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Autore: storiedellasera    30/01/2021    2 recensioni
Cadendo dalle scale, il proprietario di una casa si ritrova nel suo scantinato.
La sua gamba è rotta e non riesce a muoversi. Con il passare del tempo, l’uomo scopre di non esser solo.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lo scantinato


Molti di voi mi giudicheranno un bugiardo o un folle.
Ma ciò che sto per narrare corrisponde a verità… o almeno così credo. Non nego che, all’epoca dei terrificanti fatti, la mia mente era sconvolta dalla paura e dal dolore, tanto da alterare i suoni e le immagini che si alternavano attorno alla mia persona.
Su una cosa però sono certo: ciò che accadde nel mio scantinato, durante la prima settimana del Febbraio del 1968, fu opera di qualcosa che va al di là della comprensione umana.
Si, dev’essere così! Qualcosa ha dato il via a tutti quei fenomeni di cui, disgraziatamente, fui testimone.

Ho sempre vissuto da solo, in tranquillo quartiere residenziale.
Non ho mai sofferto la mancanza di compagnia, anzi, trovavo appagante il perenne silenzio che regnava nella mia bella casa.
Rammento che il primo giorno di Febbraio ero indaffarato in alcune faccende domestiche.
Avevo raccolto diverse cianfrusaglie sparse in diverse stanze e le avevo riposte in uno scatolone. Erano oggetti di cui non avevo bisogno: una radio rotta, una sveglia, un gatto di porcellana. Cose il cui scopo erano quello portare il disordine nella mia casa.
La mia abitazione doveva sempre risplendere. Consideratelo pure un mio capriccio, ma ero orgoglioso della pulizia del mio domicilio.  Decisi quindi di riporre lo scatolone nello scantinato… se fossi uscito a gettare quelle cose in un cassonetto, probabilmente l’incubo non avrebbe avuto inizio.

Quando aprii la porta dello scantinato, udii il sinistro scricchiolio della vecchia porta di legno. Dal buio oltre la porta si levò un debole e gelido spiffero.
Non prestai alcuna attenzione a quel bizzarro fatto. Con una mano reggevo lo scatolone premuto contro il mio petto, con l’altra mano tastavo freneticamente il muro oltre la porta alla ricerca dell’interruttore.
Non trovandolo, misi un piede avanti e toccai subito il primo gradino della scala dello scantinato. Si trattava di una ripida scalinata di legno usurato.
Mi servivo poche volte di quella stanza, per questo motivo non ho mai riparato quelle scale.
Continuavo a tastare freneticamente il muro, mentre ero in bilico sui gradini.
Fu proprio in quel momento che persi l’equilibrio. In un istante mi trovai a mezz’aria, la paura si impossessò di me e mi impedì di respirare o di urlare. Avvertii lo scatolone separarsi da me… poi il tremendo impatto del mio corpo contro i gradini.
Ruzzolai per tutta la scalinata, mentre gli oggetti riposti nello scatolone si schiantavano al suolo. Avvertii il gatto di porcellana sbriciolarsi sul pavimento, la radio rimbalzare due volte prima di aprirsi, rivelando il suo sistema interno di cavi e circuiti.
Io ero fino a terra, circondato da detriti di porcellana e altre cianfrusaglie. Avvertivo un dolore lancinante ai gomiti e la mia testa pulsava a ritmo del mio cuore.
L’interno dello scantinato era umido e buio. In alto, una minuscola finestrella lasciava entrare la fioca luce del mattino. Era una luce fredda che, invece di illuminare la stanza in cui mi trovavo, proiettava lunghe e tetre ombre attorno a me.
Alzai lo sguardo e vidi la scalinata. Non riuscivo a credere di essere sopravvissuto a una caduta del genere. La porta dello scantinato era aperta… al suo fianco, solo in quel momento, riuscii a scorgere l’interruttore.

