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Autore: Tingens_somniorum    27/01/2021    2 recensioni
1854, regno Lombardo-Veneto, Verona.
Beatrice Aldegheri Tezza è una giovane di buona famiglia, con una scandalosa passione per le storie d'amore struggenti, i libri censurati dall'autorità, l'astronomia e la causa italiana. Per lei si avvicina a grandi passi a quell'età oltre la quale una dama di un certo rango viene fatalmente esclusa da ogni partita sentimentale e, di conseguenza, acquisisce di diritto l'appellativo di zitella, senza aver mai conosciuto un uomo adeguato... In realtà, senza aver mai conosciuto alcun uomo.
Al ricevimento per il matrimonio di sua sorella però, un nobile ospite francese di bell'aspetto e cultura pressoché illimitata la invita a ballare, aprendo una porta su un mondo verso il quale Beatrice non aveva mai potuto e osato affacciarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Andante con moto
 
La cerimonia si era tenuta nella cappella privata attigua alla grande villa, proprietà della famiglia dello sposo, che si affacciava elegante sulle acque chiare del lago, mosse dalla leggera brezza che scendeva dalla valle del Sarca. L’edificio era costituito da un unico corpo di fabbrica caratterizzato da pulite linee di ispirazione neoclassica; sulla facciata rivestita in marmi chiari si susseguivano, sovrapposte l’una all’altra, tre lunghe teorie di ampie finestre incorniciate da gelosie in legno verde scuro e, sulla sommità si stagliavano, eleganti e austere, alcune statue raffiguranti figure mitologiche. Ma la vera meraviglia era il lungo viale che dal grande cancello in ferro battuto, che delimitava il confine della proprietà, portava alla larga scalinata d’ingresso all’edificio: questo infatti era fiancheggiato da splendidi giardini all’italiana con basse siepi di bosso poste come cornici di colorate aiuole strabordanti di qualsiasi varietà floreale a cui Beatrice fosse in grado di dare un nome, e forse anche qualcuna in più.

In verità, nonostante la bellezza del luogo, la famiglia di Beatrice, considerata la loro rilevanza politica nella provincia, avrebbe preferito che il matrimonio venisse celebrato dal vescovo, o addirittura da qualche altro alto prelato invitato direttamente da Venezia, nel Duomo o in San Zeno; ma i due sposi avevano insistito per una cerimonia più intima da celebrare nel luogo in cui si erano incontrati per la prima volta, a cui far seguire un fastoso e sovraffollato ricevimento per soddisfare i desideri di gloria dei rispettivi parentadi.

Rita aveva fatto il suo ingresso nella cappella, riccamente decorata in stile vagamente rococò (a riprova dell’amore dei proprietari per la commistione tra generi e stili anche contrastanti tra loro), insieme al padre, in alta uniforme, e tutti i presenti dovevano necessariamente essere rimasti abbagliati dalla sua bellezza: la giovane indossava un elaborato abito in seta bianco, come si usava ormai da una decina di anni, dopo che la regina Vittoria ne aveva voluto uno di quel colore per le sue nozze, impreziosito da pizzi veneziani di magnifica fattura, gli stessi che decoravano il lungo velo che le copriva il viso, veniva fermato sul capo da una piccola tiara di fiori freschi, e poi correva dietro la sposa lungo la navata.

Il conte von Trappen, ormai marito di Rita, doveva ritenersi un uomo fortunato: Beatrice era consapevole del fatto che non vi fosse in tutta la provincia una nobile dama non ancora sposata bella, gentile e piena di talenti come sua sorella; lei sapeva parlare una smodata quantità di lingue, ricamava con una grazia e una perizia da far invidia alla più esperta ricamatrice, inoltre sapeva cavalcare all’amazzone e riuscire comunque a competere in velocità con un uomo, per non parlare del fatto che devolvesse gran parte del suo tempo in opere di beneficenza in favore di orfani e vedove. In pratica la donna perfetta.

Beatrice era conscia che indugiare troppo sulle fortune altrui e sui suoi difetti non avrebbe fatto altro che rovinarle il carattere e trasformarla in una zitella acida e invidiosa.
Non che ci fosse questa grande differenza tra l’essere una zitella arcigna o una zitella di buon cuore. Agli occhi del mondo si restava in ogni caso una donna che aveva fallito nel proprio aureo compito di maritarsi.

