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Autore: inzaghina    04/02/2021    6 recensioni
La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti.
Lucas e Sophie lo hanno imparato una sera d'ottobre, quando le loro esistenze sono state sconvolte da un terribile incidente.
Accettare di essere sopravvissuti e venire a patto con le persone che hanno perso non sarà semplice, si tratterà piuttosto di un lungo processo, che lascerà delle cicatrici - che si rimargineranno solo con l'aiuto dei loro amici e delle loro famiglie.
[Il prologo di questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brooklyn Tales'
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Per questo secondo capitolo ho scelto il prompt: 18. Song-fic Lucas Evans (3) e Daniel Evans (2); considerando che i personaggi sono originariamente nati per una song-fic, mi sembra appropriato tornare a farli muovere in un simile contesto.

 

 
 
 
Capitolo 2 — Sfumature di speranza
 
 
 
“I wonder if I'm being real
Do I speak my truth or do I filter how I feel?”
 

Riesce a percepirlo, lo sguardo dei presenti che indugia su di lui, che smania di chiedergli come si senta e che s’illude di trovare le parole giuste da rivolgergli per confortarlo e tentare di dare un senso a ciò che sta vivendo. Eppure, è semplice: queste parole non esistono, è inutile che si diano pena per cercarle, anche perché non ha intenzione di mostrare a tutti loro quello che davvero sta provando. Confessare le proprie emozioni lo spaventa, così come ammettere ad alta voce le sue paure più grandi — molto meglio ricacciarle giù, insieme alla bile che sente risalirgli l’esofago lentamente e inesorabilmente. Sa bene che queste persone sono lì per esprimere la loro vicinanza alla sua famiglia e ai Sanders, mosse dalla sincera speranza che Lucas e Sophie si rimettano presto, eppure li osserva infastidito, senza alcun desiderio di condividere il proprio fardello con loro. Il dolore che li affligge è privato, un qualcosa che nessuno all’infuori di loro può davvero comprendere e che quindi tanto vale non mostrare. I suoi genitori non hanno mai abbandonato il capezzale di Lucas, come chiunque si aspettava da loro, ma non hanno nemmeno smesso di prendersi cura di lui, riportandolo a casa ogni sera per un pasto caldo e per farlo dormire nel suo letto. Fanno del loro meglio per interpretare una normalità che in questo momento è estranea alla loro famiglia e che Danny può solo sperare che finisca il prima possibile. Dal momento in cui suo padre ha chiamato per comunicare loro la notizia, si chiede se questa sia davvero la realtà — o se si tratti invece di un brutto scherzo. Perché, nonostante tutte le incomprensioni, non riesce a immaginare la propria vita senza Lucas che lo straccia a basket, o che lo redarguisce perché ci mette troppo tempo ad alzarsi dal letto la mattina e lo fa arrivare tardi a scuola; senza la madre che gli ricorda di fare del proprio meglio a scuola, prima di piazzargli una pila di pancake nel piatto; senza il padre che non gli dice mai di no, anche dopo una estenuante giornata di lavoro, se lui gli propone di lavorare a quel modellino che stanno costruendo insieme. Non si figura proprio un futuro senza il fratello maggiore che lo stuzzica perché ha litigato ancora con quei compagni, che proprio non gli vanno a genio, e tenta di fargli capire che non ne vale la pena; senza la madre che lo rimprovera perché dimentica sempre tutto, sia che si tratti di oggetti che di appuntamenti; e senza il sorriso incoraggiante del padre, nelle rare mattine in cui il genitore e Lucas lo convincono ad alzarsi dal letto e andare a pescare all’alba.
Abbandona la sedia scomoda nel corridoio e si decide a raggiungere i genitori nella stanza: il timore di scoprire se ci sono dei cambiamenti nel quadro clinico di suo fratello lo attanaglia, perché sperare per il meglio è facile, ma aspettarsi il peggio lo è ancora di più — almeno per lui. Danny non è mai stato incline a lasciarsi guidare dalla speranza, nonostante nei suoi tredici anni di vita le gioie abbiano decisamente superato i dispiaceri. Lucas gli dice sempre che la colpa è del suo animo artistico, di solito associa queste parole al suo sorriso sghembo e gli arruffa i capelli, borbottando che per fortuna almeno lui ha ereditato la bravura e le capacità pittoriche della madre.
“Ti prego… non portarti via mio fratello,” sussurra tra sé e sé.
“Hai detto qualcosa, tesoro?” domanda sua madre, rivolgendogli un sorriso tirato.
“No, mamma,” la rassicura.
“Vuoi venire più vicino?” propone il padre, allontanandosi dal letto in cui Lucas è sdraiato da quasi una settimana ormai.
Danny annuisce, avvicinandosi alla figura del fratello, e rimanendo in silenzio.

