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Autore: Picci_picci    26/01/2021    6 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Uscì dalla toilette con una nuova forza che ben presto andò a farsi benedire quando vide che dalla porta accanto usciva Adrien.

Troppo tardi per scappare, troppo tardi per far finta di nulla; i suoi occhi verdi l’avevano già puntata.

Rimasero per qualche secondo in silenzio a guardarsi negli occhi, come pietrificati.

“Eri in bagno?”, chiese lui neutro.

“Ehm..sì? Per caso, è diventato un crime?”

Lui scosse la testa e quel movimento mosse anche il ciuffo lungo di capelli, “no no.”

Rimasero di nuovo in silenzio, incapaci di portare avanti quella conversazione.

“E che cavolo! Dobbiamo rimanere qua a fare le belle statuine?”

“Plagg!”, brontolò subito Tikki dal suo nascondiglio, “taci!”

Si sentì un borbottio, poi il taschino della giacca blu che portava Adrien smise di muoversi.

“Possiamo parlare?”

Marinette stupita da quella richiesta, annuì.

Adrien allora iniziò a camminare, facendole strada e stando ben attento a non toccarla.
Marinette era convinta che prendessero l’ascensore, ma quando il ragazzo entrò nelle scale di servizio, lo guardò dubbiosa.

Lui scosse la testa, “fidati, non tirerò fuori il mio lato da serial killer per ucciderti.”

Marinette spalancò così tanto gli occhi che ad Adrien venne da sorridere, “mi leggi nel pensiero?”, chiese stralunata lei.

“Ti conosco”, rispose semplicemente lui.

Imboccarono le scale e salirono verso l’alto, nonostante Marinette fosse convinta che loro si trovassero all’ultimo piano, ma una volta spinto il maniglione antipanico della porta che trovarono alla fine della rampa, si dovette ricredere.

Davanti a lei si estendeva una terrazza panoramica che si affacciava su Parigi, sormontata da una copertura di travi di ferro e vetro.

Rimase incantata da quella meraviglia tanto che si era scordata di Adrien al suo fianco.

Il biondo intanto guardava con ammirazione la ragazza...incredibile come riuscisse a mantenere uno spirito di bambina e allo stesso tempo essere la donna determinata che aveva imparato a conoscere grazie a Ladybug.

“Ci venivo spesso quando ero piccolo...era il mio posto segreto.”

Marinette si girò verso Adrien con occhi dolci, “davvero?”

“Bè, nessuno che lavora qui conosce questo posto, tranne Natalie, mio padre e il Gorilla.”

“Ovvio”, rispose con un sorrisetto lei.

Marinette si avvicinò al parapetto, posando una mano sul vetro di fronte a lei.

“Sai, la maison è un edificio che risale alla belle epoque e dopo la realizzazione della Tour Eiffel, il ferro stava spopolando. Per questo realizzarono delle travi di ferro come semi copertura. Fu utilizzato come pergolato, tanto che fecero crescere dell'edera su tutta la struttura.”

“Doveva essere bellissimo.”

Adrien alzò le spalle, “non lo sapremo mai. Mio padre, quando comprò l'edificio, fece togliere l’edera e coprire tutto con le lastre di vetro, come per realizzare una serra.”

Marinette portò le mani al petto e camminò verso il centro di quella terrazza. Nel silenzio più totale si sentiva solo il rumore dei suoi tacchi sul pavimento  e il rumore del traffico in lontananza.

“È un luogo bellissimo. Mi ricorda un po’ la piramide al Louvre.”

Adrien proruppe in una leggera risata, “è vero.”

Rimasero in silenzio, senza guardarsi ma continuando a puntare gli occhi sul panorama.

“Ti ho portato qui per poter parlare senza che orecchie indiscrete ci ascoltassero.”

Marinette annuì mentre l’ansia la stava logorando.

“Adrien-”

“Io ho capito il tuo punto di vista, Marinette, davvero; ma non posso far finta che non sia accaduto nulla, capisci?”

Lei annuì, lo comprendeva.

“E cosa vuoi fare?”

“Per ora? Lavorare. Voglio che torniamo a lavorare normalmente e portare in scena questa sfilata. Voglio che diamo il nostro meglio e che la situazione fra noi due non interferisca.”