Forse avrebbe potuto consacrare la propria vita al Signore pur di sfuggire la gogna a cui sarebbe stata sottoposta negli anni a venire, ma si sarebbe impiccata piuttosto di passare una vita a pregare chiusa in un convento, senza più il pensiero di quale abito indossare e senza più libri al di fuori delle Sacre Scritture e delle Vite dei santi. E a dire il vero non le sembrava che usare la vita consacrata come nascondiglio fosse molto rispettoso nei confronti dell’istituzione. O nei propri confronti.

No. Beatrice aveva altri progetti per la mente. Ma tutte queste alte aspirazioni prevedevano come condizione necessaria che lei fosse nata uomo, visto che sia la carriera scientifica, sia quella letteraria, sia, e soprattutto, quella politica le erano precluse, in quanto donna. L’unica cosa che le restava era sperare di trovare un giorno un uomo che potesse comprendere questo suo desiderio di conoscenza e approfondimento della realtà, che lo potesse accettare senza declassarlo a frivola follia passeggera e, magari, che lo potesse condividere con lei. Insomma lei non cercava una grande passione come quelle raccontate nelle opere liriche o nei grandi poemi epici (anche se, a dirla tutta, non le sarebbe dispiaciuto ricevere in dono la possibilità di sperimentare in prima persona tali sentimenti), ma aspirava piuttosto a trovare un giorno un’anima affine alla propria, con la quale condividere pensieri e riflessioni senza essere presa per matta.
Purtroppo pareva che il fato non avesse previsto per lei di incontrare qualcuno così, forse non esisteva nemmeno al mondo una persona in grado di viaggiare sulla sua lunghezza d’onda e, se anche fosse esistito, non aveva avuto modo di incontrarlo.

 
***

La cerimonia, nonostante la bellezza della coppia appena unita, si era rivelata terribilmente soporifera a causa delle monotone litanie in latino sbiascicate a bassa voce dal celebrante. E purtroppo, il banchetto che era stato servito successivamente, e che si prospettava per Beatrice come il momento migliore di quella lunga giornata, le era stato rovinato da una fastidiosa lisca che le si era impigliata in gola proprio all’inizio della prima portata di pesce. Così la ragazza aveva passato gran parte del tempo ingozzandosi di pane nella speranza di riuscire a liberarsi della fastidiosa spina, riuscendoci solo al termine del lauto pasto.

Quando venne il momento di spostarsi nel grande salone in cui si sarebbe tenuto il ballo in onore della coppia di sposi, Beatrice iniziò a sudare freddo: nonostante fosse ormai abituata a non ricevere inviti, era sempre spiacevole essere sottoposta al pubblico ludibrio come la donzella meno desiderata della provincia.

Il forte senso di disagio che le attanagliava lo stomaco, però, non le impedì di contemplare la bellezza della sala. I pavimenti in marmo bianco e rosso lucido riflettevano la luce tremolante delle numerose candele che coronavano gli ingombranti e sofisticati lampadari dai bracci dorati, impreziositi da cristalli a goccia, che pendevano dal soffitto. Le ampie portefinestre erano lasciate aperte, in modo da far entrare la tiepida brezza lacustre della sera, e si affacciavano su uno spiazzo delimitato da una bassa balaustra in pietra, aggettante direttamente sull’acqua. Intanto, su un lato della sala, su un palchetto leggermente sopraelevato, una piccola orchestra da camera accompagnava l’ingresso degli ospiti con una soffusa barcarola.

In una posizione leggermente scostata dall’ingresso, i due sposi davano il benvenuto agli ospiti, i quali, a loro volta, non mancavano di sommergerli con una profusione di auguri, felicitazioni e auspici per la rapida nascita di un figlio. Quando finalmente fu il turno di Beatrice, sua sorella le saltò al collo stringendola in un caloroso abbraccio.

-Congratulazioni cara sorella! Sono così felice che tu abbia coronato il tuo sogno. Vi auguro di cuore che tutta la vostra vita venga vissuta con lo stesso entusiasmo e la gioia di questo giorno. A proposito, hai ricevuto il mio regalo? Te lo avrei portato di persona, ma sei stata così occupata. – esordì Beatrice, allontanandosi leggermente dalla sorella.
Rita la baciò sulla guancia in segno di ringraziamento: - Grazie Beatrice, ti siamo davvero grati per le tue parole, sono sempre così opportune. Certo che ho ricevuto il tuo regalo! Proprio stamattina. Le Epistulae ad Lucilium di Seneca. Ma perché un libro? Ora che sono sposata non avrò più il tempo di leggere, sai bene che la vita di una moglie è ricca di incombenze.