 
 
“Right before I close my eyes
The only thing that's on my mind
Been dreamin' that you feel it too”

 
 
Stringe le dita fredde di Lucas tra le proprie e chiude gli occhi, tentando invano di ricordare gli insegnamenti di Padre Frank sulla recitazione delle preghiere, ma si rende conto che la sua mente in quel momento è svuotata e tutto ciò su cui riesce a concentrarsi è capire se il fratello sia consapevole della sua presenza. Gli piace immaginare che sia così, che Lucas si trovi in uno stato di dormiveglia in cui riesce a percepire la vicinanza della sua famiglia e che questa serva a fargli forza, ma in tutta onestà non ne è affatto certo e questo è spaventoso. Percepisce la paura crescere dentro di sé, fagocitare tutte le sue emozioni come un enorme buco nero, senza che nulla riesca a opporsi, e abbassa le palpebre nel vano tentativo di fermare le lacrime prima che gli sfuggano, bagnandogli le guance. Rivede con chiarezza momenti felici appartenenti al passato, ricordi d’infanzia cui ha sempre dato poco peso, che adesso anelerebbe a rivivere per poterli assaporare pienamente: le corse a perdifiato nei terreni dietro alla casa dei nonni, le mattinate a pescare sul molo con il padre, le foto di famiglia tanto care a sua madre, i giri in bicicletta nel loro quartiere, le partite di basket, le nuotate al lago e quelle nell’oceano…
Il dottore bussa alla porta e i suoi genitori lo raggiungono, non prima di voltarsi verso di lui e chiedergli se starà bene, lì da solo con Lucas.
“Andate pure,” mormora, tentando di sembrare sicuro di quello che sta dicendo.
La madre annuisce, prima che il padre afferri la sua mano e la conduca in corridoio.
Danny percepisce il proprio cuore accelerare e il panico annebbiargli lo sguardo, rendendogli impossibile vedere con chiarezza i lineamenti immobili di Lucas, sdraiato in quel letto di un bianco troppo accecante.
“Hey Luke,” sussurra infine, tirando su con il naso rumorosamente, “credo tu abbia dormito anche troppo…”
Il fratello rimane impassibile, così come lo è stato dal momento in cui è stato portato in questa stanza dopo l’operazione per ridurre il trauma cranico e quella per la frattura composta al braccio destro.
“Mamma e papà reggono, almeno per ora, ma non so per quanto riusciranno quindi…” sospira e ricaccia indietro altre lacrime, osservando il petto del fratello alzarsi e abbassarsi, grazie alla cannula inserita nella sua trachea; le sue labbra screpolate sono una linea sottile e inespressiva, rovinate dalla presenza del respiratore; le ciglia proiettano ombre allungate sui suoi zigomi, donandogli un’immobilità che non gli appartiene.
 
 
“I wonder why I'm so afraid
Of saying something wrong, I never said I was a saint
“I wonder, when I cry into my hands
I'm conditioned to feel like it makes me less of a man”

 
 
“Vorrei prometterti che, quando ti risveglierai, saprò essere un fratello migliore, ma sappiamo tutti e due quanto sarebbe vuota questa promessa… io non sono te, Luke, sono geneticamente programmato a combinare disastri…”
Il bip del macchinario che controlla il battito cardiaco di suo fratello interrompe il flusso delle sue parole, dandogli l’occasione di tentare di mettere ordine tra i suoi pensieri. È incredibile come sia portato a riempire il silenzio, pur trovandosi insieme a una delle persone che più odia i discorsi vuoti tanto cari alla maggior parte della gente. Ora che è solo, lascia che le lacrime siano libere di imbrattargli le guance, ne percepisce il sapore salato sulle labbra e tira su con il naso tentando di rimettere a fuoco la figura del fratello. Vorrebbe comunicargli quello che sente; obbligarlo a capire la vastità del bene che gli vuole, anche se la maggior parte delle volte non è capace di dimostrarlo, eppure teme di non riuscire a utilizzare le parole più corrette — nonostante suo fratello non sia in grado di rimproverarlo.
Sei tu il mio punto di riferimento, Luke, anche se questa potrebbe essere l’unica volta in cui lo ammetterò ad alta voce, perché confessartelo cambierebbe il nostro rapporto e non sarei più in grado di interpretare al meglio il mio ruolo del fratello minore irresponsabile…” uno sbuffo gli sfugge dalle labbra e Danny stringe più forte la mano inerte di Lucas.
“Sai quanto odi piangere, eppure eccomi qui… a frignare peggio di una ragazzina che guarda Titanic per la milionesima volta,” si sente sciocco a fare un simile paragone, soprattutto perché lui lo è ancora, un ragazzino, ma sa che Lucas lo capisce.
“Sappiamo che, se c’è qualcuno che sa apprezzare il silenzio più di papà, quello sei tu, ma… sarebbe anche il caso che rispondessi ora,” lo prega poi, posando la testa sul materasso e inclinando il viso per continuare a scrutare il fratello. Chiude nuovamente gli occhi, cullato dai rumori ospedalieri, provando ad abbandonarsi a quella speranza così estranea, eppure così necessaria in questo momento.