Marinette lo guardò negli occhi verdi, “mi stai dicendo che non chiariremo?”

“In questo momento non so nemmeno cosa pensare! Ma so che non voglio lasciare da solo mio padre e so che non lo vuoi nemmeno tu.”

Lei si allontanò di un passo e lo guardò freddamente; ad Adrien sembrò di avere davanti Ladybug incazzata.

“Se è quello che vuoi. Faremo finta di niente”, concluse camminando via.

“Non ho detto questo”, urlò lui dandole le spalle.

“Davvero?!”, rispose di rimando girandosi, “notizia flash, chaton, non affrontare il discorso è far finta di niente!”

“Lady..”

“Niente lady.”

E se ne andò da quella terrazza coperta con una incazzatura a mille.

Non era decisamente la sua giornata.

***

Scesa in ufficio portò a termine qualsiasi faccenda possibile ed immaginaria pur di non sedersi su quella sedia a nemmeno dieci metri e una porta di distanza da Adrien.

Cavolo se era ridotta male.

A fine giornata, i piedi le dolevano a causa dei tacchi e le sue gambe bramavano così tanto di sedersi che alla fine non ce la fece più e si sedette sul divanetto in corridoio.

Si tolse le Oscar de La Renta e appoggiò le gambe sulla superficie morbida mentre si sosteneva la testa con una mano.

“Stai bene?”, le chiese la piccola voce di Tikki.

“Meglio di quanto possa sembrare… Sono solo stanca.”

“Non preoccuparti, hai quasi finito e potrai andare a riposarti a casa.”

Sì, certo, voleva vedere se sarebbe riuscita a riposarsi con un certo biondo in testa.

“Sei stata implacabile oggi”, esclamò monsieur che silenziosamente l’aveva raggiunta.

Tolse subito la gambe dal divanetto per fare posto a Gabriel che si sedette accanto a lei.

“Volevo dimostrarle che ci tengo e che non voglio perdere il mio posto.”

Gabriel annuì e la guardò di traverso, “sicura che non sia per un certo ragazzo biondo che per tutto il giorno ha lavorato nel mio ufficio. Oh, e per essere più chiaro, intendo mio figlio.”

Marinette arrossì e guardò davanti a lei, “potrebbe aver aiutato.”

Rimasero in silenzio e la ragazza fu colta da un deja-vù.
Pochi mesi prima, nel suo ufficio, avevano avuto una conversazione del genere quando la stava consolando per la rottura con Luka.

“Marinette, ricorda che solo tu puoi decidere il tuo destino e che solo tu puoi sapere cosa sia meglio per te. La vita è più breve di quanto si pensi, sai? E passarla provando rancore e tristezza… bè, non è vita.”

La ragazza annuì trattenendo le lacrime, “ha ragione, monsieur.”

“Io ho sempre ragione.”

Poi si alzò sistemandosi la giacca e guardandola con un sopracciglio alzato, “e invece di pensare a mio figlio in quella tua bella testolina, fatti venire un’idea per la sfilata perché per ora abbiamo in programma solo un evento in streaming e vorrei evitare.”

La mora annuì con un sorriso, “certo, monsieur.”

***

Arrivò a casa stremata, non si fermò nemmeno a prendere la vaschetta del gelato, andò dritta in camera a sdraiarsi con poca grazia sul letto.

Tikki le volò vicino, togliendole le scarpe col tacco e spostandole i capelli dal viso. 

Marinette rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare solo il suo respiro. Piano piano, sentiva il suo cervello smettere di pensare e di scendere in un leggero dormiveglia. Doveva proprio riposarsi un po’ dopo la notte in bianco scorsa. Non sarebbe di certo caduto il mondo se si fosse appisolata per cinque minuti.

La voce di Tikki che le urlava nell’orecchio la risvegliò.

Aprì gli occhi ancora mezza intontita, vide Tikki che le stava parlando ma non riuscì a cogliere cosa le diceva, ma l’occhio le cadde sulla sveglia.

Erano le 21:30. Per quanto aveva dormito?!

