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Autore: Vale_P    03/02/2021    6 recensioni
Josephine ha perso molto dalla vita, ma una scintilla la tiene ancora legata ad essa. Quando questa scintilla si spegnerà a Josephine non resterà che ballare.
Seconda classificata al contest “Storie di fantasmi” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LA DANZA DI JOSEPHINE
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Le scarpe di Josephine si sollevavano a fatica dal terreno fangoso, di tanto in tanto scivolavano o si impantanavano lungo il sentiero sconnesso.
La faticosa avanzata non era dovuta solamente alle condizioni precarie del terreno, ma anche al suo desiderio intrinseco di non raggiungere realmente il luogo verso il quale stava camminando.
Sospirò e ansimò, ma il suo passo traballante alla fine la portò davanti alla tomba che stava cercando. Compì l'ultimo passo sospinta da un forte vento ghiacciato, quasi contro la sua stessa volontà.
La bianca lapide del marito sembrava fissarla e prendersi gioco di lei.
"È qua! È proprio sotto di me! A pochi metri di distanza te, eppure non puoi raggiungerlo. Non puoi perché tra voi due ci sono io."
Sembrava dicesse questo la fredda lapide di marmo di fronte a lei.
Aveva ragione.
Il viso della donna si bagnò improvvisamente di piccole lacrime calde che sgorgavano dai suoi occhi castani, le tagliavano le guance e morivano precipitando al suolo o sul colletto grigio del suo cappotto.
I lunghi capelli biondi, mossi dal vento, le si appiccicavano al volto umido e le offuscavano la vista.
"Caro, povero, Ron..."
Esordì lei in un lamento, ma un nodo in gola le impedì di proseguire il discorso. La ferita dovuta alla prematura scomparsa del suo amato Ron era ancora troppo fresca e non appena la toccava riprendeva a sanguinare copiosa.
Si strinse a sè, cercando di trarre conforto dal suo caldo cappotto e ricercando in quel gesto un abbraccio che sapeva non avrebbe mai più ricevuto.
Quel giorno lei si trovava lì per un motivo: voleva chiedere al marito un ultimo favore. Voleva davvero farlo e salutarlo per un ultima volta prima di lasciarlo andare definitivamente via.
Aveva giurato: un'ultima volta, un ultimo saluto e poi non avrebbe più pensato a lui. Non avrebbe più pianto per lui e sarebbe andata avanti con la sua vita nel modo più felice possibile. Non aveva fatto una promessa simile solamemte per il suo stesso bene: nonostante tutto per lei c'era ancora qualcosa al mondo per la quale combattete e che le dava la forza di voler tornare a sorridere.
Era lì, pronta a parlarle, ma le sue labbra carnose e soffici tremavano, la voce le si spezzava in gola e lei non riusciva ad emettere alcun suono.
"Che possa la tua anima vegliare su di noi e proteggerci fino a che tutti e tre non ci riuniremo nel Regno dei Cieli."
Era questa la preghiera che non riusciva a pronunciare.
Voleva chiedere la protezione per lei e per il figlioletto che portava in grembo e continuare a vivere avendo almeno l'illusione di averlo sempre al loro fianco, anche dopo la morte. Solamente questo le avrebbe dato la forza di non rimpiangere ogni singolo giorno felice del passato e di non piangere più, come si era ripromessa.
Rimase quindi lì, con pazienza, ad aspettare che il dolore che provava si placasse un po' e la sua voce diventasse abbastanza forte da poter parlare.
Non se ne sarebbe andata finché non avrebbe recitato questa ultima preghiera e non si fosse assicurata la protezione ultraterrena del marito.
Il tempo però passava invano. Lei stessa non avrebbe più saputo dire se fossero passati pochi minuti oppure diverse ore.
L'aria era più fredda e la luce attorno a lei più debole; il tramonto era vicino.
In questo lasso di tempo dolorosamente silenzioso la sua mente ritornò infinite volte a quel giorno, alla chiamata che ricevette dall'ospedale, alla corsa in taxi con il cuore in gola e all'espressione fredda sul viso del medico che l'accolse. Queste immagini si susseguivano dentro di lei in un loop infinito.
