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Autore: Stria93    30/01/2021    1 recensioni
- Che cosa c'è? Perché hai quell'aria così seria? È successo qualcosa? -
Il Sesto Hokage esitò e per un attimo sembrò cercare le parole in un punto imprecisato tra le proprie dita nervose e le piastrelle del pavimento, prima di inspirare a fondo e rilasciare la risposta tutta d'un fiato, come quando si toglie un cerotto. - Ho sentito della tua gamba. -
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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natsu

Gai riemerse dalle profondità del sonno indotto dalla flebo. Sollevò le palpebre sentendole pesanti come macigni e l'odore chimico del disinfettante, ormai divenutogli sgradevolmente famigliare, gli punse le narici.

Tentò qualche cauto movimento e notò con soddisfazione che stava riacquistando il controllo della maggior parte del suo corpo e poteva azzardarsi a cambiare posizione nel letto senza che il cervello gli si friggesse a causa della scarica di dolore.

Non che avesse grandi motivi per lamentarsi: l'apertura dell'Ottava Porta del Chakra avrebbe dovuto comportare la sua morte, invece, grazie all'intervento di Naruto, poteva ancora occupare un posto tra i vivi, a godere delle allettanti prerogative dell'esistenza terrena.

Era grato per l'opportunità che gli era stata offerta. Avrebbe visto con i suoi occhi compiersi il futuro di pace per il quale molti, meno fortunati di lui, avevano sacrificato la propria vita nell'ultima terribile guerra. Era più di quanto potesse sperare e forse più di quanto meritasse.

La stanza era immersa in una penombra deprimente che concorreva ad accentuare il sentore penetrante di sanificanti e medicinali. Gai vide con la coda dell'occhio che la finestra era stata chiusa e nascosta da una spessa tenda che impediva alla luce del sole di riversarsi all'interno. Tentò di contrastare l'effetto stordente della massiccia dose di antidolorifici e provò a tirarsi su a sedere sul materasso, ma ossa e muscoli parevano essersi trasformati in piombo e alla fine dovette desistere, lasciandosi ricadere indietro sulla soffice pila di cuscini, ansimando per lo sforzo.

Erano già trascorse parecchie settimane da quando era scampato alla morte ma i miglioramenti nel suo stato fisico si facevano attendere un po' troppo per i suoi gusti; del resto, non si poteva dire che la pazienza fosse una delle sue virtù distintive. Ma ogni volta che la frustrazione minacciava di sopraffarlo, Gai ricordava a se stesso come un'adamantina forza di volontà, la tenacia e il duro allenamento ricompensassero sempre colui che si manteneva saldo nei propri propositi. Era uno degli insegnamenti cardine che gli erano stati tramandati da suo padre e che, in qualità di Sensei, aveva voluto a sua volta trasmettere al suo allievo prediletto. Ogni progresso, seppur minimo, era un passo verso la meta.

Solo qualche giorno prima, i medici gli avevano confermato che le lesioni alla gamba destra erano risultate troppo gravi per poter essere guarite del tutto, e che non sarebbe più stato in grado di muoverla e camminare. Rock Lee era scoppiato in un pianto a dirotto a quella notizia, ma Gai si sentiva straordinariamente sereno. Nell'istante in cui aveva preso la decisione di fare ricorso alla sua tattica definitiva e più micidiale, era stato pronto a morire in battaglia. Aveva ormai accettato l'idea che la sua vita avrebbe avuto fine quel giorno. Se ne sarebbe andato consumandosi nella fiammata del suo stesso chakra nell'atto di proteggere i suoi amici e tutto ciò che gli era più caro: non avrebbe potuto immaginare una morte più onorevole né un epilogo più in accordo con il suo temperamento appassionato.

Alla luce di tutto ciò e di come poi si erano svolti i fatti, rinunciare all'uso di un arto gli sembrava un'inezia rispetto alla grazia inaspettata che gli era stata concessa dalla sorte, mostratasi eccezionalmente benevola nei suoi confronti.



Qualche piano di sotto, Kakashi percorreva i corridoi labirintici della struttura ospedaliera, rispondendo con un impacciato cenno del capo ad ogni inchino che pazienti, visitatori e personale gli rivolgevano al suo passaggio.

Dubitava che sarebbe mai riuscito ad abituarsi a quel trattamento. Ma, in quanto Hokage, non aveva alcun modo di sottrarvisi.

Quel giorno, tuttavia, il fastidio e l'imbarazzo legati alla sua nuova notorietà erano oscurati dall'ombra di una preoccupazione ben più grande.

Il giorno precedente, Rock Lee si era presentato nel suo ufficio per consegnargli alcuni documenti riguardanti la missione della quale si stava occupando. Come di consueto, Kakashi aveva domandato al ragazzo notizie riguardo allo stato di salute del suo Sensei.