Imprecai e rimasi a terra qualche secondo per riprendere fiato. Sopra la mia testa si trovava una vecchia lampadina avvolta da una patina di polvere. Pendeva dal soffitto grazie a un sottilissimo cavo elettrico.
Potrà sembrare assurdo, ma avevo la sensazione che quella lampadina fosse un occhio intento a fissarmi… anzi …a giudicarmi.
Solo allora tentai di alzarmi e fu proprio in quel momento che una scarica di dolore mi sconvolse.
Non avevo mai provato una simile agonia in tutta la mia vita. Fu una sensazione così intensa da strapparmi via dal petto un urlo straziante. Allungai lo sguardo verso una delle mie gambe e mi ritrovai a fissare la mia tibia. L’osso spezzato aveva lacerato la carne e la stoffa dei pantaloni. Sembrava una lancia insanguinata puntata dritta contro la mia faccia. Un chiazza brunastra di sangue si espandeva al suolo e sui miei vestiti.
Ero inorridito ma non potevo far altro che fissare quell’osso… quell’osso che con fare irriverente mi fissava e mi scherniva. Sembrava che volesse dirmi: “sono qui! Guarda che gran casino che hai fatto!”
Scacciai via dalla testa quel pensiero così bizzarro. Il panico e il dolore erano responsabili di quelle assurde fantasticherie. Fissai ancora l’osso spezzato, l’estremità che sporgeva all’infuori era incredibilmente appuntita. Potevo scorgere la polpa di un acceso rosso al suo interno.
Lo scantinato iniziò a vorticare e io lottai per non svenire. Dovevo cercare di fermare l’emorragia o sarei morto dissanguato. Presi così la cintura e l’avvolsi attorno alla gamba.
Inutile dire che ogni mio movimento causava altre scariche di inaudito dolore.
Mentre stringevo la cinta vicino la ferita, sentii il sangue rendere scivolose le mie mani. Nonostante questo riuscii nel mio intento.
Una volta tamponata la ferita, mi fissai le mani. Erano completamente rosse. Gocce di sangue tracciavano lunghe scie cremisi sui miei polsi, scorrevano lungo gli avambracci, si raccoglievano sui miei gomiti, si ingrossavano per via della gravità e solo allora cadevano al suolo.
Pic, pic, pic… sentivo quelle lacrime di sangue impattare sul pavimento. Lì si mescolavano con la polvere, creando dei grumi di sangue nerastro.
Rammento che trattenevo il fiato pur di ascoltare quel rumore: pic.
Pensai che il sangue era incredibilmente e meravigliosamente caldo.

Quel momento durò poco, poiché dovevo pensare a come uscire dallo scantinato.
Tentai di sollevarmi ma non ero forte abbastanza. Allora provai a strisciare ma il dolore era troppo intenso e mi costringeva all’immobilità.
Rinunciai all’idea di muovermi con le mie sole forze. Iniziai a guardarmi attorno nella speranza di trovare qualcosa... qualunque cosa potesse fare al caso mio.
I miei occhi si abituarono rapidamente alle tenebre che regnavano nello scantinato. Esplorai quella tetra stanza: era vecchia, trascurata e piena di polvere.
Non assomigliava per niente al resto della mia casa: pulita, fresca, ordinata.
Sembrava di essere non solo in un altro luogo, bensì in un’altra epoca. Non era di certo la prima volta che entravo nello scantinato, ma in quel momento mi sembrava di essere nelle segrete di un luogo remoto e spettrale.
Scaffalature di un arrugginito metallo ospitavano oggetti di cui non avevo più bisogno e, per diversi motivi, non mi ero disfatto. Scorgevo un paio di vecchi scarponi, un sacco nero con dentro chissà cosa, luci natalizie, una scopa rovinata.
Un raccapricciante peluche di un orso azzurro faceva capolino da tutto quel ciarpame, mi fissava con il suo sorriso… anzi …con il suo ghigno diabolico. E poi delle vecchie corde, uno scatolone chiuso con del nastro adesivo nero su cui avevo scritto .
Perché avevo deciso di conservarle? Non ne avevo idea.
Scorsi poi un vecchio coltello da caccia al suolo, sotto uno scaffale. L’avevo smarrito molti anni fa e solo in quel momento, involontariamente, l’avevo ritrovato.
Nell’angolo più buio dello scantinato si trovavano scatole, sacchi e altri oggetti accatastati a formare un soqquadro indescrivibile. Oltre quel cumulo di immondizia si trovava una vecchia porticina di legno che mai e poi mai doveva esser aperta.
Sul pavimento, posto vicino a quel soqquadro e a quella porticina, uno schiaccianoci mi stava fissando.
Aveva l’aspetto di un soldatino, con la giubba rossa e i pantaloni blu. Il suo cappello nero era sbiadito nel corso del tempo. I suoi occhi, fissi su di me, erano stranamente vividi e penetranti.