“Marinette!”, il suo nome urlato a pieni polmoni da Tikki la mise sull’attenti.

“Cosa c’è?”

Tikki le passò il telefono aperto sulla pagina di cronaca che a grandi caratteri cubitali riportava la scritta: “Rapina in corso alla banca di Parigi, i rapinatori stanno scappando a bordo di un suv nero. Tutte le forze della polizia sono al loro inseguimento, ma sembra che ne stiano perdendo le tracce.”

Guardò Tikki e si capirono subito. 

“Sembra che abbiano bisogno di aiuto.”

“Dire anche io.”

Si appuntò la via in cui i rapinatori si trovavano e, nemmeno cinque minuti dopo, Ladybug volava tra i tetti di Parigi.

***

Stava seguendo i rapinatori dall’alto, cercando di capire come poterli fermare.

Da quanto aveva capito, erano armati e per questo la polizia era restia ad avvicinarsi.

“A quanto pare abbiamo avuto la stessa idea.”

Si girò verso la voce che aveva parlato, trovando Chat Noir accanto a lei.

“Siamo pur sempre i supereroi di Parigi.”

Continuarono a camminare uno a fianco all’altro sui tetti di Parigi, come se fossero tornati indietro di qualche anno fa, quando ancora combattevano le akuma di Papillon.

“Cosa sappiamo per ora?”

“Che sono armati, per questo la polizia non si avvicina; ha paura che ci vadano di mezzo i civili.”

Chat annuì serio.

Cavolo, la tuta nera attillata la stava deconcentrando.

“Dobbiamo evacuare il prossimo quartiere.”

Lei concordò e pratica, disse, “vado ad avvisare le forze dell’ordine, tu continua a seguirli.”

“Certo, milady.”

Si bloccò un attimo a quel nomignolo e lo guardò con occhi spalancati; ma durò ben poco, nemmeno qualche secondo. Parigi aveva bisogno della sua eroina, no di una ragazza innamorata.

Corse via e andò ad avvertire il tenente Rogers.

***

Sapeva che avrebbe potuto incontrarla; in realtà ci sperava. 

Non sapeva che sarebbe successo veramente.

Lei era...incredibile.

Lo sguardo serio e determinato, la sua forza e quella tuta...cavolo, era così attillata che riusciva a vedere tutte le sue forme.

“Smetti di fare il gatto in calore”, disse mentalmente con una voce che somigliava vagamente a quella di Plagg.

“Concentrati, deficiente!”, togliamo il vagamente. Quella era proprio la voce di Plagg.

“Stanno evacuando”, disse Ladybug tornando al suo fianco.

“Bene. Penso sia il momento di chiamare un po’ della tua fortuna, lady.”

Lei lo guardò giocosa, “ci puoi scommettere, Chaton.”

Richiamò il Lucky Charm, guardando con occhio critico il telo da spiaggia.

“Non mi mancavano i tuoi assurdi lucky charm.”

“E a me non mancava la tua ironia.”

“Sappiamo entrambi che scherzi, mi adori.”

Tutti e due si bloccarono a quella frase e si guardarono negli occhi cercando di capire come agire.

Marinette inghiottì a vuoto: doveva pensare alla sicurezza di Parigi, veniva prima di tutto. Persino prima di lei e dei suoi sentimenti.

Sospirò e capì velocemente come usare il Lucky Charm.

“Pronto per il piano?”

Lui rispose con voce monotona e non decisa come al solito, “sono nato pronto.”

Gli spiegò il piano, brevemente: il telo da spiaggia avrebbe impedito la visuale al guidatore, sorprendendoli, e loro avrebbero sfruttato ciò per entrare e disarmarli.

Semplice, veloce e conciso.

E così andò, perché sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa ma nulla avrebbe distrutto l’intesa tra Ladybug e Chat Noir.

Una volta acciuffati i ladri e la refurtiva, li consegnarono alla polizia.

“Ladybug, Chat Noir, grazie mille. Avete salvato la situazione”, disse loro il tenente Rogers togliendosi il berretto.

“Dovere.”

Ladybug si girò e vide una folla assatanata di giornalisti con a capo Nadia Chackman. Un brivido freddo le percorse la schiena; quella donna le faceva paura più di Papillon. 