Lee si era sforzato di mantenere un contegno dignitoso ma il suo volto era sbiancato e gli occhi gli si erano riempiti di lacrime. Kakashi si era sentito mancare il terreno sotto i pedi. Possibile che Gai...?

Aveva esortato il giovane a vuotare il sacco e aveva così appreso che il verdetto dei medici era incontrovertibile: la gamba destra era apparsa troppo compromessa e Gai non sarebbe più stato in grado di camminare.

Non ci aveva pensato due volte e aveva ordinato a Shizune di annullare tutti gli impegni ufficiali non urgenti previsti per quel pomeriggio.

Doveva vedere il suo amico e fare del proprio meglio per tentare di confortarlo e stargli accanto in un momento così difficile. Compito per il quale, oltretutto, non si era mai reputato particolarmente idoneo.

Nel corso degli anni, Gai c'era sempre stato per lui, anche quando non avrebbe dovuto. Anche quando Kakashi lo respingeva e gli voltava le spalle in continuazione, deciso a rifiutare ogni aiuto, ogni interferenza esterna in quella che considerava la propria personalissima discesa nell'abisso. Eppure, con la caparbietà che lo contraddistingueva, Gai aveva sempre trovato il modo per vegliare su di lui, anche da lontano.

Kakashi si era recato a trovarlo diverse volte da quando la guerra era terminata, ma, almeno nei primi tempi, si era deciso di tenerlo sedato per risparmiargli i dolori atroci conseguenti all'apertura dell'Ottava Porta e così si limitava a sedersi accanto al letto, parlandogli, immaginando che Gai potesse sentirlo dal limbo in cui la sua coscienza era stata temporaneamente imprigionata per il suo bene. Lo aggiornava sugli ultimi accadimenti, gli raccontava cosa stava succedendo a Konoha e nel mondo ninja ora che i venti del conflitto avevano smesso di soffiare per cedere il posto a quelli inarrestabili del cambiamento.

Successivamente Kakashi era riuscito a sostenere con lui solo brevi conversazioni a causa dello stato di evidente sofferenza in cui il paziente versava, per quanto provasse a dissimularlo, e dell'eloquio reso difficoltoso e impastato dall'effetto dei farmaci. Solo di recente, in occasione della sua ultima visita, aveva ritrovato l'amico di sempre, forse un po' sonnolento ma fiducioso e ottimista rispetto all'avvenire. Almeno, fino a quel brutto colpo.

E ora aveva paura, Kakashi. Ogni passo che lo conduceva alla stanza di Gai era un gradino in più che quel sentimento saliva dal ventre per raggiungere il suo cuore, rafforzandosi. Non aveva idea di come il suo vecchio amico avesse potuto reagire a quella sentenza emessa dai dottori. Sempre così energico, così focoso, così pronto a mordere la vita con la grinta e l'entusiasmo che spesso portavano lui, Kakashi, vicino all'esasperazione.

Temeva sinceramente di entrare in quella camera e trovare ad accoglierlo un estraneo dallo sguardo spento, sconfitto, piegato sotto il peso del responso senza appello che aveva confinato tutte le sue prospettive per il futuro su una sedia a rotelle. Non era certo di essere tanto forte da sopportarlo.

Gai, con tutti i suoi pregi e difetti, rappresentava una costante incrollabile della sua vita. Non l'avrebbe mai riconosciuto apertamente, ma le stupide sfide che si ostinava a proporgli fin da quando erano bambini gli erano diventate care, così come i suoi modi esuberanti ed enfatici. Per quanto fossero diversi, Gai era, con tutta probabilità, la persona che lo conosceva meglio di chiunque altro. Ma le cose sarebbero rimaste invariate anche ora che quella spada era calata sul suo capo? E lui, Kakashi, cosa poteva fare per aiutarlo? A cosa valeva essere diventato Hokage se poi non possedeva neppure i mezzi per sollevare un amico dalla sua pena?

Trasalì quando vide un'infermiera farglisi incontro con passo svelto. - Onorevole Hokage! -

Lasciò andare un pesante sospiro. Era il momento di affrontare la verità, che gli piacesse o meno.



I filamenti delle riflessioni nelle quali Gai era ancora impelagato, si disfecero quando udì un suono di passi che si approssimava alla porta, accompagnato da un brusio ovattato di voci proveniente dal corridoio. Tese l'orecchio e si mise in ascolto, riconoscendo una delle infermiere.