-Ne sono consapevole. - rispose l’altra -ma non potrò venire a trovarti spesso nella tua nuova casa, anche se poterlo fare mi renderebbe la donna più felice di questo mondo, dal momento che adoro te e le montagne tra cui vivrai, così ho pensato di farti dono di una voce amica che fosse in grado di guidarti e esserti di conforto nei momenti, spero pochi, in cui ti sentirai smarrita. Fino ad oggi ho provato a svolgere io questo compito, ma da ora è giusto che tu abbia al tuo fianco una voce più autorevole e sicuramente più saggia di tua sorella. –

Le sorelle Aldegheri si strinsero nuovamente in un abbraccio carico di commozione; dopo di che Beatrice si congedò dalla coppia, non prima di aver ricevuto dalla sorella il consueto, affettuoso, ammonimento: -Cerca di goderti la festa, Beatrice!

In accordo con la sua strategia collaudata grazie a due intere stagioni di balli, la ragazza riuscì a conquistarsi una poltroncina posta in un angolo da cui si aveva un’ottima visuale dell’intera sala, non lontana da una porta aperta sul giardino, così da evitare di soffocare a causa del caldo, ma neppure troppo esposta alla corrente. Sfortunatamente, il consueto gruppo di madri e nobildonne a cui solitamente cercava di accostarsi il più possibile così che allietassero le sue serate con pettegolezzi, commenti sfacciati e spietate strategie di accoppiamento si era accampato dal lato opposto della sala e così i tavoli lì vicino furono occupati da un gruppo di uomini dai favoriti esagerati che già sbuffavano dai loro sigari più fumo di una ciminiera.

La serata si preannunciava lunga, anzi, interminabile! Oltre che terribilmente tediosa. Per peggiorare la situazione quel manipolo di signorotti filoaustriaci pareva seriamente intenzionato a trascorrere il tempo discutendo di politica, elogiando l’operato di questo piuttosto che dell’altro monarca, inveendo contro i liberali, declamando la scelleratezza dei carbonari o denigrando la misera condizione degli operai che iniziavano a affollare la periferia delle grandi città. Nulla poteva far ribollire il sangue di Beatrice più di essere costretta a ascoltare conversazioni a lei sgradite, specialmente se condite di falsa pietà e disprezzo mascherato per legittima difesa dell’ordine costituito.

Uno degli individui che, a giudicare dall’abito, doveva essere necessariamente un sacerdote, forse il curato che aveva concelebrato la cerimonia e che per cortesia era stato invitato pure al ricevimento, iniziò a prodigarsi in un accorato elogio dell’operato del Pontefice Pio IX, di come si sarebbe alla fine eretto a difesa della monarchia e del vero cattolicesimo: - E vedrete! Alla fine ci caveremo dai piedi questi che vogliono fare l’Italia! Il Papa e l’imperatore redimeranno le loro anime, con la diplomazia o con il fuoco dei moschetti!

A quel punto Beatrice non riuscì più a tacere (non sopportava vedere gente sciocca e ignorante asservire la religione alla politica) e così fece quello che ogni madre insegna alle proprie figlie come tremendamente sbagliato: si alzò e si intromise in una conversazione sulla politica tra soli uomini asserendo con decisione, ma allo stesso tempo col contegno di chi sa che le proprie parole saranno come una bomba: -Allora, signore, sarebbe meglio che il Papa e la Chiesa si occupassero seriamente di redimere anime piuttosto che perdere tempo invischiandosi in intrighi di corone, cercando di essere golpe e lione.

Detto ciò la ragazza se ne andò, lasciando il gruppo di uomini sconvolto e frastornato, posizionandosi sulla soglia della sala da ballo, rivolta verso il giardino, sperando che l’aria della sera fosse in grado di calmare i tremori che l’avevano presa a causa dell’adrenalina che aveva preso a scorrerle nelle vene. Trasse alcuni profondi respiri traendo beneficio dal rilassante rumore delle onde che si infrangevano sulla riva e finalmente riuscì a calmare leggermente la rabbia che l’aveva assalita.

Purtroppo quel momento di quiete non durò a lungo, infatti, voltandosi nuovamente verso l’interno della sala, vide il secondogenito von Trappen, suo cognato, venirle incontro, seguito a ruota da un altro gentiluomo.
-Buona sera, caro cognato. Come state? – esordì Beatrice, con un sorriso.

