudoratamente, ovviamente. Nel cammino che li portava alle cantine nelle quali si trovava la centralina elettrica, Izzie si ritrovò a pensare, o meglio a sperare, che Ajax non avesse in qualche modo ragione.
 
Quartier Generale
 
Anche avesse camminato su un tappeto di piume, Chion avrebbe comunque sentito i passi di Yuki. Aveva passato gli ultimi due giorni a sistemare ogni tipo di arma che gli era capitata sotto mano, sommerso dalle richieste dei suoi compagni che, come lui, presto sarebbero entrati alla Corte. Si sentiva stanco, ma l’esigenza di accontentare quanti più compagni possibili aveva prevalso sulla stanchezza. Si era quindi rintanato in una delle piccole stanze che cambiavano occasionalmente veste, a seconda dell’esigenza del momento e lì, affiancato di tanto in tanto da qualche compagno, aveva passato tutto il suo tempo. Fu Yuki a ricordargli che quella sera avrebbero fatto irruzione alla Corte, altrimenti probabilmente gli sarebbe passato di mente, preso com’era dal suo lavoro.
 
- Sono passata per… -
 
- Sono lì. – Gli occhi chiari rimasero fissi su una delle balestre che prediligeva Ame, mentre la mano andò a indicare il punto in cui si trovavano le due pistole di Yuki, sistemate e perfettamente funzionanti, La strega si affrettò a recuperarle e non riuscì a trattenersi: si lanciò a stringere le braccia intorno al collo di Chion: - Grazie! Non ci speravo sai? Sei stato davvero bravissimo, senza di quelle mi sento nuda . -
 
Il ragazzo tossicchiò appena, colpa dell’imbarazzo che lo aveva colto non appena a Yuki era venuto in mente di mostrare la gratitudine nei suoi confronti. Non sapendo in quale altro modo comportarsi, si limitò a bofonchiare che si sarebbe dovuta allontanare, visto che stava maneggiando una balestra molto delicata.
 
- Non vorrei ci facessimo male… poi chi lo sente Sonne. -
 
 - Hai ragione, sono la solita sbadata. – Yuki sedette al suo fianco solo dopo aver riposto con cura le glock nei propri foderi, così prese a fissare il mago con insistenza. Ma Chion, che era tornato a concentrarsi sull’arma, non le prestò attenzione.
 
- Sei agitato di tornare alla Corte? -
 
La domanda di lei arrivò come una doccia ghiacciata; strinse il manico della balestra in una morsa rigida. Chion sapeva bene che negare sarebbe stato sciocco e inutile, così annuì appena.
 
- È tanto… tanto tempo che non metto piede lì. – Trovato poi il coraggio di alzare lo sguardo, incrociò lo sguardo dell’amica: - E tu? -
 
Dalla bocca di Yuki scivolò via un lieve sospiro: - Sì, sono agitata anche io. Non per la missione in sé, di qualunque cosa si tratti, ma l’idea di tornare lì e magari, sai, incontrare qualcuno… -
 
Yuki virò appena il capo e incastrò lo sguardo sulla parete ingrigita; non aveva voluto mostrare la sua titubanza davanti ai suoi compagni durante la riunione, eppure la paura si era affacciata presto, non appena aveva messo piede fuori dalla stanza delle riunioni. Sapeva che non era l’unica ad avere avuto un passato alla Corte e quando l’esigenza di confidarsi si era fatta troppo forte, aveva deciso di andare a parlare con Chion. Anche lui, lo sapeva, nel profondo aveva timore di tornare lì.
Il suo pensare fu distratto da un lieve tocco sulla sua spalla: Chion si era allungato e aveva poggiato la sua mano, pronto a garantirle un minimo di conforto. Era un gesto talmente inusuale da parte del ragazzo, che Yuki non era riuscita a evitare di sussultare appena.
 
- Non ti sembra una reazione un po’ esagerata, da parte tua?-
 
- Le tue dimostrazioni fisiche sono merce così tanto rara, che devo ammettere di essermi spaventata. Magari la prossima volta avvisami prima, ok? -
 
I due si guardarono, per poi scoppiare a ridere all’unisono; le loro risa colmarono la stanza e, almeno per un po’, scacciarono via i pensieri molesti che avevano ingombrato le teste. Quel che andava fatto doveva essere fatto, avrebbero avuto tempo di rimuginare sui loro passati una volta tornati, sani e salvi, fra le mura del Quartier Generale.
 
Quartier Generale
 
C’erano ben poche stanze private a disposizione degli abitanti del Quartier Generale; una di quelle era occupata da Herb da tempo immemore. Quando Jabal mise piede al suo interno, affiancato da Mawja, era già pronto a sentire una sequela di insulti scagliarsi contro di lui. Sorprendentemente non furono le brutte parole a raggiungerlo, bensì il corno auricolare che il vecchio Herb utilizzava per capirci qualcosa di quello che gli veniva detto. L’uomo lo prese al volo e sospirò, mentre Mawja, con le braccia sui fianchi, ricordò a Herb che non era quello il modo giusto di comportarsi.
 
- Al diavolo, vecchia strega! Ho tuuuutto il diritto di prendermela con questo irresponsabile! -
 
Munito di sacrosanta pazienza, Jabal si avvicinò al letto su cui sostava vita natural durante Herb, così gli restituì il corno: - Visto che non vuoi ti venga costruito un apparecchio, puoi evitare di lanciarlo con tanta frequenza? È l’unico modo che hai per sentirci. –
 
- Che hai detto?! -
 
- Ecco, appunto. Ho detto che È L’UNICO MODO CHE HAI PER SENTIRCI! -
 
Herb strappò il corno dalle mani di Jabal e gli ordinò di occupare la sedia al suo fianco, dal lato in cui era possibile osservare con attenzione le cicatrici ricamare il viso, nonché il suo occhio di vetro. Quella sedia era tanto piccola e mal messa che ogni volta che veniva obbligato a sedersi, Jabal temeva che quella crollasse sotto la sua stazza, eppure non c’era mai una sola volta che dicesse di no a Herb.
 
- Sentiamo, come mai ce l’hai con me questa volta? -
 
Recuperato il corno, Jabal fu libero di mantenere un tono di voce abbastanza normale. Herb assottigliò lo sguardo e puntò un indice nodoso nella sua direzione: - Come mai? E me lo chiedi, razza di irresponsabile che non sei altro?! Ho saputo da lei che verrai coinvolto in una missione! Non ti rendi conto che questo posto si regge sulle tue spalle?! –
 
- Herb, ne abbiamo parlato tante volte; ognuno di noi deve fare la propria parte all’interno del Quartier Generale, non posso limitarmi a stare chiuso qui dentro a fare progetti, non ti pare? -
 
- Certo che si, invece! Da quando quel ragazzaccio ha messo piede qui dentro qualche mese fa, non hai fatto altro che mettere a rischio la tua vita! -
 
- Herb… - Jabal massaggiò le palpebre con pollice e indice: - Micah è al Quartier Generale da dieci anni, ormai. -
 
- Non osare prendermi in giro, non sono mica rincoglionito! Comunque bada bene a quel che fai, ho speso fin troppo tempo per starti dietro e insegnarti il mestiere, Malik; io non lo posso più fare, non ci vedo più tanto bene ormai. -
 