- Onorevole Hokage! È qui per fare visita a Maito Gai? -

- Be', in effetti speravo di potergli fare un saluto veloce. Ma non vorrei disturbarlo o rischiare di farlo stancare troppo. -

Gai sorrise tra sé. Sapeva che Kakashi era diventato il nuovo Hokage dopo che Tsunade si era dimessa, anche se, per ovvi motivi, non gli era stato possibile presenziare alla cerimonia di investitura. Era felice per l'amico e più che sicuro che il destino di Konoha non avrebbe potuto essere affidato a mani migliori, tuttavia era consapevole del fatto che Kakashi non amasse ricoprire quella posizione. Era evidente dalla nota di insofferenza mista a imbarazzo che gli incrinava la voce quando si trovava a rispondere a chi si rivolgeva a lui con tanta formalità e deferenza. Si era sempre trovato molto più a suo agio nel ruolo di supporto alle autorità piuttosto che in veste ufficiale di governante. Le cariche istituzionali non gli erano mai andate a genio, ma aveva accettato di occupare il posto di Hokage fino a quando i tempi non fossero stati maturi per passare il testimone a Naruto.

- Temo che in questo momento il paziente stia riposando. - rispose l'infermiera con fare cortese ma imprimendo alla propria voce una chiara nota di inflessibilità. - Gli dirò che lei è passato a trovarlo non appena si sveglierà. -

Gai sbuffò: infermiere iperprotettive! Neanche fosse stato un pivellino da accudire come un cucciolo ferito. Era la nobile Bestia Verde di Konoha! Le aveva suonate di santa ragione a Madara Uchiha in persona! Non meritava un po' di rispetto?!

- Non serve! - gridò, per farsi sentire dalla donna nel corridoio. - Sono perfettamente sveglio e vorrei davvero scambiare due parole con l'onorevole Sesto Hokage. -

Fece un sorrisetto figurandosi l'espressione di Kakashi nel sentirsi appellare in quel modo dal suo migliore amico.

Ci fu un attimo di silenzio, come se l'infermiera stesse riflettendo sul da farsi, infine la porta venne aperta e la donna entrò, seguita dalla figura alta e slanciata di Kakashi che sollevò una mano in segno di saluto.

L'infermiera controllò alcuni parametri sugli schermi; apparentemente soddisfatta da quella lettura, scribacchiò qualcosa sulla cartella clinica del paziente, regolò la flebo e uscì dalla stanza, raccomandando all'Hokage di non trattenersi troppo a lungo prima di congedarsi chinando rispettosamente il capo.

I due rimasero soli e Gai si stampò sulle labbra un sogghigno divertito.

- Onorevole Hokage! La sua presenza al mio capezzale mi lusinga. Dove ha trovato il tempo, con tutti gli impegni che ha? Aspetti, ora cerco di inchinarmi... -

Lo sforzo di issarsi sui gomiti per scimmiottare un inchino gli provocò una fitta di dolore, mozzandogli il respiro e strappandogli un gemito.

Kakashi si protese verso di lui, allarmato. - Gai! Va tutto bene? -

L'altro annuì con una smorfia sofferente, riprendendo fiato. - Tranquillo, è tutto a posto. Ma temo che il mio fisico non gradisca ancora i movimenti bruschi. -

Kakashi si rilassò, le mani sui fianchi in una posa di rimprovero. - Ecco, così impari a fare lo scemo. -

Gai gli rivolse un sorriso colpevole, felice della presenza dell'amico accanto a sé, dopodiché indicò la finestra con un cenno del capo. - Senti, posso chiederti il favore di scostare quella tenda e aprire la finestra? Mi sembra di soffocare, qui dentro. -

Quando Kakashi spalancò le ante, una ventata di rinvigorente aria fresca invase la camera e i raggi di uno splendente sole pomeridiano filtrarono all'interno quasi con prepotenza, come se non aspettassero altro.

Gai sospirò e socchiuse gli occhi, godendosi quel tepore sui pochi centimetri di pelle che non erano coperti da bende e fasciature.

Il chiarore del giorno e un allegro cinguettio proveniente dalle chiome degli alberi contribuirono a diradare la cappa opprimente che si era insediata tra quelle quattro mura e a rendere l'atmosfera un po' più accogliente, per quanto ciò potesse essere possibile in un'asettica stanza d'ospedale.

Kakashi afferrò uno sgabello da un angolo della camera e prese posto accanto al letto, osservando accuratamente il volto dell'amico, con l'intenzione di iniziare a sondarne l'umore.

- Come ti senti? - domandò piano, quasi timoroso.

Gai si strinse nelle spalle, quel tanto che riuscì senza finire di nuovo preda del dolore. - Il peggio è passato. Sono vivo, sono qui con te. Direi che non posso chiedere di più. -

Kakashi annuì ma il silenzio che rimase sospeso tra i due uomini stava iniziando ad acquisire il sapore sgradevole e la pesantezza del disagio. Inoltre, gli occhi profondi di Kakashi tradivano un'apprensione che non sfuggì al suo interlocutore.