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"Mi dispiace, ma l'impatto è stato fatale. Abbiamo fatto il possibile, ma la moto viaggiava a una velocità troppo sostenuta ed il corpo è stato sbalzato con una forza tale... mi dispiace Sig.ra Lowson, non c'è stato nulla da fare. Lo... lo vuole vedere?"
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Un dolce tintinnio di campanelline, trasportato soave dall'aria fino alle sue orecchie, la riportò alla realtà.
"Lo vuoi vedere?"
Ridacchiò d'improvviso una vocina vispa.
Josephine alzò lo sguardo sbalordita dalle parole che aveva appena sentito, come se qualcuno le avesse estratte dalla sua mente e semplicemente ripetute ad alta voce.
Di fronte a lei, a pochi metri di distanza, un bambino dai lunghi capelli castani e un crisantemo bianco all'occhiello della sua giacca.
Sorrideva timido e, dopo aver parlato, nascose il volto tra le piccole manine.
Doveva aver avuto sette oppure otto anni al massimo.
Josephine non riusciva a spiegarsi il motivo, ma era completamente incanta da quella visione, come rapita.
Era un bambino bellissimo e lei le volle bene fin da subito. Sentì il suo cuore battere forte e il petto scaldarsi. Non poté fare a meno di arrossire per l'ingenuità del sentimento che stava provando.
"N-non posso vederlo, piccolo."
Rimase lì, muta davanti alla tomba di Ron, mentre le lacrime avevano ricominciato a scorrere sul suo volto.
Dal canto suo, il bambino riprese a passeggiare tra le tombe che lo circondavano.
Saltellava leggiadro tra le lapidi, mimando una tetra danza, e canticchiando un motivetto dai toni allegri, ma che alle orecchie di Josephine suonò tremendamente triste.
La colpì più violentemente di una coltellata al ventre e subito riportò la sua attenzione dalla lapide al bambino.
Riconobbe immediatamente quel motivetto. Lo aveva già sentito e lei stessa lo aveva già cantato molte altre volte.
"C-come conosci questa canzone?" Chiese, asciugandosi con la mano l'ennesima lacrima.
"Oh! Questa è la mia canzone del cuore."
Rispose il bambino facendo spallucce.
"Non la so ancora suonare bene, sento che potrebbe migliorare."
Questa risposta non la soddisfò per niente anzi, questa non era affatto una risposta! Non sapeva come fosse possibile e non sapeva perché, ma quel bambino la stava prendendo in giro. Senza rendersene conto aveva iniziato a camminare, furiosa, nella sua direzione.
Come riusciva quella creatura a suscitare tante emozioni e tanto vive dentro di lei?
Amore, rabbia...
"Rispondimi! Ti ho chiesto come conosci questa canzone?"
Chiese di nuovo, con un tono di voce più alto e scandendo ogni singola parola.
Il bambino si sporse, impertinente, verso di lei. La guardava negli occhi, cercava il suo sguardo e lo sosteneva, ma non rispose.
"Ti prego!"
Una nuvola di vapore caldo si sollevò dalle labbra di Josephine.
Faceva sempre più freddo.
Lo afferrò per le piccole spalline e lo scosse, nel tentativo di richiamare la sua attenzione alla domanda che gli aveva appena rivolto e di incitarlo a rispondere.
Fu una questione di pochi secondi, ma le sue mani, in quel momento, congelarono.
Mille aghi di ghiaccio affrondarono la sua pelle e fu costretta ad allontanarsi con un movimento brusco dal bambino. Le fece così male che per un attimo pensò che il bambino stesso fosse fatto di ghiaccio. Dal momento che lo osservava un po' più da vicino infatti, notò la che la sua pelle era così pallida da tendere al blu... e così fredda da ferirla.
Mentre Josephine ritirava sconcertata le mani nei tasconi del suo cappotto, il bambino non poté trattenere una risatina canzonatoria. Una risata dolce come il miele e cosi allegra da sembrare un concerto di campanelline... l'unico suono nel mezzo del silenzio dei morti.
Due adorabili fossette si formarono sulle sue guance, ma lui si fece nuovamente timido e rinascose il viso dietro le manine.
"Chi... chi sei?"
Chiese la donna, questa volta con appena un filo di voce.
Josephine riconobbe immediatamente quel sorriso largo e gioioso, non poteva sbagliarsi. Pochi secondi bastarono per esserne certa e d'un tratto sentì il suo cuore bloccarsi nel petto.