- Fosse solo quello… -
 
- Quindi è tutto nelle tue mani. Le mura non si tirano in piedi da sole e le famiglie che abitano qui hanno bisogno di te! Manda qualcun altro al posto tuo, qualcuno di meno importante! -
 
Jabal non riuscì a trattenere un morbido sorriso. Quel vecchio acido di Herb dimostrava di tenere così tanto a lui, che non se la sentì di dirgli che non era assolutamente così importante per la comunità e che sarebbe andato in missione. Si chinò verso di lui e appoggiò una grande mano sulla spalla ossuta dell’anziano ingegnere: - Va bene Herb, come vuoi tu. Ora però devo andare, ho molto lavoro da fare. –
 
- Che cosa?! Devi andare a ballare?! Non ti sarà mica venuto in mente di uscire da qui! Dicono che oggi ci sia un tempo da lupi, lì fuori! -
 
- Vecchio sordo. – Borbottò Mawja prima di urlargli contro che ora doveva pensare a riposarsi e che presto gli avrebbe portato il pranzo. Usciti dalla sua stanza, l’anziana guardò Jabal con disapprovazione: - Non dovevi mentirgli. E se dovesse succederti qualcosa? Chi glielo dirà che ti sei fatto ammazzare perché hai fatto comunque di testa tua? Io non di certo, sappilo! -
 
Jabal liberò una risata di cuore: - Allora farò in modo di rientrare sano e salvo, così non sarai costretta a subirti la furia di Herb, d’accordo? –

 
 
 
L’Orfanotrofio non regalò a Lir molti momenti felici. Le sue giornate, all’interno della struttura fatiscente che ospitava lui e gli altri orfani sfortunati, passavano ad agitarsi in una guerriglia costante dettata dall’urgenza di sopravvivere. Le ore che passava a studiare, nelle aule dall’intonaco ingrigito e crepato, erano davvero poche; di libri i bambini non ne avevano molti a disposizione e principalmente veniva insegnato loro a leggere e a scrivere, così come apprendere la storia, ma solo dal giorno in cui Nadia decise di adoperarsi per creare quello che veniva definito “il nuovo mondo”. Per il resto i bambini venivano impiegati in mansioni faticose, mangiavano poco e lottavano fra di loro per primeggiare. Le mura dell’orfanotrofio erano intrise di bullismo animale e primitivo, in cui valeva molto più saperle dare di santa ragione, piuttosto che conoscere i segreti dell’ars oratoria.
Ma Lir non si scoraggiava, mai. Sapeva che avrebbe impiegato tutto se stesso per riscattarsi e fare in modo che un giorno i reclutatori che facevano spesso visita all’orfanotrofio, individuassero in lui un valido futuro membro della Corte.
 
Non aveva amici, nessuno aveva mai arpionato la sua attenzione più del dovuto, se non una bambina piccina, con i capelli color del grano maturo e le orecchie larghe. Quando Lir incrociò per la prima volta il suo sguardo, rimase basito davanti alla fermezza della piccina: se infatti gli altri piccoli della sua stessa età appena portati in orfanotrofio, non facevano altro che piangere a dirotto implorando di poter rivedere i loro cari, quella rimase muta e non fece mai un fiato. Un atteggiamento, quello della piccola Liv, che non era riconducibile a una bambina di soli quattro anni.
Ma fu proprio il suo sguardo duro ad attirare Lir e quando Liv si avvicinò a lui per la prima volta, individuandolo come una sorta di ragazzino prescelto a cui si sarebbe aggrappata per rimanere a galla, il bambino non si tirò indietro.
 
La loro amicizia esplose nell’anormalità fagocitante dell’orfanotrofio. Tante erano le volte che venivano alle mani, tante quelle che l’uno ricercava l’altra quando riuscivano a rubacchiare dalle cucine un pezzo di pane in più; condividevano ogni cosa, mettendo da parte l’egoismo proprio di ogni orfano che riusciva a sopravvivere allo Strong.
Ma più tempo passava, più risultava evidente quanto i loro obiettivi fossero agli antipodi; se Liv credeva che bisognasse contrastare con ogni mezzo il regime instaurato dalla Governatrice, Lir rivedeva nella Corte e nel sistema di Nadia un modo per riscattarsi e per raggiungere un tenore di vita accettabile.
 
Liv voleva stravolgere e combattere, fervida credente di un unico Dio chiamato caos.
Lir avrebbe abnegato i propri ideali, in favore di Nadia e quindi della sua rinascita.
 
Fu con questo pensiero instillato in testa, che scoprì il proprio potere. Inizialmente credette fosse una casualità che Daphne, che lo tormentava con ogni mezzo, a un certo punto fosse impazzita convinta di aver visto un cane randagio, proprio lei che aveva il terrore dei cani. O che Devon che pretendeva un favore da Lir, fosse improvvisamente cosparso di orribili cavallette.
Fu solo quando Steven volle mettersi in mostra davanti ai reclutatori andando incontro a Lir, pronto a conciarlo per le feste, che quest’ultimo capì cosa fosse in grado di fare; gli era bastato concentrarsi abbastanza da poter vedere un’orda di ratti -la cui sola idea faceva saltare di paura quel bullo- attaccarlo alle caviglie. Detto fatto, Steven cominciò a gridare mentre tentava di cacciare via dei topi invisibili dalle proprie ginocchia.
Se non fosse svenuto, per stanchezza o per fame non seppe dirlo, sicuramente Lir avrebbe gioito davanti allo sguardo delle Sentinelle che capirono il suo potenziale.
Era speciale. La sua capacità di rivoltare contro i suoi nemici i più terribili incubi, sarebbe stato il suo lascia passare per la Corte e quando Liv se ne sarebbe resa conto, allora forse avrebbe deciso di seguirlo.
Non avrebbe mai lasciato lì quella ragazzina dinoccolata, scurrile e con lo sguardo acceso d’ira. La stessa che lo torturava con stupidi scherzi, come quando gli nascose una vecchia bambola di porcellana sotto il cuscino, facendolo gridare come una femminuccia perché Lir odiava le bambole. Ma anche la stessa che aveva spaccato il naso di Devon, quando il ragazzo aveva osato rubare il pranzo a Lir.
Lir era profondamente egoista, ma non quando si trattava di Liv; e se lei non possedeva un potere non importava, il suo sarebbe bastato per entrambi.
 
 
6 PM
La Corte
 
- Siamo dentro. -
 
Il sole si prestava al tramonto, quando Ame, Leaf, Oleander e Dimma misero piede all’interno della Corte grazie a quella che, nove anni prima, era stata la via di fuga di Dimma. Quest’ultima fece cenno al gruppo di tacere e si scambiò un cenno del capo con Leaf: il ragazzo annuì e cominciò a guardarsi intorno, mentre Oleander guardò Ame; quest’ultima si stava guardando intorno cercando di analizzare la campagna che li circondava.
 
- Pensavo a quel grande silo di cui mi hai parlato, potremmo far esplodere quello, creerebbe un bel po’ di casino. -
 
La donna annuì: - Va bene, allora seguitemi. Leaf, occhi bene aperti, siamo nelle tue mani.-
 
- Sai bene che alla mia vista non sfugge nulla. – Rispose il biondo, che si ritrovò a guardia del piccolo gruppo di Ladri.
 