- Che cosa c'è? Perché hai quell'aria così seria? È successo qualcosa? -

Il Sesto Hokage esitò e per un attimo sembrò cercare le parole in un punto imprecisato tra le proprie dita nervose e le piastrelle del pavimento, prima di inspirare a fondo e rilasciare la risposta tutta d'un fiato, come quando si toglie un cerotto. - Ho sentito della tua gamba. -

Gai espirò sonoramente e alzò gli occhi al soffitto prima di agganciarli saldamente a quelli antracite di lui. - Kakashi, io non dovrei neanche essere vivo. - affermò con semplicità. - Nessuno che abbia aperto tutte le Otto Porte del Chakra è mai sopravvissuto e il fatto stesso che ora siamo qui a parlare è un privilegio per me. Mi hanno assicurato che recupererò l'uso almeno del 70% del mio corpo. Rimetterci una gamba mi sembra un prezzo più che accettabile. - fece una pausa prima di aggiungere in tono scherzoso, - E tu dicevi che allenarsi a camminare sulle mani era un'idiozia! Be', d'ora in poi mi tornerà molto utile. -

Kakashi non rispose, continuando a studiare con insistenza i suoi lineamenti nel tentativo di capire se quella parvenza di serenità fosse solo una facciata costruita appositamente a suo beneficio. Definirlo mortificato sarebbe stato l'eufemismo dell'anno.

- E piantala di guardarmi con quella faccia da funerale. - sbottò Gai, sorridendo di nuovo. - Cavolo, il tuo atteggiamento ombroso finirà per deprimermi ancora più del cibo che mi servono in questo posto! -

L'amico non rise alla battuta e Gai, fallito il tentativo di alleggerire quel clima insopportabilmente teso, si schiarì la voce, tornando ad assumere un'espressione grave più in linea con quella del suo angustiato visitatore. - Dico sul serio, Kakashi: sto bene. Devi credermi. -

- Gai, io... -

Ma l'uomo alzò una mano per fermarlo prima che potesse proseguire. Qualunque cosa gli avesse detto, non avrebbe cambiato la realtà dei fatti. E andava bene così.

- Non preoccuparti per me. La primavera della mia gioventù potrà anche essere giunta al termine, - si interruppe un istante per volgere lo sguardo al sole che brillava fulgido nel cielo senza nubi fuori dalla finestra. - ma alla primavera segue l'estate e credo proprio che anche per me sia giunto il momento. È ora che la leggera brezza primaverile ceda il posto allo sfavillante sole estivo pronto a splendere glorioso sulla mia vita! Non senti il suo divampante calore, Kakashi?! Non ne percepisci la sfolgorante, incomparabile luminosità?! -

Slanciò un pugno verso l'alto infischiandosene del dolore e finalmente la tensione tra loro si sciolse proprio come l'ultima neve d'inverno in una di quelle giornate che preannunciano l'arrivo dell'estate, e con essa scomparve anche il nodo che dal giorno prima ammorbava lo stomaco e la gola di Kakashi.

L'Hokage scosse la testa, divertito dall'incorreggibilità dell'amico e decisamente rincuorato: se era in cerca di una conferma del fatto che Gai non si stesse arrendendo allo sconforto, quell'impeto scoppiettante di entusiasmo gli era più che sufficiente. Del resto, non si poteva fingere una tale, smodata passione.

- Ah, a proposito, - continuò il moro con un luccichio di furbizia negli occhi onice. - non credere che non disputeremo più le nostre sfide a causa di questo. - indicò la gamba destra immobilizzata dal gesso come se si trattasse di un dettaglio insignificante. - Oh no, amico mio. Non te la caverai così facilmente. Sarai sempre il mio eterno rivale, qualunque cosa accada. -

Alzò il pollice e gli strizzò l'occhio, indirizzandogli uno di quei sorrisi candidi e smaglianti che avrebbero potuto abbagliare come un faro nella notte, e allora Kakashi ne ebbe la certezza: Gai era il solito, incontenibile, dirompente, esplosivo Gai. Il Maito Gai di sempre. Né più, né meno.

Il tessuto della maschera tirata sul suo viso si increspò verso l'alto intorno agli angoli delle labbra. Dopotutto, l'estate non era poi tanto male! Forse, a volte, solo un po' troppo bollente...



Nota:

Per quanto riguarda tempi e ambientazione, questa OS non tiene conto del libro Kakashi Hiden. Fulmini in un cielo gelido, ma solo di quanto visibile nell'anime, episodio 479.

  
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