Prima la canzone e ora questo... stava impazzendo! Doveva andare via da quel posto e fissare un appuntamento con il Dott. Emworth il prima possibile.
Ma, la preghiera? L'ultima preghiera per suo marito... Non era riuscita a farla...
Non si accorse neanche dello sguardo terrorizzato con il quale stava fissando il bambino, nè di aver indietreggiato di qualche passo.
"Oh no... No! Non pensarlo. Io non sono lui."
Disse il bambino con aria innocente, indicando la tomba di Ron.
Il bambino continuò ingenuo nel suo discorso, spostando il ditino e indicando il ventre di Josephine.
"Io sono lui."
La ragazza sentì raggelarsi il sangue nelle vene.
Ancora una volta non avrebbe saputo spiegarsi il motivo, ma era certa che il bambino non stesse mentendo.
Suo figlio.
No, lui non era un bugiardo.
Non poteva dubitare di ciò che aveva appena sentito, non dopo che lei stessa ebbe riconoscouto il sorriso di Ron in quel volto.
Si portò una mano al cuore e, con gli occhi umidi di commozione, sorrise dolcemente a suo figlio.
Quindi era un maschietto che Josephine stava aspettando... lei e Ron avevano deciso che sarebbe stata una sorpresa. 
"C-come ti chiami?"
Josephine riprese a singhiozzare.
I suoi occhi non erano mai stati tanto bagnati in tutta la sua vita come in quel periodo.
Il bambino di nuovo non rispose, lui non sapeva quale fosse il suo nome.
"Sei un angelo?"
Chiese nuovamente Josephine.
E lui di tutta risposta fece volare il suo sguardo in alto, tra le nuvole... ma no, lui non arrivava dal cielo.
Da dove arrivava?
Il bambino guardò la donna di fronte a lui, il suo ventre gonfio ed in fine la tomba del padre.
Senza dubbio lui arrivava da lì.
Era tra quei tre elementi che si nascondevano le sue origini, ma come mai ora si trovava dall'altra parte?
"Tu... non ti sei accorta di stare aspettando un piccolo morto?"
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Il silenzio regnava sovrano quando il bambino decise di muovere qualche passo traballante in direzione di Josephine.
Camminava scalzo, leggiadro, e a ogni suo passo il terreno sotto i suoi piedi suonava come se stesse camminando sulla tastiera di un enorme pianoforte. Ora non aveva più un corpo e si muoveva leggero. Non aveva mai conosciuto il piacere di avere un corpo, in realtà.
Poteva trovarsi ovunque il suo spirito decidesse di essere. Il mondo intero era il suo palcoscenico e lui suonava. Suonava con sua madre la sola canzone che conoscesse, la sua canzone del cuore.
Lo aveva già fatto altre volte, ma lei non lo aveva mai capito. Era solamente riuscito a convincerla a recarsi da uno psicoanalista, il Dott. Emworth, lamentandosi di un suono simile a un campanellio che da dopo la morte del marito la perseguitava. Sosteneva di sentire la loro canzone ovunque e che ne sarebbe uscita matta.
Il bambino quindi dovette imparare a parlare in fretta e il suo spirito aveva dovuto assumere la forma di un bambino vero per poter finalmente palesarsi alla madre senza ulteriori equivoci.
"Se fossi un Angelo, sarei felice."
Queste parole però non arrivarono mai alle orecchie di Josephine, che aveva iniziato a gridare e con il suo urlo straziato dal dolore riempiva il silenzio intorno a loro.
Piangeva, urlava e scuoteva il suo pancione.
"Ma vedo che sei triste anche tu."
Il bambino mosse ancora pochi passi verso di lei seguiti da una giravolta e da un saltello. Di nuovo lo sporco terreno fangoso suonò con il muoversi del suo corpicino che in realtà non era mai esistito.
La melodia che componeva con ogni suo singolo passo era la stessa del ritornello che canticchiava in continuazione; era la canzone che Ron scrisse per Josephine l'anno in cui si incontrarono.
Non erano ancora fidanzati, ma lui era già pazzo di lei.
Lei adorava questa canzone e la cantava spesso.