- Oleander, tu puoi produrre un clone per anticipare i nostri passi?–
 
- Basta chiedere, baby. – Mentre Leaf continuava a ispezionare la zona con lo sguardo, il gruppo si fermò per dare la possibilità a Oleander di concentrarsi; la strega socchiuse gli occhi e in men che non si dica, dal suo corpo si scisse una sua copia identica in tutto e per tutto, persino nell’abbigliamento che ne celava i lineamenti. Dimma indicò all’originale dove avrebbe dovuto mandare il clone e Oleander annuì, rivolgendosi poi alla sua copia: - Procedi in quella direzione. Fai attenzione e torna subito indietro se dovessi incontrare qualcuno. -
 
Il clone annuì e corse verso la direzione indicata.
 
- Il silo grande dovrebbe trovarsi lì; bisogna fare molta attenzione perché al suo interno ci sono riserve in grado di sfamare tutta la corte per buoni sei mesi, quindi l’incendio potrebbe sfuggire facilmente al nostro controllo. -
 
Tutelati dal pattugliamento del clone di Oleander e dalla vista infallibile di Leaf, i quattro procedettero verso il silo senza intoppi, quando qualcosa attrasse lo sguardo di Ame, celato agli altri dalla maschera antigas: lungo il sentiero battuto immerso in una distesa di grano non ancora maturo, spuntava un grande mulino. Probabilmente quello serviva per coprire parte dell’energia elettrica necessaria alla Corte. Il suo viso venne illuminato da un sorriso, in quanto la ragazza realizzò che avrebbero non solo raggiunto il proprio scopo, bensì avrebbero creato nell’imminente un grande danno alla Corte.
 
- Fermi! Cambio di programma. - Affermò, indicando il mulino. – Ollie, manda il tuo clone a controllare che non ci sia qualche guardiano e se così dovesse essere, che faccia in modo di attirarlo lontano: fra poco quel posto verrà ridotto in cenere. -
 
Detto fatto, il clone di Oleander fece quanto ordinato; fu Leaf a riferire alle altre che quei due piccoli puntini che vedevano agitarsi in lontananza erano proprio il clone, rincorso da qualcuno che, come da previsione, doveva essere il guardiano del mulino.
 
- Sbrighiamoci. – Disse Oleander ad Ame:  - Non abbiamo troppo tempo e vorrei evitare che la mia zolletta di zucchero si scontrasse con quel tipo; mi toglierebbe un sacco di energie e non sarebbe gradevole. -
 
- Perfetto. Forza, andiamo! – I quattro corsero verso il mulino  e arrestarono la loro corsa solo per preparare le armi; scambiatosi un segno, Oleander afferrò una granata, mentre Ame consegnava una molotov artigianale a Dimma, che la rigirò fra le mani con soddisfazione. Anche lei ne trattenne una nella destra, mentre con la sinistra estrasse il suo accendino in argento, dal quale non si separava mai.
 
- Io mi occupo di coprirvi le spalle. Peccato che Angelica non sia qui, si sarebbe divertita un mondo! – Affermò Leaf mentre sfilava il suo fucile dalle spalle, per poi cominciare a compiere una traiettoria semi circolare intorno alle tre compagne.
 
- Inizio io, poi Oleander alimenterà l’esplosione con le granate, infine Dimma lancerà la sua molotov. -
 
- Sei proprio organizzata! – Rispose Oleander con entusiasmo.
 
- Piccola, è la mia materia. -
 
In una frazione di secondo Ame accese la fiamma dello zippo e la avvicinò all’innesco; appena questo si accese, Ame caricò il braccio e con un lancio perfetto, la molotov si schiantò contro la finestra del mulino, infrangendone il vetro e originando una fiammata violenta.
 
- Come cazzo è possibile?! – Chiese Dimma, mentre Olender tirava via con la bocca la chiusura di sicurezza dalla sua bomba a mano, pronta a lanciarla.
 
- Semplice: ho caricato le bottiglie col polistirolo, che si è incollato per bene alle superfici di…. Oh al diavolo! Non è il momento per insegnarvi come fare bene il mio lavoro! -

 
 
Ormai aveva perso il conto delle punizioni che aveva accumulato nel corso dei dieci anni passati dentro lo Strong, ma non c’era stata mai una volta che Liv si fosse tirata indietro nel dire o fare ciò che riteneva rientrare nella sfera della propria morale. C’era stato un episodio, uno solo, ad averla traumatizzata al punto di non riuscire a dire una sola parola per giorni, fin quando la sua più grande amica non insistette fino allo sfinimento per farla parlare.
 
“ Puoi darla a bere a chiunque, ma non di certo a me: tu hai un problema, Liv, e io non mi muoverò di qui fin quando non ti deciderai ad aprire la bocca.” Artemisia, che intanto stava sistemando il loro dormitorio facendosi aiutare dalla propria ombra, dedicava l’attenzione a Liv, raggomitolata sul letto e con lo sguardo, solitamente acceso e vispo, che vagava per la stanza.
C’erano volute ore per smuoverla, ma Artemisia era una ragazzina accogliente e paziente, qualità che l’avevano portata a ottenere i risultati sperati, nonostante quella sera avesse dovuto rinunciare alla cena, visto che Liv non si era mostrata intenzionata a mettere piede fuori dalla stanza che le due condividevano con altre sei ragazze.
 
“ Io non credo mi farò mai toccare da nessuno. “
 
Quell’affermazione, un pigolio soffiato fra le ginocchia strette al seno, era suonata davvero strana alle orecchie di Artemisia; ciò nonostante aveva atteso i tempi della ragazza.
Quando Liv confessò di aver assistito a un abuso fisico da parte di uno dei reclutatori nei confronti di uno dei più piccoli ospiti dello Strong, Artemisia sentì la gola stringersi in un nodo e il cuore palpitare più forte che mai. Alla richiesta di ulteriori spiegazioni, Liv si era ammutolita e aveva trovato il coraggio di continuare a parlare solo dopo qualche minuto. Aveva così confessato ad Artemisia, mentre quest’ultima le carezzava la schiena con fare incoraggiante, che durante l’ispezione di alcune Sentinelle, si era ritrovata a spiare uno dei “colloqui” con i ragazzi; ciò che aveva visto, così come il pianto incessante del bambino, Liv lo voleva cancellare dalla sua mente per sempre. Aveva provato a intervenire, ma era prima stata scaraventata via e poi, da quel che Artemisia era riuscita a capire, l’uomo l’aveva minacciata; insomma, se Liv avesse aperto bocca, la volta dopo sarebbe tornato non per far male a lei, bensì per porre fine alla vita del povero piccolo.
 
Liv arrivò ben presto a una semplice, drammatica e raccapricciante conclusione: per quanto si fossero sforzati, gli orfani sarebbero rimasti sempre e soltanto i reietti della società che aveva messo in piedi la Governatrice Nadia e nulla avrebbe cambiato questa condizione, se non la ribellione. Potevano infatti tentare di opporsi apertamente alle Sentinelle, ma erano loro che detenevano il potere. A chi avrebbero dato ascolto nei piani alti? A un fedele servitore di Nadia, o a una ragazzina pelle e ossa a malapena istruita?
 