L’aria attorno a me sembrava essersi fatta più gelida e improvvisamente ricordai la folata che si era sprigionata nel momento in cui avevo aperto la porta dello scantinato.
Allora la mia mente fu invasa da teorie e congetture sempre più fantastiche, sempre più assurde.
Mentre combattevo con me stesso, nella speranza di restare calmo e razionale, ripensai alla mia caduta.
Chiusi gli occhi e rivissi più e più volte i momenti che precedettero il mio incidente… se così possiamo chiamarlo. Più passava il tempo e più convinsi che non fui io a inciampare… ma che qualcosa alle mie spalle mi aveva spinto giù per le scale.
Spalancai gli occhi e fissai la porta dello scantinato, alla ricerca di qualche indizio che potesse confermare la mia bizzarra e agghiacciante ipotesi.
Oltre quella porta potevo scorgere la sala. Lì, in quel preciso momento, qualcosa mi stava osservando. Riuscii solo a vedere la sagoma nera della sua testa. Qualunque cosa fosse, si ritrasse rapidamente, sparendo dalla mia vista.
Il terrore mi travolse. Fui pervaso da tremori e convulsioni così possenti che ebbi l’impressione di sprofondare nel pavimento gelido e polveroso in cui mi trovavo. Iniziai a sudar freddo e avvertii la gola inaridirsi. La mia mente era come paralizzata, incapace di formulare pensieri, incapace di controllare il mio corpo.
A lungo rimasi a fissare quello scorcio di sala che si intravedeva dal fondo della scalinata. A lungo attesi un movimento che mai si presentò.
Pensai di essermi immaginato ogni cosa. E se fosse entrato un ladro?
Cercai di ritrovare la calma concentrandomi sul mio respiro. L’aria dello scantinato aveva l’odore acre della muffa. Pensai che un ladro, nel caso fosse entrato in casa mia, avrebbe di sicuro fatto rumore.
Ma non avvertivo alcun suono… e quel silenzio, che tanto avevo apprezzato nella mia vita, iniziava a rendermi nervoso.
Tentai di afferrare il coltello da caccia poiché iniziavo a sentirmi minacciato.
Magari il contatto con un’arma mi avrebbe calmato. Allora mi distesi verso quella lama che giaceva sotto lo scaffale… ma era troppo lontana.
Un’altra scarica di dolore, più intensa di tutte le altre, mi fece sobbalzare.
Oltre al terrore iniziai a provare rabbia e frustrazione.
Rinunciai all’idea di recuperare l’arma e in quel momento, senza volerlo, il mio sguardo cadde di nuovo sul vecchio schiaccianoci… e mi sembrò che si fosse avvicinato a me.
I tremori della paura tornarono a sconvolgermi. I miei sussulti involontari infierivano sulla mia gamba come delle pugnalate. Gli occhi dello schiaccianoci erano spalancati e iniettati di sangue.
Pensai che quell’alone rosso nei suoi occhi era da attribuire solo a una sbavatura di vernice. Cercai di credere a quella mia stessa menzogna… mi aggrappai con tutto me stesso a quella bugia o sarei impazzito per la paura.

Quando arrivò la notte era stremato e assetato.
Avrei dato qualunque cosa per un sorso d’acqua. Cercai con lo sguardo una borraccia tra le cianfrusaglie che regnavano in quel tetro e angusto scantinato.
Ricordo che da giovane possedevo un enorme zaino, uno di quelli adatti per le lunghe escursioni: era pieno di tasche e aveva anche una borraccia di alluminio.
Se l’avessi trovata, avrei di sicuro bevuto l’acqua stagnante al suo interno. Ma non vidi né lo zaino né la borraccia.