 
 
“And I wonder if someday you'll be by my side
And tell me that the world will end up alright”

 
 
Non sa dire se siano passati pochi secondi, o se invece si sia trattato di minuti, ma percepisce un movimento — talmente lieve che si convince di esserselo immaginato — e, quindi tiene gli occhi serrati, nel tentativo di convogliare tutti i pensieri positivi verso Luke. Dopo pochi attimi però, il tremolio torna, più marcato di prima, e gli occhi di Danny si spalancano attraversati da quella speranza che ha invocato così intensamente. Le dita di Lucas si sono strette intorno alle sue e Danny sente il proprio cuore battere forsennatamente all’interno del petto e il respiro mozzarsi in gola.
“Luke,” sussurra, avvicinandosi alla figura del fratello per scrutarne il volto.
Il ragazzo non risponde, eppure le sue dita stringono appena un po’ di più quelle di Danny e la temperatura corporea sembra essersi innalzata.
“Luke, non è il momento per fare scherzi,” sbuffa, alternando occhiate tra il suo viso e la mano intrecciata alla propria.
“Mhmm,” la sua risposta è poco più di un mugugno e Danny è combattuto se urlare per richiamare i genitori o se rimanere immobile, nell’attesa che apra gli occhi — per risparmiare un’eventuale delusione almeno a loro.
“Luke, puoi sentirmi?”
“Mhmm,” il mormorio pare essere più forte, anche se gli occhi del fratello maggiore continuano a rimanere ostinatamente serrati.
“Se mi senti, stringimi la mano,” gli sussurra, prima di sentire le dita artigliarlo con una forza che non si aspettava da qualcuno in stato di coma.
“Pensi di poter aprire gli occhi?” gli domanda poi, senza smettere di fissarlo.
Vede le ombre proiettate dalle ciglia sul suo viso tremolare, veloci come il battito delle ali di una farfalla, e sente finalmente la speranza invadergli le viscere e iniziare a scacciare la paura che aveva assorbito tutto quanto — senza lasciare spazio al resto. Poi si specchia in quelle iridi così simili alle sue e percepisce le labbra piegarsi in un sorriso incerto, diventato estraneo in quella settimana parsa infinita.
“Era anche ora, Luke… credevo che odiassi essere in ritardo,” celia, stringendo con tutte le proprie forze la sua mano.
“Mhmm,” legge il panico negli occhi del fratello, mentre mugugna nel tentativo di farsi capire.
“Shh, devi aspettare… non puoi parlare fino a che hai il respiratore,” gli spiega, osservandolo sbattere le palpebre sempre più forsennatamente.
“Ora esco a chiamare mamma e papà, che sono con il medico, va bene Luke?” sente le dita del fratello stringergli la mano e si rende conto di quanto sia confortante quel gesto banale.
Gli bastano poche falcate per raggiungere la porta, ancora meno per individuare i genitori a poca distanza da lì.
“Luke si è svegliato,” comunica ai tre, prima che i genitori corrano per tornare al capezzale del figlio, con il medico alle calcagna.
 
Nei minuti che seguono, mentre la madre piange e il padre è preda della commozione, Danny non perde un solo movimento del dottore che prima spiega a Lucas i passaggi che seguirà per estubarlo e poi inizia a eseguirli uno dopo l’altro, con l’aiuto di un infermiere. Lucas tossisce una volta libero dal macchinario che ha respirato per lui negli ultimi giorni e l’infermiere gli porge velocemente un bicchiere con una cannuccia.
“Sicuramente avrai la gola secca,” gli spiega il dottore, mentre Lucas beve avidamente.
“Può darsi che parlare ti farà male per qualche giorno, ma passerà,” continua il chirurgo, rivolgendosi sia a lui che alla sua famiglia, “adesso ti lascio tranquillo, ma domani e nei prossimi giorni faremo alcuni test per controllare le tue funzionalità, che ne pensi?”
“Va bene,” gracchia Lucas, deglutendo vanamente e cercando con lo sguardo il fratello minore.
“Ora uscirò per illustrare il piano dei test ai tuoi genitori, pensi di potertela cavare qui con tuo fratello?” gli domanda il dottore, lanciando un’occhiata in tralice a Danny.
Lucas annuisce.
“Allora ci rivediamo domani, Lucas. Cerca di riposare stanotte,” gli consiglia l’uomo.
“L’ho già fatto anche troppo,” ribatte il ragazzo, ripetendo il concetto sussurratogli da Danny quando era ancora incosciente.