“Non ci resta che distruggere questo sistema. Distruggere, purificare, purificare, si. “
 
Artemisia si rese conto che quell’evento aveva creato una crepa profonda nell’animo di Liv e che lei da sola non poteva aiutarla. Per questo si decise a rivolgersi all’unica altra persona in tutto l’orfanotrofio che aveva sempre mostrato affetto nei confronti dell’amica.
 
Quando Artemisia si presentò da Lir, il ragazzo rimase abbastanza sorpreso; Artemisia si era sempre mostrata come una ragazzina dolce, benché poco determinata e ancor meno incline al dialogo; non fosse stata per la presenza di Liv, probabilmente i due non avrebbero avuto proprio nulla a che fare.
E infatti era per Liv, che Misia era andata da lui, o per meglio dire per chiedere il suo aiuto.
 
L’essersi confidata con Artemisia non aveva migliorato molto la condizione di Liv. Mangiava lo stretto necessario per tenersi in piedi e quando non era impiegata nelle lezioni o nei compiti che le venivano assegnati, passava il suo tempo ad accendere e spegnere uno zippo d’argento che aveva rubato a uno dei tutori dell’orfanotrofio. Era accucciata in un angolo del chiostro interno, con il suo accendino in mano, quando Lir arrivò da lei. La guardò dall’alto e senza dire una sola parola, allungò la mano nella sua direzione.
 
“ Adesso ti spiego che cosa faremo, bambolina. “
 
Liv rimase per qualche istante a fissare la mano di Lir, prima di accoglierla e incastrare gli occhioni infossati nelle occhiaie, in quelli del ragazzo. Fu così che Lir costrinse Liv a farsi dire il nome della Sentinella che aveva abusato il piccolo Vincent e quando l’uomo tornò a fare visita all’orfanotrofio, Liv corse a cercare Lir, per indicargli quel porco. Il ragazzo non disse nulla, limitandosi invece ad annuire.
Sarebbero passati tre anni prima che Lir avesse modo di vendicare la sua amica che da quell’orribile episodio ne era uscita spezzata.
Quel che seppe Liv quando ai suoi diciassette anni Lir tornò all’orfanotrofio in veste di reclutatore, era che gli era stato chiesto di prendere il posto di quella Sentinella che, da un giorno all’altro, era scomparsa nel nulla. Alcune voci nella Corte dissero che Richard Malone era in realtà un rivoltoso e che era fuggito dalla Corte per unirsi a un gruppo di dissidenti.
Non fosse che giorni dopo la sua scomparsa, il suo cadavere fu ritrovato incastrato in uno dei vecchi impianti fognari della città.
 
 
6 PM
La Corte
 
Non poteva farci niente: Artemisia non riusciva a trattenere la preoccupazione, sorta dal momento in cui, la sera prima, si era ritrovata a parlare con Jude. Non che l’uomo le avesse detto più di tanto, ma aveva colto dal suo viso quanto egli fosse preoccupato per qualcosa.
 
“ Dobbiamo fare molta attenzione. Ho bisogno di dividere le Sentinelle in gruppi di controllo e vorrei che tu fossi a capo di uno di essi. Devo potermi fidare. Te la senti?”
 
Per quanto Artemisia avesse tentato di insistere, sebbene con tutta la delicatezza di cui fosse capace, non era riuscita a scucire una sola parola dalla bocca di Jude, più criptico che mai in merito alla questione che lo crucciava. C’era stata una riunione con tutte le Sentinelle che erano presenti in quel momento alla Corte e Jude aveva spiegato loro che ci sarebbe potuto essere un incendio il giorno dopo e che loro dovevano occuparsi di controllare la Corte da cima a fondo, per tentare di evitare l’inevitabile. Alla fine il capo delle Sentinelle aveva creato una decina di piccoli gruppi e si era congedato, non prima di proporre a Artemisia un passaggio per casa. Proprio quando stava per scendere dall’auto la ragazza, reprimendo tutta la sua timidezza, si era decisa a insistere con Jude.
 
“ Non ti sto chiedendo di dirmi cosa c’è sotto, ma mi sembra chiaro che qualcosa non va.”
 
“ Sei… gentile, ma ho tutto sotto controllo.”
 
Jude era stato posato ma anche così laconico, che Artemisia aveva intuito che non avrebbe dovuto forzare troppo la mano, consapevole che il capo delle Sentinelle non avrebbe detto una sola altra parola. Scesa dalla macchina si era arrestata un momento, aveva preso un gran respiro e poi si era voltata di nuovo, con la mano trattenuta sullo sportello ancora aperto.
 
“ Se hai bisogno di parlare, sai dove abito.“
 
Beh, almeno si era guadagnata un sorriso da parte di Jude; persino una mezza risata era uscita dalla sua bocca. Inutile dire, ovviamente, che Jude non aveva bussato alla sua porta. Non che Artemisia si sarebbe aspettata un comportamento diverso, certo. Così il giorno dopo quella riunione aveva fatto come le era stato chiesto e si era infine ritrovata a girare, con il sole sulla via del tramonto, fra le rigogliose campagne della Corte assieme a quattro giovani reclute. Jude aveva ritenuto, infatti, che per ispezionare quella zona della Corte non avrebbe avuto senso affiancare ad Artemisia Sentinelle più esperte.
Ma un frastuono assordante, creato dal matrimonio di una serie di boati che assordarono le loro orecchie, fece subito rendere conto alla strega che forse avrebbe avuto bisogno di un supporto maggiore. I suoi occhi chiari si illuminarono con la danza di una grande fiamma che si innalzò a un paio di centinaia di metri da loro.
 
- Oh maledizione. Seguitemi! – Ordinò alle reclute tremanti che a seguito dell’esplosione avevano cominciato a urlare per la paura.
Ma per frignare non c’era tempo; dovevano agire in fretta.

 
 