Prima felice e spensierata sotto la doccia, grata di aver ricevuto un dono così prezioso dall'uomo che amava. Una canzone che le sembrava una poesia e che suonava al ritmo del suo cuore. Continuò a cantarla anche dopo. Triste, tenendo a stento aperti gli occhi pieni di lacrime, seduta al tavolo della cucina mentre fissava il vuoto. Così quel bambino l'aveva imparata ancora prima di parlare. In che altro modo avrebbe potuto comunicare con lei, se non con la canzone che i loro cuori condividevano?
Che madre orribile! Non aver riconosciuto i segnali che il suo stesso figlio le inviava e aver pensato di essere pazza...
Le sue labbra si mossero impercettibilmente e un lieve sussurro uscì dalla suo bocca.
Sulle note che il bambino produceva, lei aveva iniziato a cantare il testo della canzone.
.
" [...] Dolci fiori di pesco cadono dai rami e riempiono il sentiero dove cammini. Così ogni tuo gesto riempie la mia via. Come riesci a renderla così bella? Sei il mio dolce, dolce fiore di pesco. [...]"
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Più lei cantava e più il bambino si agitava.
Più lui si agitava e più la musica diventava forte e coinvolgente.
Persino Josephine iniziò a battere le mani, tenendo il tempo.
Il bambino volteggiava sempre più vicino a lei e presto anche lei iniziò a sentirsi leggera e spensierata, proprio come lui.
"Balla con noi, Mamma!"
"Con... noi?"
Il bambino annuì e continuò a muoversi con grazia vicino a lei.
"C'è anche Ron?"
Il bambino rise.
Josephine rise.
Finalmente la loro danza divenne una sola.
"Così sarò felice!"
Josephine prese le mani di suo foglio che stranamente non le sembravano più così fredde.
Si muovevano bene a tempo insieme.
Lui rideva e Josephine piangeva dalla gioia.
"Ti voglio bene... R.J.!"
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"Prego sig. Hans, beva qualcosa di caldo mentre aspettiamo il comandante."
Hans accettò e sorseggiò il tè che il giovane poliziotto gli aveva gentilmente offerto.
Era abituato a convivere con i cadaveri, ma non ne aveva mai visto uno così. Il suo lavoro era mantenere pulito il cimitero, aprire il suo cancello alle 9.30 e chiuderlo alle 18.00.
Attorno a lui uno sciame di uomini in divisa si muoveva convulso in attesa del comandante.
Avevano delimitato l'area di interesse e si consultavano tra di loro. Parlavano di documenti vari e di arma del delitto.
Hans era infastidito dal poco rispetto con il quale stavano operando in quel suo posto di lavoro quasi sacro.
Al centro di questa agitazione generale, una donna giaceva esanime al suolo.
Tendeva un braccio verso la lapide di fronte a lei, era la tomba di tale Ronald O'Connor, mentre l'altra mano era posata sul suo ventre, come ad accarezzarlo.
Una pozza di sangue si dilagava dal suo pube e aveva inzuppato completamemte la parte bassa del cappotto grigio e i pantaloni.
"Non ci sono tracce di violenza sul suo corpo. Potrebbe essere morta dissanguata."
"Non lo so, Steve... Qualcosa non torna. Fosse capitato a me la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata scappare a gambe levate al pronto soccorso o per lo meno chiamare aiuto, ma il suo telefono è ancora in borsa..."
Hans intanto vide in lontananza arrivare una figura imponente, che attirava attorno a sé i piccoli poliziotti come mosche... Doveva essere il comandante.
Finì di sorseggiare il tè che stringeva tra le mani e si preparò a spiegare per l'ennesima volta come, quella mattina, avesse trovato il cadavere.
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NOTE D'AUTORE: pur non essendo un testo particolarmente violento, ho voluto inserire tra le note "tematiche delicate" dal momento che la protagonista è gravida e il lutto che subisce non è solamente di suo marito, ma anche del figlioletto che porta in grembo. Ho pensato che questo avrebbe potuto disturbare le persone più sensibili oppure vicine a un tale avvenimento. Spero di non aver recato danno a nessuno, ma allo stesso tempo di essere riuscita a comunicare il dolore e lo smarrimento di Josephine, sentimento principale che mi guidava mentre scrivevo. Se siete arrivati fino a qua, vi ringrazio per aver letto :)
   
 
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