Il giovane, alto, biondo (da buon Tirolese) e visibilmente a proprio agio nel ruolo di quasi padrone di casa, raggiante nel suo abito più elegante, rispose cordialmente al saluto: - Buona sera a voi, cognata, non trovate sia splendido poter finalmente usare questo appellativo? Ho atteso così a lungo le nozze di mio fratello che ormai temevo che me lo sarei dovuto accollare io. Ma permettetemi di presentarvi nostro cugino: il futuro marchese di Bordeaux, Fabien d’Arcy.

Il giovane si scostò leggermente per lasciare spazio per avanzare all’altro gentiluomo che era in sua compagnia. Beatrice, nonostante solitamente evitasse di indulgere in apprezzamenti meramente estetici, non poté fare a meno di constatare l’indiscutibile bellezza del marchese; il giovane, che la superava in altezza di tutta la testa, indossava un completo blu scuro e, sotto la marsina che fasciava superbamente la sua figura alta e slanciata, portava un gilet color avorio; il suo collo era avvolto da una cravatta dello stesso colore annodata con un complicato nodo come non si usava più. Tutto questo elegantissimo insieme era coronato, come la ciliegina su una torta, da un viso enigmatico, spigoloso, forse, ma non sgradevole e assolutamente perfettamente proporzionato, come se fosse uscito da un manuale di disegno: le sue labbra erano sottilissime, quasi invisibili, e piegate in un sorriso caloroso che scaldava i tratti netti del resto del volto, caratterizzato da zigomi alti e da un naso così scandalosamente dritto e aggraziato da fare invidia a chiunque.

Ma ad attirare la sua attenzione furono gli occhi, che quasi fecero perdere un battito alla povera Beatrice. Degli occhi così belli non potevano essersi posati su di lei. Quei due pozzi color del cielo limpido dell’inverno, luccicanti e attenti, erano un attentato alla stabilità del suo cuore di burro.

Per non farsi mancare alcun dettaglio, la ragazza notò con piacere che il quasi-marchese non portava i favoriti, una moda che personalmente non riusciva a comprendere, e i capelli mossi e rossicci accuratamente scompigliati gli davano un’aria falsamente trasandata, estremamente affascinante, da wanderer romantico.

Fortunatamente si ricordò dell’etichetta che non aveva mai avuto l’occasione di mettere in pratica e tese la mano guantata verso il gentiluomo, il quale la prese con delicatezza, come se temesse di sgualcirla, posandole sul dorso il baciamano da manuale, il migliore che Beatrice potesse giurare che fosse mai stato dato nella storia dei baciamano.

-Enchanté, mademoiselle Aldegheri Tezza. – esordì d’Arcy sollevando gli occhi verso Beatrice.
La voce dell’uomo era così dolce e sembrava accarezzasse tutte le parole con delicatezza e premura con la sua soave cadenza così francese.
-Il piacere è mio, marchese d’Arcy. Non avrei mai immaginato che mio cognato avesse dei parenti francesi, ma questa la ritengo una sorpresa… piacevole. – rispose lei, abbassando il capo in una impercettibile riverenza finalizzata solo a mascherare il leggero rossore che le aveva colorato le guance.

- Bene! Io il mio lavoro l’ho compiuto, ora sarà meglio che mi sbrighi o non troverò nessuna con cui ballare, e il fratello dello sposo non può saltare nemmeno un ballo! – esclamò allegramente il giovane von Trappen congedandosi così dai due.

Proprio in quel momento, al grido liberatorio, e assolutamente austriaco, di alles waltz! la sala si colorò immediatamente con un turbinio di gonne che presero a danzare al ritmo di tre quarti del primo valzer della serata. Beatrice non poté fare a meno di sorridere di fronte a quel caleidoscopio di colori brillanti e quasi sussultò quando si accorse che, al suo fianco, Fabien d’Arcy la osservava con uno sguardo indecifrabile, tendendole la mano coperta dal guanto bianco: - Mi concedete questo ballo, mademoiselle




Nota dell'autrice:
Ecco il primo vero capitolo! Vi ho fatto aspettare un bel po', ma gli esami mi stanno succhiando tutte le energie!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, aspetto con ansia i vostri commenti e segnalatemi eventuali errori che potrebbero essermi sfuggiti.
Ringrazio poi le tre personcine meravigliose che hanno aggiunto Anime Affini alle seguite, il lettore speciale che ha lasciato la prima recensione nello scorso capitolo e i numerosi lettori silenziosi. Grazie!
A presto!
​Tingens_somniorum



 
   
 
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