 
Lir ci mise un batter d’occhio ad ambientarsi alla Corte e a godere degli agi che essa gli offriva: aveva un letto caldo e comodo, cibo a volontà e molto potere nelle sue mani. Gustò il lusso e lo sfarzo e il duro lavoro non gli pesava affatto, al contrario: Lir era intenzionato a mostrare la parte migliore di sé e avrebbe acconsentito a svolgere qualsiasi compito, pur di spiccare davanti agli altri. In poco tempo fu individuato da Nadia; Lir era stato affidato a Jude e fu lo stesso nipote a suggerire alla nonna che il ragazzo fosse molto speciale e sufficientemente disperato da potersi rivelare molto utile.
Per questo motivo Nadia decise che sarebbe stato la perfetta guardia del corpo del suo amato marito, inizialmente restio alla compagnia di Lir, o almeno fin quando non ne comprese a pieno le capacità.
Non furono poche le volte che la nuova recluta venne messa alla prova, e se con “l’affare Claudia Decour” se la cavò bene, altrettanto non fu quando ebbe la sfortuna di incontrare una giovane coppia con un bambino di non più di quattro anni, in mezzo alle Terre di nessuno. Lir non poté fare a meno di entrare in empatia col piccino tutto pelle ossa, per quel motivo riuscì a convincere i viandanti ad andare alla Corte. Lì avrebbe trovato a loro un lavoro e il piccolo Solomon non avrebbe più patito la fame.
Fu l’ultima volta che Lir Strong decise di salvare qualcuno; la sua fiducia, difatti, venne presto tradita: una notte in cui la Sentinella si recò a casa della coppia, il panico prese il possesso visto che dei tre non ce n’era nemmeno l’ombra. Il dubbio si instillò presto in lui, che prese a perlustrare la Corte in lungo e in largo e infine, con suo rammarico, li trovò. Avevano appena attraversato il confine della Corte sfruttando una falla nella recensione, complice il buio della notte.
Stavano scappando. Coloro che aveva salvato, di cui si era preso la responsabilità, stavano abbandonando la Corte di soppiatto.
La furia accecò il suo sguardo e divorò in un batter d’occhio ogni barlume di rimostranza; la sua spada morbida colpì mortalmente Bart e mentre quello agonizzava a terra, Lir lanciò con precisione chirurgica il giavellotto, che colpì Elene al centro della schiena. L’urlo di lei squarciò il silenzio che cullava la Corte con violenza raccapricciante.
Eppure non riuscì a colpire il piccolo Solomon; non riuscì a scordare gli occhi sbarrati e terrorizzati del bambino che tanto gli somigliava e proprio quelli servirono a risparmiargli la vita. Lasciò che scappasse nelle Terre di nessuno e dentro di sé sperò che qualcuno lo trovasse, mentre recuperava la bacchetta che i due erano riusciti a rubare, non si sa come, alla residenza di Nadia.
Lir era talmente sconvolto da quanto era appena successo che non si rese conto di una presenza che arrivò alle sue spalle, impreparato a quel colpo che arrivò alla testa e che gli fece perdere i sensi.
La prima cosa che vide, una volta rinvenuto, fu lo sguardo gelido e crudo di Jude; il ragazzo non gli dette modo di dire una sola parola: lo alzò di peso e lo attaccò alla parete del mulino accanto al quale era stato sorpreso.
 
“ Dammi un solo motivo per cui non dovrei farti tagliare la testa. “
 
Non si fidava. Jude non si fidava. Voleva capire cosa fosse successo, come mai le due persone che lui stesso aveva fatto entrare alla Corte, erano ormai freddi cadaveri al di là della recinsione. Era convinto che Lir nascondesse qualcosa e che fra lui e quei due ci fossero degli accordi, magari andati in frantumi. In quel momento una buona parte di Jude lo riteneva un traditore.
Si sorprese però, quando Lir con gli occhi spalancati e una vena di follia a illuminarli, lo afferrò per il collo della camicia, cominciando ad urlare come mai aveva fatto prima.
 
“Toccami, forza! Usa il tuo potere e dimmi ‘bugiardo’ se sto mentendo. Io non lo farei mai!”
 
Jude ritirò le mani e si ritrasse di qualche passo, lasciando con sua stessa sorpresa che l’altro continuasse a parlare.
 
“Siete stati la mia salvezza e questo non potrò mai dimenticarlo… mi avete trascinato fuori dal nulla. Fallo, ma sappi, caro Jude, che per quanto scomodo ti stia questo ruolo, tu sei mio amico e non ti farei mai una cosa simile!”
 
E poi Lir consegnò a Jude la bacchetta che aveva recuperato dalla coppia di traditori. Il maggiore allungò la mano ma non per usare il proprio potere, bensì per afferrare la bacchetta che gli veniva offerta. Comprese che Lir avesse ragione: non lo avrebbe mai tradito, perché lo considerava un amico, il migliore che avesse.
 
 
6:30 PM
La Corte - Residenza di Nadia
 
 
Lir continuava a passeggiare avanti e indietro in uno degli studi della residenza dei coniugi Millan. Solitamente apprezzava la compagnia di Etienne, che con lui si era sempre comportato in modo protettivo e gentile, ma in quella precisa circostanza Lir sentiva che qualcosa non andasse e che il suo posto non doveva essere lì. Aveva parlato a lungo con Jude e con il confronto avevano messo insieme i pezzi: per quale motivo Alida aveva avuto la visione di un grande incendio alla Corte? Le risposte che avevano tirato fuori erano due:
L’incendio che aveva visto la loro amica durante la visione era di origine involontaria, causato magari da un cortocircuito o da un gesto non volontario da parte di qualche abitante.
L’incendio era di origine dolosa e qui avrebbero dovuto prendere in considerazione qualche cittadino che, particolarmente scontento per qualcosa, si era cimentato in un atto tanto violento.
C’era anche una terza opzione, in quanto entrambi pensarono istantaneamente che forse la presenza di Stafford alla Magione di contenimento potesse in qualche modo c’entrare con questa futura spiacevole faccenda, anche se dall’uomo non erano riusciti a ricavare nessuna informazione. Non sapevano da dove fosse venuto, dove vivesse, né se faceva parte di qualche gruppo insurrezionalista, come i Ladri di bacchette. C’era però qualcosa che aveva smosso gli ingranaggi di entrambi. Non avevano idea del perché, ma Stafford poteva rientrare fra una delle motivazioni che avevano scatenato la visione di Alida.
 
- Ragazzo, a camminare così finirai per bucare il pavimento che mia moglie ama tanto e non so te, ma io non sono pronto a sentire le sue urla. -
 
Richiamato dalla voce di Etienne, fino a qualche istante prima immerso nella lettura, Lir finalmente si fermò. – Scusami, ma non mi sento tranquillo. –
 
- Non avevo bisogno di questa conferma. – Etienne chiuse il tomo e fissò il giovane: - Ma non devi preoccuparti; sai meglio di me che quella ragazza ha spesso visioni distorte e che spesso finiscono in un buco nell’acqua. Inoltre mio nipote sta facendo pattugliare tutta la Corte, mentre noi abbiamo qui te a tutelarci. -
 
- Hai ragione, forse non è niente, anzi probabilmente è proprio come dici tu. -
 
- Non ti devi preoccupare, è tutto sotto controllo. Ora fammi una cortesia, versa per entrambi qualcosa da bere e siediti, hai bisogno di distendere i nervi. -
 
Lir sospirò, ma fece come gli era stato chiesto da Etienne, che aprì nuovamente il suo libro in attesa di essere servito.
 
- Sai che cosa è successo con Ryurik? –
 
- Ho saputo, un risvolto molto interessante del suo potere. – Rispose Lir mentre gli porgeva un bicchiere di gin: - Mi spiace molto per lui; assorbire la rabbia di Jude non deve essere una passeggiata. -
 
Etienne accennò una risata dopo aver ingoiato un sorso di gin: - Già, conoscendo Jude neanche io lo invidio affatto, eppure stavo pensando che potremmo ottenere grandi risultati, affiancandolo a Alida, non credi? –
 
Lir quasi si strozzò; ciò che aveva appena detto Etienne non gli era passato nemmeno lontanamente per la testa. Sapeva quanto Alida soffrisse a seguito delle proprie visioni, specialmente quando quelle venivano indotte con insistenza; in confronto assorbire la rabbia di Jude, valutò, doveva essere come fare una scampagnata.
 