 
 
“I wonder, wouldn't it be nice
To live inside a world that isn't black and white?”
 

“Finalmente soli,” borbotta Luke, tossendo.
“Hai sentito il medico, no? Cerca di non sforzarti a parlare,” gli rammenta Danny, tornando al suo fianco.
“Non sei stato tu a dirmi che avevo dormito troppo?” bofonchia a fatica.
“Non sarebbe la prima volta che dico una cazzata,” ammette Danny.
“Forse,” concede Luke, con una smorfia.
“Che c’è?” s’allarma subito il minore.
“Mi fa male tutto, sembra quasi che io sia finito sotto un treno…”
“Questa è una battuta di merda,” sbotta Danny, “anche per te.”
“Hey, io so essere divertente,” chiarisce Luke, “e sono anche il tuo punto di riferimento, no?”
“Mi hai sentito?”
Lucas annuisce e sorride nel vedere il fratello a disagio.
“Beh, allora sai che probabilmente non lo ripeterò mai più, ma… alla fine hai ragione tu, Luke.”
“Su cosa?”
“Sul fatto che il mondo non sia tutto bianco o nero, che non è che solo perché non la pensiamo allo stesso identico modo uno dei due debba avere torto e che la vita sia in realtà una serie di sfumature di grigio…”
“E come lo hai capito?”
“Standomene seduto qui in silenzio ho avuto tanto tempo per riflettere,” dichiara Danny.
“Chissà quanto hai odiato tutto questo,” ribatte svelto Luke.
“Mai quanto avrai detestato stare immobile tu.”
Lucas sorride, prima di essere assalito dai ricordi, Danny vede il volto del fratello trasfigurarsi in un’espressione indecifrabile e si ritrova nuovamente preda della preoccupazione.
“Ollie e Maddy sono morti, vero?”
Danny è preso alla sprovvista e annuisce, senza trovare le parole, sa che sarebbero vuote e prive di significato ed è consapevole che il fratello non le meriti.
“E Sophie?” continua Lucas.
“Lei è nella stanza qui accanto,” gli dice Danny.
“Come sta?”
“Si è risvegliata anche lei oggi.”
Lucas stende le labbra in un sorriso incerto: l’idea che almeno lei ce l’abbia fatta riesce a rendere la morte di Ollie e Maddy un po’ meno gravosa, eppure non riesce a ignorare il senso di colpa che lo investe e imbratta quella sensazione di felicità che ha provato dal momento in cui ha riconosciuto il fratello al suo fianco.
“Non riesco nemmeno a immaginare quello che provi, Luke,” mormora Danny, “sappi solo che ci sarò, quando ne avrai bisogno, anche solo per stare in silenzio insieme a te.”
“Tu odi il silenzio,” mormora Luke.
“Ma tu invece lo trovi rassicurante, quindi torniamo alla questione delle sfumature e al fatto che non sia tutto bianco oppure nero…”
“Già, non lo è…”
Danny gli porge un’altra volta il bicchiere e Luke beve avidamente, non riuscendo a ricordare di aver mai provato un’arsura simile.
“Danny…” lo richiama, dopo avergli restituito il bicchiere.
“Sì?”
“Sei un bravo fratello,” dichiara, “un vero rompiscatole ovviamente, ma non ti cambierei con nessun altro.”
Il tredicenne si passa le mani tra i capelli arruffati, prima di arrossire lievemente e scrollare le spalle, “anche tu lo sei.”
“Questo lo sapevo…”
Danny sorride, chiedendosi se non sia sbagliato farlo, visto che suo fratello ha appena ricordato di aver perso due amici; l’espressione sul volto di Lucas è un insieme di tristezza e speranza, di dolore e sollievo, gli occhi stanchi sono attraversati dall’inquietudine, ma sono anche colmi della risolutezza che da sempre lo caratterizza.
“Ce la farete, Luke.”
“Lo dobbiamo a Ollie e Maddy,” ribatte l’altro, tornando a stringergli la mano.
 
 
Shawn Mendes – “Wonder”


 

 
Nota dell’autrice:
Questo capitolo è forse quello a cui tengo di più, almeno per ora, perché il rapporto tra i fratelli Evans è una delle tematiche che preferisco all’interno di questo universo. Qui li incontriamo nella loro versione più acerba: Lucas ha 17 anni, mentre Daniel ne ha 13 e li ritroviamo nel momento del risveglio dal coma di Lucas dopo l’incidente. Ci sarebbero state tante canzone adatte a descrivere il loro rapporto, ma alla fine ho scelto questa che ho trovato riuscisse a mettere in luce in maniera meravigliosa le insicurezze di Danny e i suoi pensieri incontrollabili quando si ritrova a fissare il fratello immobile nel letto.
Spero che l’evoluzione della storia sia sempre di vostro gradimento e che i personaggi continuino a rimanere credibili.

 
   
 
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