Il suono dei suoi orecchini le ricordò che aveva ancora pochi minuti prima di trasformarsi.

“Devo andare, sto per ritrasformarmi”, disse voltata verso Chat Noir.

“Ti manca troppo poco tempo e casa tua è troppo distante.”

“Mi nasconderò qui vicino.”

“Davvero?”, disse lui inarcando un sopracciglio, “con la zona evacuata e solo i poliziotti e i giornalisti nel raggio dei prossimi chilometri? Ti facevo più furba di così.”
“Non saranno chilometri”, disse lei incrociando le braccia e punta sul vivo, odiava dargli ragione per una cosa così ovvia.

“Io non ho usato il mio potere e ho tutto il tempo di questo mondo.”

“Quindi?”

“Fidati.”

La prese tra le braccia e velocemente volarono sui tetti di Parigi.

Lasciarono ben presto la folla di giornalisti, ma erano ancora nella zona controllata dalla polizia.

Era ormai il suo ultimo bip e stava per rivelare la sua identità. Si aggrappò al collo del gatto nero, “chaton”, disse con una certa urgenza nella voce.

Velocemente, Chat Noir entrò in una delle case evacuate, appena in tempo prima che lei tornasse la solita Marinette.

“Dove sono finite le scarpe?”

Marinette guardò i suoi piedi nudi posati sul linoleum.

Arrossì velocemente, ma gli rispose a tono, “ero a casa, quando ho sentito la notizia, e mi sono trasformata subito. Tu a casa stai con le scarpe?”

“No, se sono le tue scarpe killer.”

“Sono delle Oscar de La Renta, tacco a stiletto di dieci centimetri-”

“Delle scarpe killer”, disse lui interrompendola.

Si guardarono con il silenzio che si faceva sempre più pesante.

“Il tuo piano?”

“Diremo che ti ho trovato in uno di questi appartamenti, stavi dormendo e per questo non sei scesa quando è stato dato l’ordine di evacuazione. Ti ho vista e ti ho portato in salvo. Il fatto che tu non abbia le scarpe, avvalerà di più la nostra storia.”

“Quindi sarei una damigella in pericolo?”

“E io il cavaliere che ti salva.”

Lei lo guardò con le braccia incrociate e sguardo corrucciato e lui cedette, “va bene, non sei una damigella in pericolo. Anche perché sei armata di uno yo-yo e da scarpe killer-”
La manata sul braccio arrivò subito e scoppiarono a ridere.

“Forza, principessa, ti porto a casa”, disse prendendola in braccio in stile sposa, “Così puoi anche ricaricare il tuo kwami”, continuò alludendo alla piccola Tikki che riposava tra le mani di Marinette.

La mora annuì e quando la polizia li fermò, incredibile ma vero, credettero alla loro storia e pochi minuti dopo Marinette si trovò al sicuro della sua stanza.

“Grazie”, disse rivolta all’eroe in nero.

“Lo sai che la tua sicurezza è una priorità per me”, rispose lui serio.

“Lo so.”

Con un cenno del capo, Chat Noir se ne andò e lei rimase da sola nella sua stanza.

Frettolosamente si spogliò e indossò il suo caldo pigiama, pronta per andare a dormire, mentre Tikki mangiava lentamente un biscotto con le gocce di cioccolato.

Salì le scale fino ad arrivare al suo letto, prese il cellulare e lo mise in carica, ma i suoi occhi indugiarono su una notifica appena arrivata.

Non voglio che ci siano silenzi imbarazzanti tra noi, siamo sempre stati un duo… un fantastico duo! Possiamo tornare ad essere partner lavorativamente parlando?

Un sorriso spontaneo nacque dalle sue labbra e inviò senza pensarci un pollice in su: voleva tornare ad essere la sua partner.



Angolo autrice
Sì, sono tornati Ladybug e Chat Noir!! Spero che siate carichi perché ormai siamo agli sgoccioli della storia e vediamo sempre più i personaggi a 360°.
Ringrazio sempre tutti voi e chiunque si fermi a commentare questa storia...mi riempite sempre il cuore!
Un bacio,
Cassie
   
 
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