- Non… non ci avevo pensato. Quindi hai intenzione di… -
 
- Per la tutela di questo posto, credo che chiunque di noi dovrebbe essere pronto a qualsiasi cosa, Lir. Sono certo che Ryurik e i suoi genitori sarebbero onorati di servire la Corte. – Etienne, che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo sul bicchiere, lo alzò in direzione di Lir, che lo osservava senza riuscire a trattenere lo stupore: - Questo posto è il cuore del mondo e sai bene che il corpo muore, se il cuore smette di battere. -
 
Lir avrebbe voluto avere più tempo a disposizione per riflettere su ciò che gli aveva appena rivelato Etienne, ma la loro conversazione fu interrotta da Nadia, la quale entrò nello studio del marito avvolta da un alone tetro. Lo fissò con sguardo duro, un’occhiata che non lasciava spazio all’interpretazione.
 
- Che succede? -
 
- Oh caro… è appena arrivata una Sentinella ad avvisarci: hanno sentito una grossa esplosione nella zona del mulino. -
 
Per poco Lir non perse la presa del bicchiere che tratteneva nella destra; Alida ci aveva visto giusto, a quanto pareva.
 
6:30 PM
La Corte – il Mulino
 
Leaf si distrasse giusto il tempo di osservare lo spaventoso incendio che stava divorando il mulino. Sebbene la luce tanto intensa gli desse fastidio, rimase affascinato dal rogo; capiva perché Ame ne fosse così attratta. Ma il tempo a loro disposizione era davvero poco.
 
“Atlas, devi assolutamente fare in modo di filarvela il prima possibile. Le Sentinelle alla Corte non sono poi molte, considerando che buona parte di loro saranno in giro per compiere gravose missioni in nome della vecchia, ma non dobbiamo sottostimare chi rimarrà alla sua guardia. Scappate appena avrete causato abbastanza caos. “
 
“ Come sempre sai che puoi contare su di me. “
 
“ Non sarà immediato portare via Ame, pensa prima di tutto a lei. Claudia e Andra saranno molto più lucide. “
 
“ Certo, prima Ame.”
 
Aveva impresso nella testa lo scambio con Micah con metodicità, per questo si riebbe presto e gridò alle ragazze: - Abbiamo fatto abbastanza! Dobbiamo andare via! –
 
Leaf corse verso Ame, imbambolata davanti al suo capolavoro, quando una voce acuta arrivò alla sua destra.
 
- Chi siete?! Giù le maschere! -
 
Fu solo in quel momento che Ame riuscì a staccare gli occhi dalle lingue di fuoco che avvolgevano il mulino; quella voce lì, Liv non avrebbe mai potuto dimenticarla. Si voltò di scatto verso il suono della voce che si era rivolta a loro e si paralizzò, quando lo sguardo impattò contro quella che era stata la sua prima amica, la sorella senza legami di sangue su cui aveva potuto contare per gli anni passati in orfanotrofio.
Nonostante il vestiario peculiare e il buio della notte, Liv non aveva alcun dubbio: Artemisia era a una manciata di metri da loro e nel suo sguardo poté leggere terrore, ma anche rabbia e raccapriccio.
Leaf puntò il suo fucile contro di loro e lo stesso fece Dimma con la SIG Sauer.
 
- Merda, sapevo dovevamo sbrigarci! – Gridò Leaf mentre lanciava un colpo contro una delle Sentinelle che li avevano sorpresi. Quella venne colpita a una spalla e mentre un’altra la soccorreva, il resto del gruppo antagonista seguì l’ordine di Artemisia di attaccare. Erano numericamente in vantaggio, oltretutto Ame sembrava come pietrificata, tanto che Dimma dovette spingerla via, prima che dei colpi arrivassero a colpirla.
 
Artemisia impartì ordini al gruppo, dicendo loro di rimanere quanto più possibile nell’ombra; lei al contrario si mosse con agilità, avvicinandosi al chiarore delle fiamme; sebbene il sole fosse ormai tramontato, era quantomeno certa di poter sfruttare la luce dello spaventoso rogo.
 
Le due fazioni non si risparmiavano in colpi: Leaf e Oleander si mostravano letali nei loro attacchi, mentre Dimma difendeva Ame come poteva.
 
- Reagisci, cazzo! -  Le gridò. Dimma però non poteva sapere quale fosse il vero motivo per cui Liv non stesse riuscendo a fare alcunché; se era vero che la maggiore aveva conosciuto Artemisia all’orfanotrofio, gli otto anni che le distanziavano non avevano mai fatto approfondire il loro rapporto, ragion per cui nel buio della notte e in un frangente simile, era chiaro che non avrebbe potuto ricollegare la Sentinella, alla bambina che stava sempre appiccicata a Liv. E quest’ultima non poteva pronunciare il nome di Artemisia, altrimenti avrebbe rischiato di essere riconosciuta e di conseguenza scoperta.
Cosa diavolo avrebbe dovuto fare? Non poteva permettere che lei venisse ferita, perché in cuor suo sentiva che se fosse successo, nonostante facessero ormai parte di due fazioni opposte, non si sarebbe mai più ripresa.
 
Tentò di ritrovare lucidità e sangue freddo, Ame, e proprio quando era riuscita a tirare fuori la calma necessaria per capire come sarebbe stato meglio agire, sentì come un tentacolo gelido salire sulle sue scarpe e aggrapparsi al suo corpo. Quasi le venne da ridere, nonostante la tragicità del momento. Conosceva assai bene quel potere, anche se era la prima volta che Artemisia lo usava contro di lei; erano state così tante le volte in cui aveva spronato l’amica a non temere il suo stesso potere, esternandone invece le incredibili qualità e non avrebbe mai pensato che prima o poi quello le si sarebbe rivoltato contro.
In quel momento Ame era paralizzata e con rassegnazione, seppe che nulla poteva contro la volontà dell’ombra di Artemisia, che si era appena impossessata del suo corpo. Cercò scioccamente di resistere al proprio braccio che si piegava dietro la schiena, causandole un mugolio di puro dolore vista la torsione, mentre l’altro saliva verso la maschera. Mentre Dimma attaccava le Sentinelle che sparavano colpi nella loro direzione, affiancata da Leaf intento a scovare i ragazzi nascosti nell’ombra, Artemisia si avvicinava a Ame, compiendo quei movimenti che si riflettevano sulla bionda. La mano della Sentinella saliva verso il proprio viso e specularmente Ame faceva lo stesso: voleva che tirasse via la maschera antigas, era ovvio.
 
“Devo… resistere!” Pensò Ame, nonostante resistere era impossibile; sarebbe stato presto inevitabile rivelare la propria identità e a quel punto la scelta sarebbe stata amara e impossibile da prendere. Avrebbe tutelato la propria identità, attaccando mortalmente Artemisia? Oppure si sarebbe sacrificata facendo scappare i propri compagni, ma consegnandosi a quella che un tempo era stata come una sorella?
Ma nel momento esatto che stava per sfilare via la maschera dal viso, già parzialmente scoperto, sentì la forza dell’ombra farsi più tenue, fino a scivolare via da lei: nella confusione dell’attacco, Oleander era riuscita a riprodurre un suo clone, che era andato all’attacco di Artemisia. Nella corsa uno sparo l’aveva colpita alla gamba, facendo urlare la vera Oleander di dolore, eppure aveva resistito fin quando il clone non era riuscito a saltare su Artemisia, gettandola nel buio del campo.
 