A mezzanotte sentii i rintocchi dell’orologio nella mia sala da pranzo. Quei suoni riempivano il vuoto della mia casa. Avevo sentito quei rintocchi centinaia e centinaia di volte… ma in quel momento li giudicai lugubri e minacciosi. Fuori dalla mia casa, intanto, si alzò il vento.
Potevo sentirlo chiaramente soffiare contro le pareti esterne della mia abitazione. Erano ululati rabbiosi, ululati crudeli.
Tesi le orecchie alla ricerca di altri suoni: un sommesso scricchiolio, appena percepibile, mi congelò il sangue nelle vene. Proveniva dalla porticina dietro la spazzatura che avevo accatastato nello scantinato.
“Non guardare!” Implorò la mia coscienza.
Ma la mia testa si era già mossa in quella direzione. Lo schiaccianoci era a metà strada tra me e la spazzatura. Non avevo più alcun dubbio: quel soldatino di legno si era realmente mosso verso di me.

Il vento si era fatto più forte.
Malgrado le rumorose raffiche, riuscii a percepire un flebile sussurro. Era una voce che chiamava il mio nome. Proveniva da dietro la porticina di legno. Si stava aprendo.
La paura che provai mi diede la forza per muovermi: premetti i palmi contro il pavimento e mi sollevai un poco dal suolo. Iniziai a trascinarmi verso la scalinata, sotto l’attento sguardo dello schiaccianoci.
Sollevai la testa in direzione della scala. In cima, qualcuno mi stava osservando.
Vidi solo la sua ombra proiettata su di me… ma fu sufficiente per farmi urlare. Gridai a squarciagola nella speranza di esser udito da qualcuno.
Ma attirai solo la cosa che viveva nello scantinato… la cosa che stava possedendo e animando gli oggetti attorno a me… la cosa che, insieme all’ombra sulle scale, voleva prendermi.
Prima di perdere la ragione, spostai il mio sguardo verso la porticina dietro la spazzatura: era spalancata! Da quel posto vidi uscire un conglomerato di mani, gambe e carne ingrigita. Si stava muovendo verso di me.
Con pietosi movimenti strisciava in avanti artigliando il pavimento. Mi chiamò sommessamente e fu allora che impazzii del tutto.

-.-.-

Mi risvegliai qualche giorno dopo in un letto d’ospedale.
Chiodi scintillanti sporgevano dalla mia gamba gonfia e deformata dalla frattura. Uno dei miei polsi era assicurato alla brandina del letto da un paio di manette. A vegliare al mio capezzale c’erano un ufficiale di polizia e il suo secondo. Mi riempirono di domande ma io non prestai attenzione a nessuna delle loro parole. I medici dissero che la febbre mi stava facendo delirare.

Solo qualche giorno dopo, mentre ero ancora ricoverato, riuscii a rinsavire e a raccontare la mia terrificante vicenda. Ovviamente nessuno mi credette. Molti dissero che ero stato preda di allucinazioni dovute al dolore e alla sete… altri invece sostenevano che ero divorato da dei sensi di colpa.
I poliziotti, che tanto si preoccupavano per me, temevano che era tutta una mia recita per fingermi pazzo.
Mi dissero che, mentre ero intrappolato nella mia casa, incapace di muovermi per via della gamba rotta, le mie urla furono udite da alcuni passanti. Furono loro a chiamare le autorità.
In poco tempo, diversi agenti sfondarono la porta della mia casa e mi ritrovarono nello scantinato mentre vaneggiavo cose senza senso. Mi portarono immediatamente all’ospedale per poi fare un sopralluogo della mia casa.
Fu allora che i poliziotti scoprirono il mio segreto: oltre la porticina di legno nel mio scantinato ritrovarono cinque corpi smembrati e accatastati. Li avevo uccisi nell’arco di un anno e avevo conservato i cadaveri nell’angolo più remoto dell’abitazione.
L’impulso di vedere e sentire il sangue scorrere da un corpo umano mi aveva spinto a commettere atti ignobili contro sconosciuti. Sconosciuti che, in un certo senso, erano diventati parte della mia casa.




Non temo la prigione, so benissimo che passerò il resto della mia vita dietro le sbarre.
Ma di notte non riesco a dormire. Cerco di capire cosa fosse l’ombra che mi fissava sulla cima delle scale. Era solo frutto della mia immaginazione? O quella cosa era realmente lì?
E se quell’ombra… un giorno… dovesse ritornare?

   
 
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