- Via! Ora! – Gridò Dimma non prima di abbattere un’altra giovane Sentinella che gli stava dando del filo da torcere. Intanto Oleander, dolorante più che mai, riassorbì il clone e si preparò alla fuga.
Libera dal potere di Artemisia, Ame recuperò il fiato; i suoi occhi saettarono su Leaf, che non sembrava intenzionato a seguire le altre; il suo fucile puntava su Artemisia, la quale si stava rialzando con fatica.
 
- No! – Gridò Ame, scagliandosi sul compagno e facendo giusto in tempo a deviare la traiettoria del suo fucile; il colpo sfiorò la Sentinella di qualche centimetro.
 
- Perché?! – Gridò lui, fuori di sé dalla rabbia, ma Ame non gli dette alcuna spiegazione, così gli afferrò una mano e lo trascinò via, prendendo a correre dietro a Dimma e Oleander che stavano percorrendo la strada a ritroso, pronte a darsi alla fuga. Durante la corsa sentirono delle grida e alcuni spari intenzionati a colpirli; raggiunsero la via di fuga per puro miracolo e saliti a bordo della vecchia decappottabile di Andra, si dettero subito alla fuga senza guardarsi indietro.
 
 
Giunta la notizia, Etienne aveva dato a Lir il permesso di andare a vedere cosa fosse successo al mulino. Per la strada verso i campi, si rese conto che il buio aveva inglobato alcune zone della comune e che quindi con ogni probabilità, il mulino doveva aver subito grandi danni. Stava per arrivare al punto in cui vedeva le fiamme divampare, quando fu distratto da un gruppo di persone che correvano via dall’incendio; tento di rincorrerle, ma era troppo tardi: sparirono nel nulla dei campi.

 
 
 
Non era passato giorno da quando Liv aveva assistito a quell’abuso, che non avesse passato a pensare quanto quel posto le fosse stretto. Ogni volta che i reclutatori della Corte erano giunti all’orfanotrofio, la ragazza si era sempre fatta indietro, respingendo l’idea di entrare a far parte di quel sistema che ripudiava. Non le interessavano i racconti idilliaci riguardo alla comune in cui risiedeva la Governatrice suprema, per quanto la riguardava quelle non erano che favolette per allocchi. Più volte si era confrontata con Artemisia riguardo alla sua idea di voler scappare dall’orfanotrofio, cercando di convincerla che quello non era il posto che spettava loro e che sarebbe stato molto meglio affrontare le Terre di nessuno, piuttosto che andare ad alimentare il sistema corrotto di Nadia.
 
Erano passati tre anni da quando Lir aveva lasciato l’orfanotrofio per entrare a far parte delle Sentinelle; ogni volta che il ragazzo era tornato in veste di reclutatore, aveva cercato di convincerla che meritasse un posto alla Corte; era vero, Liv non possedeva alcun potere particolare, a differenza di Lir e Artemisia, ma aveva dimostrato di valere come dieci di loro, almeno a detta di Lir.
Liv era vulcanica, forte, coraggiosa e possedeva la tempra adeguata per affrontare ogni compito le sarebbe stato assegnato. Ma a Liv non interessava minimamente; ormai la giovane si era definitivamente convinta che l’unico modo per migliorare il mondo orribile in cui viveva, non era che sovvertire il sistema non preoccupandosi di dare sfogo alla violenza. Non c’era alcun tipo di obiettivo nella sua mente, ma solo una missione, ovvero raggiungere lo stato di anarchia.
Così organizzò con minuzia il suo piano di fuga.
 
“ Non posso farlo Liv, non posso venire con te. Ti prego, ripensaci! Fuori da qui non sappiamo che cosa ci aspetta e non voglio che ti accada nulla di male! “
 
Nessuna delle parole di Artemisia riuscirono a smuovere Liv dal suo obiettivo, così come non fu mai convinta dalle richieste di Lir di entrare alla Corte. Ormai era deciso, Liv sarebbe scappata e si sarebbe lasciata alle spalle il mondo falso costruito da Nadia; nel farlo, avrebbe oltretutto fatto in modo di recare più danni possibili all’orfanotrofio, che mai aveva percepito come casa, ma solo come un luogo dove ogni giorno lei e i suoi compagni venivano istruiti per diventare carne da macello alla mercé della Governatrice.
Informò così Artemisia che quella notte sarebbe scappata, fornendole l’orario preciso nel caso l’amica avesse cambiato idea, decidendo di seguirla.
 
“ Non te ne vorrò se deciderai di rimanere qui, ma pensaci bene Misia. Quel mondo non ti appartiene, non ci appartiene.”
 
La notte della fuga, Liv scivolò via dal suo letto e lanciò un’occhiata a quello vuoto di Artemisia: che l’amica avesse deciso di seguirla? Raccolse le poche cose che aveva con sé, così sgattaiolò fuori dal dormitorio. Doveva fare un paio di cose prima di fuggire; una di queste fu nascondere un biglietto e un ciondolino a forma di volpe, che lei stessa aveva costruito, sotto il cuscino di Lir, ospite per qualche giorno al dormitorio in veste di reclutatore.
 
Il ragazzo fu svegliato alle quattro del mattino dalle urla di tutori e ragazzi. Avvolto nel suo pigiama di seta viola, corse fino al pian terreno, laddove si trovavano le cucine dell’orfanotrofio: quelle erano avvolte da un incendio mostruoso e ci volle molto impegno per spegnerlo del tutto.
Solo il giorno dopo si accorsero che all’appello mancasse Liv, della quale il reclutatore trovò il ciondolo sotto al proprio cuscino, con un biglietto allegato che gli fece incastrare un sorriso sul viso.
 
Caro Imbecille. Se stai leggendo questo biglietto vuol dire che ancora una volta mi sono dimostrata più furba di te. Ho fatto il fagotto alla fine e ho lasciato questo posto di merda; mi auguro per te che prima o poi sceglierai per il meglio anche tu, anche se visto il tuo scarso QI non credo accadrà. Spero che se ci incontreremo di nuovo, non sarà per trapanarti la faccia. Stammi bene <3
Liv
P.S. Ti ho lasciato due regali, quello carino è accanto a questa lettera, l’altro lo troverai nelle cucine di questa fogna.
 
E Liv l’aveva fatto davvero, di lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle. Con coraggio si era spostata da un rifugio all’altro nelle Terre di nessuno che circondavano la Corte, nascondendosi dalle Sentinelle che erano state mandate a cercarla e sfidando la sorte, giorno e notte. Non aveva una meta, era vero, ma non le importava. Nonostante sentisse la mancanza dei suoi amici, sentirsi libera valeva molto di più di quei legami; inoltre si rese conto ben presto che le Terre di nessuno non erano luoghi così terribili come le era stato raccontato. Nutrivano invece una vita inaspettata, fatta di mercati colorati e gente pronta a gonfiarti la testa di racconti provenienti da tutto il mondo. Certo, bisognava fare attenzione perché le fregature si nascondevano dietro ogni angolo, ma la dura vita all’orfanotrofio l’aveva ampiamente formata e Liv aveva imparato a difendersi; aveva passato la sua vita a pensare per sé, consapevole di non avere una famiglia a tutelarla.
Una sera di luglio, immersa in uno dei Mercati che aveva preso a seguire con assiduità, Liv si scontrò con un paio di uomini molto insistenti nel voler avere informazioni su di lei; la pazienza non era di certo una sua qualità e la lingua spesso anticipava il pensiero razionale, così Liv si ritrovò a informarli che potevano prendere le loro domande e ficcarsele nei pertugi nascosti dalle loro brache.
Probabilmente sarebbe morta, se non avesse incontrato un tipaccio alto che a vederlo Liv non avrebbe dato un soldo, ma che ci mise un batter d’occhio a ridurre male quelle che si erano rivelate essere due Sentinelle annoiate, decise a passare il loro tempo libero fra i piaceri oscuri dei Mercati.
 
“ Che cazzo ci fa una ragazzina come te in un posto così? Hai perso la mamma per caso?”
 
“ No che non l’ho persa, lavora in quel bordello insieme alla tua! “
 
Il ragazzo aprì la bocca, stupito più che mai dall’insolenza di quella ragazzina che aveva appena rischiato la vita, ma poi una risata sgorgò da essa, risata che Liv non seppe interpretare, se non con il pensiero di aver incontrato un altro pazzo e che forse era meglio darsela a gambe il prima possibile. Ma non ci riuscì, perché quello lì l’aveva presto trascinata via. “Dopo quello che è appena successo, meglio battersela. Allora vuoi dirmi come ti chiami, biondina?”
 
“ Liv. E tu chi sei, brutto tipo? “
 
“ Mi chiamo Sonne e ora mi devi un favore, visto che ti ho salvato la vita!”
 
Quando Sonne la portò al Quartier Generale, Liv capì in un attimo che quel luogo aveva il profumo di casa. Finalmente era riuscita a trovare il suo posto nel mondo, in compagnia di gentaglia idealista, che comprendeva e apprezzava.
E poi c’era Micah, colui che le aveva davvero fatto capire cosa volesse dire avere una famiglia al di fuori dello Strong. Il ragazzo curò le sue ferite emotive, la addestrò per migliorarsi, ma specialmente non la giudicò mai. L’aveva individuata come suo pari e Liv fece lo stesso.
Fu lui a chiamarla Ame, come la pioggia che avrebbe scacciato la siccità, come l’acqua che è motore di vita. Uno scopo nobile, che dette a Liv un motivo per rimanere a rafforzare i Ladri di bacchette, come una salvifica pioggia estiva, caduta dal cielo, per aiutare la natura nel difficile processo del sopravvivere.
 
 
7:35 PM
La Corte
 
- Sei sicuro che sia questa la strada giusta? -
 
Alla domanda di Sonne, Chion annuì; prima di scappare dalla Corte, il giovane Auden aveva vagliato una lunga serie di ipotesi e ispezionato tutte le possibili vie di fuga. Alla fine aveva trovato una via più o meno sicura all’interno del bosco della Corte. Fu lì che spuntò il gruppo dei ladri capitanati da Sonne, il quale lanciò un’occhiata a una grande villa che affacciava sulle sponde del lago che tanto aveva amato da bambino. Il ragazzo sentì una strana morsa allo stomaco, mentre gli occhi chiari percorrevano i lineamenti dell’edificio avvolto dal buio; aveva fantasticato più volte con Jude di andare a vivere insieme proprio lì, in quella radura che sembrava prestarsi alla perfezione per la costruzione di una bella casa, se mai i nonni glielo avessero permesso.
E quindi, alla fine, il cugino lo aveva fatto, si ritrovò a pensare con una nota di amarezza.
 
- Quindi ora che si fa? – La voce di Vulkan, un sussurro leggero, destò Sonne dai dolorosi pensieri.
 
- Si va, seguitemi. -
 
Attraversarono il bosco stando attenti a fare meno rumore possibile, quando Chion frenò di botto e aggrappò una mano al braccio di Sonne: - Dei rumori, non siamo soli. –
 
- Già, sento odore di essere umano. – Masticò Vulkan assottigliando gli occhi. Nemmeno un minuto più tardi videro la luce di una torcia che si avvicinava e che, infine, puntò nella loro direzione.
 
- Voi! Uscite allo scoperto! – Urlò la voce di colui che puntò contro di loro la torica e la pistola; il poveretto, però, non ebbe il tempo di premere il grilletto: la kusarigama di Sonne mulinò nella sua direzione e la catena si avvolse intorno al collo della Sentinella, colpito infine alla testa dal peso agganciato a una delle sue estremità. L’uomo cadde a terra lamentando il dolore e quando alzò di nuovo lo sguardo, si ritrovò faccia a faccia con un volto celato da un paio di grandi occhiali dalle lenti arancioni  e una bandana rossa. Con un movimento di rapidità disarmante, Sonne recuperò l’arma, per poi tagliare di netto la gola della Sentinella con il falcetto della sua kusarigama, che riagganciò alla cintura.
Infine, intanto che la Sentinella agonizzava a terra, premendosi le mani sulla gola, Sonne si voltò verso il gruppo di compagni, che non poterono vedere il sorriso compiaciuto e sinistro solcargli il viso.
 
- Ora si inizia a fare sul serio. -

 

(1) Ninnananna gaelica
     *Chiudi gli occhi, cuore mio
     mia gioia quotidiana, 
     chiudi gli occhi amore, cuore mio
     e avrai un premio domani.*


 
Buona sera a tutti cari lettori. Lo so, questo capitolo è uscito fuori lunghissimo nonostante i personaggi non siano stati tutti approfonditi (addirittura Stafford non appare: sorry Staffy, ma non mi era poprio possibile mostrare il tuo bel faccino a questo giro, recupererò presto, non temere). Spero che il prossimo sarà un tantino più corto! Detto questo spero vi sia piaciuto, specialmente che abbiate apprezzato Ame e Lir, i fortunatissimi stramegaultra votati la volta scorsa. E a proposito di voti, vi chiedo sempre di farmi due nomi (in privato) per il prossimo capitolo. Vi lascio la lista da cui pescare.
 
Ajax
Leaf
Mångata
Yuki
Izzie
 
Altra domanda molto importante per voi. Rullo di tamburi, è arrivato il momento di cominciare a pensare alle coppie! Ad alcuni di voi sembrerà presto, eppure ho davvero bisogno di cominciare a confrontarmi con voi per ciò che riguarda i vostri oc. La storia è molto complicata e qualora si sviluppassero delle coppie, ho bisogno di tempo e contesto per farlo. Vi avviso che non essendo una storia con caratteristiche romantiche, non è detto che ogni vostro personaggio finirà accoppiato. Detto questo aspetto i vostri messaggi in privato quanto prima (vi prego di farmi dei nomi di oc fattibili. Ad esempio è molto difficile che un ladro e una sentinella che non si conoscono, possano avere a che fare sotto un profilo amoroso.)
 
Grazie per tutte le recensioni lasciate per lo scorso capitolo. Ci sentiamo presto!

Bri
 
 
 
   
 
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